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N. 118 - Ottobre 2017 (CXLVIII)

Albano Laziale archeologica
Monumenti antichi, resti archeologici e musei dell’antica Albalonga

di Giuliana Magno

 

La cittadina di Albano Laziale sorge su un territorio collinare sito a circa 25 km da Roma, denominato Castelli Romani per la presenza di antiche residenze nobiliari (Savelli, Chigi, Colonna).

 

Il nome proviene dal termine Albanum, documentato in Cicerone, a sua volta derivato dal nome del primo nucleo popolato sorto lungo le pendici del lago Albano (nei pressi del borgo di Castel Gandolfo), l’antica Alba (Albalonga), villaggio abitato da antiche popolazioni pastorali che celebravano culti e riti sul Mons Albanus nel santuario dedicato a Giove Laziale (Iuppiter Latiaris).

 

A questo periodo, età del Ferro, appartengono numerosi reperti archeologici consistenti in corredi sepolcrali e strumenti della vita quotidiana (vasellame, pesi da telaio, macine, metalli) provenienti dal territorio circostante la cittadina odierna. Tali materiali, che hanno una certa continuità tipologica con quelli dell’epoca precedente (Bronzo), sono conservati nel Museo Civico Albano, importante istituzione culturale cittadina nonché uno dei principali musei archeologici del territorio.

 

Alle fasi precedenti, dal Paleolitico al Rame, appartengono oggetti dell’industria litica, diversificati e sempre più raffinati a seconda della cronologia, consistenti in chopping-tools, amigdale, punte di frecce, vomeri di aratro, pugnali, coltelli, macine. Tali materiali occupano le sale iniziali del Museo Civico, accompagnati da carte geo-storiche che illustrano la situazione del territorio del Latium Vetus prima dell’età storica.

 

Alba fu distrutta da Tullo Ostilio (VII sec. a.C.) in età regia, mentre in età arcaica la zona fu occupata dal centro politico-religioso del Lucus Ferentinum, facente capo alla Lega Latina e alla vicina città di Corilla. Le aree sacre hanno restituito ex-voto fittili, ceramiche locali e d’importazione, oggetti metallici (spade, fibule). La zona fu interessata da un certo ripopolamento in età medio-repubblicana, in seguito a un processo di inurbamento e alla conseguente costruzione di villae lungo la via Appia, tra cui quella di Pompeo Magno, i cui resti oggi occupano parte della villa comunale (Villa Doria) e versano purtroppo in condizioni di non corretta fruibilità turistica.

 

La residenza del generale e triumviro romano sorgeva su una terrazza naturale digradante verso il mare, con la vista rivolta ai lidi di Enea. Era una struttura abitativa a più piani, con un nucleo centrale, ambulacri, criptoportici, diversi vani e cisterne per l’acqua. I giardini erano ornati da nicchie e statue.

 

Le principali fasi edificatorie della villa, secondo gli studiosi, tra cui il Lugli, furono almeno tre, dal periodo medio repubblicano all’ampliamento pompeiano, fino all’età imperiale. Ville romane con una certa continuità di vita sono state rinvenute nella frazione di Cancelliera, presso la stazione ferroviaria di Albano e nella zona dei Cavallacci.

 

Queste lussuose domus erano caratterizzate da varie tecniche costruttive (opera mista, incerta, reticolata, laterizia), differenti materiali (peperino, mattoni, marmo) e da uno spiccato gusto decorativo, reso da eleganti apparati pittorici, musivi e fittili, come le splendide lastre Campana a soggetto mitologico, sculture in marmo e peperino raffiguranti divinità e personaggi della cerchia imperiale, stucchi e affreschi.

La villa più grandiosa apparteneva all’imperatore Domiziano (fine I sec. d.C.) ed era stata precedentemente abitata da alcuni esponenti della dinastia Giulio-Claudia. L’imperatore flavio l’aveva ampliata con terrazzamenti, un criptoportico, cisterne e probabilmente con i ninfei Dorico e Bergantino (per il quale vi è più certezza), usati come terme, ricovero navale e cave di pietra, prossimi all’emissario lacustre. Quest’ultimo è un’opera di ingegneria idraulica risalente, secondo Tito Livio, al IV secolo a. C., in seguito al vaticinio degli aruspici secondo cui Roma avrebbe vinto sugli Etruschi di Veio soltanto se le acque del lago fossero giunte al mare, ma si potrebbe trattare di una struttura di età arcaica. Esso consiste in un ambiente per le paratie di regolazione dell’acqua e di lungo canale areato da pozzi per il deflusso idrico che giunge presso le Mole di Albano (dove fu a lungo utilizzato per l’irrigazione dell’agro circostante) collegandosi al Tevere tramite il fosso dell’Acqua Acetosa.

