attualità
L'INSTABILITÀ DELL'AFRICA
UN CONTINENTE SEMPRE MENO DEMOCRATICO
di Gian Marco Boellisi
Nonostante i decenni passino e gli
attori geopolitici siano cambiati nel
numero e nella forma, una cosa rimane
costante in politica internazionale:
l’Africa viene sempre vista come un
continente da sfruttare: politicamente,
economicamente e socialmente.
In passato ciò che succedeva in Africa
era percepito di scarso rilievo da parte
dell’opinione pubblica, imputandone le
varie problematiche alla mala gestione
dei singoli popoli e paesi all’indomani
dell’indipendenza dai governi
occidentali. Una generale disattenzione
ai problemi africani permise per decenni
alle ex potenze coloniali di sfruttare
ulteriormente i loro vecchi stati
vassalli tramite corporazioni private,
colpi di stato e corruzione diffusa.
Sebbene oggi sia maturata una
consapevolezza generale più ampia da
parte della comunità internazionale, le
tattiche delle potenze estere sono
diventate sì meno “evidenti” ma non meno
destabilizzanti. Infatti proprio nel
2022 la lunga scia di colpi di stato che
da alcuni anni a questa parte sta
colpendo l’Africa, e in particolar modo
la regione del Sahel, ha avuto un
inaspettato picco tra gennaio e
febbraio. Molti di questi putsch hanno
radici comuni, nonché esiti similari,
motivo per il quale è di vitale
importanza capire cosa stia accadendo
realmente in questa regione e quali
possano essere le conseguenze reali sia
localmente sia da un punto di vista più
globale.
Nella nostra storia recente, il tutto ha
avuto origine se vogliamo nel marzo
2012. In quel momento il Sahel appariva
un’area abbastanza pacificata, per
quanto tensioni e problematiche non
fossero del tutto assenti. Nonostante
ciò, da settimane la popolazione del
Mali scendeva in piazza per protestare
contro il presidente Touré. Il Mali
soffriva da tempo infatti di una
recessione economica molto profonda.
Questa, unita alla corruzione dilagante
e alle istanze indipendentiste dei
tuareg nel nord del paese, ha portato a
un colpo di stato da parte dei militari.
Essendo il Mali uno dei pilastri
portanti del Sahel sia dal punto di
vista politico sia dal punto di vista
economico, molti analisti avevano
previsto che Bamako sarebbe stata
solamente la prima capitale a cadere
vittima dei golpe dei militari e che si
sarebbe inaugurata a breve una nuova
stagione di putsch in tutta la regione.
E così è stato.
Il primo è avvenuto in Burkina Faso solo
due anni dopo, dove un gruppo di
militari ha posto repentinamente fine
all’esperienza di governo del presidente
Compaoré. In seguito il protagonista è
ridivenuto nuovamente il Mali, dove
nell’agosto 2020 il generale Assimi
Goita ha rovesciato il vecchio
presidente Keita.
Nell’aprile 2021 il presidente del Ciad
Idris Deby è stato colpito fatalmente in
uno scontro con dei gruppi ribelli,
rimettendo in discussione uno degli
stati apparentemente più stabili
dell’intera regione. Pochi mesi dopo
nuovamente in Mali un consiglio militare
di transizione ha ripreso il potere. Son
bastate poche settimane e in Niger i
soldati hanno provato a prendere il
potere, venendo tuttavia respinti dalle
forze presidenziali.
A settembre 2021 il presidente della
Guinea Condé è stato destituito a
seguito di un assalto armato alla
capitale Conakry. Il mese successivo in
Sudan i vertici militari hanno
interrotto la transizione avvenuta a
seguito della destituzione del decennale
dittatore Omar Bashir, riprendenso il
potere nelle loro mani.
Tra il 23 e il 24 gennaio 2022 il
presidente eletto Kaboréin Burkina Faso
è stato destituito anch’egli da frange
ribelli dell’esercito, portando a
compimento così il secondo golpe in 8
anni. A chiudere il cerchio vi è la
Guinea Bissau, dove il primo febbraio
alcuni reggimenti dell’esercito hanno
cercato di destituire il presidente
Embalo, fallendo però nel tentativo.
Da questo elenco si può facilemnte
capire quanto grave sia la situazione.
Almeno 8 colpi di stato in meno di 2
anni è un numero spaventoso, anche per
un continente non completamente stabile
come può essere considerata l’Africa.
Gli studiosi di quest’area tuttavia
avrebbero ragione nel dire che quello a
cui stiamo assistendo in questi anni è
nulla in confronto a quanto accaduto tra
gli anni 60 e 80, dove un numero
incalcolabile di colpi di stato e
rivolte armate ha insanguinato l’intero
continente, influenzandone il destino
nei decenni a venire. Nonostante ciò, le
cause di oggi differiscono enormemente
da quelle di 60 anni fa.
