[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

198 / GIUGNO 2024 (CCXXIX)


contemporanea

Adolf Eichmann
Sulle domande di grazia per la condanna a morte
di Francesco Cappellani


Adolf Eichmann fu uno dei massimi artefici ed esecutore della “soluzione finale della questione ebraica” (Endlösung der Judenfrage) decisa nella conferenza di Wannsee, un sobborgo berlinese, del 20 gennaio 1942, che, nel verbale redatto dallo stesso Eichmann, pianificava lo sterminio fisico mediante deportazione, destinazione ai lavori forzati ed infine eliminazione totale di 11 milioni di ebrei, elencati per nazione a partire dai 5.000.000 di russi ai 200 albanesi. Nel 1939 era stato istituito l’RSHA (Reichssicherhaitshautant) (Ufficio Centrale di Sicurezza del Reich), Eichmann venne assegnato al dipartimento Amt 4 Geheime Staatpolizei (Polizia Politica), Gestapo, a capo della sezione IV-B4 “Questioni Ebraiche ed Evacuazione”. Grazie a questo incarico ebbe mano libera nell’organizzare minuziosamente e coordinare i carichi di deportati che cominciarono a confluire verso i campi di concentramento e di sterminio da tutta Europa.


Finita la guerra Eichmann, toltasi la divisa di Obersturmbannführer (tenente colonnello ) delle SS, da Praga, dove risiedeva dal 1939 con la moglie Vera, sposata nel 1935, ed i suoi tre figli, inizia una lunga fuga, dopo che la famiglia si era trasferita in Austria ad Altaussee. Si dirige in Austria per consigliarsi con Kaltenbrunner, il capo dell’RSHA, avviandosi poi a piedi verso Bad Ischl dove viene fermato da una pattuglia americana che lo lascia proseguire, ma una seconda pattuglia lo ferma e lo rinchiude in un campo di transito. Sottoposto a visita medica, si scopre il tatuaggio del gruppo sanguigno che era norma comune per gli ufficiali delle SS per cui deve confessare di aver fatto parte di un reparto di Waffen-SS. Internato nel campo di prigionia di Weiden dichiara di chiamarsi Otto Eckmann e di essere originario di Breslavia; nel luglio del 1945 è trasferito al campo permanente di Oberdachstetten dove è interrogato ripetutamente dal servizio di controspionaggio alleato che non riesce né a contestargli la mancanza di documenti né a ipotizzare chi potesse essere in realtà quell’incolore ufficiale con una logora uniforme dell’aeronautica.

 

La tranquilla vita di Eckmann cambia quando inizia nel novembre del 1945 il Processo di Norimberga dove, fin dalle prime giornate, il nome di Eichmann come colpevole dello sterminio di milioni di ebrei viene ripetutamente citato soprattutto da un suo ex-collega, il capitano delle SS Dieter Wisliceny che aveva operato, quale suo rappresentante, per la “soluzione finale” in Slovacchia, Grecia ed Ungheria: nella seduta del 3 gennaio 1946 il capitano descrive in dettaglio l’attività criminale dell’ Obersturmbannführer. Wisliceny sarà condannato a morte e impiccato a Bratislava nel 1948. Eichmann viene a conoscenza del processo e capisce che deve fuggire dal campo, ci riesce grazie all’aiuto di altri ufficiali nazisti prigionieri che gli prepararono documenti falsi a nome Otto Heninger, e gli trovano rifugio presso un simpatizzante nazista a Prien. Da lì, dopo un mese e mezzo, si sposta a Celle, nella Bassa Sassonia, accolto dal guardaboschi fratello di un suo compagno di prigionia, dove si nasconde per tre anni facendo il boscaiolo senza mai dare notizie di sé alla famiglia. Nel maggio del 1945 la moglie Vera era stata facilmente rintracciata dagli Alleati in Austria, ed interrogata a lungo anche negli anni successivi sulla sorte del marito; lei aveva spiegato che avevano divorziato e che, secondo la testimonianza di un ufficiale ceco suo cognato, Eichmann era stato ucciso il 28 aprile 1945 a Praga e lei ne aveva registrato il decesso presso le autorità di Bad Ischl nel 1947. Come si seppe poi, pare che la moglie fosse realmente convinta della fine del marito.


