N. 80 - Agosto 2014
(CXI)
L'Affresco
e LA
pittura
a
calce
breve
analisi
di
TECNICHE
PITTORICHE D'Antica
affidabilità
-
PARTE
I
di
Federica
Campanelli
La
tecnica
pittorica
dell’affresco
rientra
nella
categoria
della
pittura
parietale
ed è
nota
per
essere
tra
le
più
antiche,
difficoltose
e
soprattutto
durature.
Spesso,
però,
il
termine
'affresco'
è
utilizzato
impropriamente
per
intendere
qualsiasi
tipologia
di
dipinto
parietale,
tralasciando
la
dovuta
considerazione
del
legante
pittorico
impiegato,
che
è il
principale
“indicatore”
della
tecnica
artistica.
Eppure,
anche
quando
il
medium
è
identificabile,
non
è
detto
che
possa
trattarsi
di
un
vero
affresco
ma,
come
specificato
in
seguito,
di
un
dipinto
a
calce,
detto
anche
mezzo-fresco
o
falso
fresco.
Nell’affresco
propriamente
detto
–
non
a
caso
chiamato
anche
buon
fresco
dagli
illustri
Cennino
Cennini
nel
suo
Libro
dell’arte
(fine
del
XIV
secolo)
e da
Giorgio
Vasari
ne
Le
Vite
de
più
eccellenti
pittori,
scultori
e
architettori
(XVI
secolo)
– il
pigmento
non
è
applicato
“a
corpo”,
cioè
veicolato
da
un
legante,
ma è
stemperato
semplicemente
in
acqua:
il
pigmento
troverà
il
legante
nella
preparazione
stessa,
rappresentata
da
uno
strato
di
intonaco
ancora
fresco,
da
cui
il
nome
della
tecnica.
Terminato
il
processo
chimico
di
carbonatazione
della
calce,
i
pigmenti
saranno
inglobati
nella
struttura
cristallina
del
carbonato
di
calcio,
formatosi
per
la
suddetta
reazione
in
fase
acquosa.
La
carbonatazione
è la
reazione
che,
dall’idrossido
di
calcio,
ossia
calce
spenta,
porta
alla
formazione
di
carbonati,
in
presenza
di
diossido
di
carbonio
e
conseguente
perdita
d'acqua.
Sinteticamente
può
esser
descritta
come
segue:
Ca(OH)2+CO2
à
CaCO3+H2O
Condizione
necessaria
è,
dunque,
la
presenza
di
anidride
carbonica,
quindi
di
aria.
Per
tale
motivo
le
calci
che
rispondono
a
questo
principio
sono
dette
aeree.
Poiché
il
processo
avviene
piuttosto
velocemente
sulla
superficie
esposta,
per
poi
proseguire
lentamente
in
profondità
(la
velocità
di
penetrazione
diminuisce
nel
tempo
in
relazione
alla
concentrazione
di
CO2,
dei
valori
di
umidità
relativa
e
temperatura),
i
pittori
hanno
messo
in
atto
vari
espedienti
per
ottimizzare
le
condizioni
ambientali
e
migliorare
il
risultato
finale.
Una
valida
pratica
di
bottega,
semplice
ma
efficace,
consisteva
nel
comprimere
la
superficie
dell’intonaco
messo
in
opera
per
far
risalire
in
superficie
l’acqua
di
calce,
sopperendo
così
alla
necessità
di
mantenere
–
per
la
sola
durata
della
stesura
pittorica
–
un'ottimale
concentrazione
di
acqua
d'imbibizione
nello
strato
preparatorio.
Nella
pittura
a
calce,
a
differenza
dell’affresco,
si
fa
un
uso
“tradizionale”
del
legante,
se
per
tradizionale
intendiamo
la
maniera
più
classica
di
applicare
le
stesure
pittoriche
su
di
un
supporto,
e
cioè
veicolando
i
pigmenti
attraverso
il
medium.
In
questa
tecnica
il
legante
è
impiegato
in
forma
di
latte
di
calce
o
acqua
di
calce:
nel
primo
caso
si
ha
un
fluido
in
cui
le
particelle
di
Ca(OH)2
sono
in
sospensione
acquosa;
nell’acqua
di
calce,
invece,
si
ha
una
soluzione
satura
di
Ca(OH)2.
Entrambe
le
forme
–
latte
e
acqua
di
calce
–
possono
essere
estratte
dal
medesimo
composto,
cioè
dal
grassello,
una
pasta
idrata
dalla
consistenza
untuosa,
ottenuta
per
spegnimento
della
calce
viva.
Le
pitture
parietali
a
calce
possono
essere
eseguite
su
superfici
completamente
asciutte
o
quando
il
processo
di
carbonatazione
è
già
in
atto.
