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N. 13 - Gennaio 2009 (XLIV)

AGRIPPINA MINORE E I SUO MISTERI DI CORTE
Leggenda di una donna contestata

di Laura Novak

 

Su un sesterzo dei primi anni dell’Impero di Caligola c’è lei, Agrippina Minore. Un profilo non troppo caratterizzante, nessun segno di grande riconoscibilità ma solo una folta capigliatura raccolta in tanti ricci cadenti sulle spalle.

 

Ci viene raffigurata come una semplice ragazza mentre la sua discendenza era invece assolutamente fuori dal comune.

Infatti, non solo era pronipote di Ottaviano Augusto, ormai divinizzato dalla leggenda come mito per l’intero popolo di Roma e delle province annesse, ma suo padre, Germanico, era considerato da tutti un predestinato al trono, soprattutto dopo le vittorie sul campo di guerra in Germania. Era proprio Germanico ad incarnare, dopo Ottaviano, tutte quelle qualità fisiche e morali rare, indispensabili, secondo l’ideale del popolo, per essere un grande imperatore e che, nell’immaginario collettivo, tanto lo avvicinavo alla figura dello stesso Augusto.

 

Ma Augusto scelse un altro nome come suo legittimo successore.  I suoi molti tentativi di trovare un suo degno discendente di sangue giulio-claudio erano falliti in seguito alle morti dei papabili pretendenti, (in particolare, non avendo avuto figli maschi, rivolgendo la sua attenzione verso i figli e il secondo marito della figlia Giulia).

 

Tiberio fu quel nome (14 d.C.). Era in realtà solo il figlio di primo letto della sua terza moglie, ma con il suo divorzio dalla consorte, impostogli da Augusto, e lo sposalizio con Giulia (11 d.C.), rimasta vedova, entrò a far parte a tutti gli effetti nel diritto di successione. Ma che in realtà all’epoca la successione dinastica non fosse consentita per legge ben pochi lo sanno. Per ovviare a questo impedimento Augusto, non solo affidò due consolati nelle mani di Tiberio, ma, nel 13 d. C., gli consegnò anche un “imperium”, che consentiva al giovane di avere poteri in ambito militare e civile pari all’imperatore.

Alla sua morte quindi nessuno contestò il consolidato ruolo di Tiberio.

 

Ma Tiberio tutto si sentiva tranne che discendente di Ottaviano. Una volta sul trono la figura del valoroso e incorruttibile Germanico iniziava a creargli oppositori; l’invio di quest’ultimo in Siria con il proconsole Pisone e i forti contrasti assolutamente prevedibili tra i due, fornirono il movente ideale per una congiura. L’avvelenamento di Germanico del 19 d.C., attribuito a Pisone, condannato dal Senato e in seguito suicida, è da ricondurre, secondo la leggenda popolare, a Tiberio stesso, invidioso della sua fama e del suo indiscusso prestigio a Roma.

 

Agrippina si ritrovò quindi giovane donna, senza padre, con due fratelli, dei cinque che aveva, morti in seguito uno all’esilio forzato e l’altro alla prigionia, e con la madre, Agrippina Maggiore, confinata a Ventotene dove si spense distrutta dal dolore per le perdite subite.

L’odio per Tiberio si accrebbe a dismisura, fino a diventare veramente immenso, quando la costrinse a contrarre matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei che detestava. Dall’unione nacque, nel 37 d.C., un figlio, Lucio Nerone, che ella dovette crescere da sola perché rimasta vedova dopo pochi anni dalla sua nascita.

 

Quando, ormai in fin di vita, Tiberio nominò entrambi i due fratelli di Agrippina, Druso e Caligola, come possibili successori, il Senato si impose nella scelta unica del maggiore, Caligola, che divenne imperatore nel 37 d.C.

Si pensò, a quel punto, che la vita imperiale sarebbe tornata alla normalità augustea: alla serenità, ma anche alla lealtà politica di Ottaviano offuscata nei ricordi dal dispotismo autoritario di Tiberio e dal suo rigore amministrativo. In realtà, dopo non molto, Caligola impazzì, precipitando in un vortice di psicosi e manie di persecuzione. Agrippina, insieme alla sorella Livilla, fu accusata dal fratello, senza prove né allora, né tanto meno oggi, di congiura contro di lui e venne messa nuovamente all’esilio nel 38 d.C. Alla morte di Caligola per assassinio da parte di oppositori politici, suo zio Claudio divenne imperatore (41 d.C.).

 

Fu allora che il ruolo di Agrippina, tradita anche dal fratello, divenne così importante a corte, da farla entrare di prepotenza negl’intrighi di palazzo. Quando Claudio ordinò che rientrasse dall’esilio, Agrippina e la sorella Livilla entrarono a palazzo. Le leggende insinuano come Livilla, avvenente ed educata, fosse entrata non solo nelle grazie dell’imperatore, sposato con la dissoluta Messalina, ma anche in quelle del filosofo Seneca, e che fosse stata scoperta, con un abile inganno, dall’imperatrice. Esiliata nuovamente Livilla, Agrippina era rimasta l’unica discendente non solo di Germanico, ma anche di Augusto.

