N. 58 - Ottobre 2012
(LXXXIX)
aGATOCLE
IL TIRANNO CHE VOLLE FARSI RE - Parte I
di Massimo Manzo
Dipinto
dalle
fonti
storiche
come
un
tiranno
spietato
e
privo
di
scrupoli,
Agatocle
è in
realtà
l’artefice,
dal
punto
di
vista
politico,
del
tentativo
di
creare
in
Sicilia
una
monarchia
di
stampo
ellenistico
con
capitale
Siracusa,
in
grado
di
espandersi
in
Italia
meridionale
e
sulle
coste
africane.
Nel
trentennio
in
cui
fu
protagonista
assoluto
delle
vicende
siciliane
i
suoi
intenti
furono
volti
infatti
alla
realizzazione
di
una
politica
estera
imperialista,
che
portasse
alla
definitiva
cacciata
dei
cartaginesi
dal
suolo
siciliano,
parallelamente
ad
una
supremazia
assoluta
di
Siracusa
sulle
altre
città-
stato
greche
presenti
nell’isola.
Definire
la
personalità
del
personaggio
risulta
comunque
complesso,
dato
che
la
nostra
fonte
principale,
Diodoro
Siculo,
sembra
accogliere
indistintamente,
nel
racconto
della
sua
vita,
sia
la
tradizione
storica
avversa
al
tiranno
riferibile
allo
storico
Timeo,
sia
alcuni
aspetti
chiaramente
mutuati
da
Callia,
che
invece
nel
suo
ruolo
di
intellettuale
“di
corte”
persegue
intenti
principalmente
agiografici.
L’avventurosa
biografia
di
Agatocle
svela
dunque
un
uomo
dotato
di
grandi
qualità
politiche,
diplomatiche
e
strategiche,
cinico
e
spietato
contro
i
nemici
ma
al
contempo
in
grado
di
esercitare
sul
popolo
un
ascendente
particolare.
Fu
insomma
una
sorta
di
Giano
bifronte,
che
seppe
mantenere
ben
saldo
il
potere
nelle
sue
mani
per
un
lungo
periodo,
superando
con
dei
veri
e
propri
“colpi
di
genio”
situazioni
difficili
che
ad
altri
sarebbero
parse
disperate.
“Il
vasaio”
conquista
il
potere.
Agatocle
nacque
a
Terme,
più
o
meno
corrispondente
all’attuale
Termini
Imerese,
nel
361.
Suo
padre
Carcino
era
un
commerciante
di
ceramiche
originario
di
Reggio
e
decise
di
trasferirsi
a
Siracusa
insieme
alla
famiglia,
approfittando
delle
politiche
di
ripopolamento
della
città
promosse
in
quel
momento
dal
corinzio
Timoleonte.
Fu
così
che
lui
e il
figlio
riuscirono
a
ottenere
la
cittadinanza
siracusana,
entrando
a
far
parte
di
quella
fetta
di
cittadini
“nuovi”
i
quali
avranno
un’importanza
fondamentale
nella
futura
determinazione
dei
rapporti
politici
interni
alla
polis.
Poco
sappiamo
di
realistico
sull’infanzia
di
Agatocle;
Diodoro,
se
da
un
lato,
con
una
certa
sufficienza,
ci
dice
che
aveva
“infime
origini”
e
che
per
un
certo
periodo
della
vita
esercitò
il
mestiere
di
vasaio,
dall’altro
racconta
una
serie
di
episodi
“mitici”
legati
alla
puerizia
del
tiranno,
sorti
sicuramente
in
pieno
regime
agatocleo.
In
uno
di
questi,
la
madre
del
futuro
autocrate
offre
in
voto
al
marito,
morto
da
poco,
una
statua
del
giovane
Agatocle
e
subito
dopo
su
di
essa
si
insedia
uno
sciame
d’api.
Gli
indovini,
interrogati
in
merito,
non
ebbero
il
minimo
dubbio:
quel
ragazzo
avrebbe
di
certo
raggiunto
grande
fama.
