N. 85 - Gennaio 2015
(CXVI)
LA MIRABOLANTE STORIA DI ABD AL-RAHMAN
L’ENEA ORIENTALE
di
Riccardo
Poli
La
nostra
storia
inizia
nel
632
d.C.,
anno
della
morte
del
fondatore
e
del
“sigillo
dei
profeti”
(Corano,
XXXIII,
40)
dell’Islam,
Maometto.
Qualche
anno
prima
di
morire,
nel
622,
il
messaggero
di
Allah
aveva
portato
a
termine
la
cosiddetta
‘egira’
o
‘emigrazione’
(dall’arabo
higra),
ovvero
il
trasferimento
suo
e
dei
suoi
seguaci
dalla
Mecca,
città
che
gli
aveva
dato
i
natali,
a
Medina,
evento
che
dà
inizio
alla
storia
e
all’era
musulmana.
Proprio
qui
a
Medina
Maometto
muore,
appunto,
nel
632.
Presi
da
smarrimento,
i
suoi
seguaci
non
pensarono,
almeno
inizialmente,
al
fatto
che
il
profeta
non
aveva
indicato
alcun
successore.
Per
alcuni
egli
non
era
nemmeno
morto,
bensì
temporaneamente
scomparso
per
andare
a
colloquiare
con
Allah.
Eppure
il
problema
della
successione
era
grave,
e
iniziò
a
essere
affrontato
passato
l’iniziale
turbamento.
Si
vennero
a
formare
tre
partiti,
ognuno
con
un
proprio
candidato
all’ingombrante
subentro:
il
partito
“medinese”,
convinto
di
avere
tale
vantaggio
per
il
fatto
di
aver
accolto
benevolmente
Maometto
sin
dal
suo
arrivo
in
città;
il
partito
“elettivo”,
che
candidò
Abu
Bakr;
il
partito
“legittimista”,
formato
dalla
famiglia
del
profeta,
che
infatti
propose
come
suo
successore
Ali.
La
scelta
ricadde
su
Abu
Bakr,
che
soli
due
anni
dopo
l’elezione
dovette
fare
i
conti
con
alcune
insurrezioni
di
comunità
che
erano
state
‘costrette’
da
Maometto
a
porgergli
obbedienza,
e
che
quando
seppero
della
sua
morte
vollero
tornare
indipendenti;
tra
queste
c’era
quella
degli
Hanifa,
che
aveva
contrapposto
al
profeta
tale
Musaylima.
Questi
venne
sconfitto
solo
nel
633
ad
Aqraba
dal
nuovo
vicario
o
califfo
(khalifa
in
arabo)
dell’Islam
(sì
perché
coloro
che
vennero
dopo
il
profeta
non
saranno
mai
considerati
suoi
successori
“nel
ruolo
di
capo
politico,
amministrativo
e
militare
[…]
né
tanto
meno
in
quello
di
profeta”).
Abu
Bakr
aveva
messo
a
posto
la
situazione
interna,
ma
l’Islam
trovò
una
dimensione
‘imperiale’,
uscendo
dalla
penisola
araba,
solo
col
suo
successore
Omar.
Egli,
califfo
dal
634
al
644,
conquistò
Egitto,
Siria
e
Iraq,
e
cacciò
dai
nuovi
territori
ebrei
e
cristiani
che
non
volevano
convertirsi.
Nello
stesso
644
Osman
muore
per
mano
di
uno
schiavo,
che
‘consegna’
la
successione
a
Uthman,
membro
questa
volta
del
vecchio
partito
“legittimista”,
aumentando
i
dubbi
su
un
possibile
‘assassinio
politico’.
La
situazione
interna
è
dunque
parecchio
tesa,
e lo
rimane
perché
nel
656
anche
Uthman
muore
assassinato,
e
gli
succede
proprio
quell’Ali
che
si
era
visto
sbarrare
la
strada
della
successione
subito
dopo
la
morte
di
Maometto
nel
632.