 

Quando Claudio mise a morte Messalina nel 48 d.c. per i suoi promiscui costumi, Agrippina sembrò la scelta migliore come consorte. Tra intrighi e amici influenti, come il liberto Pallante, amico dell’imperatore, era ormai da considerare la donna più influente dell’Impero. Nonostante gli fosse nipote, Claudio la prese in sposa, emanando una legge che deponeva ufficialmente il divieto ti legge e di costume, che impediva unioni simili, al limite dell’incestuoso.

Nel 49 d. C. quello che era sempre stato secondo lei il suo destino, era oramai compiuto. Il sangue legittimo della dinastia giulio-claudia aveva vinto.

 

Bisognava però poter assicurare il proprio futuro dopo Claudio, e il futuro aveva il nome di Nerone, suo figlio.

Con un artificioso matrimonio nel tra Nerone (allora appena sedicenne) e Ottavia, figlia di Claudio e Messalina, convinse l’imperatore a legittimare al trono non il figlio Britannico, avuto da Messalina, ma lo stesso Nerone.

Concessa questa investitura, il destino di Claudio era scritto. Agrippina attese che Claudio, vecchio e logoro, morisse di morte naturale, ma quando si accorse che l’attesa si sarebbe protratta a lungo, diede, per così dire, una mano al destino. Quei funghi trifolati, cucinati da lei stessa, sono rimasti nella leggenda come il mezzo usato per avvelenarlo, anche se di questo non ci sono vere prove.

 

Di certo rimane quell’anno, il 54 d.C.., in cui, Claudio muore avvelenato e inizia l’era neroniana.

Di Nerone si sono scritte pagine su pagine, ha alimentato miti di follia incendiaria, ha fatto sognare il popolo romano con la sua dimora storica, la Domus Aurea, che si innalzava imperiosa nel centro di Roma, ha fatto parlare di sé e delle sue abitudini sessuali, come su nessuno prima di lui; è stato centro di attenzioni per gli storici di età romana per secoli, insomma un protagonista assoluto.

 

Molti, fra coloro che hanno cercato di scevrare la vita dell’imperatore Nerone da ingombranti leggende popolari, hanno incontrato sulla loro strada conoscitiva lei, la madre, Agrippina.

Quale fu in realtà il suo ruolo nella gestione imperiale, cosa rappresentò in realtà per il figlio, quella donna onnipresente, astuta e drasticamente privata dalla vita di ogni scrupolo morale?

Tacito nei suoi Annales crea due ritratti impareggiabili di madre e figlio.

 

Nell’Annale XII, completamente dedicato alla fine dell’Impero di Claudio e all’ ascesa di Nerone, Agrippina è rappresentata come una donna pieno di rancore verso la figura simbolo dell’imperatore, dedita a raggiri sessuali nei confronti di Claudio, e assolutamente inebriata dal potere che il figlio era destinato ad avere nelle proprie mani. La scelta del suo educatore faceva intendere quanto Agrippina confidasse nelle qualità autoritarie di Nerone.

 

Sì perché nella sua vita, un burattinaio importante gestiva la sua formazione da imperatore, Lucio Anneo Seneca, richiamato dall’esilio in Corsica dalla stessa Agrippina perché curasse l’educazione e la crescita morale del figlio. Sotto la sua influenza Seneca desiderava dare una nuovo impronta alla figura del princeps, non più visto come imperatore per il popolo, di cui era responsabile e di cui doveva farsi baluardo, ma diviene unico detentore di un potere assolutamente inviato dagli Dei. Eliminava quindi l’obbligo dell’imperatore di rendere partecipe il popolo, a volte anche giustificarsi ai suoi occhi, delle scelte da lui intraprese. Certo, il princeps deve sempre farsi simbolo di clemenza e virtù, ma in una visione autocratica del potere. La Res Publica era nelle sue uniche mani.

 

Mentre il figlio studiava da possibile despota, la madre detenne per lui il potere per quasi cinque anni. Nerone era troppo concentrato nei suoi studi, nella sua grande ammirazione per l’Oriente e negli adulteri per capire quanto il ruolo della madre lo oscurasse. Lui, rappresentato da Tacito, come un essere volubile, capriccioso, libidinoso e in preda ad una cieca pazzia, ebbe con la madre un legame assillante.

Il loro rapporto ebbe sempre dell’oscuro e forse anche dello scabroso agl’occhi del popolo. Il sussurro di incesto era sempre lì, dietro nell’angolo, insinuato nelle conversazioni del popolino e della servitù imperiale. Lei ancora bella e libertina, lui così debole di carattere, assoggettato al volere della madre e del suo maestro.

