N. 71 - Novembre 2013
(CII)
AGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - PARTE VIII
di Massimo Manzo
I
cartaginesi
furono
fortemente
scossi
dalla
sconfitta
subita
alle
porte
della
loro
città.
In
quei
giorni
di
angoscia
e di
paura
si
ordinarono
sacrifici
a
Baal
e
Melkart,
le
due
più
importanti
divinità
del
pantheon
punico,
mentre
il
senato
decise
di
inviare
delle
navi
in
Sicilia,
per
chiedere
urgentemente
rinforzi
al
contingente
di
Amilcare.
Diodoro
racconta
molto
accuratamente
l’ansia
dei
punici
in
quel
difficile
momento
della
loro
storia:
ingenti
somme
di
denaro
e
preziose
ricchezze
furono
inviate
nei
templi
della
madrepatria
Tiro
per
lungo
tempo
trascurati
e si
arrivò
persino
a
sacrificare
dei
fanciulli
delle
più
nobili
famiglie
per
placare
l’ira
degli
dei.
Il
riferimento
ai
sacrifici
umani,
presente
nella
narrazione
diodorea,
risponde
ad
un
radicato
pregiudizio,
da
sempre
presente
nella
tradizione
greca,
volto
a
denigrare
i
costumi
dei
cartaginesi,
dipinti
come
barbari
crudeli
e
senza
scrupoli.
A
prescindere
dalla
verità
di
questo
macabro
rito,
la
situazione
era
comunque
preoccupante.
Solcando
in
fretta
i
mari,
i
navigli
cartaginesi
sbarcarono
in
tempi
molto
rapidi
sulle
coste
siciliane.
Nell’isola
trovarono,
capovolto,
un
quadro
analogo
a
quello
che
avevano
lasciato
in
Africa.
I
siracusani,
asserragliati
dietro
le
possenti
mura
della
città,
erano
logorati
dall’assedio
delle
truppe
di
Amilcare,
che
con
il
suo
esercito
affiancato
dai
dissidenti
greci
di
Dinocrate,
controllava
gran
parte
del
territorio
circostante.
Siracusa
e
Cartagine
vivevano
in
quel
frangente
le
medesime
difficoltà:
assediate
e in
balia
di
un
invasore
straniero.
Nel
loro
viaggio
verso
la
Sicilia
le
navi
cartaginesi
avevano
portato
con
sé i
rostri
di
bronzo
della
flotta
di
Agatocle,
che
come
abbiamo
visto
il
tiranno
aveva
bruciato
appena
giunto
in
Africa.
Appena
Amilcare
fu
al
corrente
di
questo
particolare,
ne
approfittò
in
modo
ingegnoso
per
chiudere
definitivamente
la
sua
partita
con
Siracusa.
Inviò
infatti
dei
messi
in
città
per
comunicare
ai
siracusani
che
l’armata
di
Agatocle
in
Africa
era
stata
distrutta
e le
navi
bruciate.
Esibendo
i
rostri
come
prova
delle
loro
affermazioni,
gli
ambasciatori
cartaginesi
chiedevano
la
resa
della
città,
offrendo
in
cambio
condizioni
di
pace
favorevoli.
Amilcare
promise
di
astenersi
dal
saccheggio
e
dalle
rappresaglie
contro
la
popolazione
civile
e
anzi
si
impegnò
a
difendere
coloro
che
decidessero
di
lasciare
Siracusa,
ponendoli
sotto
la
sua
protezione.
All’inizio
il
tranello
sembrò
funzionare.
Gran
parte
della
popolazione
premeva
affinché
si
accettasse
l’offerta
di
Amilcare,
soprattutto
i
parenti
dei
soldati
inviati
in
Africa,
mentre
il
consiglio
cittadino
discuteva
animatamente
il
da
farsi.
In
particolare
a
scontrarsi
furono
Antandro,
fratello
di
Agatocle,
e
Erimnone,
un
altro
dei
fedelissimi
del
tiranno.
Entrambi
ricoprivano
ruoli
di
massima
importanza
nella
gestione
del
potere
ed
erano
stati
piazzati
li
da
Agatocle
in
ragione
della
loro
cieca
ubbidienza.
Antandro,
che
Diodoro
dipinge
come
uno
stupido
incapace
di
prendere
iniziative,
era
favorevole
alla
resa,
condizionato
dal
sentimento
del
popolino,
mentre
Erimnone
voleva
al
contrario
aspettare
di
ricevere
notizie
più
precise
dal
fronte
africano.
Conosceva
Amilcare
e
guardava
con
sospetto
le
sue
proposte.
Per
fortuna,
la
linea
di
Erimnone
finì
col
prevalere
e
gli
eventi
dimostrarono
come
la
sua
prudenza
fosse
pienamente
giustificata.
