N. 69 - Settembre 2013
(C)
AGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - PARTE VI
di Massimo Manzo
Lo
sbarco
di
Agatocle
segnò
un
punto
di
svolta
sia
nella
vita
che
nella
politica
del
siracusano.
Il
contatto
con
Cartagine
e
con
le
popolazioni
del
Nord
Africa,
a
loro
volta
vicine
ai
regni
dei
Diadochi
come
quello
egiziano
di
Tolomeo,
cambiarono
totalmente
le
prospettive
del
tiranno.
Da
semplice
autocrate,
seppur
ambizioso,
degno
erede
delle
tirannidi
sorte
nella
Sicilia
greca,
egli
cominciò
a
percorrere
la
strada
che
lo
porterà
a
divenire
un
vero
e
proprio
sovrano
ellenistico,
non
meno
potente
degli
eredi
di
Alessandro.
Fu
la
campagna
africana,
dunque,
durata
ben
tre
anni,
a
trasformare
Agatocle
da
“tiranno”
a
“re”.
La
flotta
greca
navigò
per
sei
giorni
e
sei
notti
prima
di
giungere
in
vista
della
costa
africana.
Durante
tutto
il
tragitto
alcune
navi
cartaginesi
avevano
inseguito
i
greci,
tentando
di
raggiungerli
prima
che
approdassero
in
Africa.
Quando
le
navi
di
Agatocle
furono
quasi
arrivate
sulle
spiagge
delle
Latoiamai
(attuale
Capo
Bon)
furono
agganciate
dagli
inseguitori
punici,
che
tuttavia
dopo
un
breve
scontro
dovettero
lasciar
sbarcare
i
greci.
Una
volta
tirate
in
secco
le
navi,
il
siracusano,
com’era
nel
suo
stile,
sorprese
tutti
con
un
atto
inaspettato.
Dopo
aver
ordinato
sacrifici
a
Demetra
e
Kore
(divinità
tradizionalmente
venerate
in
Sicilia)
riunì
le
truppe
in
assemblea
e
presentandosi
al
loro
cospetto
con
una
corona
d’alloro
in
testa,
ordinò
di
bruciare
l’intera
flotta.
Di
fronte
all’esercito,
Agatocle
confessò
di
aver
fatto
un
voto
irrevocabile,
promettendo
alle
dee
di
incendiare
le
navi
se
mai
fosse
arrivato
sano
e
salvo
in
Africa.
Detto
questo,
balzò
sull’ammiraglia
con
una
torcia
e
diede
inizio
a
quell’inusuale
sacrificio.
I
comandanti
fecero
lo
stesso
e in
breve
tempo
il
fuoco
avvolse
le
navi,
tra
lo
sgomento
delle
truppe.
L’atmosfera
dell’incendio
fu
preparata
ad
arte:
“mentre
le
fiamme
si
levavano
alte
nel
cielo,
i
trombettieri
diedero
il
segnale
della
battaglia
e
l’esercito
lanciò
il
grido
di
guerra
inframmezzandolo
con
le
preghiere
per
un
felice
ritorno
a
casa”,
racconta
Diodoro.
L’esercito
fu
dunque
coinvolto
emotivamente
da
quell’evento.
Quel
rito
“mistico”
lasciò
negli
uomini
sentimenti
contrastanti,
dallo
smarrimento
per
aver
perso
anche
la
speranza
di
tornare
a
casa,
all’euforia
nell’udire
Agatocle
che
prometteva
gloria
e
bottino,
fino
all’inevitabile
rassegnazione.
Ognuno
dei
soldati
dovette
acquisire
la
consapevolezza
di
giocarsi
il
tutto
per
tutto
in
quella
campagna
militare.
Come
abbiamo
visto
più
volte
nel
corso
del
nostro
racconto,
dietro
ogni
colpo
di
scena
messo
in
atto
da
Agatocle
si
celavano
in
realtà
obiettivi
pratici
ben
precisi.
Il
tiranno,
anche
in
situazioni
estreme,
lasciava
ben
poco
al
caso.
Lungi
dall’essere
dettato
da
motivi
religiosi,
l’incendio
della
flotta
fu
pianificato
per
due
ragioni,
la
prima
di
ordine
strategico,
la
seconda
psicologica.
