contemporanea
ALAN TURING
IL geniale CRITTOGRAFO
CHE SCONFISSE HITLER
di Pietro Mina
La pioggia non sembrava
voler cessare di cadere quella notte del 1940 in
Inghilterra. Il vento muoveva i rami degli alberi e
spostava le foglie cadute a terra nei giorni prima.
I soldati di guardia ai cancelli di Bletchley Park,
nonostante il freddo e la pioggia, rimanevano a
sorvegliare l’entrata, nessuno, senza
un’autorizzazione del governo, sarebbe potuto
entrare. All’interno, in una delle baracche si stava
combattendo una guerra contro il tempo per salvare
quante più vite possibile dalla morsa dei nazisti.
Le lancette dell’orologio a pendolo, appeso alla
parete di una di esse segnavano le 11:57 di sera. Un
uomo camminava avanti e indietro per la baracca
senza trovare pace. Nella mano destra stringeva un
orologio da tasca e, come se stesse aspettando che
qualcosa accadesse da un momento all’altro,
continuava freneticamente a guardarlo.
«Non abbiamo più
tempo, tanto vale arrendersi» disse.
L’uomo non era da solo,
seduto su una scrivania poco più avanti, un’altra
persona stava lavorando. Non alzava mai la testa dai
suoi fogli, prendeva i documenti impilati sulla
destra e li confrontava con quelli che erano sulla
sinistra.
«Continua a lavorare,
non fermarti!» gli rispose.
«Fra tre minuti il
codice cambierà e tutto il lavoro di oggi andrà
perso. Alan ascoltami, non ha più senso continuare a
quest’ora della notte».
«Gordon ti capisco ma
ora non ho tempo di stare a sentire le tue
lamentele, svelto portami le comunicazioni
intercettate questa mattina!».
I secondi parevano
scorrere più velocemente in quel clima di agitazione
che come ogni sera aleggiava nella Baracca numero 8
di Bletchley Park. Proprio mentre Gordon stava
passando i fogli al suo collega le lancette
dell’orologio appeso al muro segnarono la mezzanotte
in punto e i rintocchi delle campane davano inizio a
un nuovo giorno.
«Maledizione!» –
esclamò Gordon facendo cadere i fogli a terra – «Alan,
io non ce la faccio più. Questa missione è destinata
a fallire, dovremmo rassegnarci e comunicare al
generale che Enigma è indecifrabile», disse
prendendo la sua giacca appesa all’appendiabiti
vicino al muro. Fatto ciò tentò di uscire, ma Alan
che aveva inteso le intenzioni dell’amico cercò di
fermarlo. Joan, amica fidata e collega di Alan, che
fino a qual momento non era intervenuta nella
discussione dei due, prese per il braccio
quest’ultimo e gli disse: «Non ne vale la pena
Alan, lascialo andare».
Alan avrebbe voluto
controbattere alle parole di Gordon, ma in fin dei
conti non aveva tutti i torti, erano mesi che il
gruppo di crittografi della Baracca 8 lavoravano
alla decifrazione del codice nazista Enigma
ma non avevano ancora immaginato una possibile
soluzione.
Enigma,
strumento usato dai
nazisti per segnalare attacchi, posizionamenti delle
basi avversarie ed eventuali imboscate nemiche,
aveva l’aspetto di una macchina da scrivere, ma al
suo interno nascondeva ingranaggi e cavi elettrici
in grado di criptare le comunicazioni. Era composto
da una tastiera nella parte inferiore e da una
seconda tastiera in quella superiore con la
differenza che quest’ultima poteva illuminarsi.
Ogni qualvolta veniva
premuta una lettera sulla prima tastiera,
automaticamente se ne illuminava una sulla tastiera
superiore grazie a dei collegamenti elettrici che
facevano sì che la lettera cambiasse innumerevoli
volte prima di uscire definitivamente. In questo
modo a ogni lettera ne veniva associata una seconda.
Venivano così scritti dei codici cifrati che, una
volta recapitati, il mittente sarebbe stato in grado
di decifrare solamente se in possesso di un’altra
macchina Enigma settata sulle impostazioni di
decriptazione del sistema cifrato di quel
particolare giorno e solo i tedeschi erano a
conoscenza di questi codici.
I nazisti cambiavano il
sistema cifrato tutti i giorni a mezzanotte e perciò
i crittografi di Bletchley Park avevano le ore
contate per trovare una soluzione, era un lavoro
apparentemente impossibile. Se entro mezzanotte non
riuscivano a decifrarlo, tutto il lavoro di una
giornata andava in fumo e così anche le speranze di
accorciare la guerra.
Con lo scoppio della
seconda guerra mondiale e l’ingresso in guerra
dell’Inghilterra, la vita di Alan cambiò
radicalmente. Venne reclutato come crittografo
nell’esercito britannico a Bletchley Park, una base
militare segreta meglio nota al tempo come Stazione
X. La funzione della base era quella di decifrare i
messaggi dei tedeschi che venivano intercettati
durante la Seconda guerra mondiale.
