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attualità


N. 7 - Luglio 2008 (XXXVIII)

Aggressività giovanile
l'espressione di un disagio

di Carlo Siracusa

 

Lo scenario in cui oggi è protagonista la figura del giovane adolescente del nostro Paese, è una società che sta evolvendosi verso un sistema sempre più indipendente, dove ciascuno pretende la propria autonomia, pur non avendo gli elementi, le competenze e le garanzie necessarie per dimostrare di essere in grado di saper dirigere se stessi; una società che guarda ai diritti, trascurando i doveri; una società che ha mutato i valori, cambiando l’illegalità in legalità, e ciò ch’era ritenuto immorale in “nuova moralità”; una società in cui istituzioni fondamentali come la scuola e la religione, hanno perso la loro forza morale, lasciando i giovani senza una guida, smarriti, privi di orientamento morale e di fiducia in se stessi.

Nell’ambito di questa situazione generale va inquadrata, sicuramente, anche la crisi della famiglia. L’istituzione familiare ha subito nel corso dei secoli una notevole evoluzione. La famiglia, un tempo ritenuta il nucleo della società, oggi viene considerata un’istituzione superata, da più parti contestata e respinta, dando spazio a nuove congetture di convivenza, come i cosiddetti “DICO”, o le “unioni di fatto” , che consentirebbero anche a persone dello stesso sesso di costituire o, direi meglio, ‘scimmiottare’ quella che, sin dalla comparsa dell’uomo sulla terra, è sempre stata la Famiglia, nel pieno senso del termine. Le ragioni per cui la ‘famiglia’ sta perdendo il suo significato emblematico, sono molteplici e legati intimamente fra loro: fine della società contadina; sgretolamento della famiglia patriarcale; contestazioni femministe; sviluppo di un’educazione consumista; insubordinazione dei figli; disinteresse dello Stato.

La donna, ad esempio, dopo secoli di sudditanza, ha rivendicato i propri diritti, la propria legittima autonomia dall’uomo, sino a qualche decennio fa, somma autorità della famiglia, spesso dispotica. A questo proposito il movimento femminista ha svolto, sostenuto da una grande maggioranza di donne stanche e deluse, un’opera preziosa anche se talvolta scoordinata e non sempre costruttiva. La donna ha avvertito il bisogno di inserirsi attivamente nella società, di compiere le stesse esperienze dell’uomo, di evitare una mortificante emarginazione dal mondo del lavoro, della politica e della cultura. Ciò ha provocato le prime insofferenze, la crisi della coppia, lo scricchiolamento della millenaria autorità maschile, di colui che un tempo era il pater familias.

Questa evoluzione ha portato l’uomo al disorientamento, causando una confusione di ruoli, forse salutare, ma ansiogena, con la difficoltà a rimodellare la propria identità in risposta ai mutamenti culturali, mutamenti che hanno coinvolto inevitabilmente anche i giovani, i figli, un tempo completamente subordinati al padre, quasi schiacciati dalla sua autorità. Se, comunque, l’istruzione di massa ha reso i giovani culturalmente superiori, nello stesso tempo, hanno finito col non riconoscere più la figura genitoriale del padre, la guida, il modello esistenziale e culturale da imitare, reso evanescente dai mutamenti socioeconomici avvenuti negli ultimi tempi. Di conseguenza, i giovani hanno cercato di estraniarsi dalla famiglia, guardando alla figura del genitore, come a un limitatore dell’autonomia personale.

Sulla base dei fattori menzionati sopra, ritengo, dunque, che la crisi della famiglia sia imputabile essenzialmente a un mutato rapporto di forze. E se da una parte, questa crisi ha provocato uno sconvolgimento che si ripercuote negativamente nel comportamento dei giovani, dall’altra ha rappresentato anche un’opportunità, un fatto positivo, in quanto, ha messo in discussione rapporti sbagliati e ingiusti, sedimentatisi nel corso dei secoli, imponendo così la necessità di un cambiamento che, speriamo, porti nel tempo a un giusto equilibrio, nelle posizioni e nei ruoli, di coloro che formano la famiglia.

Come nel caso della famiglia, anche la società ha modificato i suoi schemi, e i giovani hanno modificato il loro atteggiamento verso se stessi, verso la società e verso il mondo. Questo “mutamento generale”, ha sviluppato quel fenomeno che si sta diffondendo con grande rapidità, e che vede giovani provenienti da ogni ceto sociale, manifestare un’aggressività che sfiora la violenza. Purtroppo i genitori hanno sempre meno tempo; la mancanza di tempo porta a una scarsa comunicativa con i figli, di conseguenza questo a sua volta comporta nei giovani, la difficoltà e l’incapacità di comunicare, insieme a un’autentica mancanza di autostima.