Nel 1949 Eichmann decide che era arrivato il momento di tentare una fuga definitiva verso un paese dove potere vivere in libertà e ricongiungersi con la famiglia. Sapeva che esistevano organizzazioni naziste clandestine che provvedevano, mediante agenti soprattutto in Svizzera ed in Italia, ad organizzare il viaggio di ex-gerarchi verso paesi del Medio Oriente o per l’Argentina di Juan Domingo Peron nota per la sua benevola ospitalità verso tanti criminali nazisti nel dopoguerra. La più efficiente era ODESSA (Organisation der Ehemaligen SS Angehöerige) (Organizzazione di ex-membri delle SS) ed Eichmann la contatta agli inizi del 1950. In maggio lascia Celle ed entra in Italia attraverso l’Austria spostandosi a Genova accolto da un frate francescano di simpatie naziste che collaborava per il successo di queste fughe. Già nel 1948 aveva ottenuto grazie all’appoggio di Alois Pompanin, vicario generale della diocesi di Bressanone e noto collaborazionista nazista, un documento d’identità rilasciato dalla Croce Rossa Internazionale a nome Ricardo Klement nato a Termeno (BZ) il 23 maggio 1913.

 

Tramite il Centro Soccorso Profughi del Vaticano, riceve ai primi di Giugno 1950 un passaporto intestato a Ricardo Klement ed una settimana dopo il visto argentino. Il 17 Giugno Eichmann salpa per l’Argentina rimanendo alcuni mesi a Buenos Aires presso amici della ricca colonia tedesca di quella città. Si trova in seguito un lavoro a Tucuman e nel 1951 scrive alla moglie di raggiungerlo in Argentina in massima segretezza temendo che la stessero sorvegliando, senza nulla dire ai bambini. Vera tramite un ufficio speciale di Zurigo per le domande di passaporto per profughi tedeschi residenti all’estero, ottiene il passaporto a suo nome, Veronica Liebl e per i figli Klaus, Dieter e Horst, col cognome Eichmann. Scompare da Altaussee senza che nessuno controlli e sappia perché e dove sia andata. Questa leggerezza nella sorveglianza causerà un ritardo di otto anni nella cattura di Eichmann. Imbarcatasi a Genova ai primi di luglio raggiunge il marito a Tucuman nell’agosto del 1952 dopo sette anni dal loro ultimo incontro per poi, avendo Eichmann trovato posto come caporeparto presso la filiale della Mercedes Benz a Buenos Aires, trasferirsi nella capitale Argentina. Nel 1955 nascerà il quarto figlio che si chiamerà Ricardo Francisco Klement.


La quieta vita sudamericana di Eichmann è interrotta nel pomeriggio dell’11 maggio 1960 dall’intervento di alcuni uomini del Mossad che lo rapiscono al ritorno dal lavoro e nove giorni dopo lo trasferiscono in Israele a bordo di un aereo israeliano, anestetizzato e travestito da pilota della El Al. Fu un vero “kidnapping” in quanto l’Argentina non avrebbe mai dato il permesso per una normale estradizione, ne seguirono infatti per qualche mese attriti tra il governo Argentino ed Israele. Come sia arrivato il Mossad a catturare dopo ben 15 anni dalla fine della guerra il criminale nazista lo si deve non a qualche superinvestigatore israeliano ma ad un ebreo tedesco, Lothar Hermann, divenuto cieco dopo le torture subite nel campo di concentramento di Dachau, rifugiatosi in Argentina a Buenos Aires dopo la tragica Kristallnacht nel 1938. Nel 1956 Sylvia, la bella figlia di Hermann, aveva stretto amicizia con i figli di Klement, in particolare col maggiore Klaus che le aveva raccontato del suo cognome Eichmann e del suo antisemitismo. Sylvia non era mai andata a casa Klement e non sapeva che il padre di Klaus vivesse sotto falso nome. La famiglia Hermann si trasferisce in seguito a Coronel Suarez a 300 miglia dalla capitale, perdendo i contatti con la famiglia Klement, ma nel 1957 il nome del criminale Eichmann appare sui giornali per un processo in corso a Francoforte.

 

Hermann inizia a sospettare che quell’uomo possa essere il padre di Klaus, scrive al giudice del processo una lettera dove afferma di ritenere che Eichmann si trovi in Argentina. Il giudice inoltra la missiva al Procuratore Generale del distretto dell’Assia Fritz Bauer che dava la caccia ai nazisti fuggiti dalla Germania, il quale esorta Hermann a procurarsi l’indirizzo di Eichmann a Buenos Aires. Sylvia si reca nella capitale e trova facilmente l’abitazione del ricercato, bussa alla porta chiedendo di Klaus, un uomo le risponde che non c’era in quanto lavorava fuori fino a tardi, al che lei chiede “Lei è il signor Eichmann?”, l’uomo non risponde ma poi fa capire che è il padre di Klaus. Sylvia gli dice che avrebbe voluto rivedere Klaus, poi saluta cordialmente e se ne va. Hermann spedisce immediatamente una lettera a Bauer dicendosi sicuro di avere identificato Eichmann e fornendone l’indirizzo esatto.

