N. 27 - Agosto 2007
UCCELLI
E AGRICOLTURA
L’ utilità degli
uccelli per
l’agricoltura. Da
Federico II di
Prussia al XX secolo
di
Matteo Liberti
Si
racconta che Federico II di Prussia, l’illuminato Re
che adorava suonare il flauto mentre faceva grande il
suo stato, cominciò un giorno ad aver come ferma ed
indiscutibile convinzione quella che i passeracei (e
le passere in particolare) fossero gravemente dannosi
per il raccolto dei campi e per l’agricoltura in
generale.
Conseguentemente ne ordinò con solerzia
il veloce e totale sterminio, arrivando anche, ad un
certo punto, ad istituire una vera e propria taglia di
sei centesimi per ogni passera che fosse stata uccisa.
La premura era tra l’altro motivata dal suo grande
amore per le ciliegie: allora si diceva e
credeva che i passeri adorassero mangiare in
grandissima quantità questo appetitoso frutto...
Temendo per le rosse delizie del suo giardino di
Postdam e vinto dal pregiudizio, il Re di Prussia
affrettò le operazioni di distruzione, ed in tre anni
lo sterminio fu compiuto.
Non più un passero, o quasi, in tutto il Regno.
Un curioso fenomeno iniziò però a manifestarsi: folti
gruppi di insetti (in una quantità molto più rilevante
di quanto si fosse potuto notare in passato) erano
energicamente dediti alla libera ed incontrollabile
distruzione di migliaia e migliaia di prodotti agrari
e alimentari, ciliegie comprese.
Questi accadimenti furono in breve tempo attribuiti a
quell’insensato ordine di sterminio che era stato con
troppa fretta emanato dall’alto e rapidamente eseguito
a danno dei passeracei. Meno uccelli uguale più
insetti: fu questa l’equazione nuova.
Si arrivò così ad una saggia e pronta
contro-decisione: quella legge dannosa venne
revocata ed al suo posto si ebbe un nuovo decreto con
il quale venivano date rigide disposizioni affinché
fosse favorito in ogni maniera il ripopolamento di
quegli uccelli che poco prima erano stati banditi.
La loro utilità era stata in qualche modo
riconosciuta.
Vennero ripopolati così, un po’ alla volta, tutti
boschi e le campagne, e tutto ciò fu possibile grazie
all’importazione di numerosi uccelli da tutta l’Europa
e soprattutto alla tutela più severa di essi in
patria.
Il sovrano illuminato si era ravveduto in tempo.
Cento anni dopo il verificarsi di questi eventi dal
sapor di novella e per un periodo di quasi sessant’anni,
si sviluppò in tutto il continente europeo un
particolare e serio dibattito intorno ai rapporti che
sussistevano tra gli uccelli e l’agricoltura.
Il fine primario di molti, inizialmente, era quello di
appurare scientificamente quali tipi di uccelli
potessero risultare di un particolare utile per i
raccolti nei campi e quali potessero invece risultare
dannosi, con lo scopo ultimo di ingraziarsi i primi ed
eliminare gli altri.
La condizione fondamentale per essere graziati dalle
doppiette era di rivelarsi di qualche utilità
per l’uomo.
A tale impostazione di evidente stampo
antropocentrico si sostuirà, nel corso dei decenni
successivi, una visione ecologica del mondo
(processo ancora in atto), mirata piuttosto a
salvaguardare i vari ecosistemi presenti nel pianeta
ed i loro abitanti, prescindendo quindi da ogni
dialettica utile/inutile...
Verso la fine del diciannovesimo secolo, ad ogni modo,
secondo le osservazioni di molti studiosi il numero
totale degli uccelli, soprattutto nel continente
europeo, stava calando vertiginosamente.
L'’effetto più evidente di ciò era riscontrabile nel
notevole aumento della quantità di insetti.
Questi ultimi, cibo giornaliero per molti volatili, si
stavano moltiplicando con grande velocità ed in
proporzione inversa rispetto alla scomparsa degli
uccelli.
Lo studio delle cause di tale diminuzione e dei
rapporti biologici tra gli uccelli e l’agricoltura (di
cui la distruzione di insetti nocivi risulta l’aspetto
più importante e più visibile, ma non per
questo l’unico) diede linfa e stimolo, nonché concreta
base teorica, a nuove e più complete legislazioni
sulla caccia e creò quei presupposti affinché i vari
paesi d’Europa potessero iniziare a confrontarsi ed a
consultarsi in maniera sempre più frequente e concreta
intorno alla questione.
