N. 117 - Settembre 2017
(CXLVIII)
LA PARABOLA ESISTENZIALE DI ALBERT CAMUS
UN ESORDIO POVERO MA ESALTANTE - PARTE I
di Raffaele Pisani
Albert Camus nacque, secondo di due fratelli, a Mondovì, nell’Algeria francese nel novembre del 1913. Il padre, Lucien, chiamato alle armi alcune mesi dopo, troverà ben presto la morte sul fronte della Marna; la madre, Catherine Sintés, si trasferisce con i due piccoli ad Algeri, in un quartiere popoloso e povero. La vicinanza di un parente fornirà alla famiglia un po’ di sicurezza.
Già
durante
gli
studi
elementari
viene
notata
dagli
insegnanti
la
viva
intelligenza
del
piccolo
Albert,
in
seguito,
una
borsa
di
studio
gli
permetterà
di
frequentare
il
liceo
di
Algeri.
Nonostante
le
precarie
condizioni
di
salute
– è
minacciato
dalla
tisi
– si
dedica
anche
allo
sport.
Il
conseguimento
della
laurea
in
Filosofia
all’università
di
Algeri
gli
apre
le
porte
all’insegnamento,
ma
egli
ritiene
che
le
sue
condizioni
fisiche
lo
rendano
inadatto
a
tale
lavoro.
L’impegno
sociale
lo
porta
ad
aderire
per
un
breve
tempo
al
Partito
Comunista,
contemporaneamente
entra
in
relazione
con
ambienti
del
mondo
arabo,
che
egli
pensava
potesse
rimanere
legato
alla
Francia
sulla
base
di
nuovi
rapporti
che
avrebbero
superato
il
vecchio
e
oppressivo
sistema
coloniale.
Il
secondo
conflitto
mondiale
lo
vedrà
in
Francia
impegnato
nella
resistenza
antinazista.
Lasciamo
ora
la
parola
a
Camus;
egli
stesso
ci
spiegherà
questo
periodo
della
sua
vita
attraverso
le
opere
che
andremo
a
considerare.
La
sua
infanzia
e la
sua
adolescenza
ad
Algeri,
nel
quartiere
operaio
di
Belcourt,
è
narrata
in
primo
luogo
ne
Il
rovescio
e il
diritto,
steso
nel
1935-36
quando
aveva
22-23
anni.
Riprenderà
il
discorso
nel
1958,
in
occasione
della
riedizione
dell’opera,
per
la
quale
scrive
una
prefazione
ricca
di
dati
autobiografici.
Nei
vent’anni
e
più
che
erano
trascorsi,
Camus
aveva
assunto
una
statura
internazionale:
poco
prima,
nel
1957,
era
stato
insignito
del
premio
Nobel
per
la
Letteratura.
È da
questa
posizione,
non
particolarmente
comoda
(assieme
alla
fama
aveva
ricevuto
aspre
critiche
a
cui
erano
seguite
dolorose
rotture),
che
Camus
riflette
sul
periodo
iniziale
della
sua
esistenza.
Egli
stesso
sintetizza
il
suo
pensiero
al
riguardo
con
le
seguenti
parole
nell’introduzione
all’opera
cui
fa
riferimento:
«Quanto
a
me,
so
che
la
sorgente
è ne
“Il
rovescio
e il
diritto”,
in
questo
mondo
di
povertà
e di
luce,
dove
sono
vissuto
a
lungo
e il
cui
ricordo
mi
preserva
ancora
da
due
opposti
pericoli
che
minacciano
ogni
artista:
il
risentimento
e la
soddisfazione».
Il
giovane
Camus
trova
il
modo
di
esprimere
il
suo
sentimento
di
fronte
a
una
realtà
che
rivela
una
doppia
faccia.
La
pubblicazione
de
Il
rovescio
e il
diritto,
nel
1938,
e di
Nozze,
un
anno
dopo,
lo
rende
noto
a un
pubblico
in
un
primo
momento
non
particolarmente
vasto.
Benché
entrambe
le
opere
siano
composte
di
racconti
separati,
presentano
un
tema
di
fondo:
la
natura
bifronte
dell’esistenza.
