[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

170 / FEBBRAIO 2022 (CCI)


attualità

L'INSTABILITÀ DELL'AFRICA

UN CONTINENTE SEMPRE MENO DEMOCRATICO

di Gian Marco Boellisi

 

Nonostante i decenni passino e gli attori geopolitici siano cambiati nel numero e nella forma, una cosa rimane costante in politica internazionale: l’Africa viene sempre vista come un continente da sfruttare: politicamente, economicamente e socialmente.

 

In passato ciò che succedeva in Africa era percepito di scarso rilievo da parte dell’opinione pubblica, imputandone le varie problematiche alla mala gestione dei singoli popoli e paesi all’indomani dell’indipendenza dai governi occidentali. Una generale disattenzione ai problemi africani permise per decenni alle ex potenze coloniali di sfruttare ulteriormente i loro vecchi stati vassalli tramite corporazioni private, colpi di stato e corruzione diffusa.

 

Sebbene oggi sia maturata una consapevolezza generale più ampia da parte della comunità internazionale, le tattiche delle potenze estere sono diventate sì meno “evidenti” ma non meno destabilizzanti. Infatti proprio nel 2022 la lunga scia di colpi di stato che da alcuni anni a questa parte sta colpendo l’Africa, e in particolar modo la regione del Sahel, ha avuto un inaspettato picco tra gennaio e febbraio. Molti di questi putsch hanno radici comuni, nonché esiti similari, motivo per il quale è di vitale importanza capire cosa stia accadendo realmente in questa regione e quali possano essere le conseguenze reali sia localmente sia da un punto di vista più globale.

 

Nella nostra storia recente, il tutto ha avuto origine se vogliamo nel marzo 2012. In quel momento il Sahel appariva un’area abbastanza pacificata, per quanto tensioni e problematiche non fossero del tutto assenti. Nonostante ciò, da settimane la popolazione del Mali scendeva in piazza per protestare contro il presidente Touré. Il Mali soffriva da tempo infatti di una recessione economica molto profonda. Questa, unita alla corruzione dilagante e alle istanze indipendentiste dei tuareg nel nord del paese, ha portato a un colpo di stato da parte dei militari.

 

Essendo il Mali uno dei pilastri portanti del Sahel sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista economico, molti analisti avevano previsto che Bamako sarebbe stata solamente la prima capitale a cadere vittima dei golpe dei militari e che si sarebbe inaugurata a breve una nuova stagione di putsch in tutta la regione. E così è stato.

 

Il primo è avvenuto in Burkina Faso solo due anni dopo, dove un gruppo di militari ha posto repentinamente fine all’esperienza di governo del presidente Compaoré. In seguito il protagonista è ridivenuto nuovamente il Mali, dove nell’agosto 2020 il generale Assimi Goita ha rovesciato il vecchio presidente Keita.

 

Nell’aprile 2021 il presidente del Ciad Idris Deby è stato colpito fatalmente in uno scontro con dei gruppi ribelli, rimettendo in discussione uno degli stati apparentemente più stabili dell’intera regione. Pochi mesi dopo nuovamente in Mali un consiglio militare di transizione ha ripreso il potere. Son bastate poche settimane e in Niger i soldati hanno provato a prendere il potere, venendo tuttavia respinti dalle forze presidenziali.

 

A settembre 2021 il presidente della Guinea Condé è stato destituito a seguito di un assalto armato alla capitale Conakry. Il mese successivo in Sudan i vertici militari hanno interrotto la transizione avvenuta a seguito della destituzione del decennale dittatore Omar Bashir, riprendenso il potere nelle loro mani.

 

Tra il 23 e il 24 gennaio 2022 il presidente eletto Kaboréin Burkina Faso è stato destituito anch’egli da frange ribelli dell’esercito, portando a compimento così il secondo golpe in 8 anni. A chiudere il cerchio vi è la Guinea Bissau, dove il primo febbraio alcuni reggimenti dell’esercito hanno cercato di destituire il presidente Embalo, fallendo però nel tentativo.

 

Da questo elenco si può facilemnte capire quanto grave sia la situazione. Almeno 8 colpi di stato in meno di 2 anni è un numero spaventoso, anche per un continente non completamente stabile come può essere considerata l’Africa. Gli studiosi di quest’area tuttavia avrebbero ragione nel dire che quello a cui stiamo assistendo in questi anni è nulla in confronto a quanto accaduto tra gli anni 60 e 80, dove un numero incalcolabile di colpi di stato e rivolte armate ha insanguinato l’intero continente, influenzandone il destino nei decenni a venire. Nonostante ciò, le cause di oggi differiscono enormemente da quelle di 60 anni fa.

