[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

165 / SETTEMBRE 2021 (CXCVI)


attualità

A proposito di Afghanistan
Storia di una terra agognata dalle grandi potenze

di Francesco Biscardi

 

La notizia del ritiro del contingente americano dall’Afghanistan e il ritorno al potere dei talebani ha da parecchie settimane catturato l’attenzione dei media. Complici le crude immagini dei disperati che hanno tentato in extremis di fuggire rincorrendo gli aerei, financo arrivando ad aggrapparsi agli stessi, sono sorte polemiche a non finire. Per comprendere meglio la complessa situazione attuale, può essere utile ripercorre la storia di questa nazione, preda da un paio di secoli dell’”appetito” delle potenze occidentali, interessate alle risorse del suo territorio (petrolio, gas naturale, ferro, rame) e alla sua strategica posizione geografia.

 

L’Afghanistan divenne un emirato indipendente nel 1823, dopo aver vissuto un passato burrascoso: nel Medioevo entrò dapprima a far parte del califfato arabo-islamico, fu poi occupato dai mongoli, conquistato, in età moderna, dai Moghul indiani prima e dai Safavidi persiani dopo; conobbe infine una stagione convulsa fra Sette e Ottocento quando si susseguirono un periodo di affrancamento da ingerenze straniere e uno sotto controllo britannico.

 

A partire dalla seconda metà del XIX, all’interesse per questa terra della Gran Bretagna, che dominava in India, si aggiunse quello della Russia, la quale, dopo l’infelice conclusione della Guerra di Crimea del 1864-66, mirava ad espandersi verso il Golfo Persico. Queste due potenze avviarono una contesa volta all’accaparramento del maggior numero possibile di terre asiatiche; una “partita”, definita dagli inglesi “Great Game” (“Grande Gioco”) e dai russi “Turniry Teney” (“Torneo delle Ombre”), che investì l’area compresa fra il Medio Oriente, la penisola indiana e l’Asia centrale. Fu tuttavia un conflitto di bassa intensità: una sorta di “guerra fredda” combattuta prevalentemente con le armi dello spionaggio, degli accordi e degli intrighi con i signori locali, destinata a concludersi nel 1907 quando i due paesi appianarono ogni divergenza al fine di dare vita a quella coalizione anti-tedesca che, insieme con la Francia, sfocerà nella Triplice Intesa.

 

La Prima guerra mondiale vide una, per così dire, “seconda fase” del Grande Gioco, in quanto furono tedeschi ed ottomani a raggiungere il territorio controllato da Kabul per colpire gli avamposti inglesi in India.

 

Chiuso il conflitto furono i vertici della Repubblica di Weimar prima e del Terzo Reich poi ad investire qui milioni di marchi e notevoli risorse umane e materiali. L’attenzione di Berlino verso l’Afghanistan preoccupò l’Unione sovietica, la quale, a sua volta, cercò di ritagliarsi anch’essa un ruolo privilegiato di partner economico-strategico con il paese. A quel punto si inserì nella “contesa” anche l’Italia fascista: nell’autunno del 1936 l’ex rappresentante italiano a Kabul, Ugo Sabetta, suggerì a Galeazzo Giano, allora Ministro degli Esteri, di adoperarsi affinché sapesse cogliere l’opportunità di “fiancheggiare l’azione tedesca in quel baluardo asiatico per opporsi ad ogni espansione del bolscevismo che preme più che mai sui confini afghani per avere poi agio di liberamente dilagare e poi diffondersi in India”. Il 19 novembre venne così inviato a Kabul un ambasciatore, Piero Quaroni, per sondare la possibilità di una intesa con Roma.

 

L’Afghanistan si legò così sia economicamente che diplomaticamente a nazisti, fascisti e sovietici. L’intesa raggiunta con il patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939 e lo scoppio del conflitto sembrava potessero prefigurare per questa terra una futura spartizione fra tedeschi e russi similmente a quanto accaduto in Polonia: nel 1940 Stalin ne pianificò l’invasione, mentre Hitler, fino al 1943, caldeggiò l’idea che il paese potesse divenire un primo avamposto in Asia in funzione anti-britannica. Tuttavia, il deterioramento dei rapporti fra i due totalitarismi, l’ambizione del führer ad assicurare ai tedeschi il loro “spazio vitale” nell’est-Europa, l’aggressivo imperialismo nipponico e l’ingresso in guerra degli Stati Uniti, garantirono all’Afghanistan una quasi insperata neutralità e indipendenza.