I
pigmenti
sono,
dunque,
preventivamente
stemperati
in
latte
o
acqua
di
calce
e
applicati
sull’intonaco.
A un
primo
sguardo
le
due
tecniche
possono
essere
facilmente
confuse
per
l’aspetto
del
tutto
simile
che
assumono
le
superfici
dipinte
ma
internamente
si
nascondono
delle
differenze
morfologiche
facilmente
intuibili:
nell’affresco,
infatti,
le
particelle
di
pigmento
devono
penetrare
nella
preparazione
affinché
acquisiscano
coesione
e il
risultato
non
può
che
essere
la
formazione
di
uno
strato
pittorico
estremamente
sottile
e
“fuso”
con
l’intonaco
sottostante,
senza
soluzione
di
continuità;
nella
pittura
a
calce
ciò
non
accade
in
quanto
le
stesure
pittoriche
sono
“sovrapposte”
alla
preparazione
ormai
inerte
e
ciò
giustifica
generalmente
– ma
non
sempre
–
spessori
maggiori
dello
strato
pittorico.
C’è
da
dire
che
sono
pochi
i
manufatti
eseguiti
in
toto
ad
affresco,
il
più
delle
volte,
infatti,
il
dipinto
affrescato
veniva
ultimato
con
rifiniture
a
secco,
usando
soprattutto
calce
e
tempera.
Non
sono
poi
rari
i
casi
in
cui
questi,
addirittura,
prevalgono,
tanto
da
non
poter
più
parlare
di
affresco,
nonostante
l'errata
abitudine
di
ricorrere,
comunque,
a
questa
definizione
per
ogni
opera
pittorica
parietale.
Nelle
pitture
murali
di
matrice
bizantina
ci
si
scontra
in
genere
con
questa
realtà:
ampie
campiture
cromatiche
di
fondo
venivano
stese
ad
affresco
ma
il
resto
dell’opera
–
tratti
dei
volti,
lumeggiature,
ombre,
dettagli
decorativi
–
era
realizzato
soprattutto
a
calce.
Preparazione
del
supporto
La
preparazione
del
supporto
murario
ha
stratigrafia
e
composizione
molto
variabili
in
base
al
luogo
e
all’epoca
dell’esecuzione.
Nella
sua
forma
più
completa
è
genericamente
descritta
come
costituita
da
tre
tipi
principali
di
stesure:
rinzaffo;
arriccio
e
intonachino
(talvolta
chiamato
tonachino).
Il
rinzaffo
è
una
malta
grossolana
(la
granulometria
dell’inerte
può
raggiungere
i 5
mm)
stesa
direttamente
sulla
parete
rocciosa
o di
mattoni.
Il
suo
ruolo
è
soprattutto
quello
di
livellare
il
supporto
murario,
preparandolo
alla
posa
degli
strati
d'intonaco
successivi.
La
malta
con
la
quale
è
realizzato
il
rinzaffo,
si
compone
di
solito
da
tre
parti
di
carica
inerte
–
sabbia
di
fiume
o
pozzolana
poco
setacciati
– e
una
parte
di
calce
spenta.
La
sabbia
deve
essere
di
fiume
poiché
priva
dei
cloruri
presenti
nelle
sabbie
marine
e
lagunari.
La
migliore
composizione
è
data
da quarzo (SiO2)
e
carbonati
(CO32-),
mentre
deve
essere
del
tutto
priva
di
minerali
argillosi,
solfuri
e
prodotti
organici.
Altri
minerali
come
miche
e
tectosilicati
sono
tollerati
sono
in
piccole
quantità.
Un
altro
di
inerte
di
cui
si è
fatto
uso,
soprattutto
in
epoca
romana,
è
stato
la
pozzolana,
un
deposito
piroclastico
contenente,
in
gran
parte,
biossido
di
silicio
(SiO2,
silice)
e
ossido
di
alluminio
(Al2O3,
allumina).
Peculiarità
della
pozzolana
utilizzata
come
inerte
nelle
malte,
dette
idrauliche,
è
quella
di
permettere
la
presa
più
velocemente
e in
assenza
di
anidride
carbonica,
conferendo
una
maggiore
compattezza
e
resistenza
grazie
alla
formazione
silicati
di
calcio
e
alluminati
di
calcio
idrati.
Lo
spessore
è
variabile,
giacché
dipende
dalla
morfologia
del
supporto,
ma
generalmente
si
riscontrano
valori
da 1
a 2
cm;
l'irregolarità
della
sua
superficie
deve
essere
tale
da
permettere
una
tenuta
ottimale
degli
strati
preparatori
sovrastanti.