 

Le più importanti possono essere considerate le seguenti: una costante avanzata dei gruppi terroristici negli ultimi 20 anni, che ha portato a un indebolimento generale dei governi centrali, i cambiamenti climatici che hanno aggravato la situazioni idrica di molti paesi nell’area del Sahel, una diffusione generale della corruzione su più strati della struttura statale e infine, da non sottovalutare, gli effetti economici, sociali e sanitari della recentissima pandemia di Covid-19. In generale tutte queste problematiche denotano come l’intera regione sia dominata da ua costante incertezza e instabilità politica, la quale permette di volta in volta a gruppi militari di farsi strada.

 

Queste problematiche, a parte quella pandemica maturata negli ultimi 2 anni, non hanno radice recente ma affondano le proprie origini in anni e anni di discutibile gestione della macchina statale e di influenze esterne atte a rendere fragili, e quindi influenzabili, le nazioni africane dell’area. Tutti questi fattori insieme hanno creato il clima favorevole affinché gruppi di militari provenienti dai vari paesi tentassero la sorte, sfruttando il diffuso malcontento popolare e provando a prendere il potere con l’uso della forza.

 

Oltre alla comprensione del perché questi paesi sviluppino le dinamiche favorevoli a un colpo di stato, è anche interessante capire perché le popolazioni avvallino questo tipo di dinamiche. Infatti un conto è prendere il potere manu militari, un conto è tenere un paese nel corso del tempo. Secondo quanto riportato da alcuni analisti, è convinzione comune di una larga parte della popolazione civile nel Sahel che gli uomini forti al potere, come potrebbero essere i militari, sono maggiormente in grado di affrontare i rischi concernenti la sicurezza rispetto a quanto farebbero dei leader “ordinari”.

 

Questo sicuramente in virtù del fatto che numerosi leader non-militari nel corso degli anni hanno avuto difficoltà nella gestione delle varie nazioni, portando la popolazione magari a rimpiangere i vecchi dittatori del secolo scorso. Tuttavia un elemento preponderante in questo senso sono i continui scontri con gruppi armati non statali (gruppi terroristici, frange ribelli), i quali hanno causato una devastazione continua su ampie fasce di territorio nel Sahel nel corso degli anni.

 

Questo ha portato la popolazione comune a ritenere che i militari siano più adatti al comando in un contesto interno in cui il governo deve fronteggiare costantemente maggiori rischi per la sicurezza. In funzione di tutto ciò, i militari, una volta che prendono il potere, vengono appoggiati largamente dalla popolazione civile poiché vengono visti o come dei veri e propri liberatori o banalmente come il meno peggio di ciò che la politica locale può offrire.

 

Ed è proprio su questo punto che la questione si fa ancora più complessa. Infatti, oltre alla mancanza di fiducia nei confronti dei politici classici, sta sempre più maturando nel Sahel un’insofferenza molto acuta verso quei politici che sono legati alle vecchie potenze coloniali, e in particolar modo verso la Francia.

 

In questo senso il Mali è stato un vero e proprio spartiacque, poiché da quando è avvenuto qui il primo colpo di stato, tutti gli stati della cosiddetta “Françafrique” hanno iniziato a mettere in discussione i propri legami con Parigi. A oggi, dopo svariati anni ormai in cui il fenomeno si è molto ampliato, è opinione diffusa tra la popolazione civile che è meglio avere a che fare con un militare che con un politico legato alla Francia.

 

In questo senso una menzione particolare va fatta al Mali, il quale sente proprio molto più di altri paesi un astio nei confronti di Parigi. Infatti per quanto in tutta l’area del Sahel la retorica anti-francese sia ormai uno standard presso i militari arrivati al potere, il Mali ha raggiunto recentemente dei picchi mai visti prima in questo senso. È notizia recente infatti che il generale golpista Goita abbia espulso l’ambasciatore francese Joel Meyer a seguito di alcune dichiarazioni contro il nuovo governo del Mali da parte del Ministero degli Esteri.

 

Oltre a essere un insulto abbastanza formale alla Francia in quello che Parigi considerava fino a qualche anno fa il proprio giardino di casa, questo è stato anche un chiaro messaggio ai cosiddetti “Nuovi Attori”, di cui si parlerà più avanti, quali Russia, Turchia e Cina. Quest’ultimo dato infatti non è da sottovalutare.