 

Terminata la Seconda guerra mondiale ed iniziata la stagione del Bipolarismo, la nazione continuò ad essere preda ambita dei sovietici, a cui ora si contrapposero gli americani, interessati a “contenere” l’espansione dell’Urss e del comunismo. Nel 1947 il presidente Truman tentò di inserire il paese nel piano di sicurezza globale, ma lo shah di Kabul, Mahmud Khan, che aveva l’anno precedente regolato delle questioni di confine con altri paesi asiatici, si allontanò dal blocco occidentale (i rapporti con gli Usa resteranno freddi fino al 1963). La motivazione principale era stata la nascita, il 14 agosto 1947, del Pakistan, cosa che cozzava contro il sogno nazionalista di dare vita ad un “Grande Afghanistan” nel centro dell’Asia. Kabul partecipò così alla guerra indo-pakistana del 1947-49 per il possesso del Kashmir, e si legò strettamente a Mosca per una quindicina di anni.

 

Alcuni studiosi hanno sostenuto che la decade 1963-73 fu l’”età dell’oro” che fece dell’Afghanistan il “giardino del Medio Oriente”, per il progressivo clima di distensione e perché venne varata una Costituzione di stampo democratico che introduceva un sistema parlamentare, libere elezioni e riconosceva i diritti civili alle donne. Tuttavia, questa immagine idillica è stata parzialmente sottoposta a revisione critica, in quanto, dietro il miglioramento delle condizioni socio-economiche generali, cresceva la corruzione ai vertici del paese ed il biennio 1971-73 fu contrassegnato da una carestia che mieté fra le 50 e 500.000 mila vittime.

 

Nel 1973 fu attuato un colpo di stato sostenuto dall’esercito e dal Partito democratico del popolo afghano (Pdpa), che revocò la Costituzione, liquidò il sistema parlamentare e portò al potere Mohammed Daud, autoproclamatosi Presidente della Repubblica afghana.

 

I buoni rapporti con i sovietici andarono a deteriorarsi, finché, nel 1977, il capo dello stato non decise di voltare definitivamente le spalle al suo partito e all’Urss, a favore di America, India, Iran ed Arabia Saudita. Tuttavia, quando Daud avviò trattative con la Nato per la concessione di basi in terra afghana, l’Urss e il Pdpa sostennero un secondo golpe che condusse alla nascita di una Repubblica democratica, la quale procedette ad una laicizzazione forzata, imponendo l’obbligatorietà dell’istruzione femminile e vietando il burqa.

 

Per paradossale che possa sembrare la condizione di molte donne peggiorò, perché, nelle famiglie altolocate, queste divennero soventemente “merce” di scambio e di trattativa nei matrimoni combinati, mentre il clima di tensione che si creò portò alla guerriglia dei “muyaheddin” (“combattenti di Allah”), che si richiamarono al jihad contro gli “infedeli”. La guerra civile dilagò in tutto il paese, mentre Mosca inviò dapprima un migliaio di “consiglieri” militari, fino ad optare per l’invasione del paese nel 1979. Lo scontro, che fu sostanzialmente l’ultimo terreno di confrontazione della Guerra fredda (con gli americani che fiancheggiarono la guerriglia contro l’Armata rossa), durò nove anni. Fra coloro che accorsero a sostegno dei ribelli vi era un gruppo di rigidi fondamentalisti: i talebani, gli “studenti” (da taleb, “studente”) formatisi nelle scuole coraniche del Pakistan, i quali, dopo il ritiro delle truppe sovietiche, si insediarono gradualmente al potere.

 

Fra i “combattenti per la fede” spicca il nome di Osama Bin Laden, che proprio in Afghanistan si addestrò e maturò i suoi propositi. Nato in Arabia Saudita nel 1957, negli anni Settanta-Ottanta era un miliardario arabo assiduo frequentatore dell’Occidente, non diversamente da tanti altri. Si è speculato molto sui legami fra questi, al-Qaeda (cellula terroristica fondata nel 1988 e capace di ramificarsi con una struttura tentacolare in vari paesi del mondo), la CIA e la Casa Bianca, ma in proposito l’unica cosa certa è che inizialmente sia lui sia i jihadisti sauditi e yemeniti ricevettero notevoli supporti finanziari e logistici dagli Usa.

