N. 119 - Novembre 2017
(CL)
LA PARABOLA ESISTENZIALE DI ALBERT CAMUS
LA RIVOLTA TRA IMPEGNO INDIVIDUALE E IMPEGNO COLLETTIVO - PARTE III
di Raffaele Pisani
Con
La
peste,
del
1946,
e
L’uomo
in
rivolta,
di
qualche
anno
più
tardi,
abbiamo
due
esempi
di
impegno
a
fronte
di
situazioni
cruciali
che
la
vita
ci
riserva,
come
singole
persone
e
come
intera
umanità.
Una
narrazione
di
avvenimenti
immaginari
collocati
nella
Orano
degli
anni
Quaranta
del
Novecento
è il
tema
de
La
peste,
il
narratore
è un
cronista
anonimo,
che
alla
fine
si
saprà
essere
il
protagonista,
il
dottor
Rieux.
L’assurdo,
già
ampiamente
trattato
nelle
opere
precedenti,
subisce
qui
delle
trasformazioni,
non
solo
nelle
sue
manifestazioni,
ma
soprattutto
per
il
modo
in
cui
si
attua
la
rivolta
nei
suoi
confronti.
Essendo
il
termine
ormai
inflazionato,
Camus
non
pare
molto
propenso
a
usarlo,
eppure,
al
di
là
delle
parole,
non
vi è
dubbio
che
il
clima
sia
proprio
quello.
Assurdo
l’apparire
di
un
morbo
che
l’Occidente
aveva
ormai
debellato
da
molto
tempo,
assurde
le
conseguenze
che
esso
provoca.
Coloro
che
ne
vengono
colpiti
muoiono
tra
atroci
sofferenze,
isolati
da
un
cordone
sanitario
che
impedisce
anche
i
contatti
con
i
parenti
più
prossimi.
Le
misure
profilattiche
e
terapeutiche
mostrano
tutti
i
loro
limiti
e
non
servono
in
ogni
caso
a
rendere
ragionevolmente
tranquilli
gli
abitanti
della
città
colpita.
Le
autorità
sanitarie
devono
fare
i
conti
con
un’estrema
carenza
di
mezzi,
proprio
perché
un’infezione
del
genere
si
riteneva
impossibile,
assurda,
come
appunto
si
diceva.
Di
fronte
a
questi
tragici
eventi
la
reazione
dei
personaggi
è
diversa.
Il
dottor
Rieux
si
propone
di
lottare
con
il
massimo
impegno
contro
un
morbo,
all’inizio
non
ancora
ben
definito
nella
sua
natura,
ma
già
maledettamente
capace
di
mietere
vittime.
Nessun
eroismo,
nessun
titanismo
traspare
dai
suoi
atteggiamenti;
non
si
sente
investito
di
alcuna
missione
sublime,
semplicemente
si è
trovato
in
una
situazione
e ha
considerato
che
il
suo
intervento
medico
potesse
risultare
di
una
qualche
efficacia.
Non
traspare
in
lui
alcuna
divisione
tra
essere
e
dover
essere;
il
dovere
coincide
con
una
spontaneità
che
esclude
ogni
tentennamento.
Non
sembra
esserci
alcun
punto
in
comune
tra
il
dottor
Rieux
e
padre
Paneloux,
il
colto
e
apprezzato
gesuita
che
richiama
fermamente
gli
uomini
a
meditare
della
loro
malvagità.
Egli
ribadisce
la
tradizionale
tesi
della
peste
come
castigo
divino
e
come
sprone
alla
conversione,
ma
la
morte
del
piccolo
Philippe
tra
atroci
sofferenze
fa
vacillare
anche
le
certezze
del
religioso,
che
è
costretto
ad
ammettere
che
certe
cose
non
si
possono
capire
razionalmente.
Il
fatto
che
la
fede
possa
sopperire
a
questa
mancanza
non
convince
minimamente
il
dottor
Rieux;
i
due
divergono
radicalmente
sulla
concezione
dell’esistenza
umana
ma
sono
capaci
di
lavorare
insieme
per
alleviare
qualche
sofferenza.