 

Da una prima occhiata agli interventi dei nuovi leader golpisti del Sahel si può notare un discreto numero di generali con simpatie più o meno dichiarate verso la Russia, il che può voler dire tutto e può voler dire niente allo stesso tempo. Tuttavia, retorica a parte, alcuni paesi hanno dimostrato concretamente questa nuova direzione. Il Mali in primis dopo l’ultimo colpo di stato ha verosimilmente avviato in poche settimane una collaborazione militare con Mosca, ricevendo armamenti e servizi dei contractors russi, il famoso gruppo Wagner, e dando in cambio parte delle risorse naturali presente nel paese (al posto dei francesi). Un altro paese che si è mosso nella stessa direzione è la Republica Centrafricana, la quale è un paese francofono che ha deciso di affidare i servizi di sicurezza e di addestramento delle forze locali ai contractors della Wagner.

 

I vari militari che prendono il potere, consci del fatto che un colpo di stato causa ancora oggi sgomento all’interno della comunità internazionale, dichiarano sempre di voler rimanere al potere solo per un periodo di tempo limitato, fino a quando il processo democratico non verrà ristabilito e l’ordine costituzionale non sarà riportano a essere funzionante dopo anni di malgoverno. L’obiettivo teorico quindi sarebbe quello di rimettere carburante alla secca macchina dello stato e riattivarne il dibattito democratico tra partiti. Mettendo da parte l’oratoria, che i generali siano in grado di compiere tali ambiziosi obiettivi o se soprattutto ne abbiano voglia è ancora tutto da vedere.

 

Una volta giunti al potere, i nuovi leader golpisti comunque non sembrano preoccuparsi troppo delle reazioni internazionali. Questo in virtù del generale senso di insicurezza presente tra la popolazione civile, dovuto come abbiamo detto sia alla violenza diffusa nell’area sia anche ai problemi legati alla pandemia, che in qualche modo guarda ai loro nuovi leader forti in cerca di soluzioni, quanto meno nel breve termine.

 

I militari sfruttano a pieno questa situazione a loro vantaggio. Infatti, per quanto a ogni nuovo colpo di stato rinnovate rimostranze vengono alzate dalla comunità internazionale, la verità è che gli stati esteri possono ben poco nei confronti dei nuovi leader. E hanno ragione, anche perché, considerando il tutto da un punto di vista esterno, per i partner esteri cambia relativamente poco tra una vecchia giunta civile democraticamente eletta tramite corruzione e brogli e una nuova giunta militare che ha preso il potere tramite la forza delle armi.

 

In quest’ottica è importante differenziare le reazioni che provengono dalla comunità internazionale. L’Unione Europea non è sembrata interessarsi molto riguardo queste violazioni dello stato di diritto e le sue contromisure non sono andate oltre alle generiche e ininfluenti dichiarazioni di condanna. In generale l’Occidente non si è esposto molto sulla questione, nonstante il suo storico ruolo di difensore dei diritti democratici e dei diritti umani in tutto il mondo. Un silenzio, se vogliamo, indicativo più di mille parole.

 

Più veemente è invece la reazione degli stati africani vicini, e in generale dell’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale) e dell’Unione Africana, le quali guardano con estrema preoccupazione ciò che accade nel Sahel. Infatti, oltre alle più che legittime dichiarazioni contro gli autori dei colpi di stato, queste organizzazioni hanno provveduto ad approvare sia delle sanzioni nei confronti dei soggetti coinvolti nei golpe sia a sospendere la membership di questi stati dai relativi seggi occupati in sede internazionale.

 

Un aspetto interessante è come in molti paesi africani, tra cui alcuni di quelli interessati da colpi di stato, si stia assistendo negli ultimi anni a un indebitamento generale nei confronti dei cosiddetti “Nuovi Attori”, ovvero quei partner internazionali che sono presenti in Africa per massimizzare la propria influenza politica, economica e militare. Si parla in primis della Cina, la quale agisce in modo quasi incontrastato in tutto il continente, della Turchia, della Russia e del Qatar. Immancabili tuttavia sono i “Vecchi Attori”, ovvero alcunì stati europei (principalmente ex stati colonizzatori) che ancora oggi traggono vantaggi economici a discapito delle popolazioni locali.

