N. 72 - Dicembre 2013
(CIII)
AGORÀ
ALCUNE PUNTUALIZZAZIONI STORICHE
di Silvia Mangano
Il
film
Agorà,
distribuito
nelle
sale
italiane
nel
2010,
viene
individuato
nei
dizionari
cinematografici
sotto
il
genere
“pellicola
storica”.
La
macrocategoria
in
cui
può
essere
ascritto
il
lungometraggio
del
regista
Alejandro
Amenábar
è
senza
dubbio
questa,
ma
prima
di
giungere
a
conclusioni
affrettate,
bisogna
necessariamente
tenere
presente
alcune
considerazioni
di
carattere
puramente
storico
e
storiografico.
Come
per
ogni
opera
avente
protagonisti
personaggi
realmente
esistiti,
anche
il
film
spagnolo
ha
subìto
diverse
modificazioni
della
trama,
che
non
hanno
influito
nello
svolgimento
del
canovaccio
biografico
della
protagonista,
ma
possono
indurre
lo
spettatore
a
trarre
conclusioni
inesatte
circa
il
vero
svolgimento
dei
fatti.
Questa
breve
presentazione
delle
inesattezze
storiche
del
film
non
sono
tese
a
sminuire
gli
sforzi
artistici
del
cast
tecnico,
al
contrario
servono
a
chiarificare
e a
rispondere
alle
domande
che
la
stessa
proiezione
pone
allo
spettatore.
La
sequenza
introduttiva
del
film
si
apre
con
una
breve
introduzione:
“Tuttavia,
Alessandria,
nella
provincia
d’Egitto,
manteneva
ancora
il
suo
splendore.
Vantava
una
delle
sette
meraviglie
del
mondo
antico,
il
leggendario
Faro,
così
come
la
più
grande
biblioteca
al
mondo.
La
biblioteca
non
era
soltanto
un
simbolo
culturale,
ma
anche
religioso,
un
luogo
dove
i
pagani
adoravano
i
loro
dei
ancestrali”.
La
voce
di
Ipazia
rompe
la
sequenza
e il
film
la
introduce
visivamente,
mostrandola
intenta
a
insegnare
di
fronte
a
una
classe.
Sull’edificio,
palcoscenico
principale
della
pellicola,
appare
la
didascalia:
“Biblioteca
di
Alessandria
–
391
a.
C.”.
Prescindendo
dal
fatto
che
Ipazia
insegnasse
nella
biblioteca
o in
un
altro
luogo,
è
importante
tenere
presente
che
il
luogo
identificato
con
la
Biblioteca
di
Alessandria
è,
in
realtà,
una
finzione
cinematografica
che
incorpora
in
una
stessa
struttura
due
istituzioni:
il
Museo
di
Alessandria
(a
cui
era
annessa
la
famosa
biblioteca)
e il
Serapeo.
Quest’ultimo
era
il
tempio
dedicato
a
Serapide,
secondo
protagonista
di
queste
scene
iniziali:
l’enorme
statua
di
bronzo
che
viene
venerata
dai
pagani
trionfa
in
una
sorta
di
vestibolo
dell’edificio.
È
bene
tener
conto
di
questa
differenza
logistica
nel
corso
dell’analisi
del
film.
Per
aggiungere
subito
un
elemento
che
dia
vigore
alla
storia
dei
personaggi,
viene
mostrata
la
dichiarazione
d’amore
del
figlio
del
prefetto
Oreste
nei
confronti
della
filosofa.
Il
rapporto
tra
Oreste
e
Ipazia
è
fondato
su
una
sorta
di
infatuazione
del
primo
verso
la
seconda,
che
nel
corso
del
film
si
radica
in
profondo
affetto.
In
realtà,
le
fonti
a
proposito
di
Ipazia
ne
descrivono
l’incredibile
bellezza,
conservata
fino
alla
morte,
e la
castità.
Oltre
a
questo,
si
ricorda
la
sua
influenza
intellettuale
sui
membri
del
governo
della
città,
tra
i
quali
c’è
anche
Oreste.
Ma,
anche
in
questo
caso,
bisogna
fare
le
dovute
distinzioni:
l’influenza
nei
confronti
di
quest’ultimo
non
era
basata
su
un
sentimento
che
il
futuro
prefetto
provava,
ma
sulla
stima
e
l’accredito
che
Ipazia
aveva
in
virtù
della
sua
sapienza.
