N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
adolf eichmann
un momentito, senor... - parte II
di Daniela Coppola
“Rat
Line”,
via
dei
topi”,
così
veniva
denominata
quella
linea
virtuale
di
congiungimento
tra
l’Europa
continentale
e il
Sud-America
che
transitava
per
Genova.
Termine
militare
americano
riutilizzato
per
identificare
quella
rete
di
assistenza
creata
per
agevolare
la
fuga
di
criminali
di
guerra
nazisti,
spesso
muniti
di
passaporti
della
Croce
Rossa
internazionale
con
documenti
firmati
da
alti
prelati
del
Vaticano,
ma
pure
con
il
benestare
di
una
parte
della
Chiesa
protestante
tedesca
(e
anche
dei
servizi
di
intelligence
internazionale,
americani
e
britannici
in
particolare).
Subito
dopo
la
fine
del
secondo
conflitto
mondiale,
molti
noti
e
meno
noti
criminali
nazisti
sbarcarono
direttamente
in
Sud
America,
accolti
con
particolare
favore
dall’Argentina
di
Peron.
Nel
2003
il
neoeletto
presidente
argentino
Néstor
Kirchner
ha
fatto
aprire
gli
archivi
segreti
al
fine
di
rendere
pubblico
l’operato
di
Juan
Domingo
Peron,
discusso
presidente
argentino,
in
carica
ininterrottamente
dal
1943
al
1955
(anche
successivamente
per
un
anno
nel
1973)
da
sempre
criticato
per
l’ingresso
in
Argentina
di
gerarchi
nazisti
e
criminali
di
guerra,
capaci
di
far
perdere
le
loro
tracce
in
Europa.
In
questi
dossier
segreti
Uki
Goñi,
giornalista,
scrittore
argentino,
ha
potuto
trovare
prove
documentali
che
ha
successivamente
pubblicato
nel
suo
libro
“Operazione
Odessa.
La
fuga
dei
gerarchi
nazisti
verso
l'Argentina
di
Peron”(Garzanti
-2003),
reperti
che
i
diversi
governi
argentini
avevano
dato
ufficialmente
per
distrutti.
Più
di
sette
mila
documenti
sono
stati
ritrovati
nell’alveo
naturale
dell’epoca,
ovvero
nell'Archivio
del
Centro
di
Immigrazione
di
Buenos
Aires.
Dopo
la
pubblicazione
del
libro
di
Goñi,
il
Centro
Simon
Wiesenthal
ha
preteso
l’apertura
degli
archivi
segreti
di
Buenos
Aires
e il
presidente
argentino
Kirchner,
appena
eletto,
ha
dato
subito
mandato
al
Ministro
degli
Interni
Anibal
Fernàndez
di
procedere.
Goñi
racconta
di
alcune
riunioni
avvenute
all’interno
della
Casa
Rosada
tra
il
Presidente
argentino
Peron
e
nazisti
che
confidavano
nell’appoggio
sia
del
Vaticano
che
di
altri
supporti
sparsi
in
diversi
Paesi
europei,
tra
cui
l’Italia.
Lo
scrittore
sudamericano,
spiega
ancora
che
la
totale
disponibilità
di
Peron
ad
accogliere
l’anima
più
nera
europea,
responsabile
di
milioni
di
morti
nella
Seconda
Guerra
Mondiale
era
da
considerare
come
una
risposta
di
contenimento
all’avanzata
sovietica,
espressione
dell’ideologia
comunista
staliniana.
Quindi
la
protezione
dei
nazisti
in
funzione
anticomunista,
sia
per
la
Chiesa
cattolica
che
per
l’Occidente,
che
per
la
stessa
Argentina.
Peron
consentì,
durante
la
sua
permanenza
al
governo,
il
transito
di
nazisti
del
calibro
di
Erich
Priebke
(alias
Otto
Pape)
ritenuto
responsabile
della
strage
delle
Cave
Ardeatine
a
Roma
(processato
in
Italia,
ora
è
quasi
centenario
e
gira
per
ristoranti
romani
potendo
disporre
di
cinque
ore
di
libertà
giornaliere,
nonostante
stia
scontando
la
sua
pena
in
detenzione
domiciliare)
che
sbarcò
in
Argentina
trasferendosi
a
San
Carlos
de
Bariloche.