 

La villa comprendeva un teatro, un circo per le venationes, un ippodromo e sculture di gusto ellenizzante, nonché ricchi apparati decorativi. L’enorme estensione ha fatto attribuire alla residenza anche il ninfeo della chiesa della Rotonda, di cui parleremo in relazione alla Albano cristiana. Il lago era utilizzato dall’imperatore per le naumachie, così come quello di Nemi da parte di Caligola. Rifacimenti posteriori risalgono agli imperatori Traiano e Adriano.

 

Al periodo imperiale e protocristiano di Albano si ascrivono importanti mutamenti urbanistici, tra cui l’edificazione dei Castra Albana e la fondazione della Catacombe di San Senatore. Assistiamo così a una definizione urbana dell’Albanum, che diventa agglomerato densamente popolato e dotato di servizi. Asse viario era, come oggi, la via Appia, la strada consolare aperta nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco per collegare Roma ai Colli Albani e successivamente a Capua.

 

Lungo la Regina Viarum si trovavano edifici pubblici e privati, acquedotti, strade, magazzini per le derrate e, relativamente ai castra severiani, le dimore dei militari con altre strutture. Il complesso dei Castra Albana, luogo di acquartieramento della Legio Secunda Parthica Severiana, contingente militare insediato da Settimio Severo, del quale oggi vediamo numerose vestigia, occupava gran parte del moderno paese, dal quartiere San Paolo a Borgo Garibaldi, e si presentava come una vera e propria cittadella militare dalla pianta rettangolare, dotata di aree ludiche come l’anfiteatro e le terme, e di aree funzionali come cisterne e torri.

 

La Porta Praetoria, ingresso principale al forte, si affacciava sulla via Appia ed era formata da tre fornici e da torri laterali. Un’altra, la Porta Principalis Sinistra, era un semplice arco in peperino posto in direzione di Velletri. Sempre in lapis albanus (peperino) erano le mura, delle quali sussistono alcuni tratti con torri. Tra le strutture più interessanti vi erano i Cisternoni, locati nella parte più elevata del castro per agevolare la distribuzione dell’acqua per caduta. La cisterna, costruita in varie tecniche e dalla superficie di circa 1.500 mq, era alimentata dall’acquedotto delle “Cento Bocche”. Due delfini e una sfinge in peperino ne decoravano la facciata.

 

Un altro imponente edificio collegato all’accampamento era l’anfiteatro, scavato nella viva roccia sfruttando in parte una terrazza artificiale. Le dimensioni, di circa metri 70 x 45, permettevano di ospitare numerosi spettatori. L’arena era formata da due livelli, due ingressi (vomitoria), un canaletto di scorrimento idrico (euripo), il podio imperiale (pulvinar) e le gradinate per gli spettatori. Il III fornice dell’arena fu successivamente utilizzato come oratorio cristiano e decorato con figure di santi (Lorenzo, Stefano, Nicola, Pancrazio).

 

Altro spazio ludico erano le terme, oggi inglobate in parte nella chiesa medievale di San Pietro. La datazione risalirebbe al periodo di Caracalla, la tecnica è in cementizio a scaglie di peperino e cortina di laterizi. I pavimenti erano a mosaico e ancora oggi il quartiere, denominato "Cellomaio" (cella maior) da uno degli spazi originari delle terme, reca resti della struttura romana: archi, tubature e parti murarie. Ancora oggi si vedono per il paese molti resti di questa epoca.

 

 

La Albano cristiana presenta monumenti appartenenti a diverse epoche. La “Basilica Costantiniana” (attuale San Pancrazio) fu edificata dal primo imperatore cristiano nel IV secolo d.C., e successivamente da Leone III nei primi del IX secolo. La cripta ospitava le reliquie traslate dalle catacombe di San Senatore, collocate verso il XV miglio della via Appia e scoperte intorno al 1720 nei pressi del sepolcro cosiddetto “degli Orazi e dei Curiazi” e della Chiesa di Santa Maria della Stella. Per ciò che riguarda il sepolcro, vasto edificio in peperino, si tratta di un monumento laico di età precedente, a base quadrata sormontata da 5 tronchi di cono e comprendente una cella funeraria. A dispetto del nome, non è un monumento arcaico ma una tomba di età repubblicana (I secolo a.C.).

