N. 61 - Gennaio 2013
(XCII)
AGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - Parte III
di Massimo Manzo
Dopo
il
fallito
tentativo
di
espugnare
Messana
e il
temporaneo
ritiro
a
Siracusa,
la
paura
di
una
imminente
iniziativa
aggressiva
del
tiranno
siracusano
portò
Agrigento,
Gela
e la
stessa
Messana
a
firmare
un’alleanza
militare
e a
pianificare
per
primi
un’offensiva
armata.
Ormai
i
più
importanti
insediamenti
greci
rimasti
indipendenti
in
Sicilia
erano
consapevoli
della
pericolosità
di
Agatocle
e
preferivano
giocare
in
attacco,
bloccando
sul
nascere
le
sue
velleità
egemoniche.
Un
ruolo
determinante
nella
definizione
di
tale
strategia
fu
giocato
senza
dubbio
da
Sosistrato
e da
Dinocrate,
nemici
di
vecchia
data
del
tiranno,
che
insieme
agli
altri
superstiti
delle
epurazioni
agatoclee
erano
ansiosi
di
porre
fine
all’avventura
del
loro
avversario.
Come
al
solito,
si
preferì
cercare
fuori
dalla
Sicilia
la
persona
che
avrebbe
assunto
il
comando
supremo
delle
operazioni.
Come
ci
dice
Diodoro:
“sugli
esponenti
della
comunità
cittadina
c’era
il
sospetto
che
tendessero
naturalmente
alla
tirannide;
i
forestieri,
invece,
si
riteneva
che
avrebbero
governato
prendendosi
cura
con
giustizia
degli
interessi
generali,
e a
tal
proposito
si
ricordava
Timoleonte
di
Corinto
che
ebbe
[in
passato]
il
comando
supremo”.
Quasi
sicuramente,
questo
generico
timore
espresso
dallo
storico
cela
una
velata
diffidenza
dei
maggiorenti
delle
città
alleate
proprio
nei
confronti
di
Sosistrato,
il
quale,
assumendo
il
comando
delle
forze
armate,
avrebbe
potuto
instaurare
anch’egli
un
governo
autocratico,
vanificando
l’intento
“anti-tirannico”
dell’alleanza.
Il
personaggio
di
Sosistrato,
d’altronde,
non
era
privo
di
ambizioni
personali,
avendo
dimostrato
in
passato
una
certa
inclinazione
verso
il
potere
assoluto.
La
scelta
cadde
così
sullo
spartano
Acrotato,
figlio
del
re
Cleomene
II,
che
fu
ben
lieto
di
fuggire
da
Sparta
in
cerca
di
gloria,
essendo
da
tempo
in
contrasto
con
l’estabilishement
della
sua
città.
Quello
di
Sparta
fu
dunque
un
aiuto
“ufficioso”,
che
non
espose
direttamente
la
polis
nei
suoi
rapporti
diplomatici
con
le
altre
città
siciliane,
compresa
Siracusa.
Se
pensiamo
alla
situazione
politica
in
cui
si
trovava
Sparta
in
quegli
anni,
non
poteva
essere
altrimenti.
Lontana
dalle
fulgide
glorie
del
passato,
la
città
era
nel
bel
mezzo
delle
guerre
che
in
Grecia
contrapposero
i
generali
di
Alessandro.
Stava
insomma
attraversando
un
declino
irreversibile,
dal
quale
non
si
riprese
mai
più.
Acrotato,
uomo
tanto
coraggioso
quanto
dissoluto,
assomiglia
molto
ai
capitani
di
ventura
di
cui
secoli
dopo
fu
popolato
il
rinascimento
italiano;
da
quel
poco
che
le
fonti
storiche
ci
hanno
lasciato
su
di
lui,
emerge
infatti
come
un
personaggio
violento,
volubile
e
totalmente
privo
di
spinte
ideali.
Forse
anche
per
queste
sue
caratteristiche,
lo
spartano
fu
più
d’impaccio
che
d’aiuto
alla
coalizione
anti-siracusana.
Tuttavia,
prima
di
sbarcare
sulle
coste
siciliane,
il
giovane
avventuriero
sembrava
determinato
ad
adempiere
fino
in
fondo
alla
sua
missione.
Passando
da
Taranto,
infatti,
riuscì
a
perorare
con
tale
ardore
la
causa
degli
agrigentini
da
convincere
l’assemblea
cittadina
a
votare
l’invio
di
rinforzi,
che
avrebbero
dovuto
raggiungere
la
Sicilia
di
li a
poco,
dando
manforte
all’alleanza.
Una
volta
raggiunta
Agrigento,
però,
Acrotato
cambiò
repentinamente
atteggiamento,
esibendosi
in
comportamenti
talmente
esagerati
da
risultare
stranamente
sospetti
all’occhio
dello
storico
moderno,
soprattutto
se
messi
in
relazione
al
comportamento,
tutto
sommato
normale,
tenuto
poco
prima.