Quello
che
accade
ora
ha,
come
tante
pagine
del
Corano,
il
libro
sacro
dei
musulmani,
qualcosa
di
trascendentale:
a
Siffin
nel
657
vi
fu
uno
scontro
tra
Ali
e Mu’awiya,
governatore
della
provincia
siriana
nominato
da
Uthman.
Il
quarto
califfo
dell’Islam
stava
avendo
la
meglio,
quando
“Mu’awiya
[…]
fece
affliggere
sulle
punte
delle
lance
della
sua
prima
linea
pagine
del
Corano.
Lo
sconcerto
nel
campo
di
Ali
fu
tale
che
la
battaglia
fu
sospesa
e,
dopo
trattative,
si
addivenne
alla
decisione
di
formare
una
commissione
arbitrale”.
Ali
perse
la
controversia,
ma
non
rinunciò
alla
carica,
mentre
in
contemporanea
Mu’awiya
veniva
proclamato
califfo
dai
suoi
seguaci.
Alcuni
invece,
i
cosiddetti
kharijiti,
condannarono
addirittura
entrambi
i
contendenti.
La
difficile
reggenza
di
Ali
si
concluse
nel
661,
quando
morì
anch’egli
assassinato.
Della
situazione
ne
approfittò
immediatamente
il
vecchio
rivale
di
Ali,
Mu’awiya,
che
si
proclamò
capo
di
tutto
l’impero,
dando
vita
all’epoca
dei
califfi
Omayyadi,
che
regneranno
non
più
da
Medina,
bensì
da
Damasco.
Gli
‘alidi’
tentarono
di
prendersi
la
rivincita,
ma
vennero
sconfitti;
costoro
infatti
persero,
guidati
da
Husyan
figlio
di
Ali
contro
Yazid
figlio
di
Mu’awiya,
a
Karbala
nel
680.
La
battaglia
segnò
la
definitiva
rottura
tra
il
partito
(in
arabo
shi’a)
di
Ali
o
‘sciiti’
e i
seguaci
di
Mu’awiya,
che
si
credevano
superiori
perché
molto
vicini,
nei
loro
comportamenti,
alla
condotta
(sunna)
del
profeta,
e
quindi
‘sunniti’.
Gli
sciiti
proprio
non
sopportavano
di
essere
comandati
dai
sunniti,
per
cui
tentarono
continuamente
di
ribaltare
la
situazione.
Tale
Mukhtar
provò
a
insorgere,
tra
il
685
e il
687,
in
nome
di
Muhammad
ibn
al-Hanafiyya,
anch’esso
figlio
di
Ali,
ma
venne
sconfitto
dalle
truppe
damascene.
Spostiamoci
un
momento
dall’Oriente
all’Occidente.
Abbiamo
detto
che
i
musulmani,
sotto
il
secondo
califfo
Omar,
avevano
ottenuto
una
dimensione
‘imperiale’
riuscendo
ad
espandersi
anche
nel
nord
Africa.
Gli
abitanti
autoctoni
di
questi
luoghi,
i
berberi,
vennero
convertiti
o si
convertirono
all’Islam,
e
continuarono,
assieme
ai
nuovi
‘fratelli’,
la
diffusione
della
fede
in
Allah.
Nel
711
armate
di
berberi
entrarono
in
Europa
dalla
‘porta
principale’,
lo
stretto
di
Gibilterra.
Nel
nuovo
continente
riuscirono
a
sconfiggere
i
padroni
di
quei
luoghi,
i
visigoti,
anche
grazie
all’aiuto
degli
ebrei,
allora
pesantemente
discriminati
dai
barbari.
Iniziarono
così
la
colonizzazione
dell’odierna
Spagna;
colonizzazione
che
fu
rapidissima,
dato
che
già
nel
732
erano
giunti
ai
confini
dell’Iberia,
in
Borgogna.
Ma
proprio
nei
dintorni
dell’odierna
Tours,
città
sulla
via
di
Poitiers,
nel
732
vengono
sconfitti
dai
Franchi
guidati
da
Carlo
Martello.