C’è
pure
Rambert,
un
giornalista
che
per
caso
si
viene
a
trovare
a
Orano
nei
giorni
della
peste
e il
suo
primo
impulso
è
quello
di
lasciare
la
città
e
raggiungere
la
sua
giovane
compagna
a
Parigi,
difficoltà
contingenti
ritardano
la
sua
partenza
finché,
quando
potrebbe
finalmente
andarsene,
decide
di
restare
e di
prestare
la
sua
opera
solidale.
Anche
Grand,
il
modesto
impiegato
comunale,
anch’egli
separato
dalla
sua
donna,
si
dà
da
fare,
nei
limiti
delle
sue
possibilità
e
del
suo
carattere,
a
favore
di
un’umanità
sofferente.
Vi
sono
naturalmente
altri
personaggi,
più
o
meno
trasformati
dalla
peste,
alcuni
cercano
solo
di
sopravvivere,
altri
invece,
i
medici:
Castel
e
Richard
con
l’ex
studente
di
giurisprudenza
Tarrou,
si
trovano
a
lavorare
fianco
a
fianco
per
reagire
a la
tragica
situazione
che
stanno
vivendo.
Le
donne
sono
più
evocate
che
presenti,
nel
1946,
quando
Camus
si
trovava
negli
Stati
Uniti
e il
libro
non
era
ancora
uscito,
ebbe
a
dire:
«Peste:
è un
mondo
senza
donne,
dunque
irrespirabile».
In
effetti
il
dramma
della
separazione
caratterizza
tutta
la
narrazione,
Rieux,
Rambert
e
Grand
sono
costretti
dalla
peste
a
vivere
lontani
dalle
rispettive
compagne.
L’uomo in rivolta, composto tra il 1943 e il 1951 tocca più da vicino l’aspetto
storico-politico
in
un
momento
in
cui
l’ideologia
nazista
si
stava
dissolvendo
mentre
quella
comunista
mostrava
inequivocabilmente
il
suo
crudele
cinismo
nei
confronti
dell’umanità
presente,
giustificandolo
come
mezzo
necessario
per
l’edificazione
di
un’umanità
futura
pienamente
felice
e
realizzata.
Il
rivoltoso
scaturisce
quando
l’oppressione
si
fa
intollerabile, ad un certo punto egli non è più disposto a piegare la
schiena
e ad
abbassare
il
volto,
ecco
quindi
che
si
rivolta,
volta
la
faccia
verso
l’oppressore
e,
in
nome
di
un
diritto
che
sente
comune
a
tutti
gli
uomini,
rivendica
la
sua
posizione.
La
rivolta
camusiana
è in
antitesi
con
lo
spirito
di
risentimento
individuale
per
un
torto
subito.
La
rivolta
è
solidale
oppure
non
è,
«Mi
rivolto
quindi
siamo».
In
virtù
di
una
natura
che
accomuna
tutti
gli
uomini,
il
rivoltoso,
al
contrario
di
chi
è
animato
da
spirito
di
risentimento,
ha
rispetto
anche
per
il
suo
antagonista,
non
mira
ad
una
liberazione
per
sé
che
comporti
la
sottomissione
del
precedente
tiranno,
ma
pensa
e
opera
per
un
progetto
che
miri
alla
dignità
universale.
La
rivolta
che
Camus
definisce,
metafisica,
riveste
un
carattere
generale
perché
contiene
al
suo
interno
tutti
gli
altri
possibili
motivi
di
rivolta:
uno
schiavo,
un
malato,
un
povero
si
possono
ribellare
nei
confronti
della
rispettiva
condizione
che
li
opprime;
l’uomo
in
quanto
uomo
contesta
invece
i
fini
della
creazione
e la
sua
condizione
di
uomo,
che
lo
porta
ad
essere
ora
schiavo,
ora
malato,
ora
povero.
Leggiamo
nel
testo:
«Protestando
contro
la
condizione
in
ciò
che
essa
ha
d’incompiuto
a
causa
della
morte,
e di
disperso,
a
causa
del
male,
la
rivolta
metafisica
è la
rivendicazione
motivata
di
un’unità
felice,
contro
la
sofferenza
di
vivere
e di
morire.
