N. 74 - Febbraio 2014
(CV)
AGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - PARTE XI
di Massimo Manzo
Ofella
cominciò
la
campagna
di
reclutamento
nell’inverno
del
309,
cercando
di
mettere
insieme
in
pochi
mesi
quanti
più
uomini
poteva.
I
suoi
emissari
batterono
in
lungo
e in
largo
la
Grecia
riuscendo
a
coinvolgere
qualche
migliaio
di
volontari,
attratti
dalle
suadenti
promesse
di
gloria
e
bottino.
Come
abbiamo
già
accennato,
in
quel
periodo
le
poleis
greche
stavano
attraversando
un
momento
difficile
della
loro
storia.
Teatro
delle
lotte
tra
i
diadochi
per
la
successione
al
trono
macedone,
la
penisola
ellenica
stava
perdendo
per
sempre
la
sua
centralità
politica
e
soffriva
di
una
pesante
crisi
economica.
Non
stupisce
dunque
che
un
gran
numero
di
greci
abbia
colto
al
volo
l’opportunità
che
gli
forniva
Ofella,
nella
speranza
di
emigrare
in
terre
che
si
favoleggiava
fossero
fertili
e
ricche.
A
seguire
i
soldati
c’erano
le
loro
famiglie
e un
gran
numero
di
coloni,
pronti
a
farsi
una
nuova
vita.
Persino
molti
ateniesi
risposero
all’appello,
ingrossando
le
fila
del
nuovo
esercito.
Ofella
intratteneva
con
Atene
degli
ottimi
rapporti
diplomatici,
che
aveva
cementato
sposando
Euridice,
donna
ricca,
influente
e
soprattutto
discendente
di
Milziade,
il
leggendario
eroe
di
Maratona.
Quando
i
reclutatori
terminarono
la
loro
missione
l’armata
contava
ben
diecimila
fanti,
seicento
cavalieri
e un
centinaio
di
carri.
I
non
combattenti,
tra
cui
donne
e
bambini,
erano
altrettanti.
Nel
complesso
si
trattava
di
ventimila
persone,
pronte
ad
affrontare
i
pericoli
e le
fatiche
di
un
lungo
viaggio
e di
una
campagna
militare
tutt’altro
che
semplice.
Arrivato
in
Africa,
il
contingente
iniziò
la
marcia
verso
gli
accampamenti
di
Agatocle.
Non
disponendo
di
una
vera
e
propria
flotta,
la
lunga
carovana
procedette
a
piedi
da
Cirene,
attraversando
tutta
la
zona
della
sirtica.
Diciotto
giorni
dopo
la
partenza
Ofella
raggiunse
la
città
di
Automala
(attuale
el-Agheila
in
Cirenaica)
coprendo
una
distanza
di
circa
seicento
chilometri
e
proseguì
poco
dopo
inoltrandosi
in
pieno
deserto.
Fu
quello
il
frangente
più
difficoltoso.
A
detta
di
Diodoro,
ci
furono
momenti
in
cui
la
scarsità
di
viveri
e
l’ostilità
dell’ambiente
fecero
temere
il
disastro.
Alcuni,
soprattutto
tra
i
civili,
non
sopravvissero
agli
stenti,
ma
per
fortuna
dopo
due
mesi
di
marcia
il
grosso
del
contingente
giunse
a
destinazione,
dove
fu
accolto
da
Agatocle,
che
si
premurò
di
rifocillare
i
nuovi
arrivati.
I
due
capi
si
incontrarono
per
concordare
insieme
la
comune
strategia
contro
i
cartaginesi.
Ora
la
forza
militare
greca
era
quasi
raddoppiata,
bisognava
solo
coordinarla
e
metterla
alla
prova.
Sappiamo
che
in
quei
giorni Agatocle
ed
Ofella
si
videro
spesso,
anche
in
occasioni
informali,
come
banchetti.
Pur
essendo
due
personalità
forti,
inizialmente
sembrava
esserci
piena
intesa,
tanto
che
per
rendere
duratura
l’alleanza
uno
dei
figli
di
Agatocle,
Eraclito,
fu
adottato
dal
macedone,
o
secondo
altre
fonti
preso
in
ostaggio.
In
entrambi
i
casi
non
c’era
nulla
di
strano
nel
comportamento
dei
due
strateghi.
È
questo
punto
che
accadde
ciò
che
poco
prima
sarebbe
apparso
impensabile:
riuniti
in
assemblea
i
suoi
uomini,
Agatocle
accusò
Ofella
di
tradimento,
ne
attaccò
il
campo
e lo
uccise,
appropriandosi
dell’esercito
alleato,
che
convinse
all’obbedienza
con
le
solite
generose
promesse.
Il
siracusano
si
trovava
così
a
capo
di
un’armata
raddoppiata
nei
numeri
(anche
se i
suoi
uomini
erano
di
gran
lunga
superiori
per
preparazione
ed
esperienza)
e
tornava
ad
essere
il
capo
assoluto
di
tutte
le
forze
greche
anti
cartaginesi.
L’assassinio
di
Ofella,
compiuto
senza
scrupoli
in
modo
così
repentino,
lascia
però
una
serie
di
dubbi
che
le
fonti
storiche
(in
primo
luogo
Diodoro,
Giustino
e in
parte
anche
Polièno)
contribuiscono
a
rafforzare.
Nel
corso
degli
anni,
Agatocle
si
era
senza
dubbio
macchiato
le
mani
di
sangue,
ordinando
stragi,
assassinii,
e
complotti.
Nulla
era
però
lasciato
al
caso.
Anche
le
soluzioni
più
violente
e
quelle
all’apparenza
dettate
dall’ira
avevano
un
secondo
fine:
militare,
politico,
strategico.
