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un sesterzo dei primi
anni dell’Impero di Caligola c’è lei, Agrippina
Minore. Un profilo non troppo caratterizzante, nessun
segno di grande riconoscibilità ma solo una folta
capigliatura raccolta in tanti ricci cadenti sulle
spalle.
Ci viene raffigurata
come una semplice ragazza mentre la sua discendenza
era invece assolutamente fuori dal comune.
Infatti, non solo era
pronipote di Ottaviano Augusto, ormai divinizzato
dalla leggenda come mito per l’intero popolo di Roma e
delle province annesse, ma suo padre, Germanico, era
considerato da tutti un predestinato al trono,
soprattutto dopo le vittorie sul campo di guerra in
Germania. Era proprio Germanico ad incarnare, dopo
Ottaviano, tutte quelle qualità fisiche e morali rare,
indispensabili, secondo l’ideale del popolo, per
essere un grande imperatore e che, nell’immaginario
collettivo, tanto lo avvicinavo alla figura dello
stesso Augusto.
Ma Augusto scelse un
altro nome come suo legittimo successore. I suoi
molti tentativi di trovare un suo degno discendente di
sangue giulio-claudio erano falliti in seguito alle
morti dei papabili pretendenti, (in particolare, non
avendo avuto figli maschi, rivolgendo la sua
attenzione verso i figli e il secondo marito della
figlia Giulia).
Tiberio fu quel nome (14
d.C.). Era in realtà solo il figlio di primo letto
della sua terza moglie, ma con il suo divorzio dalla
consorte, impostogli da Augusto, e lo sposalizio con
Giulia (11 d.C.), rimasta vedova, entrò a far parte a
tutti gli effetti nel diritto di successione. Ma che
in realtà all’epoca la successione dinastica non fosse
consentita per legge ben pochi lo sanno. Per ovviare a
questo impedimento Augusto, non solo affidò due
consolati nelle mani di Tiberio, ma, nel 13 d. C., gli
consegnò anche un “imperium”, che consentiva al
giovane di avere poteri in ambito militare e civile
pari all’imperatore.
Alla sua morte quindi
nessuno contestò il consolidato ruolo di Tiberio.
Ma Tiberio tutto si
sentiva tranne che discendente di Ottaviano. Una volta
sul trono la figura del valoroso e incorruttibile
Germanico iniziava a creargli oppositori; l’invio di
quest’ultimo in Siria con il proconsole Pisone e i
forti contrasti assolutamente prevedibili tra i due,
fornirono il movente ideale per una congiura.
L’avvelenamento di Germanico del 19 d.C., attribuito a
Pisone, condannato dal Senato e in seguito suicida, è
da ricondurre, secondo la leggenda popolare, a Tiberio
stesso, invidioso della sua fama e del suo indiscusso
prestigio a Roma.
Agrippina si ritrovò
quindi giovane donna, senza padre, con due fratelli,
dei cinque che aveva, morti in seguito uno all’esilio
forzato e l’altro alla prigionia, e con la madre,
Agrippina Maggiore, confinata a Ventotene dove si
spense distrutta dal dolore per le perdite subite.
L’odio per Tiberio si
accrebbe a dismisura, fino a diventare veramente
immenso, quando la costrinse a contrarre matrimonio
con un uomo molto più vecchio di lei che detestava.
Dall’unione nacque, nel 37 d.C., un figlio, Lucio
Nerone, che ella dovette crescere da sola perché
rimasta vedova dopo pochi anni dalla sua nascita.
Quando, ormai in fin di
vita, Tiberio nominò entrambi i due fratelli di
Agrippina, Druso e Caligola, come possibili
successori, il Senato si impose nella scelta unica del
maggiore, Caligola, che divenne imperatore nel 37 d.C.
Si pensò, a quel punto,
che la vita imperiale sarebbe tornata alla normalità
augustea: alla serenità, ma anche alla lealtà politica
di Ottaviano offuscata nei ricordi dal dispotismo
autoritario di Tiberio e dal suo rigore
amministrativo. In realtà, dopo non molto, Caligola
impazzì, precipitando in un vortice di psicosi e manie
di persecuzione. Agrippina, insieme alla sorella
Livilla, fu accusata dal fratello, senza prove né
allora, né tanto meno oggi, di congiura contro di lui
e venne messa nuovamente all’esilio nel 38 d.C. Alla
morte di Caligola per assassinio da parte di
oppositori politici, suo zio Claudio divenne
imperatore (41 d.C.).
Fu allora che il ruolo
di Agrippina, tradita anche dal fratello, divenne così
importante a corte, da farla entrare di prepotenza
negl’intrighi di palazzo. Quando Claudio ordinò che
rientrasse dall’esilio, Agrippina e la sorella Livilla
entrarono a palazzo. Le leggende insinuano come
Livilla, avvenente ed educata, fosse entrata non solo
nelle grazie dell’imperatore, sposato con la dissoluta
Messalina, ma anche in quelle del filosofo Seneca, e
che fosse stata scoperta, con un abile inganno,
dall’imperatrice. Esiliata nuovamente Livilla,
Agrippina era rimasta l’unica discendente non solo di
Germanico, ma anche di Augusto.