 

Bauer, non fidandosi della polizia tedesca, informa Israele nel settembre del 1957 ma il Mossad accoglie la notizia con un certo distacco, manda uno dei suoi a Buenos Aires nel gennaio del 1958 per investigare sulla veridicità delle affermazioni di Hermann, e conclude che l’indirizzo si riferiva ad una zona molto modesta della metropoli ed era impossibile che un uomo del rango di Eichmann potesse vivere lì. Ma Bauer non demorde ed insiste, il Mossad invia una seconda missione per contattare Hermann e la figlia Sylvia ed avere da loro delle prove definitive. Anche questa volta il Mossad non sembra convinto allora Hermann, stimolato dalla lettura sui giornali che Tuviah Friedman dell’Haifa Documentation Centre in Israele offriva una ricompensa di 10.000 $ per la cattura di Eichmann, scrive il 17 ottobre 1959 una prima lettera a Friedmann dicendo che possedeva dettagli esatti di Eichmann ed una seconda nel marzo del 1960 molto dura: “Sembra che lei dia poco valore ad una rapida conclusione della questione o che non abbia alcun interesse ad arrestare Eichmann”.

 

A questo punto il Mossad si prepara per la missione che porterà alla cattura definitiva di Klement/Eichmann. Gli uomini del Mossad arrivano a Buenos Aires e cominciano a seguire e registrare i movimenti di Klement fotografandolo di nascosto. Confrontano le foto con quelle che hanno in repertorio che sono però di troppi anni fa (Eichmann aveva accuratamente distrutto le sue immagini del dopoguerra) per cui la somiglianza tra un aitante ufficiale in divisa e quell’uomo magro e stempiato appare discutibile. Una sera vedono Klement scendere dall’autobus dirigendosi verso casa con un gran mazzo di fiori. Consultano i dati biografici del fuggitivo e si accorgono che in quel giorno, il 21 marzo, erano state celebrate 25 anni fa le nozze di Eichmann con Vera. Non ci sono più dubbi: è proprio lui, mandano un telegramma al Mossad in Israele: “Ha’ish hu ha’ish “ (l’uomo è l’uomo).


Il pomeriggio del 23 maggio 1960, mentre alla Knesset, il Parlamento israeliano, era in corso un dibattito sul bilancio, Ben Gurion prese la parola e annunciò che era stato catturato Adolf Eichmann «uno dei più grandi criminali di guerra nazisti» e che era «già in Israele in stato d’arresto».Non disse però, come sottolinea Uki Goni, che un cieco “aveva realizzato ciò che sembrava impossibile. Non solo era riuscito a scovare da solo un noto criminale nazista, ma era anche riuscito a galvanizzare un letargico Mossad, che aveva dimostrato decisamente poco interesse nel portare avanti il caso”. Il fondamentale contributo di Hermann rimase secretato in Israele fino al 1971 quando il direttore del Mossad Isser Harel lo rivelò alla stampa. Hermann allora riprese a bombardare Friedmann per avere la sua ricompensa che gli fu finalmente concessa nel luglio 1972 dal primo ministro israeliano Golda Meier.


La notizia dell’arresto di Eichmann fece enorme scalpore in Israele ma soprattutto il successivo lungo processo trasmesso in televisione ed articolato con centinaia di documenti, di dichiarazioni di sopravvissuti e le tragiche immagini dei deportati e delle montagne di cadaveri, ebbe una vastissima risonanza mediatica e tutto il mondo dovette riconsiderare l’enormità dell’olocausto nella sua immane dimensione ed efferata crudeltà. Il processo iniziò il 10 aprile 1960 e si protrasse fino al 15 dicembre 1961 quando il Tribunale Distrettuale di Gerusalemme emise la sentenza di condanna a morte per impiccagione che sarà confermata dalla Suprema Corte oltre cinque mesi dopo, il 29 maggio 1962. La sentenza venne eseguita intorno alla mezzanotte dell’1 giugno 1962 nel carcere di Ramla. Nei mesi tra la sentenza di primo grado e la sua esecuzione, si levarono varie voci, anche di intellettuali ebrei, che, pur riconoscendo la totale colpevolezza di Eichmann, erano in disaccordo con la condanna a morte. Tra coloro che si opposero alla decisione del Tribunale vi furono lo scrittore Arthur Koestler, lo storico inglese Arnold Toynbee, la poetessa Nelly Sachs, sopravvissuta all’olocausto, premio Nobel nel 1966, che scrisse al Primo Ministro dicendo che essendo stata lei una vittima del Nazismo, lo implorava di non giustiziare Eichmann per sottolineare il bene nel mondo contro il male, e la scrittrice americana Pearl S. Buck, che sosteneva che la pena capitale poteva essere vista come un atto di vendetta soprattutto adesso che la guerra era finita da parecchi anni.