Le
due
fonti
che,
a
rigor
di
logica,
avrebbero
dovuto
supporre
l’interpretazione
offerta
dal
film,
sarebbero
dovute
essere
quelle
cristiane,
le
quali
avrebbero
dovuto
(e
sottolineo
il
condizionale)
essere
impegnate
nella
difesa
nei
confronti
dell’accusa
di
coinvolgimento
dell’autorità
ecclesiastiche
nell’omicidio
di
Ipazia,
in
particolare
del
vescovo
Cirillo.
Se
si
fosse
riuscito
a
provare
che
Oreste
e
Ipazia
intrattenessero
una
relazione,
sarebbe
stato
più
facile
screditare
la
figura
della
matematica
alessandrina.
Ma
le
fonti
cristiane,
Socrate
scolastico
e
Giovanni
di
Nikiou,
non
offrono
questa
visione:
per
Socrate,
l’influenza
di
Ipazia
su
Oreste
“è
dovuta
solo
al
rispetto
da
parte
del
prefetto
verso
l’intelligenza
della
filosofa”;
mentre
per
Giovanni,
è
dovuta
a
una
partecipazione
attiva
di
Ipazia
nella
“reazione
pagana
contro
il
cristianesimo
aggressivo
di
Cirillo”.
Nella
disputa
tra
pagani
e
cristiani,
un
personaggio
– su
cui
torneremo
dopo
–
descrive
Serapide
come
un
dio
che
ha
in
testa
un
vaso
di
fiori
come
corona.
Non
si
tratta
di
una
vera
imprecisione
storica,
perché
è
probabile
che
la
lotta
cristiana
nei
confronti
del
paganesimo
tendesse
a
sminuire
e
mettere
in
ridicolo
gli
dei
a
cui
erano
riservati
culti
nella
città.
Bisogna
comunque
precisare
che
la
rappresentazione
iconografica
di
Serapide
prevedeva
un
moggio
contenente
semi
dal
valore
simbolico,
non
un
vaso
di
fiori.
Un
altro
errore,
che
discosta
il
film
dalla
realtà
storica,
è
l’esistenza
di
uno
schiavo
chiamato
Davo.
La
storia
del
personaggio
prosegue
parallela
a
quella
di
Ipazia,
e
serve
a
descrivere
l’archetipo
dello
schiavo
convertito
al
cristianesimo
in
virtù
delle
istanze
che
la
“nuova”
religione
portava
avanti
nei
confronti
della
pari
dignità
di
tutte
le
persone
di
fronte
a
Dio.
Lo
schiavo
è
segretamente
innamorato
della
filosofa
e
inciderà
notevolmente
nella
ricostruzione
della
sua
morte.
Davo
fa
la
conoscenza
di
Ammonio,
lo
stesso
personaggio
che
poche
scene
prima
ha
insultato
la
statua
di
Serapide.
Anche
in
questo
caso,
la
pellicola
riunisce
in
un
unico
personaggio
due
personalità
storiche.
Nel
film,
Ammonio
è un
parabolano
(o
parabalano),
mentre
nella
realtà
era
un
monaco
di
Nitria,
giunto
dal
deserto
con
i
suoi
compagni
per
sostenere
la
politica
di
Cirillo
contro
il
prefetto
e
che
viene
fatto
santo
dal
vescovo
per
aver
tirato
una
pietra
a
Oreste.
La
rivolta
dei
pagani
e la
distruzione
del
Serapeo
presenta
solo
alcune
imprecisioni
di
carattere
minore.
Prima
di
tutto,
nel
film
il
vescovo
è
intento
a
sbeffeggiare
le
statue
degli
dei,
in
realtà
la
reazione
dei
pagani
nacque
in
conseguenza
all’esposizione
da
parte
del
vescovo
Teofilo,
zio
e
predecessore
di
Cirillo,
di
alcuni
oggetti
rubati
dai
templi
pagani,
come
i
falli
del
tempio
di
Priapo
o i
teschi
che
testimoniavano
i
sacrifici
cruenti
nel
Mitreo,
e il
saccheggio
del
Serapeo.
In
secondo
luogo,
viene
mostrato
uno
schiavo
cristiano
che
colpisce
la
testa
di
Teone,
rettore
del
Museo:
questo
colpo
è
causa
della
successiva
morte
del
padre
di
Ipazia.
È
opportuno
ricordare
che
alcuni
storici
pongono
la
morte
di
Teone
nel
405
d.C.,
quindi
ben
quattordici
anni
dopo
lo
svolgimento
della
scena;
oltretutto,
nessuna
fonte
riporta
questo
incidente,
che
risulta
frutto
della
creatività
dello
sceneggiatore.