La
sconfitta
non
intaccherà
minimamente
la
voglia
di
conquista
dei
musulmani,
che
riusciranno
a
raggiungere
la
Provenza
entrando
anche
ad
Avignone.
La
fine
di
questa
rapida
‘cavalcata’
venne
sancita
infatti
solo
nel
758
da
Pipino
il
Breve
(figlio
di
Carlo
Martello
e
padre
di
Carlo
Magno).
Questa
digressione
ci
permette
di
capire
cosa
stesse
succedendo
in
contemporanea
in
Europa,
e
quanto
i
musulmani
si
erano
espansi
nel
giro
di
alcuni
decenni.
Torniamo
in
Oriente.
Alla
morte
di
questo
Muhammad
ibn
al-Hanafiyya,
nel
716,
si
formò
una
“corrente
di
sciiti
militanti”,
i
kaysaniti,
che
si
dissero
pronti
a
lottare
prima
per
suo
figlio
Abu
Hashim,
poi,
alla
sua
morte,
per
Muhammad
ibn
Ali.
Costui
era
il
figlio
di
uno
zio
del
profeta
Maometto,
tale
Abbas,
per
cui
i
suoi
seguaci,
che
prenderanno
l’appellativo
di ‘abbasidi’,
ora
più
che
mai
“si
consideravano
i
legittimi
pretendenti
al
califfato”
ed
erano
pronti
alla
resa
dei
conti.
Il
terreno
per
la
svolta
era
stato
preparato,
ed
essa
non
tardò
ad
arrivare.
Una
serie
di
rivolte
condotte
tra
il
744
e il
749
in
quel
di
Rusafa
decimò
gli
Omayyadi,
i
quali
nel
750
(sotto
l’ultimo
califfo
Marwan
II)
vennero
definitivamente
sconfitti
oltre
che,
a
potere
acquisito,
massacrati.
Alla
tremenda
ecatombe
sopravvisse
solo
un
erede
degli
sconfitti
Omayyadi,
un
uomo
o
meglio
un
ragazzo
allora
ventenne:
Abd
al-Rahman.
Abd
al-Rahman
era
allora
conosciuto
solo
come
nipote
del
califfo
omayyade
Abd
al-Malik,
reggente
dell’impero
islamico
dal
724
al
743.
Per
questo
motivo
gli
Abbasidi
lo
avevano
inserito
nella
loro
‘lista
nera’,
ma
tentarono
di
eliminarlo
invano,
perché
prima
del
massacro
il
giovane
si
mise
in
fuga.
Il
primo
luogo
a
cui
pensò
fu
il
Nord
Africa;
perché?
Perché
nel
Maghreb,
il
‘lontano
Occidente’
degli
arabi,
si
aspettava
di
trovare
alcuni
‘agganci’:
dall’odierno
Marocco,
territorio
conquistato
dai
musulmani
alcuni
anni
prima,
proveniva
infatti
la
madre
di
Abd
al-Rahman.
Effettivamente,
quando
giunse
nelle
terre
nordafricane,
il
giovane
principe
“trovò
molti
dei
suoi
parenti
berberi,
emigrati
anche
loro
laggiù”.
Raggiunto
forse
l’unico
luogo
sicuro
per
continuare
a
vivere,
Abd
al-Rahman
si
integrò
con
la
popolazione
locale,
mutuando
da
essa
anche
la
volontà
di
espandersi
e di
accrescere
il
proprio
credito,
ovvero,
in
una
parola,
mutuando
da
essa
anche
una
grande
ambizione.
Qualità
che,
come
abbiamo
visto,
avevano
permesso
ai
berberi
di
espandersi,
in
concomitanza
con
i
loro
confratelli
arabi,
in
Iberia
o
al-Andalus
in
arabo.
Ebbene
Abd
al-Rahman
si
spinse
oltre
lo
stretto
che
collega
l’Oceano
Atlantico
al
Mar
Mediterraneo,
e si
fermò
presso
un
insediamento
posto
nelle
vicinanze
del
fiume
Grande
Wadi
(o
Wadi
al-Kabir,
l’odierno
Guadalquivir);
siamo
nel
755.