Le più importanti possono essere
considerate le seguenti: una costante
avanzata dei gruppi terroristici negli
ultimi 20 anni, che ha portato a un
indebolimento generale dei governi
centrali, i cambiamenti climatici che
hanno aggravato la situazioni idrica di
molti paesi nell’area del Sahel, una
diffusione generale della corruzione su
più strati della struttura statale e
infine, da non sottovalutare, gli
effetti economici, sociali e sanitari
della recentissima pandemia di Covid-19.
In generale tutte queste problematiche
denotano come l’intera regione sia
dominata da ua costante incertezza e
instabilità politica, la quale permette
di volta in volta a gruppi militari di
farsi strada.
Queste problematiche, a parte quella
pandemica maturata negli ultimi 2 anni,
non hanno radice recente ma affondano le
proprie origini in anni e anni di
discutibile gestione della macchina
statale e di influenze esterne atte a
rendere fragili, e quindi influenzabili,
le nazioni africane dell’area. Tutti
questi fattori insieme hanno creato il
clima favorevole affinché gruppi di
militari provenienti dai vari paesi
tentassero la sorte, sfruttando il
diffuso malcontento popolare e provando
a prendere il potere con l’uso della
forza.
Oltre alla comprensione del perché
questi paesi sviluppino le dinamiche
favorevoli a un colpo di stato, è anche
interessante capire perché le
popolazioni avvallino questo tipo di
dinamiche. Infatti un conto è prendere
il potere manu militari, un conto
è tenere un paese nel corso del tempo.
Secondo quanto riportato da alcuni
analisti, è convinzione comune di una
larga parte della popolazione civile nel
Sahel che gli uomini forti al potere,
come potrebbero essere i militari, sono
maggiormente in grado di affrontare i
rischi concernenti la sicurezza rispetto
a quanto farebbero dei leader
“ordinari”.
Questo sicuramente in virtù del fatto
che numerosi leader non-militari nel
corso degli anni hanno avuto difficoltà
nella gestione delle varie nazioni,
portando la popolazione magari a
rimpiangere i vecchi dittatori del
secolo scorso. Tuttavia un elemento
preponderante in questo senso sono i
continui scontri con gruppi armati non
statali (gruppi terroristici, frange
ribelli), i quali hanno causato una
devastazione continua su ampie fasce di
territorio nel Sahel nel corso degli
anni.
Questo ha portato la popolazione comune
a ritenere che i militari siano più
adatti al comando in un contesto interno
in cui il governo deve fronteggiare
costantemente maggiori rischi per la
sicurezza. In funzione di tutto ciò, i
militari, una volta che prendono il
potere, vengono appoggiati largamente
dalla popolazione civile poiché vengono
visti o come dei veri e propri
liberatori o banalmente come il meno
peggio di ciò che la politica locale può
offrire.
Ed è proprio su questo punto che la
questione si fa ancora più complessa.
Infatti, oltre alla mancanza di fiducia
nei confronti dei politici classici, sta
sempre più maturando nel Sahel
un’insofferenza molto acuta verso quei
politici che sono legati alle vecchie
potenze coloniali, e in particolar modo
verso la Francia.
In questo senso il Mali è stato un vero
e proprio spartiacque, poiché da quando
è avvenuto qui il primo colpo di stato,
tutti gli stati della cosiddetta “Françafrique”
hanno iniziato a mettere in discussione
i propri legami con Parigi. A oggi, dopo
svariati anni ormai in cui il fenomeno
si è molto ampliato, è opinione diffusa
tra la popolazione civile che è meglio
avere a che fare con un militare che con
un politico legato alla Francia.
In questo senso una menzione particolare
va fatta al Mali, il quale sente proprio
molto più di altri paesi un astio nei
confronti di Parigi. Infatti per quanto
in tutta l’area del Sahel la retorica
anti-francese sia ormai uno standard
presso i militari arrivati al potere, il
Mali ha raggiunto recentemente dei
picchi mai visti prima in questo senso.
È notizia recente infatti che il
generale golpista Goita abbia espulso
l’ambasciatore francese Joel Meyer a
seguito di alcune dichiarazioni contro
il nuovo governo del Mali da parte del
Ministero degli Esteri.
Oltre a essere un insulto abbastanza
formale alla Francia in quello che
Parigi considerava fino a qualche anno
fa il proprio giardino di casa, questo è
stato anche un chiaro messaggio ai
cosiddetti “Nuovi Attori”, di cui si
parlerà più avanti, quali Russia,
Turchia e Cina. Quest’ultimo dato
infatti non è da sottovalutare.