Al
di
là
del
mito,
però,
è
utile
notare
come
lo
stesso
tiranno,
pur
avendo
raggiunto
l’apice
del
potere,
a
detta
dello
storico
si
vanterà
spesso
in
pubblico
delle
sue
origini
umili,
a
sottolineare
la
vicinanza
al
popolo
e
l’avversione
verso
la
classe
aristocratica.
Un
espediente
che
da
solo
svela
come
l’aspetto
propagandistico
sia
essenziale
nella
concezione
agatoclea
del
potere.
Nel
periodo
in
cui
Agatocle
si
insediava
a
Siracusa,
muovendo
i
primi
passi
in
politica,
la
Sicilia
intera
viveva
un
periodo
di
forte
espansione
economica.
Grazie
all’operato
di
Timoleonte,
infatti,
le
poleis
si
stavano
di
nuovo
popolando
di
coloni
provenienti
dalla
Grecia
e
dall’Italia
e il
loro
operato,
accompagnato
da
un
intervallo
di
pace
con
i
vicini
cartaginesi,
aveva
stimolato
l’attività
agricola
e i
commerci.
Pur
beneficiando
di
questo
generale
clima
di
ripresa
economica,
Siracusa
non
poteva
però
vantare
un’eguale
stabilità
politica.
Dopo
la
morte
di
Timoleonte
in
città
si
era
insediato
un
governo
oligarchico,
e la
nuova
costituzione
introdotta
dal
corinzio
presumibilmente
aveva
avuto
breve
vita.
Erano
così
riemersi
i
tradizionali
contrasti
tra
kylliroi
e
gamoroi,
ovvero
tra
gli
esponenti
del
demos
(piccoli
commercianti,
artigiani,
popolo
minuto)
e la
classe
dei
ricchi
proprietari
terrieri.
Ad
aggravare
la
situazione
si
innestava
un
ulteriore
motivo
di
discordia
sociale,
riguardante
la
distribuzione
delle
terre
ai
“nuovi”
cittadini
siracusani,
insediatisi
nel
corso
delle
recenti
campagne
colonizzatrici.
Nell’ambito
di
queste
lotte
Agatocle
si
schiererà
con
l’ala
più
intransigente
dei
democratici,
quella
che
propugnava
una
redistribuzione
delle
terre
e
una
svolta
politica
antioligarchica.
Pur
essendo
un
giovane
capace
la
sua
scalata
fu
però
agevolata
da
Damas,
uno
dei
siracusani
più
ricchi
e
influenti
della
città,
che
prese
a
cuore
il
futuro
del
ragazzo
diventandone
l’amante,
oltre
che
lo
sponsor.
Quando
Damas
fu
nominato
comandante
in
capo
dell’esercito
siracusano,
incaricato
di
svolgere
operazioni
militari
contro
Agrigento
infatti,
portò
con
sé
Agatocle,
e
alla
prima
occasione
lo
nominò
chiliarca,
grado
corrispondente
a
quello
di
alto
ufficiale
al
comando
di
mille
uomini.
In
questa
veste
Agatocle
cominciò
a
mettere
in
luce
le
sue
qualità,
dimostrandosi
“audace
e
spericolato
nei
combattimenti,
impetuoso
e
disinvolto
nell’arringare
il
popolo”.
Quando
il
potente
Damas
morì,
poi,
Agatocle
ne
divenne
a
tutti
gli
effetti
l’erede,
sposandone
la
vedova
e
acquisendone
le
ricchezze.
Riusciva
così
a
entrare
a
pieni
titoli
nel
novero
dei
cittadini
più
illustri
di
Siracusa,
garantendosi
al
contempo
le
sostanze
necessarie
a
continuare
la
sua
carriera
politica
e
militare.
Nel
periodo
seguente,
il
chiliarca
Agatocle
prese
parte
ad
una
serie
di
campagne
militari,
come
quella
intrapresa
in
appoggio
a
Crotone,
allora
in
guerra
contro
il
popolo
italico
dei
Bruzi.
In
quella
circostanza
entrò
in
forte
contrasto
con
il
comandante
della
spedizione
Sosistrato
e la
sua
“cricca”,
come
la
definisce
Diodoro,
per
ragioni
facilmente
intuibili:
quest’ultimo
era
infatti
il
rappresentante
più
importante
degli
oligarchici
e
tentava
di
sfruttare
le
vittorie
militari
per
consolidare
la
propria
posizione
in
città.