Avendo
intenzione
di
addentrarsi
in
territorio
nemico
via
terra,
il
tiranno
non
poteva
permettersi
di
lasciare
incustodite
le
sue
navi.
Queste
ultime
sarebbero
divenute
facile
preda
dei
cartaginesi
e in
ogni
caso
una
parte
delle
truppe
avrebbe
dovuto
starvi
di
guardia
(e
quindi
essere
estromessa
dalle
operazioni
militari).
Inoltre,
quell’atto
estremo
avrebbe
costretto
i
soldati
a
battersi
fino
all’ultimo
senza
risparmiarsi:
la
disperazione
li
avrebbe
spinti
a
cercare
la
vittoria
a
tutti
i
costi.
Gli
ultimi
fumi
ancora
salivano
dalle
navi,
quando
Agatocle
ordinò
l’avanzata
verso
l’interno
dell’attuale
penisola
di
Capo
Bon.
Come
abbiamo
accennato,
il
suo
piano
consisteva
nel
fare
terra
bruciata
nei
domini
punici,
distruggendone
le
città
e
devastandone
il
territorio.
Una
volta
indotte
alla
ribellione
le
popolazioni
soggette
ai
cartaginesi
anche
la
potente
città
africana
sarebbe
stata
costretta
alla
resa.
La
sua
prima
preda
fu
Megalopoli,
che
oggi
gli
archeologi
identificano
con
Sidi
Saoud
o
con
Soliman
(anche
se
il
punto
è
molto
controverso).
La
marcia
dei
greci
dovette
essere
promettente.
Diodoro
racconta
che
attraversarono
un’area
prospera,
ricca
di
coltivazioni
ben
irrigate
e di
corsi
d’acqua,
prima
di
giungere
in
vista
del
loro
obiettivo.
Anche
se
non
abbiamo
certezze
sulla
collocazione
precisa
del
centro,
le
fonti
ci
parlano
di
una
città
benestante,
non
abituata
a
guerre
o
assedi
e
quindi
impreparata
all’arrivo
dell’agguerrito
esercito
di
Agatocle.
Colta
di
sorpresa,
Megalopoli
fu
travolta
rapidamente.
I
greci,
imbaldanziti
dalla
facile
vittoria,
la
travolsero
con
foga,
saccheggiandola
e
massacrandone
gli
abitanti.
Contro
il
volere
delle
truppe,
che
volevano
mantenervi
un
presidio,
Agatocle
ordinò
poi
di
raderla
al
suolo.
Secondo
i
suoi
piani,
almeno
in
questa
prima
fase
delle
operazioni
l’offensiva
doveva
essere
veloce
e
coinvolgere
tutto
il
contingente,
per
non
dar
modo
ai
punici
di
organizzare
difese
efficaci.
Come
un
fiume
in
piena,
le
truppe
greche
proseguirono
la
propria
marcia
verso
Tunisi,
ad
appena
18
kilometri
da
Cartagine,
espugnando
con
facilità
villaggi
e
città
lungo
il
cammino.
A
differenza
delle
altre,
però,
Tunisi
non
era
così
facile
da
occupare.
Cinta
da
poderose
mura,
essa
sorgeva
su
un’altura
a
nord
est
della
laguna
di
El
Bahira
e si
era
sviluppata
notevolmente
grazie
alla
sua
posizione
geografica.
Nel
frattempo
a
Cartagine
era
scoppiato
il
panico.
Colti
alla
sprovvista
dallo
sbarco
di
Agatocle,
i
punici
non
disponevano
ancora
di
informazioni
precise
sull’entità
delle
forze
nemiche.
Regnava
l’indecisione.
Prima
dell’arrivo
dei
messaggeri
appartenenti
alla
flotta
che
aveva
inseguito
il
tiranno,
le
notizie
erano
confuse
e
contraddittorie.
Mentre
la
popolazione
era
in
preda
al
terrore,
il
senato
decise
di
riunirsi
e
alcuni
dei
senatori,
per
prendere
tempo,
proposero
di
negoziare
con
il
nemico.
Tutto
sembrava
andare
secondo
i
piani
del
tiranno.