Ma
quali
furono
i
motivi
veri
che
causarono
la
morte
di
Ofella?
Conveniva
ad
Agatocle
agire
in
quel
modo
solo
per
acquisire
le
truppe
del
suo
sfortunato
alleato?
A
questo
proposito
bisogna
mettere
sul
piatto
almeno
tre
ipotesi.
La
prima
comprende
gli
eventuali
contrasti
sorti
dopo
l’incontro
tra
i
due
strateghi.
Di
fronte
a
delle
differenze
di
vedute
sulla
conduzione
della
guerra
Agatocle
avrebbe
deciso
di
sbarazzarsi
del
macedone
senza
troppi
complimenti.
Una
soluzione
eccessiva,
anche
per
un
uomo
risoluto
come
lui,
che
avrebbe
richiesto
delle
motivazioni
di
una
certa
gravità.
La
seconda
ipotesi
è
invece
opposta:
sapendo
che
Ofella
tramava
alle
sue
spalle
per
prenderne
il
posto,
il
siracusano
avrebbe
deciso
di
anticiparlo.
In
questo
caso,
però,
la
scelta
del
macedone
sarebbe
stata
suicida.
Appena
arrivato,
con
un’armata
stremata
dalla
fatica,
come
avrebbe
potuto
sperare
di
neutralizzare
le
temibili
truppe
del
suo
alleato,
sperando
che
poi
passassero
dalla
sua?
L’ultima
ipotesi,
senz’altro
la
più
suggestiva,
tira
in
ballo
un
terzo
personaggio,
cioè
Tolomeo
d’Egitto,
il
quale
avrebbe
spinto
Agatocle
ad
eliminare
Ofella,
prima
che
quest'ultimo
diventasse
un
serio
pericolo
per
la
stabilità
del
suo
regno.
Una
sorta
di
omicidio
politico
preventivo,
preceduto
naturalmente
da
una
trattativa
segreta
con
Agatocle.
Se
il
movente
è
plausibile,
l'intromissione
di
Tolomeo
non
trova
riscontri
storici
convincenti
e
rimane
al
contrario
un'opinione
non
confermata
dalle
fonti
antiche.
Comunque
siano
andate
le
cose,
uno
dei
risvolti
immediati
di
quell'atto
fu
la
sorte
dei
civili
che
avevano
seguito
Ofella
in
Africa
con
la
speranza
di
colonizzare
nuove
terre.
Ritenendoli
un
peso
inutile
ed
ingombrante
per
il
successo
della
guerra,
Agatocle
decise
di
trasferirli
(o
meglio
deportarli)
in
Sicilia,
dove
avrebbero
potuto
fondare
un
insediamento
nei
pressi
di
Siracusa.
La
loro
fine
fu
però
tragica.
Durante
la
navigazione,
un
violento
temporale
fece
naufragare
le
navi,
che
andarono
a
picco
nei
pressi
dell'isola
di
Pitecusa,
di
fronte
alle
coste
italiane.
La
maggior
parte
dei
coloni
morì.
Solo
una
piccola
trovò
la
salvezza
sulle
spiagge
siciliane.
Quella
che
era
iniziata
come
un'avventura,
faticosa
e
incerta,
ma
al
tempo
stesso
dettata
dal
disperato
desiderio
di
un'avvenire
migliore,
si
rivelò
il
peggiore
degli
incubi.
Negli
stessi
momenti
in
cui
si
verificavano
questi
tumultuosi
fatti,
a
Cartagine
Bomilcare
era
sul
punto
di
tentare
il
colpo
di
mano
che
ormai
meditava
da
tempo,
approfittando
dell'assenza
di
parte
dei
cittadini
più
illustri,
impegnati
con
l'esercito
in
una
delle
tante
spedizioni
contro
i
soliti
indisciplinati
numidi.
Credendo
che
il
momento
fosse
propizio,
l'ambizioso
generale
punico
radunò
un
migliaio
di
mercenari
e
cinquecento
concittadini
in
un
sobborgo
di
Cartagine,
dividendoli
in
cinque
gruppi.
Il
piano
era
semplice:
i
suoi
uomini
avrebbero
occupato
la
piazza
del
mercato
e i
punti
nevralgici
della
città,
travolgendo
eventuali
oppositori.
A
quel
punto
lui
avrebbe
preso
le
redini
del
potere,
esautorando
il
senato.
Per
la
popolazione,
colta
di
sorpresa,
sarebbe
stato
impossibile
opporsi
al
fatto
compiuto.
I
calcoli
di
Bomilcare
non
potevano
rivelarsi
più
errati.
Appena
si
accorsero
di
ciò
che
stava
accadendo,
i
punici
reagirono
in
modo
pronto
e
deciso,
mandando
all'aria
i
suoi
piani.
Le
forze
del
generale
furono
neutralizzate
ancora
prima
di
giungere
nella
piazza
da
una
folla
inferocita.
Bomilcare
fu
catturato
e
giustiziato,
proprio
nel
cuore
di
Cartagine,
subendo
il
supplizio
che
le
leggi
riservavano
ai
traditori.
Con
una
mossa
intelligente,
poi,
il
senato
graziò
alcuni
dei
congiurati,
forse
per
evitare
inutili
rappresaglie.
Il
fallimento
fu
totale.
A
questo
proposito
Diodoro
ci
informa
che
sia
il
generale
punico
che
Agatocle
erano
del
tutto
ignari
di
ciò
che
stava
accadendo
nel
campo
avverso.
Se
ne
fossero
stati
informati,
sicuramente
entrambi
avrebbero
tentato
di
ottenere
l'appoggio
dell’altro,
in
modo
da
organizzare
un
armistizio
dopo
il
successo
del
golpe.