A volte, i modelli istiganti all’aggressività, possono trovarsi involontariamente proprio nell’ambito della stessa famiglia: un genitore che, ad esempio, picchia il figlio, propone a quest’ultimo un modello di comportamento improntato alla punizione. Si è riscontrato. Infatti, che un principio di aggressività, i giovani lo manifestano all’interno della propria famiglia, soprattutto quando il genitore non si prende il tempo di ascoltarli.

 

Per illustrare opportunamente la situazione, che vede in stretta correlazione l’esigenza che i genitori sappiano ascoltare i propri figli, e le reazioni impulsive, aggressive o violente che questi ultimi manifestano, visualizziamo la seguente scena: un genitore, sentendo i figli litigare nella loro stanza, si precipita per vedere cosa sta succedendo. Nell’attimo in cui entra nella stanza dei ragazzi, vede uno dei due inveire contro l’altro, dandogli pugni e spintoni. La tendenza immediata del genitore è quella di fermare e punire il figlio che è stato visto scalpitare dando pugni all’altro. In queste circostanze il genitore reagisce rimproverando, dando forse punizioni, gridando. Chi ci assicura, però, che il bambino trovato nell’attimo in cui reagisce, non stia rispondendo a una provocazione dell’altro?


Da questo esempio, comprendiamo l’esigenza che i genitori imparino ad ascoltare i propri figli, piuttosto che reagire con punizioni e urla, onde evitare che la conseguenza immediata del figlio, sia la necessità di dare sfogo a questa “incomprensione” o “disagio”, che nasce già nell’ambito familiare, e trova nel tempo le sue manifestazioni in atti di aggressività, forme di bullismo e azioni violente nei confronti degli altri, spesso allo scopo di impedire la prevaricazione dei propri diritti.
Altre cause, che proprio come in un processo di corrosione per stillicidio, goccia su goccia, contribuiscono a corrodere nei giovani i giusti valori morali, scatenando in loro quelle manifestazioni di aggressività che stanno preoccupando seriamente sia l’opinione pubblica che le autorità, devono ricercarsi nell’uso (o abuso) che viene fatto di strumenti tecnologici come la televisione, i telefonini e i videogiochi.

E’ risaputo che, una lunga esposizione all’osservazione di spettacoli e video, apparentemente innocui, ma con esplicite immagini di sangue e violenza, mette in atto nei giovani un processo di desensibilizzazione della loro coscienza nei confronti della violenza reale, alimentando in loro abitudini aggressive. In alcuni videogiochi, ad esempio, si segnano punti infliggendo ferite; se ne segnano di più sparando al corpo e ancora di più colpendo il bersaglio alla testa. Il sangue esce a fiotti e il tessuto cerebrale schizza su tutto lo schermo.

E’ stato riscontrato, infatti, che i giovani che passano molto tempo davanti ai videogiochi che esaltano la violenza, alimentano in sé ribellione e atteggiamenti ostili verso genitori, istituzioni e autorità.
Con tutta questa violenza, e con l’assenza sistematica dei genitori, impegnati ad affrontare difficoltà economiche di sopravvivenza, i bambini si ritrovano a sostituire il modello e i punti di riferimento della famiglia, con gli squallidi personaggi virtuali presi dai cartoon, dallo spettacolo, dal cinema, dalla musica e dall’intrattenimento in generale. Privi di un serio modello, lasciati soli e in balia di un sistema mediatico improntato sulla violenza e la libera pornografia, i giovani si desensibilizzano moralmente e culturalmente.

Se, dunque, non viene esercitato un dovuto controllo sui programmi e sui giochi che i bambini assorbono, quando questi saranno adolescenti, o anche prima, avranno sviluppato in sé comportamenti apatici, ripetitivi, irrazionali, violenti e soprattutto aggressivi, trovandosi altresì isolati dalla società, senza capacità di socializzazione.

I giovani fanno parte di questo mondo e di questa natura umana, quindi hanno la loro quota di aggressività negativa che va controllata.


E’ cos’ da sempre e sempre sarà. Ciò che si può fare però è educarli, affinché riescano ad inserirsi positivamente nella vita sociale. Una delle prime necessità psicologiche del bambino e dell’adolescente, è quella di avere chiari modelli di riferimento per strutturare la propria personalità ed imitare comportamenti adeguati. Questo è il percorso di crescita di cui tutti i giovani hanno bisogno e che in qualche misura richiedono.


E’ chiaro che gli adulti cercheranno di trasmettere regole sociali e valori da rispettare che favoriscano l’adattamento al mondo in cui si vive. Ma se il mondo, la società, gli adulti, la stessa famiglia e la scuola, danno di sé un’immagine aggressiva o di eccessiva tolleranza e indifferenza di fronte all’aggressività, non potranno non trasmettere questo contenuto e questo modello negativo ai giovani, aumentando le loro difficoltà di adattamento e quelle di chi deve educarli alle regole sociali e all’autocontrollo.

Può darsi che l’origine dei problemi dei giovani d’oggi, è da ricercarsi in un’azione educativa troppo blanda, permissiva, che ha prodotto effetti negativi sui ragazzi sia sul piano della chiusura relazionale che di quello della trasgressione.