In
questo
senso,
la
sintesi
di
Diodoro
è
emblematica:
“[Acrotato]
non
fece
nulla
che
fosse
degno
della
sua
patria
e
del
gran
nome
della
famiglia:
al
contrario,
rivelandosi
sanguinario
e
più
crudele
dei
tiranni,
offese
il
popolo.
Come
se
non
bastasse,
abbandonò
il
modo
di
vita
dei
suoi
avi
e si
rammollì
impudicamente
nei
piaceri,
sì
da
parere
un
persiano
e
non
già
uno
spartiata”.
Lo
stesso
Sosistrato
fu
vittima
della
violenza
dello
spartano;
invitatolo
a
pranzo,
Acrotato
gli
tese
un
agguato
assassinandolo
a
tradimento.
Il
solito
Diodoro
spiega
quest’episodio
giustificandolo
esclusivamente
con
la
smania
di
potere
del
nuovo
comandante,
che
voleva
in
questa
maniera
sbarazzarsi
di
un
uomo
influente
e
scomodo
come
Sosistrato.
Capovolgendo
il
punto
di
vista
dato
dallo
storico
è
possibile
riscostruire
in
modo
più
completo
gli
avvenimenti,
attraverso
un’interpretazione
legata
non
solo
agli
aspetti
umani
e
caratteriali
dei
due
personaggi,
ma
anche
ai
diversi
interessi
e
obiettivi
che
ognuno
dei
due
intendeva
perseguire.
Dagli
avvenimenti
che
precedettero
il
suo
sbarco,
infatti,
abbiamo
visto
come
Acrotato,
nonostante
il
carattere
rissoso
e
violento,
intendesse
seriamente
assumere
il
comando
supremo
delle
operazioni
militari
e
guidare
la
campagna
contro
Agatocle;
Sosistrato
invece,
aveva
dovuto
rinunciare
a
quella
stessa
carica
per
le
diffidenze
che
gli
alleati
nutrivano
nei
suoi
confronti.
Non
è
affatto
improbabile,
tuttavia,
che
quest’ultimo
intendesse
“manovrare”
lo
spartano,
detenendo
di
fatto
il
comando
per
sé.
Di
fronte
alle
sue
resistenze,
sarebbe
esploso
lo
scontro.
Forse
Sosistrato
intendeva
tentare
una
mediazione,
ma
Acrotato
non
gliene
diede
il
tempo
organizzando
la
sua
eliminazione.
Il
sanguinoso
epilogo
della
vicenda,
in
quest’ottica,
appare
come
una
contesa
“al
vertice”
dello
schieramento
alleato,
la
quale
nasconderebbe
due
diverse
visioni
della
strategia
da
adottare
nella
guerra
contro
Agatocle.
Insomma
Molto
di
più
di
una
semplice
“incompatibilità
di
carattere”.
A
prescindere
dalle
possibili
interpretazioni
dell’accaduto,
l’avventata
mossa
dello
spartano
gli
si
ritorse
contro
segnando
la
sua
fine.
Gli
esuli
che
erano
stati
vicini
a
Sosistrato,
con
il
concorso
degli
altri
cittadini,
riuscirono
a
cacciarlo
dalla
città,
ed
Acrotato
fu
costretto
a
fuggire
in
Laconia
con
la
coda
tra
le
gambe
rischiando
addirittura
il
linciaggio.
La
guerra
contro
Agatocle
finì
dunque
ancora
prima
di
cominciare.
I
tarantini
non
inviarono
più
gli
aiuti
promessi
e si
tentò
di
trattare
con
il
tiranno
siracusano.
Quest’ultimo
era
senza
dubbio
felice
delle
divisioni
interne
e
delle
faide
dei
suoi
nemici;
in
più
la
morte
di
Sosistrato
lo
liberava
una
volta
per
tutte
di
un
nemico
tenace
e
pericoloso.
Gli
alleati
furono
costretti
a
chiedere
l’intervento
del
solito
Amilcare
come
mediatore,
confermando
la
loro
debolezza
politica
sia
di
fronte
ai
cartaginesi
che
di
fronte
ad
Agatocle.
La
ricerca
di
un
aiuto
in
Grecia
e la
sfortunata
scelta
di
Acrotato
come
comandante
in
capo
erano
stati
sintomi
di
un
tentativo
di
emancipazione
rispetto
alla
protezione
cartaginese,
fallito
miseramente.
Si
arrivò
così
alla
conclusione
del
trattato
greco-punico
del
313
a.C.,
il
quale
prevedeva
l’inclusione
delle
città
di
Selinunte
e
Imera
nell’epicrazia
cartaginese
e il
riconoscimento
sul
resto
della
Sicilia
greca
di
una
vera
e
propria
egemonia
siracusana.
Amilcare
e
Agatocle
avevano
trattato
da
pari,
escludendo
le
pretese
di
Agrigento,
Gela
e
Messana
e
delle
altre
comunità
autonome.
Il
vero
vincitore
fu
però
Agatocle,
che
poté
formalizzare
la
sua
supremazia
rispetto
agli
altri
greci
di
Sicilia
e
avere
mano
libera
nell’annessione
della
parte
orientale
dell’isola.