Alan venne messo a capo
di una squadra di crittografi, il cui compito era
quello di riuscire a decriptare il sistema cifrato
di Enigma. Lui e la sua squadra potevano
studiare il funzionamento della macchina
direttamente dalla loro base poiché mesi prima
l’esercito polacco era riuscito a impadronirsi del
congegno e a inviarlo agli inglesi ma ciò serviva a
poco, senza le impostazioni del giorno su cui
settare la macchina, Enigma era solo una
scatola di metallo con tanti fili all’interno.
Ma ora riavvolgiamo il
nastro e ricostruiamo il percorso che portò Alan
Turing a diventare uno dei migliori matematici e
crittografi del tempo.
Alan Turing nacque in
Gran Bretagna nel 1912 e già nei primi mesi di vita
diede prova di essere un bambino prodigio e questa
sua predisposizione alla genialità lo rese noto
negli anni a venire. Amava la matematica e la fisica
e a seguito di queste sue passioni era mal visto dai
professori della St. Michael: ormai da tempo la
scuola aveva fatto delle materie classiche il
proprio cavallo di battaglia, perciò è facile
comprendere l’inadeguatezza che il giovane Alan
provava nello stare in quella scuola. Le lezioni di
latino e teologia lo annoiavano molto tant’è vero
che, quando era lontano dai banchi della sua classe,
si dedicava alla lettura di saggi sulla teoria della
relatività, al calcolo astronomico, alla chimica e
alla scienza ma quello che lo affascinava più di
tutto era il gioco degli scacchi.
Finalmente, all’età di
diciannove anni, Alan fu ammesso all’Università di
Cambridge dove poté dedicarsi alle sue passioni
senza l’occhio indiscreto dei suoi vecchi
professori. Lì approfondì la meccanica quantistica,
la logica, la teoria della probabilità e negli anni
a seguire entrò in contatto con la crittografia, una
branca che da subito lo incuriosì e lo spinse a fare
ricerche su di essa diventando così uno dei migliori
crittografi dell’Inghilterra. La crittografia era (e
continua a essere) una delle branche della scienza
più complicate ed enigmatiche, tratta delle
cosiddette “scritture nascoste”, ovvero degli
stratagemmi per rendere un messaggio incomprensibile
a tutti coloro che non sarebbero autorizzati a
leggerlo.
Nel 1934 il giovane
Turing si laureò in Matematica all’Università di
Cambridge e due anni più tardi pubblicò un articolo
che cambiò la logica della matematica, il titolo era
Sui numeri computabili con un’applicazione al
problema della decisione, e in esso spiegava il
concetto di algoritmo e mostrava al mondo i concetti
fondamentali del suo nuovo apparecchio di calcolo
che presto sarebbe stato conosciuto come la Macchina
di Turing.
Fu così che assieme al
suo amico e compagno di ricerca Gordon Welchman tra
la fine del 1939 e la metà del 1940, Turing costruì
una macchina che battezzò The Bombe. Alan
comprese che il funzionamento di Enigma
consisteva nell’inviare messaggi cifrati alterati
nella forma ma non nel contenuto, questo perché
anche se il nemico avesse intercettato il messaggio
non sarebbe stato in grado di comprenderlo. Bombe
era in grado di fornire così agli alleati le
combinazioni di Enigma in uso in quel determinato
giorno in modo tale da poterle inserire nella
macchina e decifrare i messaggi. In questo modo una
volta intercettate le comunicazioni tedesche
venivano prontamente inserite nella macchina la
quale confrontandoli con i codici Enigma
scartava numerose possibilità. Per ogni possibile
combinazione il dispositivo attivava una serie di
deduzioni logiche in grado di arrivare a una
conclusione verosimile. In questo modo era possibile
scoprire la presenza di una contraddizione e
scartare la combinazione corrispondente.
Passarono i mesi e
all’inizio del 1942 Bombe aveva decifrato più
di quarantamila messaggi, raggiungendo nei mesi a
seguire un totale di quasi due messaggi decriptati
al minuto. Secondo il Primo Ministro britannico
Wiston Churchill, il lavoro di Alan Turing accorciò
la guerra in Europa dai due ai quattro anni salvando
in questo modo più di quattordici milioni di vite
umane.
Una volta terminata la
guerra il governo Britannico impose a Turing e a
tutti coloro che lavorarono con lui il divieto di
divulgare o scrivere qualsiasi testo sulle ricerche
portate a termine nella Stazione X. Questo divieto
proibì ad Alan e ai suoi collaboratori un
meritatissimo riconoscimento. Nonostante questo
divieto le prime indiscrezioni sul lavoro portato a
termine da Turing e dai suoi compagni iniziarono a
circolare nel 1974, quando però ormai Alan era già
morto insieme a molti dei suoi colleghi.
La polvere ricopriva
ormai da anni i vecchi e malconci mobili che
arredavano la casa di Alan Turing. Di fianco alla
poltrona del salone una pila di libri aspettava
invano di essere risistemata sugli scaffali. Una
flebile luce filtrava dalle finestre e illuminava
quello che poteva della casa. I vicini di Alan si
chiedevano cosa stesse succedendo in quella casa,
nessuno lo vedeva più da molto tempo, era come se
fosse sparito o peggio... morto. La scrivania era
ricolma di attrezzi e di invenzioni mai terminate.