Negli
incartamenti
esaminati
è
stata
ritrovata
anche
una
scheda
pertinente
all’“angelo
della
morte”
Josef
Mengele
(altrimenti
detto
Helmut
Gregor),
il
“medico”
del
campo
di
sterminio
di
Auschwitz
che
raggiunse
prima
il
Paraguay
e
poi
l’Argentina
per
trasferirsi
infine
in
Brasile;
il
“macellaio”
o
“il
boia
di
Lione”
Klaus
Barbie,
comandante
della
Gestapo
della
cittadina
francese,
che
arrivò
a
Buenos
Aires,
ma
si
trasferì
in
Bolivia.
Ante
Pavelic,
il
“duce
croato”,
fondatore
degli
Ustascia,
che
insieme
al
suo
consulente
finanziario
Ivo
Heinrich
fu
espatriato
insieme
a
settemila
croati
con
suggello
Vaticano
e
benestare
della
Chiesa
cattolica
argentina.
Tutti
indirizzati
direttamente
a
Peron.
Una
breve
lettera
di
accompagno
chiedeva
al
Presidente
argentino
di
occuparsi
della
sorte
di
questi
profughi
croati
da
avviare
come
agricoltori
in
terra
argentina.
Anche
Adolf
Eichmann
“il
contabile
dello
sterminio”,
“l’architetto
dell’Olocausto”,
insomma
l’organizzatore
scrupoloso,
responsabile
della
macchina
dello
sterminio
di
massa
di
milioni
di
ebrei,
anche
lui,
è
sbarcato
impunemente
in
Argentina
attraverso
la
“Rat
Line”.
La
sua
storia
ha
avuto
però
uno
sviluppo
e un
epilogo
particolari
e
merita
una
diversa
attenzione.
In
Alto
Adige,
il
vescovo
di
Bressanone
Geisler
incarica
il
vicario
generale
Alois
Pompanin
di
occuparsi
della
conversione
al
rito
cattolico
dei
protestanti
Eichmann,
Priebke,
Martin
Borman
e
famiglia,
che
vengono
così
ribattezzati
con
il
consenso
delle
gerarchie
ecclesiastiche
(pratica
adottata
per
diversi
altri
nazisti
che
in
cambio
della
conversione
trovarono
il
modo
di
mettersi
in
salvo
in
Sud
America)
Gerald
Steinacher
(storico
sudtirolese
e
docente
presso
l’Università
di
Monaco
e
Innsbruck)
“La
via
segreta
dei
nazisti.
Come
l’Italia
e il
Vaticano
salvarono
i
criminali
di
guerra”
(Rizzoli
-
2010).
Ora
Eichmann
ha
le
carte
in
regola
per
essere
avviato
alla
Curia
vescovile
di
Genova
per
la
richiesta
di
un
passaporto
regolare.
Non
è
solo
Uki
Goñi
a
trovare
interessanti
documenti
all’interno
dell'Archivio
del
Centro
di
Immigrazione
di
Buenos
Aires,
ma
anche
una
giovane
ricercatrice
che
fortunosamente
si
ritrova
tra
le
mani
proprio
il
passaporto
originale:
due
timbri
rossi,
uno
più
grande
del
Comitato
internazionale
della
Croce
Rossa
e
uno
più
piccolo
del
viceconsole
argentino
a
Genova
Pedro
Solari
Capurro,
con
indicate
sopra
le
generalità
false
di
Eichmann,
ovvero
Ricardo
Klement,
nato
a
Bolzano
il
23
maggio
1913,
apolide,
di
professione
tecnico,
figlio
di
N.N,
(lo
scoop
è
del
noto
quotidiano
argentino
“Pàgina/12”).
All’aguzzino
sotto
mentite
spoglie
servono
ancora
altre
credenziali
curiali:
ora
è un
povero
altoatesino
che
ha
perduto
la
cittadinanza
per
via
dell’occupazione
nazista
in
Alto
Adige,
e
allora
ecco
pronta
in
sostituzione
una
dichiarazione
di
conferma
identitaria
firmata
dal
padre
francescano
Edoardo
Domoter,
ovviamente
altoatesino,
stretto
collaboratore
di
un
altro
religioso
locale,
il
vescovo
Alois
Hudal,
uno
dei
più
attivi
nell’organizzare
e
dirigere
la
grande
fuga
dei
gerarchi
nazisti.