 

La catacomba di San Senatore insiste su una cava di pozzolana preesistente, trasformata in una cripta centrale affrescata con immagini di Cristo e dei martiri albani: Secondo, Carpoforo, Vittorino e Severiano. Altre pitture rappresentano la Vergine e i santi Smaragdo, Pietro, Lorenzo e Paolo. Lungo gli ambulacri si trovano gli arcosoli, i loculi e le tombe dei primi cristiani di Albano, i quali iniziarono la frequentazione del luogo a partire dal III secolo fino almeno al XII. Si presume che l'uso della necropoli, esistente forse già dal II secolo, fu intensificato per impulso dei legionari partici di culto cristiano che vivevano nei castra.

 

Altre antiche chiese oggi annoverate tra i monumenti cristiani più significativi di Albano sono San Pietro e Santa Maria della Rotonda.

 

San Pietro fu fatta costruire da papa Ormisda nella I metà del VI secolo d.C. all'interno di un'aula rettangolare delle terme severiane (Cellomaio). All'esterno spicca il bel campanile romanico del XII secolo ornato da bifore mentre sia all'interno che fuori la chiesa presenta elementi romani di età imperiale, tra cui un sarcofago strigilato e le trabeazioni marmoree con girali d'acanto. Di pregio la pavimentazione in mosaico policromo con simboli cristiani. L'aspetto principale della chiesa risiede comunque nella sua relazione con le terme imperiali connesse ai Castra Albana.

 

Stesso discorso per la Rotonda, chiesa intitolata alla Vergine che insiste su un ninfeo pertinente alla Villa di Domiziano (lo spazio era dedicato al culto di Minerva), trasformato in edificio termale dai legionari partici. La chiesa cristiana fu fondata nell'VIII o IX secolo, probabilmente grazie a delle monache orientali che vi portarono la sacra icona della Madonna.

 

Anche qui come a San Pietro, l'interno e l'esterno del santuario conservano resti di età romana: trabeazioni, un capitello ed il mosaico pavimentale bianco del ninfeo e quello esterno bicromo con esseri marini pertinente alle terme severiane. Il ninfeo, un edificio a pianta centrale iscritto in un quadrato, quasi un piccolo Pantheon, aveva 4 ingressi sormontati da finestroni ad arco e 4 nicchioni angolari semicircolari che ospitavano fontane. Al centro vi era un piccolo impluvio.

 

Il materiale proveniente dall'area albana (sistema vulcanico laziale, Albalonga, santuari laziali arcaici e repubblicani, Albano moderna) è conservato nei Musei Civici, comprendenti il Museo di Villa Ferrajoli e quello della LIIPS (Legio Secunda Parthica Severiana).

 

Per quanto riguarda la sede centrale, il museo fu inaugurato nei primi anni '70 e dopo alterne vicende trovò sede nella neoclassica Villa Ferrajoli, ex Casino Benucci, una residenza rustica appartenuta a due signori vissuti nel XIX secolo dei quali conserva le denominazioni succitate. L'interno è decorato con tempere a raffaellesca, in stile egizio e a trompe l'oeil realizzate da Giovan Battista Caretti nella prima metà dell’Ottocento, pittore che lavorò per i Torlonia.

 

Il percorso espositivo è a criterio cronologico ed offre la conoscenza del territorio albanense dalla fase preistorica – in collegamento all’orografia del vulcano laziale – all’età cristiana, tramite l’esposizione di manufatti di varia tipologia quali selci, ceramica, metalli, fittili, ceramica fine, sculture in pietra, affreschi, monete, lucerne, mosaici, are e sarcofagi.

 

Caratteristico il lapis albanus, la pietra vulcanica locale largamente usata dagli artigiani lungo le diverse fasi storiche. Il cortile esterno retrostante presenta un piccolo parco archeologico in forma di esedra dove hanno trovato collocazione alcuni sarcofagi ed are in peperino e in marmo.

 

Di particolare interesse, relativamente alla fase di esistenza della legione partica, il museo ad essa dedicato (LIIPS), che raccoglie testimonianze, dai ritratti imperiali alle divise (ricostruzioni) e alla organizzazione dei manipoli, agli oggetti appartenuti ai legionari, di questo periodo imperiale che collochiamo dai primi del III secolo d.C. a quello successivo.

 

Il museo, inserito nel contesto architettonico delle terme imperiali, raccoglie i reperti provenienti da tutta l’area dell’accampamento militare, tra cui i significativi sepolcri “a baule” con cartiglio iscritto appartenuti ai membri delle famiglie militari, le monete di età severiana, la ceramica di uso quotidiano e funeraria, le tegole con bollo, gli oggetti metallici figurati. Uno spazio è dedicato alla topografia dei castra. A tali istituzioni culturali si collega il Museo Diocesano con il piccolo antiquarium archeologico.



 

 

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