Un’esistenza
che
deprime
e
che
esalta:
solitudine,
indifferenza,
tristezza,
vecchiaia,
odore
di
morte
si
contrappongono
alla
prorompente
vitalità
di
un
corpo
giovane
capace
di
instaurare
un
dialogo
appagante
con
una
natura
fatta
di
sole,
di
cielo,
di
mare
e di
una
terra
rigogliosa
abitata
dagli
dei
nella
quale
gli
umani
possono
vivere
il
loro
amore.
A
titolo
di
esempio,
riportiamo
qualche
tratto
colto
qua
e là
dalle
opere
che
stiamo
analizzando,
rimandando
a
una
lettura
completa
per
chi
ne
fosse
interessato.
Ne
L’ironia,
il
primo
dei
cinque
racconti
de
Il
rovescio
e il
diritto,
appaiono
tre
personaggi,
il
primo
è
una
vecchia
semiparalitica,
isolata
dal
mondo
familiare
a
causa
della
sua
malattia
e
della
sua
ignoranza.
Si
aggrappa
all’unica
persona
che,
solo
per
un
po’
di
tempo,
l’ascolta.
Il
rosario
e le
immaginette
del
Cristo
e di
San
Giuseppe
costituiscono
una
speranza
mal
riposta.
Si
sente
da
tutti
abbandonata;
mentre
i
familiari
vanno
al
cinema,
lei
piange
da
sola
e
spegne
la
luce.
C’è
poi
la
figura
del
vecchio
che
parla
ai
giovani,
tenta
invano
con
tutte
le
sue
forze
di
rendere
attraente
il
suo
racconto,
ma
riesce
solo
a
essere
molesto.
I
visi
dei
giovani,
indifferenti
alle
sue
parole,
sono
«eccitati
da
una
gaiezza
a
cui
(il
vecchio)
non
aveva
il
diritto
di
partecipare».
C’è
anche
la
figura
della
nonna
dispotica
che
nella
sua
esistenza
ha
sempre
tiranneggiato
la
famiglia,
e
ora
che
è
seriamente
malata
non
vien
creduta.
Muore
e
nessuno
riesce
a
provare
dolore
per
lei.
Un
autentico
inno
alla
vita
lo
cogliamo
nella
prorompente
figura
della
cantante-danzatrice,
nel
quale
comunque
non
manca
l’elemento
inquietante
che
ne
costituisce
appunto
il
rovescio:
«In
mezzo
alla
gioia
scalpicciante
che
la
circondava
era
come
l’immagine
ignobile
ed
esaltante
della
vita,
con
la
disperazione
dei
suoi
occhi
vuoti
e il
sudore
spesso
del
ventre».
Se
la
routine
funziona
come
una
sorta
di
divertissement,
il
viaggio
disinteressato
di
Camus
gli
apre
invece
una
visione
luminosa
e
tremenda:
la
cantante
del
caffè
e
gli
ambienti
assolati
di
Ibiza
lo
portano
a
contatto
con
la
radice
profonda
della
vita.
Per
qualche
istante
egli
sembra
cogliere
quell’unità
con
la
natura
totalmente
appagante:
«Mi
scioglievo
nell’odore
di
quel
silenzio,
perdevo
i
miei
limiti,
non
ero
altro
che
il
risuonare
dei
miei
passi
o
quello
stormo
d’uccelli
di
cui
scorgevo
l’ombra
sull’alto
dei
muri
ancora
soleggiati».
Nozze
si
svolge
in
quattro
brevi
racconti
che
continuano
con
qualche
differenza
e
accentuazione
i
temi
precedenti.
In
primo
luogo
si
nota
una
esplicita
dichiarazione
di
immanenza:
«Imparo
che
non
esiste
felicità
sovrumana,
né
eternità
fuori
della
curva
dei
giorni»,
e
una
polemica
nei
confronti
della
morale
della
sofferenza:
«Non
c’è
disonore
ad
essere
felici.
Ma
oggi
l’imbecille
è
re,
e io
chiamo
imbecille
chi
ha
paura
di
gioire».