Il
secondo
strato,
l’arriccio,
è
anch’esso
composto
da
carica
inerte
e
calce
spenta,
ma
con
proporzioni
variabili
da
3:1
a
2:1.
Sua
peculiarità
è
una
compattezza
maggiore,
resa
possibile
dalla
media
granulometria
dell’inerte
(0,50-2
mm).
Una
volta
consolidato
l’arriccio
si
stende
l’ultimo
strato
preparatorio:
l’intonachino,
una
malta
di
sabbia
fine
e/o
polvere
di
marmo
e
grassello
nelle
proporzioni 2:1
oppure, nel
caso
di
calce
più
magra,
1:1:
uno
dei
parametri
merceologici
del
grassello
è,
infatti,
la
sua
“resa"
(resa
al
grassello),
cioè
il
rapporto
tra
il
volume
del
prodotto
(considerato
al
momento
in
cui,
per
evaporazione,
la
sua
superficie
comincia
a
fessurarsi)
e il
peso
della
calce
viva
di
partenza.
La
calce
può
così
esser
distinta
in
magra
quando
la
resa
al
grassello
è
compresa
tra
i
valori
1.5
e
2.5;
grassa,
quando
la
resa
al
grassello
ha
valori
superiori
a
2.5.
Lo
spessore
dello
strato
d’intonachino
è
nettamente
inferiore
rispetto
ai
precedenti
e la
sua
superficie
è
trattata
in
modo
da
essere
più
levigata
e
compatta
possibile,
riducendo
al
minimo
le
asperità.
Nell’affresco,
come
detto,
l'esecuzione
del
dipinto
avviene
sull’intonachino
ancora
fresco,
dunque
la
posa
deve
proseguire
per
gradi.
Le
due
modalità
di
messa
in
opera
riscontrate
nella
storia
sono
dette
a
pontate
e
a
giornate.
La
tecnica
a
pontate,
la
più
diffusa
fino
al
basso
Medioevo,
prevede
l’applicazione
dell’intonaco
per
fasce
orizzontali,
dall’alto
verso
il
basso,
seguendo
l’andamento
dei
piani
del
ponteggio.
La
tecnica
a
giornate,
diversamente,
impone
la
stesura
dell’intonaco
secondo
aree
di
dimensione
e
forma
variabili,
dettate
principalmente
dalla
composizione
pittorica
che
si
andrà
a
eseguire.
L’identificazione
delle
tracce
di
raccordo
tra
"giornate"
o
"pontate"
in
alcuni
casi
è un
utile
criterio
per
poter
distinguere
la
tecnica
dell’affresco
dalla
pittura
a
calce.
Il
modo
di
operare
descritto
sin’ora
non
deve
essere
considerato
rigido
poiché
il
numero
di
stesure
della
preparazione,
tra
rinzaffo,
arriccio
e
intonachino,
ha
subito
nel
corso
dei
secoli
diverse
variazioni.
In
taluni
casi
il
rinzaffo
è
assente
o in
altri
si
assiste
a
stesure
estremamente
sottili
o
molto
profonde
dei
vari
strati
d’intonaco.
In
epoca
romana,
ad
esempio,
la
preparazione
era
costituita
generalmente
da
numerose
stesure
sovrapposte,
fino
a
raggiungere
uno
spessore
complessivo
di
8-12
cm,
mentre
in
età
paleocristiana
e
altomedievale gli
strati
preparatori
cominciano
a
ridursi
sia
in
numero,
sia
in
spessore.
Disegno
preparatorio
La
più
importante
produzione
di
veri
disegni
preparatori
inizia
dal
XIV
secolo
(anche
se
non
mancano
rari
esempi
antecedenti).
In
questo
periodo,
infatti,
s’introduce
la
sinopia,
un
disegno
preparatorio
eseguito
sull’arriccio
e
così
chiamato
perché
tradizionalmente
tracciato
con
terra
di
Sinope,
un
pigmento
minerale
rosso
a
base
di
ossidi
di
ferro
anidri,
proveniente
dalla
provincia
di
Sinop.
Caratteristica
della
sinopia
è di
rappresentare
l’intera
composizione,
a
volte
anche
nei
minimi
dettagli,
in
modo
da
fornire
un’idea
di
quello
che
sarà
il
risultato
finale.
Una
volta
realizzata
la
sinopia,
il
pittore
è in
grado
di
stabilire
la
forma
e
l’andamento
delle
giornate
d’intonachino
che
andrà
dipinto
secondo
il
proprio
progetto.
Prima
di
procedere
alla
al
dipinto,
si
esegue
un
secondo
tipo
di
disegno
preparatorio.
Le
modalità
di
esecuzione
di
questo
possono
essere
suddivise
in
due
categorie:
diretto
e
indiretto.