L’orologio appeso alla parete aveva smesso di
funzionare tempo fa ed era come se il tempo avesse
smesso di passare in quelle stretta e angusta casa.
Improvvisamente il campanello suonò, cosa piuttosto
strana, nessuno dalla fine della guerra era più
andato a fargli visita. Alan perciò si diresse verso
la porta e una volta apertala non poté credere ai
suoi occhi: sulla soglia, con un ombrello chiuso tra
le mani, stava Joan, vecchia amica e collega di Alan
a Bletchley Park.
«Joan, cosa ci fai
qui?».
«Ho saputo delle
accuse, sono venuta por vedere come stavi».
«Sto bene è solo
questa maledetta terapia che…» non fece in tempo
a finire la frase che una fitta lancinante alla
testa lo costrinse ad accasciarsi al suolo. Joan lo
aiutò a rialzarsi, lo riaccompagnò in casa e lo fece
sedere.
«Santo Dio Alan questa
casa è un disastro, va messa a posto non puoi vivere
in queste condizioni».
«Avessi abbastanza
forze per farlo lo avrei già fatto da tempo».
Mentre diceva ciò cercò
di rialzarsi, ma uno spasmo lo costrinse a
risedersi, non si reggeva più in piedi e i continui
spasmi di cui soffriva gli impedivano di fare
qualsiasi cosa. Joan non voleva credere che
quell’uomo davanti a lui fosse davvero Alan; avevano
passato così tanti bei momenti insieme e ora tutto
sembrava essere svanito. Notò che sul tavolo accanto
a dove Alan era seduto vi era un giornale aperto
sulla pagina di un cruciverba.
«Guarda Alan, un
cruciverba, ti piaceva molto farli a Bletchley, qui
c’è anche una matita, perché non ne fai uno mentre
io metto un po’ a posto qui attorno?».
Joan provò a dargli il
cruciverba ma Alan non si mosse, rimase immobile a
fissare il vuoto. Una lacrima le cadde dagli occhi e
con la mano gli accarezzò il volto.
«Questa mattina ho
comprato un biglietto da una persona che non
esisterebbe senza di te, il treno è passato da un
paese di cui oggi rimarrebbero solo le macerie se
non fosse per te. Sono fiera di aver lavorato al tuo
fianco e per quanto la gente ti possa considerare
una persona strana è proprio questo a renderti
speciale Alan, il mondo è un posto migliore proprio
perché tu non sei normale» disse Joan
commuovendosi.
Alan la guardò, sorrise e
disse: «Lo pensi davvero?».
«Io penso che a volte
sono le persone che nessuno immagina che possano
fare certe cose, quelle che fanno cose che nessuno
può immaginare».
Joan per non lasciarlo
solo, più di quanto lo fosse già, gli raccontò la
sua vita dopo aver lasciato Bletchley Park; una
volta calato il sole Joan si alzò, lo baciò sulla
fronte e dirigendosi verso l’uscita lo guardò per
un’ultima volta: il matematico che salvò milioni di
persone ore con il sorriso sul volto stava seduto a
fissare il vuoto aspettando che la morte lo venisse
a prendere.
Passarono così anche i
giorni a seguire fino a quando una mattina di giugno
del 1954 il suo corpo venne trovato senza vita sul
letto. Il verdetto delle indagini confermava la
morte per suicidio: da mesi ormai ad Alan era stata
ordinata una terapia che prevedeva la castrazione
chimica dopo esser stato accusato di “indecenza
grave e perversione sessuale”. Al tempo in
Inghilterra l’omosessualità era illegale e per
sfuggire dal carcere, che non gli avrebbe permesso
di lavorare, Alan firmò la sua condanna a morte con
la terapia.
Reggendosi alle pareti
della casa, Alan si fece strada verso il letto
passando per il salone ma il suo sguardo fu
catturato dal cruciverba che Joan aveva provato a
fargli fare qualche giorno fa, lo prese tra le mani
e si ricordò di quanto gli piacesse passare il tempo
a risolvere quei semplici indovinelli e si chiedeva
come mai certe persone trovassero quel gioco
difficile e noioso. Sorrise, lo posò sulla scrivania
e prese la matita che Joan aveva lasciato proprio lì
di fianco. Cominciò a riempire gli spazi vuoti, uno
dopo l’altro fino a che non finirono. Finito si
alzò, si guardò un’ultima volta attorno, spense le
luci girando l’interruttore e si coricò a letto.
Ora l’oscurità lo
avvolgeva e come facevano i condannati a morte
espresse le sue ultime parole sussurrandole a bassa
voce: «A volte sono le persone che nessuno
immagina che possano fare certe cose, quelle che
fanno cose che nessuno può immaginare». Poi
prese la mela che aveva ricoperto di cianuro e
posato sul comodino poco tempo prima, la morsicò e
si lasciò morire sicuro che nessuno lo avrebbe più
ricordato... ma non fu così. |