 

Tuttavia i “Nuovi Attori” hanno ormai preso il sopravvento sui “Vecchi Attori” nel continente nero per un fattore in particolare. Infatti questi stati, grazie al loro ordinamento politico interno (in molti casi al limite dell’autoritarismo) hanno una capacità decisionale molto rapida, senza necessità di lungaggini parlamentari o discussione di lungo corso. In questa maniera trasferimenti di fondi, spedizioni di armamenti o più semplicemente decisioni politiche sono fatte molto rapidamente, dando occasione ai nuovi partner africani di vedere risultati nell’immediato, a distanza di pochi giorni, e non invece attendere tempi indefiniti come spesso accade quando si ha a che fare con i governi di stampo occidentale. E questo è un fattore che alla lunga ha praticamente soppiantato la presenza europea in Africa con quella di questi “Nuovi Attori”.

 

Altro aspetto della questione è che i militari arrivati ai vertici degli stati africani sono perfettamente consapevoli che, nel caso in cui le questioni politiche dei loro paesi arrivino in sede di Nazioni Unite, hanno spesso Russia e Cina che con il loro potere di veto bloccano risoluzioni a loro sfavore proprio in virtù delle nuove partnership maturate in questi ultimi anni. Infatti è importante sottolineare come questi due paesi, e in particolar modo la Cina, abbiano diverse collaborazioni economiche e militari in Africa, senza che però le forme di governo degli stati partner o gli accadimenti politici degli stessi influenzino il loro giudizio. In pratica a nessun livello vengono posti quesiti su come i leader siano arrivati al potere né tantomento come si sia formata la struttura dello stato in questione, l’importante è che le partnership e soprattutto i capitali continuino a fluire prosperosamente.

 

Nonostante questo scenario non rassicurante, è altrettanto importante sottolineare come diversi paesi abbiano dimostrato nei decenni passati di aver abbracciato il modello democratico e di averlo reso un proprio modello di riferimento. In paesi come Senegal, Tanzania, Ghana, Zambia, Sud Africa, Kenya e pochi altri si è avuta ormai da tempo una sana alternanza di schieramenti politici tramite competenze elettorali e un consolidamento dello stato di diritto totalmente assente in altre aree del continente. Ciò senza alcun dubbio deve fungere da modello per gli altri stati ma soprattutto deve far porre la domanda di come sia possibile che il modello democratico abbia funzionato in certe aree mentre in altre sembra essere praticamente inattuabile in questo particolare momento storico.

 

In conclusione, la situazione politica in Africa negli ultimi anni ha denotato una caduta libera dal punto di vista dei diritti politici e democratici come non se ne vedevano dai tempi della Guerra Fredda.

 

Anni e anni di sfruttamente occidentale hanno reso la popolazione locale insofferente verso le potenze del Vecchio Continente, e in particolar modo verso la Francia, portandola alla convinzione che è meglio avere un governo presieduto da militari piuttosto che una democrazia basata su qualche pedina europea. Il malgoverno della corrotta classe dirigente di svariati paesi dell’area del Sahel ha alimentato come benzina sul fuoco il malcontento e la rabbia della popolazione, la quale ha ormai iniziato a vedere i propri politici locali come semplici cani da riporto di qualche potenza occidentale dall’altra parte del Mediterraneo.

 

Vista la situazione di crisi, varie frange militari hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio, supportate sia da un avvallo popolare sia da nuove opportunità di business con nuovi partner esteri. Infatti i “Nuovi Attori” garantiscono a questi nuovi leader militari spazio libero su come gestire i propri paesi, fintanto che gli interessi reciproci vengano garantiti. Tuttavia è anche vero che, per quanto i paesi del Sahel cerchino di svincolarsi dall’Occidente, questo procedimento non è per nulla immediato né è scontato che avvenga in toto.

 

Il fatto che il Mali non abbia chiesto la fine dell’Operazione Takuba, operazione di peace-keeping comandata dalla Francia, è un segnale in questo senso. Gli anni a venire saranno cruciali per il destino di questa regione, sia per vedere se effettivamente le partnership con questi “Nuovi Attori” possa portare in qualche modo un valore aggiunto effettivo alle varie nazioni sia per rendersi indipendenti dalle vecchie potenze coloniali che sovrastavano ancora le deboli economie africane con i propri interessi e le proprie pretese.

 

Le sfide sono tante e di notevoli dimensioni, bisognerà solamente vedere se l’interesse a vincerle per il bene della popolazione di questa regione sarà altrettanto grande. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]