È
anzi
probabile
che
lo
scontro
tra
i
due
sia
esploso
proprio
quando
l’oligarchico
decise
di
autoproclamarsi
tiranno
alla
presenza
dell’esercito,
o
comunque
manifestò
propositi
simili.
Da
quello
che
possiamo
intuire
dalle
fonti,
Sosistrato
è
uno
di
quei
personaggi
privi
di
scrupoli
che
concorre
con
Agatocle
ad
un
ruolo
di
primo
piano
a
Siracusa.
Già
subito
dopo
la
morte
di
Timoleonte,
insieme
a
Eraclide,
riuscì
ad
accaparrarsi
una
fetta
importante
di
potere
cittadino,
non
senza
lasciarsi
alle
spalle
complotti
e
assassinii.
Ma,
sul
punto
di
fare
la
mossa
decisiva,
trovò
il
giovane
Agatocle
a
sbarrargli
la
strada.
Tra
i
due
iniziò
una
lotta
che
durerà
ancora
molti
anni,
perdurando
anche
quando
il
tiranno
avrà
conquistato
il
potere
una
volta
per
tutte.
In
un
primo
momento,
tuttavia,
Sosistrato
ebbe
la
meglio:
respinse
infatti
con
successo
le
accuse
mossegli
da
Agatocle
e
riuscì
a
farlo
bandire
da
Siracusa.
Iniziava
così
l’ennesima
guerra
senza
esclusione
di
colpi
tra
oligarchici
e
democratici,
i
cui
avvenimenti
si
susseguirono
in
un
vortice
turbolento
e
confuso
per
diversi
anni.
Costretto
all’esilio,
Agatocle
si
gettò
insieme
ai
suoi
seguaci
in
una
serie
di
ardite
avventure
militari,
tentando
di
occupare
Crotone,
arruolandosi
come
mercenario
a
Taranto
e
muovendo
ancora
verso
Reggio
attaccata
dai
siracusani
del
concittadino-nemico
Sosistrato.
Riuscì
a
rientrare
a
Siracusa
solo
nel
322,
dopo
alcuni
anni,
quando
finalmente
le
parti
sembravano
essersi
ribaltate
e i
democratici
avevano
avuto
la
meglio.
Il
suo
rivale
aveva
infatti
subìto
un
grave
rovescio
in
città
ed
era
stato
costretto
a
fuggire
da
Siracusa
con
molti
appartenenti
alla
sua
fazione.
Questi
ultimi
erano
arrivati
a
chiedere
soccorso
ai
cartaginesi,
che
non
si
lasciarono
sfuggire
la
ghiotta
occasione
di
entrare
a
gamba
tesa
nelle
vicende
interne
siracusane.
A
quel
punto
la
lotta,
da
intestina,
diventò
più
ampia,
coinvolgendo
direttamente
una
potenza
straniera
che
da
sempre
puntava
all’egemonia
sull’isola.
Nel
corso
degli
innumerevoli
scontri
armati
che
seguirono
Agatocle
si
distinse
ancora
una
volta
per
il
coraggio,
spinto
ai
limiti
dell’incoscienza,
e
l’astuzia,
che
gli
permisero
di
“escogitare
un’idea
utile
in
ciascuna
occasione”,
come
afferma
Diodoro.
A
quasi
quarant’anni
aveva
acquisito,
nel
periodo
in
cui
si
batteva
in
lungo
e in
largo
per
l’Italia,
un’esperienza
sul
campo
invidiabile
e
ora
la
sfruttava
sagacemente
per
mettersi
in
luce
agli
occhi
del
popolo.
Le
sue
posizioni
politiche
divennero
infatti
sempre
più
radicali,
portandolo
a
tramutarsi
in
un
pericoloso
populista,
inviso
anche
a
parte
dei
democratici,
che
vedevano
in
lui,
a
ragione,
un
estremista
incline
alla
tirannide.