La
studiosa
argentina
riesce
abilmente
a
salvare
tutta
la
documentazione
grazie
all’intervento
della
magistratura
che
provvede
all’inoltro
del
fascicolo
scottante,
relativo
all’ingresso
di
Eichmann
in
Argentina,
alla
sede
del
“Museo
del
Holocausto”
di
Buenos
Aires
al
fine
di
salvaguardarne
l’integrità
documentale.
Eichmann
parte
da
Genova
il
17
giugno
1950
e
sbarca
a
Buenos
Aires
quasi
un
mese
dopo,
il
14
luglio,
avviandosi
verso
Tucumàn,
nel
nord
ovest
dell’Argentina.
Trova
e
cambia
diversi
lavori:
come
idrologo,
allevatore
di
conigli,
proprietario
di
una
lavanderia
e
operaio
alle
officine
meccaniche
della
Mercedes
Benz.
Nell’estate
del
1952
si
fa
raggiungere
a
Buenos
Aires
dalla
moglie
Veronica
Liebl
insieme
ai
suoi
tre
figli
(che
lo
credono
uno
zio),
ma
nel
1955
nasce
un
quarto
figlio,
Ricardo.
Tutti
frequenteranno
il
Collegio
tedesco
con
il
cognome
Eichmann
Klement.
Il
figlio
Klaus
conosce
e
frequenta
Sylvia
Hermann,
il
padre
della
ragazza,
Lothar,
è
cieco
ed è
un
superstite
del
campo
di
Dachau.
Hermann
è
colpito
dall’atteggiamento
di
questo
ragazzo
che
si
proclama
enfaticamente
antisemita
e
dice
di
chiamarsi
Klement,
ma
anche
Eichmann.
Così
spedisce
una
lettera
al
suo
amico
Fritz
Bauer,
procuratore
generale
presso
la
Corte
d'appello
in
Germania,
che
allerta
Isser
Harel
capo
del
Mossad,
da
tempo
alla
ricerca
del
criminale
nazista.
Viene
inviato
un
agente
israeliano
in
Argentina
per
controllare:
trovano
la
casa
dove
abita
Ricardo
Klement
e la
sua
famiglia,
quartiere
San
Fernando,
via
Garibaldi.
Riconoscono
Veronica
Liebl,
ma
serve
la
prova
concreta
che
quell’uomo
possa
essere
proprio
l’ex
ufficiale
tedesco.
Serve
una
foto.
Ancora
una
volta
una
foto
per
inchiodarlo.
Ne
scatteranno
quattro
di
foto
che
ritraggono
Eichmann.
Ed è
la
conferma,
è
lui,
è
Eichmann.
Aprile
1960
parte
l’”Operazione
Eichmann”.
Gli
agenti
del
Mossad
entrano
in
Argentina
e
organizzano
il
rapimento:
cercano
una
casa
sicura,
la
attrezzano,
l’allestiscono
per
l’accoglienza
e si
preparano.
E’
la
sera
dell’11
maggio
1960,
Ricardo
Klement
viene
atteso
da
un’auto
falsamente
in
panne
parcheggiata
in
via
Garibaldi,
la
strada
laterale
che
conduce
all’abitazione
di
Klement.
La
dinamica
è
nota:
l’attesa
dell’autobus
n.
203
che
porta
con
sé
Eichmann
e
che
invece
salta
la
fermata,
la
paura
di
esser
stati
smascherati,
l’attesa
dell’autobus
successivo,
che
questa
volta
si
ferma
e
scarica
Ricardo
Klement,
alias
Adolf
Eichmann.
Un
agente
del
Mossad
gli
va
incontro,
gli
parla
….
un
momentito,
senor…l’obiettivo
scappa
urlando,
l’agente
lo
rincorre,
lo
blocca,
lottano,
arrivano
altri
agenti
che
lo
caricano
in
auto,
il
viaggio
fino
alla
casa
sicura.
E’
fatta.
Eichmann
è
stato
rapito
ed è
nelle
mani
del
Mossad.
Ora
occorre
fargli
confessare
la
sua
vera
identità.
….
Il
suo
nome?
“Ricardo
Klement”
…
No!
Il
nome
precedente
….
“Otto
Henninger”
….
No!
Incalzato,
via
con
le
domande
più
insidiose,
lui
non
risponde.
