N. 105 - Settembre 2016
(CXXXVI)
Piccola
biografia
di
al-Kindì
alle
origini
della
filosofia
araba
di
Vincenzo
La
Salandra
Al-Kindì
è il
primo
filosofo
arabo
universalmente
noto.
Proveniva
dalla
tribù
dei
Kinda,
la
stessa
a
cui
apparteneva
il
celebre
poeta
dell’Arabia
preislamica
Imru
‘l-Qays
(m.
540),
ed è
uno
dei
pochi
filosofi
musulmani
di
pura
nazionalità
araba.
Un
suo
antenato
era
tra
i
compagni
del
Profeta,
e
suo
padre,
Ishàq
ibn
al-Sabbàh,
fu
governatore
della
città
di
Kùfah
durante
il
regno
dei
califfi
al-Mahdì
e
al-Rashìd.
Al-Kindì
nacque
nel
797
d.C.
circa
e si
stabilì
ben
presto
a
Baghdad,
la
capitale
culturale
dell’impero,
dove
compì
i
suoi
studi
e
raggiunse
fama
di
erudito,
tanto
da
essere
chiamato
a
corte
dal
califfo
al-Mu’tasìm
(833-842)
in
qualità
di
precettore
del
principe
Ahmed.
Godè
del
favore
di
tre
califfi
abbasidi:
al-Ma’mùn
(813-833),
al-Mu’tasim
(833-842)
–
che
lo
nominò
tutore
del
principe
– e
Wàtiq
(842-847),
grandi
califfi
che
diedero
impulso
alle
scienze
e
alla
filosofia.
Ma
lo
storico
e
biografo
Ibn
Abì
Usaybi’a,
parla
anche
di
forti
opposizioni
subite
da
Kindì
a
corte,
a
causa
dei
suoi
studi
innovatori
e
filosofici,
e
racconta
un
episodio
significativo
sulla
trasmissione
del
sapere
nella
cultura
musulmana
medievale.
Due
fratelli
bigotti,
già
noti
per
la
loro
ostilità
verso
chi
si
distingueva
per
scienza
e
spirito
d’innovazione,
complottarono
contro
di
lui
presso
il
califfo
al-Mutawakkil
(847-861)
e
riuscirono
a
far
cadere
Kindì
in
disgrazia.
In
questo
modo
i
due
fratelli
si
impossessarono
di
tutti
i
libri
del
filosofo
e
riuscirono
a
costituire
a
Basra
una
nuova
biblioteca
chiamata
Kindiyya.
Solo
molti
anni
dopo
i
libri
verranno
restituiti
al
filosofo.
Forse
questi
fratelli
suoi
avversari
erano
tre
e
non
due,
e
forse
si
trattava
dei
traduttori
matematici
Banù
Mùsà,
rivali
intellettuali
di
Kindì.
Morì
tra
l’866
e
l’873,
dopo
aver
svolto
un
ruolo
notevole
nella
vita
culturale
del
suo
secolo,
specialmente
considerando
la
vastità
dei
suoi
interessi
e
l’abbondanza
dei
suoi
scritti.
Nel
Fihrist,
Ibn
al-Nadìm
elenca
oltre
duecento
opere
di
Kindì:
il
filosofo
degli
arabi
scrisse
su
tutte
le
materie
dello
scibile
islamico
dei
suoi
tempi
trattando
di
matematica,
astronomia,
musica,
medicina,
fisica,
teologia
e
filosofia.
Kindì,
vissuto
nel
pieno
periodo
del
fervore
delle
traduzioni
in
arabo,
fu
egli
stesso
un
grande
organizzatore
e
revisore
di
traduzioni,
un
eccelso
compilatore
di
compendi,
un
vero
pensatore
autonomo
che
svolse
un
ruolo
di
primo
piano
nella
formazione
della
tradizione
filosofica
araba,
specialmente
in
rapporto
all’assimilazione
che
in
essa
avvenne
delle
tradizioni
greche.
Nel
suo
libro
Sulla
filosofia
prima,
che
possiamo
considerare
il
primo
trattato
arabo
di
metafisica,
al-Kindì,
come
scopo
della
sua
attività
letteraria,
intende
far
conoscere
alla
gente
di
lingua
araba
la
scienza
e la
filosofia
dei
greci,
ovvero
una
ricchissima
eredità
che
precedeva
la
verità
dei
Profeti
e
che
diventava
importante
conoscere
e
sviluppare
in
senso
islamico.