Nozze
a
Tipasa,
il
primo
dei
quattro
racconti,
è un
inno
al
sole,
al
mare
e
alla
terra
algerina.
In
questo
luogo
avviene
la
perfetta
fusione
dell’umano,
le
antiche
rovine
romane,
con
il
naturale.
Tutto
appare
pervaso
da
uno
spirito
unificante.
Il
corpo
di
una
donna
stretto
a sé
fa
tutt’uno
con
«questa
strana
gioia
che
scende
dal
cielo
verso
il
mare».
Si
tratta
dell’amore
più
completo:
«L’accordo
e il
silenzio
fra
il
mondo
e me
faceva
nascere
l’amore:
Amore
che
non
avevo
la
debolezza
di
rivendicare
per
me
solo,
cosciente
e
orgoglioso
di
essere
partecipe
di
tutta
una
razza
nata
dal
sole
e
dal
mare».
Ma
ancora
una
volta
appare
il
rovescio
della
medaglia,
lo
vediamo
ne
Il
vento
a
Djemila.
A
prima
vista
gli
elementi
parrebbero
gli
stessi,
il
senso
panico
è
chiaramente
presente:
«Ben
presto,
sparso
ai
quattro
angoli
del
mondo,
dimentico,
dimenticato
da
me
stesso,
io
sono
questo
vento,
queste
colonne
e
questo
arco,
queste
pietre
che
sanno
di
caldo
e
queste
montagne
pallide
intorno
alla
città
deserta».
In
questo
caso
però
l’unione
viene
sentita
come
una
forma
di
prigionia,
ben
lontana
dalla
tenera
unione
che
aveva
descritto
in
precedenza.
Dice
ancora:
«E
quel
che
mi
colpisce
in
questo
momento
è di
non
poter
andare
oltre.
Come
un
uomo
imprigionato
in
eterno
– e
tutto
per
lui
è
presente».
È un
eterno
scorrere
che
non
porta
a
nessun
compimento:
il
domani
sarà
come
oggi,
poi
sarà
la
morte.
Una
morte
–
dice
Camus
-
che
provoca
orrore
in
chi
è
geloso
di
lasciare
a
quelli
che
verranno
dopo
di
lui
le
delizie
di
una
vita
fatta
di
fiori
e di
desideri
di
donne.
Il
rovescio
e il
diritto
e
Nozze
sono
stati
classificati
dall’editore
Gallimard,
certamente
con
l’assenso
di
Camus,
saggi
letterari,
distinti
da
quelli
filosofici
e da
quelli
politici.
Si
tratta
in
fondo
di
descrizioni
di
paesaggi,
di
stati
d’animo
di
episodi
di
vita
che
a
volte
coinvolgono
direttamente
l’autore;
si
tratta
di
scritti
decisamente
autobiografici,
anche
quando
materialmente
paiono
non
esserlo.
In
fondo
Camus
descrive
se
stesso
e il
proprio
essere
nel
mondo;
il
suo
descrivere
è
fatto
di
immediatezza,
è
come
una
lunga
esclamazione,
un’emozione
che
diventa
voce
e
segno.
Difficile
trovare
una
riflessione
filosofica
esplicita,
una
presa
di
posizione
teorica
quale
base
della
sua
Weltanschauung
(“visione
del
Mondo”),
l’unico
criterio
di
verità
sembra
essere
quello
di
un
sentire
individuale
costituito
dalle
sensazioni
e
dai
sentimenti
immediati.
Abbiamo
già
detto
del
suo
immanentismo,
più
proclamato
che
dimostrato,
ma
qui,
in
questi
primi
scritti
la
chiusura
è
totale,
vi è
solo
l’individuo
in
una
solitudine
a
volte
splendida
a
volte
tormentata.
La
natura
è
impersonale,
e
anche
l’umanità
risulta
coglibile
solo
in
una
globalità
spersonalizzata:
gli
altri,
quando
appaiono,
sembrano
esistere
solo
in
funzione
del
protagonista.
Ma
il
cammino
di
Camus,
pur
nella
sua
relativamente
breve
esistenza,
porterà
ad
affrontare
altre
tematiche
che
costituiranno
altrettanti
spunti
per
le
prossime
riflessioni.