Infine:
qual
è il
suo
nome
di
battesimo?
Risposta:
“Adolf
Eichmann”.
Per
dieci
giorni
Eichmann
viene
tenuto
segregato
e
interrogato.
In
quei
giorni
l’Argentina
si
preparava
a
celebrare
il
150°
Anniversario
dell’Indipendenza
della
Nazione.
Tra
le
altre,
era
stata
invitata
anche
una
rappresentanza
israeliana
che
atterrerà
su
flotta
di
bandiera
israeliana
El
Al
all’aeroporto
internazionale
di
Ezeiza.
E’
l’occasione
da
non
perdere
per
trasportare
fuori
dall’Argentina
l’ex
ufficiale
nazista.
Il
21
maggio,
poco
dopo
mezzanotte,
Eichmann,
stordito
e
vestito
come
un
pilota
dell’equipaggio
della
El
Al,
viene
fatto
salire
segretamente
a
bordo
dell’aereo
e
trasferito
in
Israele.
Gary
Weber,
giornalista
argentino,
sul
suo
sito
ha
pubblicato
diversi
articoli
sull’argomento
esponendo
la
sua
perplessità
circa
la
rocambolesca
avventura
del
sequestro
Eichmann,
essendo
documentabile
solo
la
versione
del
Mossad
israeliano.
L’incognita
di
cosa
sia
veramente
accaduto
fra
Eichmann
e
gli
agenti
del
Mossad
nei
dieci
giorni
in
cui
fu
sequestrato,
rimane
aperta.
Forse
l’ex
ufficiale
ha
patteggiato
qualcosa,
magari
un
salvavita
per
la
sua
famiglia
o
chissà.
Weber
non
indica
fonti
scientifiche
che
supporti
la
sua
tesi,
ma
le
perplessità
sono
plausibili.
Qualcuno
sostiene
che
fu
una
partita
di
scambio:
una
fornitura
di
armi
nel
1960
in
cambio
della
non
strumentalizzazione
del
processo
Eichmann
contro
la
RFT.
Insomma,
l’Argentina
può
aver
“scaricato”
l’ufficiale
tedesco
ormai
compromesso
e
Israele
può
aver
negoziato
il
rapimento
al
fine
di
portare
il
rapito,
senza
impedimenti,
in
Israele.
Eichmann
sequestrato
in
Argentina
e in
Israele
arrestato,
processato
e
condannato
a
morte.
Sono
passati
cinquant’anni
da
quell’11
aprile
1961,
quando
cominciò
il
processo
ad
Adolf
Eichmann.
Fu
impiccato
pochi
minuti
prima
della
mezzanotte
del
31
maggio
1962.
Il
corpo
venne
cremato
e le
sue
ceneri
disperse
in
mare,
nel
Mediterraneo,
oltre
il
limite
delle
acque
territoriali
israeliane.
Il
secchio
venne
sciacquato
diverse
volte
in
acqua,
affinché
non
rimanesse
alcuna
traccia.
L’uomo
responsabile
delle
deportazioni
di
massa,
organizzate,
sistematicamente
preparate
con
metodica
e
zelo,
non
esiste
più.
Ciò
che
permane,
invece,
è la
certezza
che
certe
categorie
come
la
diligenza,
l’abnegazione
e la
costanza,
applicate
alla
malvagità,
deflagrano
inevitabilmente
nell’orrore.
Fondamentale
la
necessità
di
ricostruire
una
verità,
storica
o
processuale
che
sia,
che
sostenga
e
puntelli
la
memoria
nella
speranza
di
non
lasciar
ripetere
l’indicibile.
La
memoria
dell’uomo
è
labile,
occorre
quindi
continuare
a
tener
desta
l’attenzione
sui
diritti
umani
anche
se
l’insistenza
di
una
memoria
imposta
può
produrre
l’effetto
contrario:
una
specie
di
“santificazione”
dell’orrore
che
allontana
da
sé
riflessioni,
anziché
promuoverle.
Il
rischio
di
futuri
nuovi
stermini
è
possibile,
persino
prevedibile.
Come
d’altronde
la
stessa
Argentina
ha
potuto
sperimentare.
Ma
d’altra
parte
saranno
bastate
poche
“lezioni”.
Di
cattivi
maestri
nel
territorio,
ce
n’erano
già
tanti.
E di
perversi
apprendisti
anche.