N. 143 - Novembre 2019
(CLXXIV)
SULL’AFFAIRE
DREYFUS
ANTISEMITISMO
E
INTOLLERANZA
tra
passato
e
presente
di
Giovanna
D’Arbitrio
Mentre
imperversano
crescenti
revival
di
odi
razziali
ed
estremismi
politici,
il
film
L’Ufficiale
e la
Spia
(J’accuse),
di
Roman
Polanski,
dimostra
come
in
qualsiasi
epoca
razzismo,
potere
politico
e
militare
possano
costruire
false
verità
capaci
di
sconvolgere
vite
umane.
Il
film,
tratto
dall'omonimo
romanzo
di
Robert
Harris,
ha
riportato
alla
luce
il
cosiddetto
Affaire
Dreyfus.
Il
caso
scoppiò
in
Francia
quando
il
capitano
ebreo
Alfred
Dreyfus
fu
accusato
di
spionaggio
a
favore
della
Germania,
in
un
contesto
di
corporativismo
militare
e
antisemitismo
alimentati
dalla
perdita
di
Alsazia
e
Lorena,
inflitta
dalla
Germania
nel
1871.
Benché
il
vero
colpevole
fosse
il
colonnello
Ferdinand
Walsin
Esterhazy,
prevalsero
le
false
accuse
contro
l’ufficiale
ebreo.
Tutto
iniziò
quando
nel
1894
Madame
Bastian,
un'anziana
donna
delle
pulizie
nell'Ambasciata
di
Germania
a
Parigi,
consegnò
come
al
solito
il
contenuto
del
cestino
per
la
carta
straccia
al
maggiore
Hubert
J.
Henry,
vicedirettore
del
bureau
di
controspionaggio
francese:
Henry
trovò
una
lettera,
chiamata
poi
bordereau,
in
cui
c’era
una
lista
di
documenti
segreti
che
un
anonimo
proponeva
di
vendere
ai
tedeschi.
Fra
gli
ufficiali
sospettabili,
c'era
Alfred
Dreyfus,
la
cui
grafia
parve
somigliante
a
quella
della
lettera.
Nel
1894
Dreyfus,
quindi,
venne
accusato
di
spionaggio
come
autore
della
lettera
indirizzata
al
tedesco
Maximilian
von
Schwartzkoppen.
Ufficiale
di
artiglieria
ebreo
alsaziano,
Dreyfus
aveva
deciso
di
lasciare
l'industria
di
famiglia
per
arruolarsi
nell’esercito
francese,
sognando
la
rivincita
contro
i
tedeschi
e la
riconquista
dell'Alsazia,
uno
dei
pochi
ebrei
accettati
nell’esercito,
malgrado
l’antisemitismo
in
esso
molto
diffuso.
Benché
fosse
un
buon
ufficiale,
borghese
benestante
sposato
con
la
ricca
Lucie
Hadamard,
venne
arrestato
il
13
ottobre
del
1894.
Convocato
dal
maggiore
Armand
du
Paty
de
Clam
,
venne
perquisito
da
Cochefert,
il
capo
della
Sureté
di
Parigi,
e da
Gribelin,
l'archivista
dell'Ufficio
di
Statistica.
Dreyfus
rimase
dapprima
inebetito
per
l’accusa
di
tradimento
e
poi,
indignato,
reagì
dichiarandosi
innocente.
Du
Paty
asserì
allora
che
le
prove
contro
di
lui
erano
schiaccianti,
mentre
Cochefert
gli
mostrava
una
pistola
sotto
un
mucchio
di
carte:
un
invito
a
farsi
giustizia
da
solo,
senza
processi
e
scandali,
ma
lui
non
si
uccise,
intenzionato
a
dimostrare
la
sua
innocenza.
Venne
trasferito
al
carcere
militare
del
Cherche-Midi
e il
19
dicembre
il
tribunale
militare
cominciò
il
processo
a
porte
chiuse.
La
prova
della
colpevolezza
di
Dreyfus
si
basò
soprattutto
sulla
perizia
calligrafica
eseguita
dal
criminologo
Alphonse
Bertillon
sulla
suddetta
lettera.
Il
tribunale
lo
condannò
alla
degradazione
con
infamia
e ai
lavori
forzati
nella
colonia
penale
dell'Isola
del
Diavolo.
Il 5
gennaio
1895,
al
capitano
vennero
strappati
i
gradi
e
spezzata
la
spada
di
ordinanza,
mentre
si
dichiarava
innocente
e
patriota
e in
seguito
imbarcato
per
la
Guyana
e
portato
sull'isola
del
Diavolo.
Il
primo
luglio
1895,
il
colonnello
Georges
Picquart
venne
nominato
capo
dell'Ufficio
Statistiche,
ossia
l’Intelligence
militare.