Quando Claudio mise a
morte Messalina nel 48 d.c. per i suoi promiscui
costumi, Agrippina sembrò la scelta migliore come
consorte. Tra intrighi e amici influenti, come il
liberto Pallante, amico dell’imperatore, era ormai da
considerare la donna più influente dell’Impero.
Nonostante gli fosse nipote, Claudio la prese in
sposa, emanando una legge che deponeva ufficialmente
il divieto ti legge e di costume, che impediva unioni
simili, al limite dell’incestuoso.
Nel 49 d. C. quello che
era sempre stato secondo lei il suo destino, era
oramai compiuto. Il sangue legittimo della dinastia
giulio-claudia aveva vinto.
Bisognava però poter
assicurare il proprio futuro dopo Claudio, e il futuro
aveva il nome di Nerone, suo figlio.
Con un artificioso
matrimonio nel tra Nerone (allora appena sedicenne) e
Ottavia, figlia di Claudio e Messalina, convinse
l’imperatore a legittimare al trono non il figlio
Britannico, avuto da Messalina, ma lo stesso Nerone.
Concessa questa
investitura, il destino di Claudio era scritto.
Agrippina attese che Claudio, vecchio e logoro,
morisse di morte naturale, ma quando si accorse che
l’attesa si sarebbe protratta a lungo, diede, per così
dire, una mano al destino. Quei funghi trifolati,
cucinati da lei stessa, sono rimasti nella leggenda
come il mezzo usato per avvelenarlo, anche se di
questo non ci sono vere prove.
Di certo rimane quell’anno,
il 54 d.C.., in cui, Claudio muore avvelenato e inizia
l’era neroniana.
Di Nerone si sono
scritte pagine su pagine, ha alimentato miti di follia
incendiaria, ha fatto sognare il popolo romano con la
sua dimora storica, la Domus Aurea, che si innalzava
imperiosa nel centro di Roma, ha fatto parlare di sé e
delle sue abitudini sessuali, come su nessuno prima di
lui; è stato centro di attenzioni per gli storici di
età romana per secoli, insomma un protagonista
assoluto.
Molti, fra coloro che
hanno cercato di scevrare la vita dell’imperatore
Nerone da ingombranti leggende popolari, hanno
incontrato sulla loro strada conoscitiva lei, la
madre, Agrippina.
Quale fu in realtà il
suo ruolo nella gestione imperiale, cosa rappresentò
in realtà per il figlio, quella donna onnipresente,
astuta e drasticamente privata dalla vita di ogni
scrupolo morale?
Tacito nei suoi Annales
crea due ritratti impareggiabili di madre e figlio.
Nell’Annale XII,
completamente dedicato alla fine dell’Impero di
Claudio e all’ ascesa di Nerone, Agrippina è
rappresentata come una donna pieno di rancore verso la
figura simbolo dell’imperatore, dedita a raggiri
sessuali nei confronti di Claudio, e assolutamente
inebriata dal potere che il figlio era destinato ad
avere nelle proprie mani. La scelta del suo educatore
faceva intendere quanto Agrippina confidasse nelle
qualità autoritarie di Nerone.
Sì perché nella sua
vita, un burattinaio importante gestiva la sua
formazione da imperatore, Lucio Anneo Seneca,
richiamato dall’esilio in Corsica dalla stessa
Agrippina perché curasse l’educazione e la crescita
morale del figlio. Sotto la sua influenza Seneca
desiderava dare una nuovo impronta alla figura del
princeps, non più visto come imperatore per il popolo,
di cui era responsabile e di cui doveva farsi
baluardo, ma diviene unico detentore di un potere
assolutamente inviato dagli Dei. Eliminava quindi
l’obbligo dell’imperatore di rendere partecipe il
popolo, a volte anche giustificarsi ai suoi occhi,
delle scelte da lui intraprese. Certo, il princeps
deve sempre farsi simbolo di clemenza e virtù, ma in
una visione autocratica del potere. La Res Publica era
nelle sue uniche mani.
Mentre il figlio
studiava da possibile despota, la madre detenne per
lui il potere per quasi cinque anni. Nerone era troppo
concentrato nei suoi studi, nella sua grande
ammirazione per l’Oriente e negli adulteri per capire
quanto il ruolo della madre lo oscurasse. Lui,
rappresentato da Tacito, come un essere volubile,
capriccioso, libidinoso e in preda ad una cieca
pazzia, ebbe con la madre un legame assillante.
Il loro rapporto ebbe
sempre dell’oscuro e forse anche dello scabroso
agl’occhi del popolo. Il sussurro di incesto era
sempre lì, dietro nell’angolo, insinuato nelle
conversazioni del popolino e della servitù imperiale.
Lei ancora bella e libertina, lui così debole di
carattere, assoggettato al volere della madre e del
suo maestro.