Il
disegno
diretto
contempla
tecniche
come
l’incisione
e il
disegno
eseguiti
direttamente
sull’intonachino
fresco.
Il
disegno
indiretto,
più
diffuso
per
le
grandi
opere
e
solo
a
partire
dal
Rinascimento,
si
avvale
dell’uso
dei
cosiddetti
'cartoni',
cioè
modelli
della
composizione
in
scala
1:1.
Avvalendosi
dei
cartoni
l’esecutore
dell’opera
potrà
concretizzare
il
disegno
preparatorio
mediante
lo
spolvero
e
incisione
indiretta.
Lo
spolvero
è
ottenuto
picchiettando
un
sacchetto
di
garza
riempito
con
del
pigmento
rosso
o
nero,
sopra
il
cartone
in
cui
sono
stati
praticati
dei
fori
che
seguono
i
contorni
delle
figure.
Così
è
possibile
tracciare
una
linea
discontinua,
fatta
di
tanti
punti
ravvicinati,
sull’intonachino.
Tale
tecnica,
qualora
utilizzata,
è
facilmente
riconoscibile
poiché
i
puntini
rilasciati
dallo
spolvero
sono
visibili
anche
a
opera
terminata.
Con
l’incisione
indiretta
si
ricalcano,
per
mezzo
di
una
punta
rigida,
i
profili
e le
linee
precedentemente
disegnati
sul
cartone
e in
questo
modo
sull’intonaco
si
potranno
distinguere
dei
solchi
dal
bordo
smussato.
In
epoche
precedenti
il
disegno
preparatorio
–
dove
presente
– si
limitava
a
qualche
traccia
eseguita
a
pennello
sulla
malta
ancora
fresca
o
già
carbonatata.
Questo
modo
di
operare,
frequente
nella
cultura
bizantina,
era
dettato
dallo
stesso
stile
pittorico:
la
composizione
era,
infatti,
relativamente
semplice
e
comunque
sempre
legata
a
rigidi
canoni
stilistici
e
iconografici
che
lasciavano
poco
spazio
a
complesse
elaborazioni.
Pigmenti
La
gamma
cromatica
dell’affresco
e
nel
mezzo-fresco
risulta
essere
abbastanza
limitata
a
causa
della
basicità
della
calce
a
cui
non
tutti
i
pigmenti
sono
chimicamente
stabili,
inoltre
– e
ciò
vale
in
generale
per
tutte
le
tecniche
pittoriche
– il
carattere
chimico
di
un
particolare
pigmento
può
precluderne
l’uso
congiunto
a un
altro
con
cui
risulterebbe
incompatibile
e
quindi
instabile.
Si è
potuto
osservare
che
i
pigmenti
a
base
di
solfuri
come
il
realgar
As2S2
o As4S4,
il
cinabro
HgS;
quelli
con
componenti
acide
o
contenenti
alcuni
metalli
pesanti,
possono
subire
una
radicale
alterazione
chimica
e di
conseguenza
anche
cromatica.
Tra
i
più
noti
pigmenti
esclusi
dalle
tecniche
che
implicano
l’uso
della
calce
vi è
l’azzurrite,
ottenuto
per
macinazione
dall’omonimo
minerale
di
formula
2CuCO3·Cu(OH)2.
L’azzurrite
è
nota
per
la
sua
tendenza
a
trasformarsi,
in
ambiente
umido,
in
malachite
CuCO3·Cu(OH)2,
minerale
di
colore
verde.
Altri
viraggi
al
verde
possono
essere
dovuti
all’interazione
con
cloruri,
portando
alla
formazione
di
cloruri
basici
di
rame,
o
con
pigmenti
contenenti
solfuri,
con
conseguente
formazione
di
solfuri
di
rame
di
colore
nero.
I
pigmenti
impiegabili
ad
affresco
e a
calce
sono
per
lo
più
quelli
appartenenti
alla
categorie
delle
terre
naturali
cioè
silicati,
ossidi
e
idrossidi
di
alcuni
metalli
di
transizione
come
ferro
(terra
d’ombra,
terra
di
Siena,
ocra
rossa,
ocra
gialla,
terra
verde),
alluminio
(ossidi
di
alluminio
sono
contenuti
nella
già
citata
terra
verde
e
nel
bruno
di
Cassel)
e
manganese
(terra
di
Siena,
terra
d’ombra,
bruno
di
Cassel).
La
maggior
parte
dei
pigmenti
usati
nell’affresco
è di
origine
minerale,
ciò
nonostante
si è
riscontrato
l’uso
di
alcuni
composti
coloranti
che
presentano
sostanze
di
natura
organica:
tra
questi
i
più
conosciuti
sono
il
nero
vite,
il
bruno
di Cassel
e
l’indaco.