Da una prima occhiata agli interventi
dei nuovi leader golpisti del Sahel si
può notare un discreto numero di
generali con simpatie più o meno
dichiarate verso la Russia, il che può
voler dire tutto e può voler dire niente
allo stesso tempo. Tuttavia, retorica a
parte, alcuni paesi hanno dimostrato
concretamente questa nuova direzione. Il
Mali in primis dopo l’ultimo colpo di
stato ha verosimilmente avviato in poche
settimane una collaborazione militare
con Mosca, ricevendo armamenti e servizi
dei contractors russi, il famoso gruppo
Wagner, e dando in cambio parte delle
risorse naturali presente nel paese (al
posto dei francesi). Un altro paese che
si è mosso nella stessa direzione è la
Republica Centrafricana, la quale è un
paese francofono che ha deciso di
affidare i servizi di sicurezza e di
addestramento delle forze locali ai
contractors della Wagner.
I vari militari che prendono il potere,
consci del fatto che un colpo di stato
causa ancora oggi sgomento all’interno
della comunità internazionale,
dichiarano sempre di voler rimanere al
potere solo per un periodo di tempo
limitato, fino a quando il processo
democratico non verrà ristabilito e
l’ordine costituzionale non sarà
riportano a essere funzionante dopo anni
di malgoverno. L’obiettivo teorico
quindi sarebbe quello di rimettere
carburante alla secca macchina dello
stato e riattivarne il dibattito
democratico tra partiti. Mettendo da
parte l’oratoria, che i generali siano
in grado di compiere tali ambiziosi
obiettivi o se soprattutto ne abbiano
voglia è ancora tutto da vedere.
Una volta giunti al potere, i nuovi
leader golpisti comunque non sembrano
preoccuparsi troppo delle reazioni
internazionali. Questo in virtù del
generale senso di insicurezza presente
tra la popolazione civile, dovuto come
abbiamo detto sia alla violenza diffusa
nell’area sia anche ai problemi legati
alla pandemia, che in qualche modo
guarda ai loro nuovi leader forti in
cerca di soluzioni, quanto meno nel
breve termine.
I militari sfruttano a pieno questa
situazione a loro vantaggio. Infatti,
per quanto a ogni nuovo colpo di stato
rinnovate rimostranze vengono alzate
dalla comunità internazionale, la verità
è che gli stati esteri possono ben poco
nei confronti dei nuovi leader. E hanno
ragione, anche perché, considerando il
tutto da un punto di vista esterno, per
i partner esteri cambia relativamente
poco tra una vecchia giunta civile
democraticamente eletta tramite
corruzione e brogli e una nuova giunta
militare che ha preso il potere tramite
la forza delle armi.
In quest’ottica è importante
differenziare le reazioni che provengono
dalla comunità internazionale. L’Unione
Europea non è sembrata interessarsi
molto riguardo queste violazioni dello
stato di diritto e le sue contromisure
non sono andate oltre alle generiche e
ininfluenti dichiarazioni di condanna.
In generale l’Occidente non si è esposto
molto sulla questione, nonstante il suo
storico ruolo di difensore dei diritti
democratici e dei diritti umani in tutto
il mondo. Un silenzio, se vogliamo,
indicativo più di mille parole.
Più veemente è invece la reazione degli
stati africani vicini, e in generale
dell’Ecowas (Comunità economica
degli Stati dell'Africa occidentale) e
dell’Unione Africana, le quali guardano
con estrema preoccupazione ciò che
accade nel Sahel. Infatti, oltre alle
più che legittime dichiarazioni contro
gli autori dei colpi di stato, queste
organizzazioni hanno provveduto ad
approvare sia delle sanzioni nei
confronti dei soggetti coinvolti nei
golpe sia a sospendere la membership di
questi stati dai relativi seggi occupati
in sede internazionale.
Un aspetto interessante è come in molti
paesi africani, tra cui alcuni di quelli
interessati da colpi di stato, si stia
assistendo negli ultimi anni a un
indebitamento generale nei confronti dei
cosiddetti “Nuovi Attori”, ovvero quei
partner internazionali che sono presenti
in Africa per massimizzare la propria
influenza politica, economica e
militare. Si parla in primis della Cina,
la quale agisce in modo quasi
incontrastato in tutto il continente,
della Turchia, della Russia e del Qatar.
Immancabili tuttavia sono i “Vecchi
Attori”, ovvero alcunì stati europei
(principalmente ex stati colonizzatori)
che ancora oggi traggono vantaggi
economici a discapito delle popolazioni
locali.