Il tentativo di divorzio
da Ottavia (che avverrà solo nel 621 d.C.) e l’inizio
prima di una relazione con la liberta Atte e poi con
la seducente Poppea, coincise con il declino del ruolo
della madre, predominante fino ad allora nella vita di
Nerone. Il figlio cominciava a sentirsi oppresso così
tanto da cominciare a vedere di cattivo occhio lo
strapotere a corte di Agrippina.
La figura di Poppea ha
dato quegli argomenti necessari a Tacito per poter
giustificare l’inizio dell’insana follia
dell’imperatore.
Non solo, infatti, per
lo storico, era una donna dissoluta, ma anche arida,
priva di possibilità di provare sentimenti di amore
per amanti o mariti che siano, un’arrampicatrice
sociale bella e colta.
Il raggiro che mise in
atto nei confronti di Nerone era impostato
principalmente sullo screditare la figura della madre,
che non solo impediva al figlio, secondo la donna, un
matrimonio felice, ma anche degni discendenti.
Umiliava costantemente il principe con insinuazioni di
poco carattere nel non imporre la sua autorità alla
madre e nel non voler vedere le angherie che la madre
imponeva al popolo.
Agrippina iniziò a
essere vista da Nerone l’ostacolo da abbattere tra lui
e l’esercizio del suo potere immenso.
Siamo nel 19 marzo del
59 d.c. Con un inganno Agrippina fu invitata alla
celebrazioni Quinquatri sull’isola di Baia ,
presiedute proprio dall’Imperatore. Ci racconta Tacito
nel libro XIV degli Annales, come Nerone l’abbracciò e
la omaggiò appena giunta a riva, come la invitò a cena
per subdoli secondi fini. Con la notte, infatti, il
delitto sarebbe stato meno visibile. Il piano fu, per
così dire, inconsueto per una congiura.
L’avvelenamento, che era stata la prima idea di
Nerone, era fin troppo banale e prevedibile per una
donna astuta e sospettosa come Agrippina, che, a suo
tempo, era stata lei stessa avvelenatrice. In realtà
la soluzione del piano, fu la progettazione di una
barca che, costruita con materiali scadenti e in un
modo artificioso, avrebbe dovuto sfasciarsi da sola e
affondare. Un tragico destino quindi, da imputare
solamente al volere degli Dei…Onori e meriti sarebbero
stati certamente fatti alla sua figura e magari anche
un tempio in sua memoria.
Questo, nei piani del
figlio, attendeva Agrippina.
Al momento del ritorno a
casa, e, quindi, dello scattare della trappola,
qualcosa non funzionò. E mentre la madre si sentiva
sollevata al pensiero di aver riconquistato il favore
del figlio, così prodigo verso di lei durante tutta la
festa, il soffitto della nave crollò, lasciando però
Agrippina incolume. I servi venduti alla congiura,
allora, cercarono di far affondare la nave
inclinandola da una parte con dei movimenti di remi,
gli altri, che ne erano all’oscuro, tentarono di
impedirlo facendo peso dall’altra parte. Questo
consentì alla donna di trovare il tempo utile per
tuffarsi in una acqua stranamente placida e
sopraggiungere alla riva non molto distante. Salva,
mandò dunque un liberto ad avvertire il figlio di
quanto avvenuto.
La morte si compì ormai
all’alba, quando le guardie, mandate da Nerone,
impazzito per l’insuccesso “dell’incidente”,
circondarono la villa, sfondando la porta e colpendo
la donna a morte con una mazza. La frase pronunciata
da Agrippina: “Colpisci al ventre che lo ha generato”
rimane l’ultima testimonianza della piena
consapevolezza del proprio destino e del proprio
carnefice.
Nel suo ritratto e nella
sua vita, piena di nubi, le leggende si mischiano
senza rimedio alla storia, senza dare la possibilità
ai posteri di capire chi fu in realtà questa
imperatrice piena di contraddizioni. Era veramente
quella che le testimonianze ci lasciano, una donna
spinta esclusivamente da desiderio di rivalsa
personale e da avidità, oppure era solo una donna
complessa, fortemente immersa nello spirito del ruolo
che ricopriva e nei costumi dei suoi tempi?
Era come la gente la
dipingeva, una mantide religiosa che si serviva degli
uomini fino al compimento dei suoi progetti, oppure
erano proprie le sue debolezze di ragazzina e la sua
spiccata intelligenza ad essere a servizio di inganni
e delitti?
Non so dare una risposta
certa. Quello che però posso intravedere di lei, oltre
a quella folta chioma di capelli, sono quelle
contraddizioni a cui prima accennavo, contraddizioni
di una donna, che, per volere altrui, non ha potuto
essere figlia e sorella fino in fondo, né tanto meno
moglie felice, e che, nel figlio insano e, in realtà,
mediocre quanto influenzabile, ha riversato
aspettative di riscatto e intimità, fortemente
desiderate, ma mai assaporate.
Riferimenti
bibliografici:
Geraci-Marcone, Storia romana, Firenze, Le Monnier,
2004
www.wikipedia.org
www.magnanelli.it/Estratti/ESP_TacitoNerone.htm
www.latinovivo.com
www.emsf.rai.it