Al-Andalus
era
un
emirato
(dall’arabo
amir,
‘governatore’)
formalmente
dipendente
dagli
Abbasidi,
ma
godeva
di
ampia
autonomia
grazie
al
fatto
che
gli
stessi
padroni
dell’Islam,
subito
dopo
la
presa
di
potere,
avevano
spostato
la
loro
capitale
da
Damasco
a
Baghdad,
ovvero
ancor
più
a
Oriente.
Capitale
di
questo
‘avamposto
libertino’
era
Córdoba,
città
che
viveva
al
suo
interno
una
“rivalità
spesso
feroce
tra
la
maggioranza
berbera
e i
capi
arabi”.
È
interessante
notare
come
la
maggioranza
della
popolazione
fosse
rappresentata
dai
berberi,
perché
in
tal
modo
capiamo
come
Abd
al-Rahman
abbia
potuto
ottenere
rapidamente
ampio
consenso
in
quel
di
Córdoba.
Poco
felice
di
ciò
deve
essere
stato
l’emiro
della
città,
Yusuf,
che
inizialmente
però
cercò
di
‘avvicinarsi’
al
principe
omayyade
offrendogli,
a
quanto
pare,
la
mano
della
figlia.
La
pace
però
durò
poco
e si
dovette
per
forza
giungere
allo
scontro
armato,
anche
perché
gli
stessi
berberi,
ormai
stanchi
della
loro
condizione,
proprio
ora
che
il
controllo
di
Baghdad
sembrava
per
lo
meno
allentato,
accusavano
i
loro
concittadini
arabi
di
essere
“dominatori
prepotenti
e
sfacciati”.
Lo
scontro
avvenne
un
giorno
di
maggio
del
756
vicino
a
Córdoba,
e la
vittoria
sorrise
al
giovane
principe
omayyade,
che
si
prese
la
prima
grande
rivincita
da
quando,
nel
750,
aveva
dovuto
abbandonare
la
propria
casa
perché
condannato
a
morte
dai
rivali
Abbasidi.
Abd
al-Rahman
divenne
il
nuovo
governatore
di
questo
estremo
limite
occidentale
del
mondo
islamico
e
prese
dimora
nell’Alcazar,
il
palazzo
(al-Qasr)
della
città.
Egli
non
si
proclamò
califfo,
come
avrebbe
potuto
legittimamente
fare,
in
quanto
ultimo
degli
Omayyadi,
ma
decise
comunque
di
recidere
il
rapporto
con
la
‘casa
madre’
Baghdad:
nominò
il
suo
nuovo
feudo
Rusafa,
come
il
nome
dell’ultima
città
ove
visse
felicemente
con
la
famiglia,
e
affermò
senza
mezzi
termini
che
quella
era
la
“nuova
e
legittima
sede
degli
Omayyadi”.
Gli
Abbasidi
per
il
momento
‘lasciarono
correre’,
poiché
consideravano
quella
terra
lontana
e
difficilmente
condizionante
i
loro
interessi.
L’ultimo
sopravvissuto
di
una
famiglia
sterminata
aveva
preso
il
potere
in
un
luogo
che
sarà
per
decenni
“un
esempio
di
convivenza
pacifica
tra
musulmani,
ebrei
e
cristiani”.
Ad
al-Andalus
infatti
saranno
protagonisti
uomini
come
Averroè,
Pietro
Abelardo
o
Maimonide,
che
avvicineranno
la
scienza
alla
filosofia,
che
regalarono
a
ebrei
e
cristiani
lo
stile
e la
scienza
arabe.
Ben
173
anni
dopo,
nel
929,
Abd
al-Rahman
III,
dal
912
ottavo
emiro
di
al-Andalus
e
reggente
di
Córdoba,
si
prese
la
definitiva
vendetta
contro
gli
Omayyadi
di
Bagdad
portando
a
termine
ciò
che
il
giovane
Abd
al-Rahman
aveva
reso
possibile:
si
dichiarò
comandante
dei
fedeli,
successore
del
Profeta
e
califfo
del
mondo
islamico.