Tuttavia i “Nuovi Attori” hanno ormai
preso il sopravvento sui “Vecchi Attori”
nel continente nero per un fattore in
particolare. Infatti questi stati,
grazie al loro ordinamento politico
interno (in molti casi al limite
dell’autoritarismo) hanno una capacità
decisionale molto rapida, senza
necessità di lungaggini parlamentari o
discussione di lungo corso. In questa
maniera trasferimenti di fondi,
spedizioni di armamenti o più
semplicemente decisioni politiche sono
fatte molto rapidamente, dando occasione
ai nuovi partner africani di vedere
risultati nell’immediato, a distanza di
pochi giorni, e non invece attendere
tempi indefiniti come spesso accade
quando si ha a che fare con i governi di
stampo occidentale. E questo è un
fattore che alla lunga ha praticamente
soppiantato la presenza europea in
Africa con quella di questi “Nuovi
Attori”.
Altro aspetto della questione è che i
militari arrivati ai vertici degli stati
africani sono perfettamente consapevoli
che, nel caso in cui le questioni
politiche dei loro paesi arrivino in
sede di Nazioni Unite, hanno spesso
Russia e Cina che con il loro potere di
veto bloccano risoluzioni a loro sfavore
proprio in virtù delle nuove partnership
maturate in questi ultimi anni. Infatti
è importante sottolineare come questi
due paesi, e in particolar modo la Cina,
abbiano diverse collaborazioni
economiche e militari in Africa, senza
che però le forme di governo degli stati
partner o gli accadimenti politici degli
stessi influenzino il loro giudizio. In
pratica a nessun livello vengono posti
quesiti su come i leader siano arrivati
al potere né tantomento come si sia
formata la struttura dello stato in
questione, l’importante è che le
partnership e soprattutto i capitali
continuino a fluire prosperosamente.
Nonostante questo scenario non
rassicurante, è altrettanto importante
sottolineare come diversi paesi abbiano
dimostrato nei decenni passati di aver
abbracciato il modello democratico e di
averlo reso un proprio modello di
riferimento. In paesi come Senegal,
Tanzania, Ghana, Zambia, Sud Africa,
Kenya e pochi altri si è avuta ormai da
tempo una sana alternanza di
schieramenti politici tramite competenze
elettorali e un consolidamento dello
stato di diritto totalmente assente in
altre aree del continente. Ciò senza
alcun dubbio deve fungere da modello per
gli altri stati ma soprattutto deve far
porre la domanda di come sia possibile
che il modello democratico abbia
funzionato in certe aree mentre in altre
sembra essere praticamente inattuabile
in questo particolare momento storico.
In conclusione, la situazione politica
in Africa negli ultimi anni ha denotato
una caduta libera dal punto di vista dei
diritti politici e democratici come non
se ne vedevano dai tempi della Guerra
Fredda.
Anni e anni di sfruttamente occidentale
hanno reso la popolazione locale
insofferente verso le potenze del
Vecchio Continente, e in particolar modo
verso la Francia, portandola alla
convinzione che è meglio avere un
governo presieduto da militari piuttosto
che una democrazia basata su qualche
pedina europea. Il malgoverno della
corrotta classe dirigente di svariati
paesi dell’area del Sahel ha alimentato
come benzina sul fuoco il malcontento e
la rabbia della popolazione, la quale ha
ormai iniziato a vedere i propri
politici locali come semplici cani da
riporto di qualche potenza occidentale
dall’altra parte del Mediterraneo.
Vista la situazione di crisi, varie
frange militari hanno sfruttato la
situazione a proprio vantaggio,
supportate sia da un avvallo popolare
sia da nuove opportunità di business con
nuovi partner esteri. Infatti i “Nuovi
Attori” garantiscono a questi nuovi
leader militari spazio libero su come
gestire i propri paesi, fintanto che gli
interessi reciproci vengano garantiti.
Tuttavia è anche vero che, per quanto i
paesi del Sahel cerchino di svincolarsi
dall’Occidente, questo procedimento non
è per nulla immediato né è scontato che
avvenga in toto.
Il fatto che il Mali non abbia chiesto
la fine dell’Operazione Takuba,
operazione di peace-keeping
comandata dalla Francia, è un segnale in
questo senso. Gli anni a venire saranno
cruciali per il destino di questa
regione, sia per vedere se
effettivamente le partnership con questi
“Nuovi Attori” possa portare in qualche
modo un valore aggiunto effettivo alle
varie nazioni sia per rendersi
indipendenti dalle vecchie potenze
coloniali che sovrastavano ancora le
deboli economie africane con i propri
interessi e le proprie pretese.
Le sfide sono tante e di notevoli
dimensioni, bisognerà solamente vedere
se l’interesse a vincerle per il bene
della popolazione di questa regione sarà
altrettanto grande. |