Per
questo,
quando
i
siracusani
si
rivolsero
al
generale
Acestore,
inviato
come
di
consueto
dalla
madrepatria
Corinto
per
tentare
un
appeasement
tra
i
vari
partiti
in
lotta,
quest’ultimo
decise
giustamente
di
esiliare
Agatocle
e di
far
rientrare
molti
degli
oligarchici,
tra
cui
Sosistrato,
trattando
contemporaneamente
la
pace
con
Cartagine.
Oltre
all’esilio,
Acestore
ordinò
ad
alcuni
sicari
di
uccidere
in
segreto
Agatocle,
evitando
di
destare
il
minimo
sospetto
nei
seguaci
del
capopopolo.
La
mossa
dello
stratega
corinzio
potrebbe
sembrare
inutilmente
esagerata,
ma
in
realtà
fu
intelligente
e
pienamente
comprensibile:
nel
solco
di
una
lunga
tradizione
di
interventi
di
mediazione
compiuti
da
personalità
corinzie
a
Siracusa,
egli
attuò
infatti
la
scelta
migliore
per
evitare
la
continuazione
della
guerra
civile.
Acestore
aveva
cioè
intuito
che
era
meglio
trattare
con
gli
oligarchici,
magari
escogitando
una
via
d’uscita
“istituzionale”
che
mettesse
d’accordo
le
varie
bande,
piuttosto
che
farsi
condizionare
dalla
sfrenata
ambizione
del
radicale
Agatocle.
Se
il
suo
piano
fosse
riuscito,
probabilmente
la
storia
di
Siracusa
avrebbe
preso
una
piega
totalmente
differente.
Ma
l’agguato,
che
l’astuto
Agatocle
aveva
previsto,
fallì,
ed
egli
riuscì
nottetempo
a
fuggire
dalla
città
travestito
da
servo.
Scampato
per
pochissimo
alla
morte,
ma
ancora
lungi
dall’essere
sconfitto,
il
futuro
tiranno
radunò
una
sua
personale
armata
nell’entroterra
siciliano
e
con
una
serie
di
efficaci
azioni
“di
guerriglia”,
riuscì
a
mettere
in
seria
difficoltà
sia
i
siracusani
che
i
cartaginesi.
Stavolta
fu
proprio
Cartagine
a
dargli
una
grossa
mano,
decisa
com’era
a
sbloccare
la
situazione,
divenuta
una
spina
nel
fianco
per
il
suo
esercito.
Fu
così
che
il
generale
Amilcare
decise
di
proporsi
come
arbitro:
il
pericoloso
fuoriuscito
sarebbe
rientrato
in
città,
con
l’impegno
solenne
di
dichiararsi
fedele
alla
democrazia
e di
non
nuocere
alla
pace.
Tutti
furono
costretti
ad
accettare
tali
condizioni,
e
dal
canto
suo
Agatocle
fece
buon
viso
a
cattivo
gioco,
tanto
da
essere
eletto
“stratega
e
tutore
della
pace”
e da
prestare
solenne
giuramento
di
difendere
la
concordia
cittadina
presso
il
santuario
di
Demetra
a
Siracusa.
In
seguito,
Amilcare
e i
cartaginesi
si
sarebbero
pentiti
amaramente
di
aver
spinto
per
quella
soluzione
sciagurata,
che
spianava
la
via
della
tirannide
a
quello
che
diventerà
il
loro
più
acerrimo
nemico;
ma
evidentemente
l’atteggiamento
di
Agatocle
dovette
sembrare
rassicurante
anche
ai
loro
occhi.
Approfittando
dei
poteri
che
quella
carica
gli
garantiva,
lo
“stratega
e
tutore
della
pace”
infatti,
lungi
dal
volere
una
riconciliazione
con
gli
oligarchici,
organizzò
una
tremenda
vendetta
contro
tutti
i
suoi
oppositori
conquistando
definitivamente
il
potere.
Per
prima
cosa
arruolò
direttamente
alle
sue
dipendenze
quanti
più
mercenari
poteva
(circa
tremila)
provenienti
soprattutto
dall’entroterra
siciliano.