Infine,
nella
sequenza
della
distruzione
del
Serapeo
(realmente
ordinata
dall’imperatore
Teodosio
II
dopo
la
sommossa
dei
pagani),
la
statua
di
Serapide
viene
abbattuta
da
un
gruppo
di
cristiani
che
rovesciano
la
scultura
con
alcune
funi.
In
verità,
fu
tutta
opera
di
un
solo
soldato
cristiano,
che
colpì
l’idolo
mozzandogli
la
testa,
da
cui
–
peraltro
–
fuoriuscirono
topi.
L’errore
più
grave
di
queste
scene
viene
presentato
subito
dopo
l’abbattimento
di
Serapide:
i
cristiani,
tra
cui
si
contano
membri
della
popolazione
e il
gruppo
di
persone
che
fondono
in
sé
il
doppio
ruolo
dei
parabolani
e
dei
monaci,
mettono
in
atto
la
convulsa
distruzione
della
biblioteca.
La
dovuta
distinzione
che
va
fatta
si
ricollega
all’immagine
iniziale,
dove
il
Serapeo
e la
Biblioteca
di
Alessandria
appaiono
come
un
unico
edificio,
dando
l’impressione
allo
spettatore
che
i
cristiani
saccheggino
e
demoliscano
la
Biblioteca
di
Alessandria.
Quella
che
andò
distrutta
fu,
invece,
la
biblioteca
del
Serapeo,
che
conteneva
libri
liturgici
e di
altro
genere,
molto
modesta
rispetto
a
quella
di
Alessandria;
quest’ultima
venne
distrutta
due
volte,
la
prima
dai
romani
di
Aureliano
nel
270
d.C.,
la
seconda
dall’esercito
musulmano
di
Amr
Ibn
al-As
nel
VII
secolo.
La
seconda
parte
del
film
si
apre
con
un’altra
scena
didascalica
in
cui
appare
la
scritta:
“un
ordine
di
monaci
conosciuti
come
parabolani
si
fece
carico
di
pattugliare
le
strade
per
salvaguardare
la
moralità
cristiana”.
L’imprecisione
di
tale
affermazione
ci
da
l’opportunità
di
approfondire
le
figure
conosciute
come
parabolani
(o
parabalani).
Il
termine
viene
dal
verbo
greco
paraballw
(portare)
e
spiega
la
funzione
che
avevano
gli
appartenenti
a
questa
categoria.
I
parabalani
erano
gli
addetti
al
trasporto
degli
indigenti
(erano,
in
pratica,
portantini),
ma è
difficile
stabilire
con
sicurezza
la
loro
appartenenza
a un
ordine
monastico,
perché
le
fonti
sono
silenziose
al
riguardo,
ma
mettono
in
risalto
la
loro
vicinanza
ai
monaci.
È,
dunque,
impreciso
definirli
“monaci”.
Oltretutto,
è
inesatta
la
ricostruzione
che
li
vede
come
paladini
dediti
alla
tutela
della
moralità
cristiana
e,
soprattutto,
muniti
di
pietre.
Nessuna
testimonianza
riporta
che
essi
andassero
in
giro
con
bisacce
colme
di
pietre
da
usare
come
arma
impropria.
A
questo
discorso
si
ricollega
l’episodio
degli
ebrei
nel
teatro,
che
da
spunto
al
regista
per
giustificare
la
strage
di
cristiani
(e
non
solo
di
parabolani,
come
si
vede
nel
film)
perpetrata
dagli
ebrei
in
seguito
a un
tranello
notturno,
mostrata.
In
realtà,
tutto
era
cominciato
con
la
presenza
a
teatro
di
Hierax,
un
grammatico
cristiano,
durante
il
riposo
sabbatico
degli
ebrei.
Questi,
pensando
che
Hierax
fosse
lì
per
fomentare
disordini,
lo
fecero
arrestare
e
torturare
da
Oreste.
Cirillo,
invece
di
lamentarsi
con
il
prefetto,
mosse
gravi
minacce
ai
capi
degli
ebrei,
scatenando
la
violenta
reazione
accennata
in
precedenza.
Poco
prima
di
questo
episodio,
Amenábar
mostra
il
funerale
del
vescovo
Teofilo
e
rappresenta
il
passaggio
di
consegne
a
Cirillo
come
un
evento
naturale
e
ben
accolto
dai
cristiani
di
Alessandria.