Poco
tempo
dopo,
infatti,
giunsero
in
vista
della
costa
due
imbarcazioni
greche,
mandate
da
Agatocle
per
annunciare
la
vittoria.
Il
solito
Diodoro
descrive
l’arrivo
delle
navi
condendolo
con
aneddoti
rocamboleschi:
“dopo
cinque
giorni
di
navigazione
s'avvicinarono
a
Siracusa
nottetempo;
sul
far
del
giorno,
portando
corone
sul
capo
e
cantando
l’inno
della
vittoria,
s’accingevano
ad
approdare
in
città.
Se
ne
accorsero
però
le
navi
vedetta
cartaginesi
e
immediatamente
si
lanciarono
all’inseguimento.
Poiché
i
fuggitivi
non
precedevano
di
molto,
la
gara
fu
tra
i
rematori:
e
mentre
fra
questi
si
accendeva
la
contesa,
se
ne
avvidero
sia
quelli
della
città
sia
gli
assedianti
e
corsero
in
massa
al
porto;
e
ciascuno
partecipando
e
soffrendo
dalla
parte
dei
suoi,
lanciavano
grida
d’incitamento”.
Dopo
una
vera
e
propria
gara
di
velocità,
con
un
ultimo
sforzo
i
greci
riuscirono
ad
arrivare
sotto
le
mura
finalmente
al
sicuro
dagli
inseguitori,
sui
quali
piombavano
ormai
i
proiettili
lanciati
dagli
spalti.
Ma
non
è
finita
qui.
Osservando
con
attenzione
la
situazione
delle
fortificazioni,
Amilcare
aveva
notato
che
in
quegli
attimi
di
concitazione
una
parte
delle
mura
era
rimasta
sguarnita.
I
siracusani
se
l’erano
letteralmente
“scordata”,
presi
dall’ansia
di
quella
corsa
sul
mare.
In
men
che
non
si
dica
il
generale
punico
sferrò
un
attacco
e un
suo
drappello
riuscì
a
scalare
le
mura.
La
mossa
di
Amilcare
avrebbe
potuto
avere
gravi
conseguenze,
ma
per
fortuna
la
ronda
se
ne
accorse
respingendo
a
fatica
gli
assalitori.
Insomma,
il
generale
punico
fu
beffato
due
volte.
I
siracusani
scoprirono
la
verità
sulla
situazione
del
loro
contingente
in
Africa
e
non
pensarono
più
alla
resa.
Amilcare
distaccò
cinquemila
uomini
della
sua
armata
inviandoli
a
Cartagine,
in
aiuto
della
città.
Nel
frattempo,
in
Africa
Agatocle
consolidava
la
sua
posizione,
sottomettendo
una
grande
fetta
del
territorio
che
circondava
Cartagine
e
guadagnando
l’appoggio
di
parte
della
popolazione
locale.
La
base
delle
sue
operazioni
era
ormai
Tunisi,
fortezza
che
le
truppe
greche
erano
finalmente
riuscite
a
occupare.
Lo
rimarrà
lungo
tutta
l’avventura
africana,
garantendo
ai
greci
un
punto
d’appoggio
logisticamente
importantissimo.
Uno
dei
primi
alleati
di
Agatocle
fu
Elima,
re
dei
libi,
il
quale
sperava
di
liberarsi
dalla
tradizionale
sudditanza
a
Cartagine,
o
più
realisticamente,
di
partecipare
alle
scorrerie
greche
accumulando
bottino.
Sarà
però
un’alleanza
fragile.
Poco
dopo,
infatti,
Elima
ritornerà
dalla
parte
dei
punici,
ma
verrà
sconfitto
e
ucciso
in
battaglia
dalle
truppe
del
tiranno.
Il
comportamento
che
i
greci
assumevano
nei
confronti
delle
città
occupate
variava
a
seconda
delle
circostanze.
Quelle
che
offrivano
la
propria
alleanza,
anche
dopo
aver
resistito
all’assedio,
venivano
trattate
umanamente,
mentre
chi
rifiutava
di
mettersi
dalla
parte
dei
greci
subiva
la
distruzione
e il
saccheggio.
La
reazione
dei
punici,
appena
ricevuti
i
rinforzi
da
Amilcare,
fu
immediata
ma
inefficace.
Sfruttando
la
temporanea
assenza
da
Tunisi
del
grosso
del
contingente
greco,
essi
provarono
a
mettere
sotto
assedio
la
città
e a
riconquistare
alcuni
dei
territori
persi,
ma
furono
nuovamente
sorpresi
da
Agatocle,
che
riuscì
nuovamente
a
respingerli
infliggendogli
l’ennesima
umiliazione.