 

Il tentativo di divorzio da Ottavia (che avverrà solo nel 621 d.C.) e l’inizio prima di una relazione con la liberta Atte e poi con la seducente Poppea, coincise con il declino del ruolo della madre, predominante fino ad allora nella vita di Nerone. Il figlio cominciava a sentirsi oppresso così tanto da cominciare a vedere di cattivo occhio lo strapotere a corte di Agrippina.

 

La figura di Poppea ha dato quegli argomenti necessari a Tacito per poter giustificare l’inizio dell’insana follia dell’imperatore.

Non solo, infatti, per lo storico, era una donna dissoluta, ma anche arida, priva di possibilità di provare sentimenti di amore per amanti o mariti che siano, un’arrampicatrice sociale bella e colta.

Il raggiro che mise in atto nei confronti di Nerone era impostato principalmente sullo screditare la figura della madre, che non solo impediva al figlio, secondo la donna, un matrimonio felice, ma anche degni discendenti. Umiliava costantemente il principe con insinuazioni di poco carattere nel non imporre la sua autorità alla madre e nel non voler vedere le angherie che la madre imponeva al popolo.

 

Agrippina iniziò a essere vista da Nerone l’ostacolo da abbattere tra lui e l’esercizio del suo potere immenso.

Siamo nel 19 marzo del 59 d.c. Con un inganno Agrippina fu invitata alla celebrazioni Quinquatri sull’isola di Baia , presiedute proprio dall’Imperatore. Ci racconta Tacito nel libro XIV degli Annales, come Nerone l’abbracciò e la omaggiò appena giunta a riva, come la invitò a cena per subdoli secondi fini. Con la notte, infatti, il delitto sarebbe stato meno visibile. Il piano fu, per così dire, inconsueto per una congiura. L’avvelenamento, che era stata la prima idea di Nerone, era fin troppo banale e prevedibile per una donna astuta e sospettosa come Agrippina, che, a suo tempo, era stata lei stessa avvelenatrice. In realtà la soluzione del piano, fu la progettazione di una barca che, costruita con materiali scadenti e in un modo artificioso, avrebbe dovuto sfasciarsi da sola e affondare. Un tragico destino quindi, da imputare solamente al volere degli Dei…Onori e meriti sarebbero stati certamente fatti alla sua figura e magari anche un tempio in sua memoria.

 

Questo, nei piani del figlio, attendeva Agrippina.

Al momento del ritorno a casa, e, quindi, dello scattare della trappola, qualcosa non funzionò. E mentre la madre si sentiva sollevata al pensiero di aver riconquistato il favore del figlio, così prodigo verso di lei durante tutta la festa, il soffitto della nave crollò, lasciando però Agrippina incolume. I servi venduti alla congiura, allora, cercarono di far affondare la nave inclinandola da una parte con dei movimenti di remi, gli altri, che ne erano all’oscuro, tentarono di impedirlo facendo peso dall’altra parte. Questo consentì alla donna di trovare il tempo utile per tuffarsi in una acqua stranamente placida e sopraggiungere alla riva non molto distante. Salva, mandò dunque un liberto ad avvertire il figlio di quanto avvenuto.

 

La morte si compì ormai all’alba, quando le guardie, mandate da Nerone, impazzito per l’insuccesso “dell’incidente”, circondarono la villa, sfondando la porta e colpendo la donna a morte con una mazza. La frase pronunciata da Agrippina: “Colpisci al ventre che lo ha generato” rimane l’ultima testimonianza della piena consapevolezza del proprio destino e del proprio carnefice.

 

Nel suo ritratto e nella sua vita, piena di nubi, le leggende si mischiano senza rimedio alla storia, senza dare la possibilità ai posteri di capire chi fu in realtà questa imperatrice piena di contraddizioni. Era veramente quella che le testimonianze ci lasciano, una donna spinta esclusivamente da desiderio di rivalsa personale e da avidità, oppure era solo una donna complessa, fortemente immersa nello spirito del ruolo che ricopriva e nei costumi dei suoi tempi?

Era come la gente la dipingeva, una mantide religiosa che si serviva degli uomini fino al compimento dei suoi progetti, oppure erano proprie le sue debolezze di ragazzina e la sua spiccata intelligenza ad essere a servizio di inganni e delitti?

 

Non so dare una risposta certa. Quello che però posso intravedere di lei, oltre a quella folta chioma di capelli, sono quelle contraddizioni a cui prima accennavo, contraddizioni di una donna, che, per volere altrui, non ha potuto essere figlia e sorella fino in fondo, né tanto meno moglie felice, e che, nel figlio insano e, in realtà, mediocre quanto influenzabile, ha riversato aspettative di riscatto e intimità, fortemente desiderate, ma mai assaporate.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Geraci-Marcone,  Storia romana, Firenze, Le Monnier, 2004

www.wikipedia.org

www.magnanelli.it/Estratti/ESP_TacitoNerone.htm

www.latinovivo.com

www.emsf.rai.it



 

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