Sappiamo
che,
in
verità,
la
successione
di
Cirillo
allo
zio
fu
causa
di
tumulti
e
lotte
(definite
stasis
da
Socrate
scolastico,
termine
greco
per
ribellione/rivolta)
tra
i
sostenitori
di
Cirillo
e i
sostenitori
del
rivale
Timoteo.
La
figura
di
Cirillo
non
viene
descritta
con
dovizia
di
particolari,
non
si
accenna
neanche
al
suo
incredibile
sapere
filosofico
e
teologico
che
pose
la
sua
rivalità
con
Ipazia
puramente
su
un
piano
intellettuale.
Ormai
verso
la
fine
del
film,
Sinesio,
divenuto
vescovo
di
Cirene,
torna
ad
Alessandria
e si
riunisce
con
la
sua
maestra
e
Oreste.
Egli
sarà
presente
fino
ai
momenti
finali
(e
cruciali)
della
proiezione,
ma è
bene
ricordare
che
Sinesio
non
era
ad
Alessandria
alla
morte
di
Ipazia,
poiché
morì
nel
413
d.
C.,
due
anni
prima
dell’assassinio
della
donna.
In
una
scena
che
segue
l’arrivo
di
Sinesio,
il
governo
dialoga
sull’invito
mosso
a
Oreste
da
parte
di
Cirillo
a
partecipare
alla
funzione
domenicale
come
possibilità
di
dialogo
e di
pace.
Lo
scambio
di
battute
presenta
una
sola,
piccola,
anomalia
quando
un
membro
del
governo
esclama
rivolto
a un
altro:
“se
consideri
la
tua
presenza
così
essenziale,
perché
non
decidi
di
farti
battezzare?”.
La
battuta
è
probabilmente
basata
su
una
legge
occidentale
del
408
che
vietava
“qualsiasi
funzione
ufficiale
ai
pagani”,
mentre
in
Oriente
entrò
in
vigore
solo
nel
416
(un
anno
dopo
la
morte
di
Ipazia).
In
più,
bisogna
domandarsi
in
che
misura
la
normativa
venisse
applicata,
visto
che
numerosi
personaggi
importanti
decisero
di
battezzarsi
molto
dopo
l’acquisizione
di
uno
status
pubblico
(Ambrogio
di
Milano,
per
esempio).
Dunque,
in
questo
contesto
il
dialogo
risulta
improprio,
ma
utile
a
spiegare
ciò
che
avverrà
pochi
minuti
dopo.
La
questione
del
battesimo
è
protagonista
in
due
scene
fondamentali
di
quest’ultima
parte
del
film.
La
prima
è
quella
che
descrive
l’aggressione
subita
dal
prefetto
da
parte
di
Ammonio,
a
cui
abbiamo
fatto
riferimento
prima:
nella
versione
cinematografica,
Oreste,
accusato
di
non
essere
cristiano
da
Cirillo,
continua
a
ripetere
di
essere
veramente
cristiano
e di
essere
stato
battezzato.
Nella
realtà,
l’episodio
si
situa
in
un
contesto
completamente
diverso:
il
prefetto
si
era
imbattuto
in
un
gruppo
di
monaci
riottosi
che
gli
muovono
accuse
di
cripto-paganesimo;
per
calmarli,
Oreste
afferma
di
essere
stato
battezzato
da
Attico,
vescovo
di
Costantinopoli.
Fu
probabilmente
per
l’ostilità
dei
monaci
nei
confronti
della
sede
costantinopolitana
che
si
deve
l’aggressione
di
Ammonio
nei
confronti
del
prefetto.
Dove
peraltro
Oreste
non
viene
protetto
dalle
guardie
del
corpo,
come
nel
film,
bensì
dalla
popolazione
cristiana,
che
interviene
in
suo
soccorso
al
posto
dell’esercito
fuggito.
Teniamo
presente
che
nel
film
sembra
che
Cirillo
(e i
monaci
facinorosi)
goda
dell’appoggio
di
tutti
i
cristiani
di
Alessandria,
mentre,
nella
realtà,
l’episodio
di
Ammonio
dimostra
che
la
situazione
fosse
ben
diversa
e
molto
più
complessa
e
delicata.
La
seconda
scena
è
quella
in
cui
Oreste
e
Sinesio
impongono
il
battesimo
a
Ipazia
per
calmare
Cirillo
(e i
cristiani)
e
per
non
perdere
la
protezione
di
Oreste,
che
sarebbe
costretto
a
negarle
il
pubblico
appoggio
qualora
la
filosofa
avesse
insistito
nel
rifiutare
almeno
una
conversione
“di
facciata”.