Quando
intercettò
una
lettera
di
Schwartzkoppen
al
maggiore
dell'esercito
francese
Ferdinand
Walsin
Esterhazy,
riesaminando
il
dossier
segreto
contro
Dreyfus,
notò
somiglianze
fra
la
grafia
della
lettera
e
quella
di
Esterhazy.
Presentò
allora
a
generali
e
politici
una
relazione
nella
quale
dimostrava
che
il
vero
colpevole
era
Ferdinand
Walsin
Esterhazy.
In
risposta
a
ciò
fu
rimosso
dai
servizi
segreti
e
spedito
in
Africa.
Nel
1896.
la
moglie
di
Dreyfus
pretese
la
riapertura
del
caso,
supportata
da
Bernard
Lazare
che
in
Belgio
aveva
pubblicato
il
pamphlet
L'Affaire
Dreyfus
-
Une
erreur
judiciaire
, ma
il
governo
francese
ritenne
inutile
un
nuovo
processo.
Per
fortuna
Picquart
riesci
a
contattare
lo
scrittore
ebreo
Bernard
Lazare,
amico
di
Dreyfus,
il
quale
fece
partire
una
campagna
stampa
a
favore
del
prigioniero:
a
essa
aderirono
molti
intellettuali
come
E.
Zola
che
pubblicò
su
L'Aurore
la
sua
famosa
lettera
al
Presidente
della
Repubblica
Félix
Faure,
intitolata
J'accuse!
Sull'Aurore
apparve
anche
la
Petizione
degli
intellettuali,
tra
i
quali
c’erano
professori
della
Sorbona
e
artisti,
come
Manet,
Jules
Renard,
André
Gide,
Anatole
France,
Marcel
Proust,
Jacques
Bizet
che
si
schierarono
con
Zola
in
seguito
condannato
per
vilipendio
delle
forze
armate.
Anche
Picquart
fu
arrestato.
Il
30
agosto
1898
inaspettatamente
il
maggiore
Henry
confessò
di
aver
contraffatto
i
documenti
del
dossier
segreto
e si
suicidò
in
carcere.
La
Corte
di
Cassazione
accolse
la
richiesta
di
revisione
del
processo
e
così
Dreyfus
tornò
in
Francia.
Il
18
luglio
1899
anche
Ferdinand
Walsin
Esterhazy
confessò
di
aver
scritto
il
famoso
bordereau
per
ordine
dei
suoi
superiori.
Durante
il
nuovo
processo,
tuttavia,
malgrado
fosse
stata
dimostrata
l'infondatezza
delle
accuse
contro
Dreyfus,
la
Corte
Militare
lo
condannò
ancora
a
dieci
anni
di
reclusione
per
le
forti
pressioni
subite
da
parte
degli
alti
ranghi
militari.
Questa
ingiusta
sentenza
fu
così
impopolare
che
alle
nuove
elezioni
vinsero
i
liberal-radicali.
Il
Presidente
del
Consiglio,
Pierre
Waldeck-Rousseau,
propose
a
Dreyfus
di
accettare
la
Grazia,
egli
acconsentì
così
fu
graziato
dal
Presidente
della
Repubblica
Émile
Loubet.
Fu
solo
nel
1906,
tuttavia,
che
egli
venne
pienamente
riabilitato
con
la
cancellazione
della
condanna
e la
riammissione
nell'esercito
col
grado
di
maggiore,
dopo
dodici
drammatici
anni.
Il
21
luglio
si
tenne
la
cerimonia
ufficiale
di
riabilitazione
alla
presenza
del
generale
Picquart
e di
pochi
amici
e
familiari.
Durante
la
cerimonia,
Dreyfus
apparve
immobile,
a
testa
alta,
come
una
statua
del
dovere
o
del
dolore,
scrisse
un
giornalista.
Mentre
familiari
e
amici
gridavano:
“Viva
Dreyfus!”,
egli
li
corresse
dicendo:
”No,
viva
la
Repubblica
e
viva
la
Verità”.
Un
estremo
rigurgito
di
odio
contro
di
lui
si
verificò
il 4
giugno
1908,
durante
cerimonia
per
onorare
le
ceneri
di
Zola
al
Panthéon:
un
giornalista
di
estrema
destra,
Louis
Grégori,
sparò
due
colpi
di
pistola
contro
di
lui,
ferendolo
a un
braccio.
Dreyfus
partecipò
poi
alla
battaglia
di
Verdun
durante
la
Prima
guerra
mondiale
e
nel
1918
fu
promosso
tenente-colonnello.
Morì
il
12
luglio
1935,
per
una
crisi
cardiaca.