Se
la
pena
di
morte
generalizzata
definisce
la
condizione
degli
uomini,
la
rivolta,
in
certo
senso,
è ad
essa
contemporanea».
Proprio
perché
ritiene
la
propria
condizione
profondamente
ingiusta,
il
rivoltoso
protesta
e
impreca
contro
il
Creatore:
«L’insorto
metafisico
non
è
dunque
sicuramente
ateo,
come
pure
si
potrebbe
credere,
ma
necessariamente
blasfemo».
Camus
passa
in
rassegna
una
serie
di
personaggi
che
si
oppongono
al
Creatore:
il
marchese
de
Sade,
i
dandies
romantici,
l’Ivan
Karamazov
di
Dostoevskij
e
Nietzsche,
quest’ultimo,
non
avendo
un
Dio
da
combattere
avendone
constatata
la
morte,
vuole
demolire
quelle
morali,
religiose
o
laiche
che
siano,
che
tradirebbero
la
natura
e la
vita
in
vista
di
un
ideale
utopico
che
sacrifica
il
presente
concreto.
C’è
poi
la
rivolta
storica
che,
non
senza
difficoltà
si
può
tentare
di
distinguere
dalla
rivolta
metafisica
e
dalla
rivoluzione,
viste
in
un
certo
senso
come
situazioni
limite
opposte.
Par
di
capire
che
la
rivolta
metafisica
sia
la
matrice
degli
eventi
rivoltosi
e
rivoluzionari.
Nel
pensiero
dell’autore,
la
rivolta
metafisica
è
vista
come
pura,
generosa
e
disinteressata
perché
radicata
su
una
natura
umana
fondamentalmente
buona;
la
rivolta
storica
invece,
pur
distinguendosi
dalla
rivoluzione,
non
è
talvolta
immune
da
bassezze
e da
atrocità,
«sviata
dalle
sue
origini
e
cinicamente
travestita,oscilla
ovunque
tra
sacrificio
e
omicidio».
La
rivoluzione
per
potersi
attuare
ha
bisogno
di
un
piano
efficace
di
realizzazione,
per
questo
non
ha
remore
a
fare
largo
uso
del
terrore.
Ecco
allora
che
i
termini
apparentemente
simili
di
rivolta
e
rivoluzione
mostrano
tutta
la
loro
antiteticità:
«O
il
rivoluzionario
esprime
contemporaneamente
la
rivolta
o
non
è
più
rivoluzionario,
ma
poliziotto
e
funzionario
che
alla
rivolta
contrasta.
Ma
se è
fedele
a
questa,
finisce
per
insorgere
contro
la
rivoluzione.
Cosicché
non
vi è
progresso
da
un
atteggiamento
all’altro,
ma
simultaneità,
e
contraddizione
continuamente
crescente.
Ogni
rivoluzionario
finisce
oppressore
o
eretico».
Come
uscire
da
questa
impasse
Camus
lo
spiega,
piuttosto
frettolosamente
secondo
il
giudizio
di
vari
commentatori,
con
quello
che
egli
definisce
“pensiero
meridiano”,
il
rivoltoso
sa
che
non
può
conoscere
tutto,
è
coscio
che
l'uso
limitato
della
violenza
è
inevitabile,
pena
l’inefficacia
dell’azione.
Egli
trova
nel
mondo
dei
Greci
quello
spirito
di
misura
che
si
contrappone
alla
dismisura
dello
spirito
nordico
«È
una
lotta
tra
meriggio
e
mezzanotte».
La
realizzazione
storica
di
questo
pensiero
troverebbe
realizzazione
nel
sindacalismo
rivoluzionario
una
forma
d’azione
collettiva
che
avrebbe
dimostrato
il
pregio
dell’efficacia
e
della
genuina
concretezza,
non
adopera
il
terrore
per
far
progredire
la
società,
anche
se
non
è
immune
da
qualche
forma
di
violenza.