Non
risulta
che
Ipazia
fosse
stata
obbligata
da
Oreste
a
battezzarsi
e
che
al
suo
rifiuto
seguì
anche
la
morte.
A
questo
si
ricollega
il
sedicente
ateismo
di
Ipazia,
reso
esplicito
dallo
scambio
di
battute
tra
lei
e un
membro
del
governo
(Ipazia:
“Per
quanto
mi
risulta
il
vostro
Dio
non
ha
ancora
dimostrato
di
essere
più
giusto
o
più
pietoso
dei
suoi
predecessori”
-
Politico:
“E
perché,
allora,
questa
assemblea
deve
accettare
il
consiglio
di
qualcuno
che
non
crede,
per
sua
ammissione,
assolutamente
in
niente?”
-
Ipazia:
“Io
credo
nella
filosofia”)
e
dal
dialogo
con
Sinesio
(Sinesio:
“E
tu
sei
cristiana
quanto
noi”
-
Ipazia:
“Sinesio,
voi
non
mettete
in
discussione
quello
in
cui
credete,
ma
io
devo”).
Ipazia
era
un’esponte
del
neoplatonismo,
dottrina
filosofica
in
cui
si
sosteneva
che
l’intero
cosmo
derivasse
da
un
principio
primo,
buono,
perfetto
e
trascendente,
chiamato
da
Plotino
l’Uno.
Sebbene
inconciliabile
con
la
dottrina
cristiana,
questa
corrente
filosofica
influenzò
molti
pensatori
cristiani
tra
cui
Boezio
e
Agostino.
La
sceneggiatura
rischia
dunque
di
far
credere
allo
spettatore
che
Ipazia
fosse
sostanzialmente
atea
e
precorritrice
di
quel
modello
dello
scienziato-scientista
tutto
moderno
che
crede
soltanto
in
ciò
che
la
ragione
può
dimostrare.
Tutto
ciò
si
discosta
completamente
dalla
figura
reale.
Si
giunge
così
alla
scena
della
morte
di
Ipazia.
Nel
film,
la
filosofa
viene
portata
nel
Serapeo-Museo
di
Alessandria;
in
realtà,
l’omicidio
avvenne
nel
Caisareion,
una
chiesa
edificata
là
dove
sorgeva
il
tempio
di
Augusto.
La
stessa
morte
di
Ipazia
non
avviene
per
lo
strangolamento
di
Davo,
lo
schiavo
che
la
soffoca,
mentre
gli
altri
cercano
pietre
per
l’esecuzione,
per
evitarle
una
morte
violenta.
Il
vero
svolgimento
dei
fatti
è il
seguente:
un
certo
Pietro,
un
lettore,
insieme
a
una
“banda
di
facinorosi”
la
sorprende
per
strada
e la
trascina
nel
Caisareion,
infine
la
lapidano
fino
alla
morte,
ne
smembrano
il
corpo
e
bruciano
i
resti
in
una
piazza.
Sebbene
i
fatti
siano
praticamente
uguali
in
tutte
le
fonti,
le
differenze
che
variano
a
seconda
dell’autore
sono
circa
l’interpretazione
e le
responsabilità.
Il
film
lascia
sospettare
che
Cirillo
sia
il
diretto
responsabile
dell’assassinio,
responsabilità
che
non
si
fonda
su
alcuna
base
storica.
La
rivalità
tra
Cirillo
e
Oreste
non
si
basò
su
dispute
teologiche
e
sul
ruolo
della
donna
nella
società,
ma
su
questioni
prettamente
politiche,
quali
il
controllo
dei
territori,
dei
templi
e
delle
ricchezze
appartenenti
ai
novaziani
ed
espropriati
illegalmente
dal
vescovo
senza
il
consenso
del
prefetto.
Dopo
la
morte
di
Ipazia,
non
è
vero
che
“Oreste
scomparve
per
sempre
e
Cirillo
prese
il
potere
ad
Alessandria”.
Infine,
riguardo
alle
scoperte
scientifiche
di
Ipazia,
è
bene
specificare
che
la
storia
della
scoperta
del
moto
ellittico
dei
pianeti
da
parte
della
filosofa
è
una
licenza
artistica
dello
sceneggiatore.
Il
primo,
di
cui
abbiamo
notizia,
a
enunciare
la
teoria
dell’orbita
ellittica
fu
Keplero
nel
XVII
secolo.