 

L’escalation di Bin Laden da “pedina” contro i sovietici a “sceicco del terrore” avvenne gradualmente: nel 1992, accusato di tramare contro l’Occidente, fu costretto a riparare in Sudan, dove rimase fino al 1996, anno in cui dovette nuovamente fuggire per non cadere in mano statunitense. L’accusa principale che gli venne mossa mentre era in Africa era quella di essere stato l’ideatore di un primo attentato sul suolo americano: l’esplosione, il 26 febbraio del 1993, di un camion bomba a New York. Tornò in Afghanistan, dove si affidò alla protezione del leader islamico Omar, e da qui lanciò i suoi messaggi minacciosi agli Usa, mentre furono attribuiti a lui altri due attentati: quelli alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998.

 

Prima dell’attacco al World Trade Center, erano arrivati dei moniti a stare in guardia: il 30 gennaio 2001 un rappresentante della CIA denunciò l’esistenza di un micidiale piano terroristico contro gli States, seguito, il 6 agosto, da un altro ragguaglio sui progetti di Bin Laden. Tuttavia non si dette sufficiente attenzione a queste voci e l’11 settembre 2001 diverrà una delle peggiori date della storia americana. Il presidente Bush annunciò la sua decisione di combattere il terrorismo tre giorni dopo, il 14 settembre, dando avvio alla guerra contro il regime talebano di Kabul, accusato di connivenza con al-Qaeda. Due anni dopo il terreno degli scontri si ampliò a seguito della denuncia, pronunciata dallo stesso commander in chief in occasione del suo discorso sullo Stato dell’Unione del 29 gennaio 2002, dell’esistenza di un “axis of evil”, un “asse del male”, composto da altri tre nemici dell’America: l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord. Iniziò così la Seconda guerra del Golfo contro il regime iracheno di Saddam Hussein, imputato, in totale malafede, di possedere armi di distruzione di massa. Da allora “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia” sono state due delle enunciazioni d’ordine che hanno guidato la politica estera americana. Tuttavia, ad oggi, sembra che gli sforzi compiuti non abbiano prodotto risultati del tutto soddisfacenti, come provato dalla recente vicenda afghana e dalle “primavere arabe” che, a partire dal 2010-11, hanno scosso l’Africa mediterranea e il Vicino Oriente.

 

Dubbi ed incertezze dominano le operazioni che sono state condotte dopo l’11 settembre. Già in quel frangente non sono mancate accuse alla Casa Bianca di aver spinto la CIA ad orchestrare l’attentato, o di non averlo voluto prevenire allo scopo pretestuoso di muovere guerra in Asia per fini egemonici ed economici. Sono poi seguite polemiche sulla misteriosa morte di Bin Laden, ucciso nel 2011 in seguito ad un poco chiaro blitz nel rifugio dove si era nascosto in Pakistan, e di Saddam Hussein, catturato nel 2006 e condotto non dinnanzi alla Corte di Giustizia Internazionale, ma affidato ad un tribunale locale, bramoso di mettere fine alla sua vita. Mentre è ormai accertato non solo che il leader iracheno non possedeva armi di distruzione di massa, ma anche che gli stessi vertici governativi americani e inglesi ne erano al corrente fin dall’inizio (come dovette ammettere pubblicamente l’ex premier britannico Tony Blair nel 2015).

 

Viste le recenti vicissitudini geopolitiche mondiali, non possiamo che guardare al futuro dell’Afghanistan con un misto di paura e apprensione. In proposito è interessante riportare un’affermazione di Andrea duca di York, terzogenito della regina Elisabetta, il quale, il 30 novembre del 2010, in occasione di un colloquio con l’ambasciatore di Washington in Kirghizistan, si espresse con queste parole: “Il Regno Unito, l’Europa occidentale e gli Stati Uniti sono di nuovo nel mezzo del Grande Gioco e ci resteranno fino a quando non avranno vinto tutto l’oro della puntata”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Campanini M., Storia del Medio Oriente contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2016.

Cardini F., Il califfato e l’Europa. Dalle crociate all’ISIS: mille anni di paci e guerre, scambi, alleanze e massacri, DeAgostini, Novara 2015.

Di Rienzo E., Afghanistan. Il Grande Gioco, Salerno Editrice, Roma 2014.

Gentile E., La democrazia di Dio. La religione americana nell’era dell’impero e del terrore, Laterza, Roma-Bari 2006.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]