Utile
in
questo
scritto,
un
breve
passo
estratto
dall’opera
Sulla
filosofia
prima,
un
brano
che
ci
permette
di
gustare
l’apertura
mentale,
l’ecumenismo
e
l’ampiezza
di
vedute
del
primo
filosofo
arabo
ante
litteram:
«Lo
ha
affermato
prima
di
noi
Aristotele,
il
principe
dei
filosofi
greci:
“Dobbiamo
essere
riconoscenti
verso
i
padri
di
coloro
che
ci
hanno
trasmesso
una
parte
di
verità”
[...]
Come
aveva
ragione
Aristotele
a
dire
questo!
Non
dobbiamo
quindi
arrossire
nell’apprezzare
la
verità
e
accoglierla,
da
qualunque
parte
essa
venga,
anche
se
venisse
dalle
razze
più
differenti
e
dai
popoli
più
lontani:
infatti
per
chi
cerca
la
verità,
nulla
è
più
prezioso
della
verità
stessa.
Non
si
deve
disprezzare
la
verità,
né
sminuire
colui
che
ne
parla
o
l’ha
trasmessa.
La
verità
non
ha
mai
disonorato
nessuno;
anzi
essa
nobilita
tutti
coloro
che
l’accolgono».
Al-Kindì
era
anche
un
uomo
molto
discreto
e
riservato,
amante
dell’isolamento:al-Giahiz
ne
fa
una
caricatura,
sottolineando
la
sua
avarizia,
nel
suo
classico
Libro
degli
avari,
mentre
secondo
un
racconto
di
al-Qiftì,
al-Kindì
avrebbe
curato
con
la
musica
il
figlio
di
un
ricco
mercante
che
per
lungo
tempo
aveva
avuto
il
filosofo
per
vicino
di
casa
senza
mai
saperlo
e
forse
proprio
a
causa
della
proverbiale
riservatezza
di
Kindì.
Questo
filosofo,
studioso
e
compilatore
arabo
di
Platone
e
Aristotele,
fu
conosciuto
in
Occidente
alcuni
secoli
dopo
grazie
alle
traduzioni
in
latino
di
Gerardo
da
Cremona.
Tra
i
vari
trattati
di
Kindì,
originale
e
interessante
è il
trattatello
Sulla
natura
del
sonno
e
della
visione,
di
attribuzione
certa,
tradotto
in
latino
da
Gerardo
da
Cremona
tra
il
1160
e il
1180
a
Toledo.
Nell’opera,
al-Kindì
vuole
dare
una
definizione
e
spiegazione
filosofica
alle
visioni
e
divinazioni
che
si
ricevono
nel
sonno:
secondo
gli
insegnamenti
di
Platone
e
Aristotele
è
l’anima
il
luogo
naturale
della
conoscenza
ed
essa
resta
in
stato
di
veglia
quando
il
corpo
e i
sensi
sono
nella
quiete
del
sonno,
e
può
anche
ricevere,
durante
il
sonno,
visioni
e
divinazioni,
ovvero
sogni.
Più
che
di
una
musulmana
“interpretazione
dei
sogni”
medievale
si
tratta
di
un
utile
trattato
filosofico
di
igiene
e
ottimizzazione
del
sonno,
considerato
da
Kindì
vera
medicina
dell’anima.
Una
pagina
di
questa
operetta
filosofica
diventa
universale
e
molto
suggestiva
nella
sua
precisa
descrizione
della
sospensione
fisica
nello
studio:
«Altra
prova
di
questo
sta
nel
fatto
che
se
ci
sprofondiamo
nel
pensiero
e ci
applichiamo
intensamente
nella
lettura
di
libri
mentre
il
pensiero
è
tutto
intento
a
quello
che
vi è
contenuto
e le
nostre
membra
a
causa
di
ciò
sono
in
quiete,
allora
si
raffredda
l’esterno
del
nostro
corpo
per
la
conseguente
mancanza
di
movimento,
i
nostri
sensi
si
rilassano,
ci
diventa
greve
avere
sensazioni,
e
arriva
il
sonno,
grazie
a
quella
parte
di
calore
che
era
all’interno
ed è
divenuta
vapore
umido
e
freddo
che
sale
verso
il
cervello».
Altra
opera
interessante
si
ritrova
tra
le
sue
lettere;
tra
queste
la
singolare
Epistola
sulla
causa
del
colore
azzurro
che
si
vede
nell’aria
dal
lato
del
cielo,
e si
crede
che
sia
il
colore
del
cielo,
uno
scritto
che
testimonia
gli
interessi
di
al-Kindì
scienziato.
Al-Kindì
studiò,
sintetizzò
ed
utilizzò
le
opere
di
Platone,
Aristotele,
Plotino,
Giovanni
Filopono
e
Proclo,
contribuendo
in
modo
determinante
e
seminale
e
fissare
il
lessico
filosofico
arabo
del
Medioevo.