N. 76 - Aprile 2014
(CVII)
AL-SHABAB, UNA VISIONE D’INSIEMe
Parte II - LA GUERRA CIVILE, I SIGNORI DELLA GUERRA
E IL GOVERNO DI TRANSIZIONE
di Filippo Petrocelli
La
fine
di
Siad
Barre
non
ha
coinciso
con
una
svolta
positiva
nei
destini
della
Somalia.
Crollata
l’autocrazia,
il
potere
si è
frammentato
“tribalizzandosi”,
ed è
emerso
con
forza
quanto
il
clan
ed i
legami
di
sangue
fossero
centrali
nella
società
somala.
Da
qui
in
un
crescere
di
anarchia
e
caos
è
scoppiata
una
vera
e
propria
guerra
civile
che
ha
visto
fronteggiarsi
diversi
attori.
Sono
iniziati
ad
emergere
vari
signori
della
guerra,
alcuni
espressioni
di
clan
e
tribù
locali,
altri
sponsorizzati
da
interessi
economici
sovranazionali
o
vittime
di
giochi
geopolitici
regionali,
al
cui
seguito
eserciti
veri
e
propri
si
sono
dati
battaglia
strada
per
strada,
arrivando
a
gestire
entità
para-statali
di
varia
grandezza,
da
un
pugno
di
strade,
a
villaggi
fino
a
intere
città.
Su
mandato
dell’Onu,
una
task
force
militare
guidata
dagli
Usa
ha
cercato
di
restaurare
l’ordine
fra
il
1992-1994
attraverso
l’operazione
“Restore Hope”,
che
si è
però
conclusa
con
un
fallimento
totale
e
con
un
alto
tributo
di
sangue,
soprattutto
per
i
somali.
A
questo
punto
i
vari
signori
della
guerra
si
sono
spartiti
il
potere,
banchettando
sulle
macerie
di
un
paese
diventato
terra
di
nessuno
e
ostaggio
di
quelle
che
sempre
di
più
diventavano
bande
di
criminali,
arrivate
persino
a
taglieggiare
e
commettere
angherie
sulla
popolazione
civile,
non
senza
aver
instaurato
un
clima
di
insicurezza
diffusa
e
reso
Mogadiscio
uno
delle
città
più
violente
del
mondo.
Alla
fine
degli
anni
Novanta
dopo
numerosi
colloqui
di
pace
e
diversi
tentavi
di
dare
un
governo
stabile
al
paese,
si
andava
delineando
una
spartizione
del
potere
frutto
del
compromesso
fra
una
vasta
schiera
di
signori
della
guerra,
che
nel
2004
anche
grazie
all’aiuto
militare
del
Kenya
e
dell’Etiopia,
acconsentivano
alla
formazione
di
un’autorità
centrale,
il
governo
di
transizione
federale
(GTF).
Il
colpevole
silenzio
della
comunità
internazionale
e la
sua
passività,
favoriscono
l’idea
che
una
Somalia
non-luogo,
terra
di
nessuno
ingovernabile,
abbia
fatto
in
un
certo
senso
comodo
al
mondo
occidentale,
che
ha
potuto
disporre
liberamente
di
questa
terra,
un
tempo
meravigliosa.
Prova
evidente
ne è
il
vergognoso
traffico
di
rifiuti
tossici
e
scorie
nucleari
(la
giornalista
Ilaria
Alpi
e il
suo
cameramen
Miran
Hrovatin
hanno
pagato
con
la
vita
per
aver
indagato
sulla
questione)
che
l’Italia
aveva
avviato
in
questo
paese
non
senza
accompagnarlo
a un
massiccio
afflusso
di
armi,
che
ha
contribuito
ulteriormente
alla
degenerazione
della
situazione.