Molti
di
questi
sbandati,
avendo
combattuto
poco
prima
ai
suoi
ordini
e
attratti
dalla
promessa
di
ottenere
la
cittadinanza
siracusana,
non
esitarono
un
attimo
a
schierarsi
al
suo
fianco.
In
secondo
luogo
si
garantì
l’appoggio
del
popolo
minuto
e
delle
fasce
sociali
più
deboli
presenti
a
Siracusa,
ammaliate
dal
suo
impegno
a
redistribuire
loro
la
terra
e a
garantirgli
un
avvenire
migliore,
oltre
che
dalla
coinvolgente
oratoria
agatoclea.
Con
un
certo
disprezzo,
che
mutua
dall’avversione
di
Timeo
verso
il
tiranno,
Diodoro
considera
quasi
dei
banditi
quelli
tra
i
siracusani
che
appoggiarono
Agatocle.
Tuttavia
questa
valutazione
risulta
viziata.
Se
guardiamo
alla
violenta
rabbia
con
la
quale
il
popolo
si
scagliò
contro
gli
esponenti
dell’oligarchia
non
possiamo
dare
una
versione
così
semplicistica
degli
avvenimenti.
Profondi
mutamenti
nella
composizione
del
corpo
sociale
interno
a
Siracusa,
come
l’
aumento
della
popolazione
e
quindi
della
cittadinanza
attiva
insediatasi
a
seguito
delle
recenti
ondate
di
colonizzazione
nonché
lunghi
anni
di
angherie
e
soprusi
perpetuati
dall’ottuso
governo
oligarchico,
avevano
infatti
creato
un
malcontento
diffuso
che
stava
per
esplodere.
Agatocle,
come
d’altronde
hanno
fatto
tutti
i
più
celebri
autocrati
dopo
di
lui,
capì
per
primo
i
cambiamenti
sociali
in
atto
e
seppe
sfruttarli
a
suo
favore
“canalizzando”
la
violenza
verso
i
soliti
“nemici
del
popolo”,
che
stranamente
coincidevano
con
coloro
che
si
opponevano
ai
suoi
disegni.
L’eliminazione
delle
opposizioni
si
svolse
secondo
un
copione
che
si è
ripetuto
sovente
nella
storia
delle
dittature
moderne:
i
capi
dell’oligarchia
sono
trascinati
con
falsi
pretesti
dinanzi
al
popolo
inferocito;
viene
inscenato
un
processo
“farsa”
il
cui
esito
è
ovviamente
già
scritto;
i
soldati
eliminano
tutti
gli
oppositori
al
regime;
la
massa
inferocita
si
dà
infine
al
saccheggio
e
alla
giustizia
sommaria,
facendo
scorrere
in
città
fiumi
di
sangue.
Come
spesso
accade
in
casi
simili,
a
farne
le
spese
sono
anche
poveri
innocenti,
rei
solo
di
avere
più
ricchezze
di
altri
pur
non
essendo
coinvolti
direttamente
nel
regime
oligarchico,
o
semplicemente
vittime
di
faide
o
vendette
personali.
Le
cifre
forniteci
da
Diodoro,
da
sole,
ci
danno
un’idea
dell’ecatombe
compiutasi
in
quei
giorni:
quattromila
cittadini
sono
massacrati,
mentre
seimila
riescono
fortunosamente
a
fuggire.
Tra
questi
c’è
Sosistrato,
che,
caduto
in
disgrazia,
ritroveremo
anni
dopo
ad
Agrigento,
mentre
cerca
per
l’ennesima
volta
di
far
guerra
all’odiato
nemico.
Per
mascherare
il
sanguinosissimo
colpo
di
stato
conferendogli
un’aura
di
legittimità,
Agatocle
ricorse
poi
ad
un
furbo
stratagemma,
fingendo
di
volersi
ritirare
a
vita
privata
dopo
la
strage.
Com’è
ovvio,
e
come
anche
lui
aveva
previsto
abilmente,
l’assemblea
del
popolo
lo
pregò
di
non
compiere
quel
gesto,
nominandolo
strategòs
autocràtor,
ovvero
comandante
con
pieni
poteri.
Il
“vasaio”
diveniva
così
tiranno
della
più
grande
e
potente
polis
di
Sicilia.