L’incapacità giovanile di frenare gli impulsi, di negoziare i conflitti, di esprimere in maniera chiara un contrasto, di sentirsi responsabili delle proprie azioni, di riflettere sulle conseguenze dei propri atti, ha come causa generale l’incapacità di molti adulti (nella società, nella scuola e nella famiglia) di trasmettere queste competenze, in quanto carenti loro stessi di queste abilità basilari nella vita di ogni persona.


Carenze che hanno una loro spiegazione nella difficoltà degli educatori nel modo di comunicare, di essere presenti, di dire dei no, di proporre dei modelli positivi, di assumere un ruolo di guida e di riferimento deciso, forte. E’ la diffusione di una cultura e di una società adulta in cui tutto sembra essere permesso, che cerca di evitare le responsabilità individuali, anche tra i giovani.


E’ necessario, dunque, che gli adulti riprendano il loro ruolo di educatori, che sappiano fornire un’identità ai giovani! Ovviamente, il ruolo centrale rimane sempre quello della famiglia. Purtroppo, pare che i genitori di questa generazione siano troppo “impegnati” con la carriera secolare, le cene con gli amici, la Coppa dei Campioni, quella della Nazionale, la palestra, la lampada abbronzante, … Insomma, troppi “impegni”! E per i loro figli chi ci pensa? Bè, la loro educazione è stata delegata, prima alla televisione, poi a internet e infine alla scuola.
L’aggressività degli adolescenti, la loro irrequietezza e impulsività, è legata quindi alla individuale capacità di autocontrollo che hanno saputo sviluppare e al freno che i genitori e la famiglia hanno saputo mettere ai loro comportamenti. In mancanza di questo freno è importante che anche la società nel suo insieme sia capace di far rispettare le proprie regole ponendosi come modello.

Se questo non avviene, se i modelli spesso non ci sono o sono negativi, se non scattano sanzioni certe rispetto alle azioni trasgressive, se gli adulti non intervengono a stigmatizzare le azioni di prepotenza e di delinquenza, allora è facile che i giovani tengano poco in considerazione questi limiti, non preoccupandosi delle conseguenze che potrebbero subire.


Se la scuola, ad esempio, sottovalutasse il fenomeno del bullismo, delle prepotenze continuate in classe, non prendendosi carico di quelle azioni che potrebbero contrastarlo, allora sarà facile che in quella scuola si sviluppi una cultura della sopraffazione e della impunibilità. Anche per strada, se di fronte a piccole trasgressioni, molestie, o a vere e proprie azioni delinquenziali, il cittadino comune non facesse sentire la sua voce, o ancora meglio non provasse ad intervenire per contrastare tali azioni, è chiaro che un tale messaggio di indifferenza, paura, condizionamento, diventerebbe un esempio di impunità per i giovani.


In conclusione, non è solo perché l’aggressività è qualitativamente e quantitativamente diversa rispetto al passato, che si può pensare che i giovani di oggi siano aggressivi, violenti e pericolosi. Osservando i giovani possiamo dire che questi sono in parte il prodotto della società odierna, del suo grado di complessità, delle incertezze che vive, di un futuro che oggi ha pochi punti di riferimento stabili. I giovani d’oggi rispecchiano esattamente la società in cui vivono.
L’aggressività dei giovani, il loro vivere senza limiti, la loro impulsività, non è altro che il prodotto di una società in trasformazione, che in parte non ha saputo trasmettere, nella famiglia e nella convivenza civile, autocontrollo, autorevolezza e rispetto delle regole, che non ha saputo proporre modelli costruttivi, che non ha saputo dare loro l’attenzione necessaria ed evitare quelle modalità educative che hanno invece rinforzato gli atteggiamenti trasgressivi.

Fortunatamente, però, nonostante questa visione “pessimistica” della realtà giovanile del nostro tempo, sono più frequenti i momenti dove prevale la ricchezza di esperienze positive, il piacere della socializzazione con il gruppo, il riuscire a dimostrare di valere a scuola, nel lavoro e nella vita, la voglia di conoscere il mondo, la capacità di produrre azioni di solidarietà e di attenzione al prossimo.


Il disagio giovanile non è dunque una caratteristica che riguarda tutti i giovani d’oggi, ma è l’espressione di una vita problematica di una parte di loro (abuso e dipendenza da droghe, anoressia, bulimia, comportamenti antisociali, forti difficoltà relazionali e familiari) che si innesca in quelle difficoltà adolescenziali tipiche di ogni epoca e in quelle specifiche della società in cui vivono.


Le difficoltà adolescenziali hanno una necessità evolutiva ed esistenziale, senza le quali il percorso di crescita non si svilupperebbe appieno, ma verso la quale la collettività e la famiglia devono saper rispondere con attenzione per adempiere appieno al loro ruolo.

 

 

 

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