Si cominciò con il Congresso Agrario Internazionale
di Vienna, dove per la prima volta la questione si
impose su vasta scala uscendo dalla forma privata in
cui si era mantenuta. Qui si denunciò pubblicamente la
diminuzione in corso di molte specie di uccelli e ci
si impegnò per porvi un primo rimedio.
Era il 1873, ed i giorni erano quelli dell’Esposizione
Universale tenuta nella città austriaca.
Seguirono un paio di decenni ed un buon numero di
congressi e conferenze di scarsa utilità pratica, in
seguito ai quali si giunse però alla Conferenza
Internazionale di Parigi del 1895, dove venne
proposto un nuovo importante approccio per le leggi
sulla caccia: bisognava trovare il coraggio di
stravolgerle, riordinandone sia i tempi che i modi ed
i luoghi, al fine di superare definitivamente quell’atteggiamento
passivo che tendeva a considerare la caccia un dato
di fatto e non, semmai, un privilegio da
accordarsi a certe condizioni.
Nel frattempo, per quanto concerneva i rapporti
biologici tra uccelli insetti ed agricoltura, le
tendenze dei vari studiosi andavano direzionandosi
lungo tre indirizzi principali: gli uccelli
risultavano essere utili, irrilevanti
oppure dannosi.
La maggioranza degli studiosi risulta però esser stata
dell’idea che essi andassero tutelati perché utili, e
che specialmente alcune specie potevano essere
fondamentali per preservare i raccolti dall’attacco
degli insetti erbivori (fitofagi).
Per pochi altri, invece, gli insetti maggiormente
colpiti dagli uccelli erano insetti entomofagi,
che si cibavano di altri insetti (dannosi); oppure
erano insetti pronubi (insetti dei fiori),
utili per l’impollinazione.
In definitiva: se gli insetti dannosi e quelli utili
fossero stati colpiti in maniera uniforme, l’uccello
era da considerarsi estraneo alle cose agricole, se i
secondi fossero stati i più colpiti, l’uccello era
invece da considerarsi dannoso.
Gli insetti più colpiti, quasi sempre,
risultavano essere quelli dannosi.
Alla fine prevalse (soprattutto in vista di una
legislazione ad hoc) una linea che tendeva ad
individuare con dubbia precisione due insiemi uniformi
di uccelli: gli utili e i dannosi...ma la questione
rimaneva difficilmente risolvibile in via definitiva,
anche per il fatto che spesso alcuni uccelli variavano
la propria dieta da vegetariana a carnivora in
funzione dell’allevamento dei piccoli.
La Convenzione Europea per la
protezione degli uccelli utili all’agricoltura del
1902, rappresentò forse il momento decisivo di
tutto il dibattito. Per la prima volta furono
sottoscritte delle disposizioni vincolanti per ognuno
degli undici paesi firmatari, mentre i paesi non
partecipanti avrebbero potuto aderirvi in un secondo
momento.
L’ Italia non pose la sua firma
e la motivazione addotta fu l’assenza di una unica
legge nazionale: senza di questa non sarebbe stato
possibile siglare alcun accordo internazionale.
In breve tempo quello italiano divenne
un vero caso, essendo peraltro il paese
maggiormente frequentato dagli uccelli.
Il meccanismo era semplice: gli uccelli
che venivano protetti nel nord-europa venivano
sterminati nel passaggio sul suolo italiano (dove le
leggi esistenti erano comunque permissive ed
inefficaci), e le leggi di paesi come la Germania,
l’Inghilterra o l’Austria risultavano a questo punto
della massima inutilità.
Le proposte presentate nel corso degli
anni furono molte, ma si dovette attendere fino al
luglio del 1923 perché una legge unitaria venisse
compiutamente elaborata ed approvata, quando il
disegno del Ministro De Capitani d’Arzago si trasformò
nella prima legge unica sulla caccia del Regno
d’Italia: i Provvedimenti per
la protezione della selvaggina e l’esercizio della
caccia.
Il dibattito poteva dirsi concluso, o perlomeno poteva
ora continuare senza dover assistere all’inciviltà di
una serie di disposizioni arretrate e gonfie di
interessi personali che isolarano il nostro paese da
uno dei pochi contesti in cui i paesi Europei furono,
nella prima parte del novecento, tutti alleati... |