 

A queste e tante altre persone si aggiunse l’intellettuale ebreo austriaco Martin Buber, espatriato nel 1938 per trasferirsi a Gerusalemme, che, contattato dal docente di filosofia dell’Università Ebraica di Gerusalemme Shmuel Hugo Bermann, riunì diversi amici per invocare clemenza scrivendo una lettera al Presidente di Israele Yitzak Ben Zevi. Tra i firmatari della missiva vi erano alcuni noti studiosi come il semitista e studioso della Qabbalah Gershom Scholem, la poetessa Leah Goldberg ed il pittore Yehuda Bacon, testimone al processo Eichmann, internato da ragazzo nel ghetto di Theresienstadt e deportato a fine 1943 nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove nel 1944 suo padre sarà ucciso nelle camere a gas; la madre e la sorella moriranno di stenti nel lager di Stutthof poche settimane prima della liberazione. L’atteggiamento di questi intellettuali “derivava principalmente da ragioni morali e da un’opposizione alla pena di morte. Non cercavano di proteggere Eichmann o di sminuire la gravità delle sue azioni. Cercavano, dicevano, di impedire al popolo ebraico di commettere quella che a loro sembrava un’ingiustizia morale. Oltre a ciò, alcuni temevano che l’esecuzione avrebbe fornito una base per affermare che ciò avrebbe espiato i peccati dei nazisti e messo a tacere le rivendicazioni del popolo ebraico contro i suoi assassini e carnefici”. Su questo tema così si era espresso Scholem sulla rivista Amot agli inizi del 1962: “Non c’è alcun dubbio che Eichmann meriti la pena di morte. Non ho dubbi al riguardo, non chiedo la sua assoluzione, né discuto le argomentazioni riguardanti le sue azioni e la sua responsabilità per esse.

 

Tutto ciò rientra negli aspetti legali di questo processo. La mia ipotesi è che a questo riguardo non si possa discutere nulla in sua difesa, merita di morire mille volte al giorno ed è indegno di misericordia... non esiste una punizione adeguata nelle leggi della società umana per i crimini di Eichmann... che venga impiccato o meno, non esiste alcuna correlazione immaginabile tra il suo crimine e la sua punizione... La condanna a morte di Eichmann è un finale sbagliato [enfasi nell’originale]. Distorce il significato storico del processo creando l’illusione che qualcosa di questo evento possa essere risolto impiccando un uomo o annientando una persona. Questa illusione è estremamente pericolosa, perché può far sorgere la sensazione che sia stato fatto qualcosa per “espiare” qualcosa per cui non esiste espiazione”.


Oltre alla petizione inoltrata al Presidente dello Stato, Buber chiese di parlare direttamente col Primo Ministro Ben Gurion per convincerlo a concedere la grazia temendo che l’impiccagione di Eichmann potesse trasformarlo in un martire, ma dopo ore di accesa discussione nella sua abitazione l’ottantatreenne studioso realizzò che oramai la condanna a morte era irrevocabile.


Eichmann scrisse il 29 maggio 1962 una lettera al Presidente di Israele Yitzhak Ben-Zvi chiedendo il perdono e l’annullamento della sentenza di morte: “Non è vero che io personalmente fossi di un rango così alto da poter perseguitare, o che io stesso fossi un cacciatore di ebrei, a fronte di una condanna così enorme è chiaro che i giudici nella loro sentenza ignoravano il fatto che io non avevo mai ricoperto una posizione così elevata come richiesta per essere coinvolto in modo indipendente in responsabilità così decisive. Né ho dato alcun ordine in nome mio, ma ho sempre agito solo “per ordine di”. Anche se fossi stato come i giudici valutarono la forza motrice e zelante nella persecuzione degli ebrei, una cosa del genere sarebbe stata evidenziata in promozioni e altri premi. Eppure non ho ricevuto tali vantaggi.


È anche sbagliato che non mi lasci mai influenzare dalle emozioni umane. Proprio dopo aver assistito alle vergognose atrocità umane, ho subito chiesto di essere trasferito. Inoltre, durante le indagini della polizia, ho rivelato volontariamente orrori fino ad allora sconosciuti, per contribuire a stabilire la verità indiscutibile. Lo dichiaro ancora una volta, come ho fatto davanti al tribunale: detesto come il più grande dei crimini gli orrori perpetrati contro gli ebrei e ritengo giusto che gli iniziatori di queste terribili azioni siano processati davanti alla legge ora e in futuro. Ciononostante, è necessario tracciare una linea tra i leader responsabili e le persone come me costrette a servire come semplici strumenti nelle mani dei leader. Non ero un leader responsabile e come tale non mi sento in colpa. Non posso riconoscere giusta la sentenza della Corte e chiedo, Vostro Onore Signor Presidente, di esercitare il vostro diritto di concedere la grazia e di ordinare che non venga eseguita la pena di morte. Adolf Eichmann”. Questa ed altre lettere relative al caso Eichmann sono state rese pubbliche il 27 gennaio del 2016 dall’Archivio di Stato di Israele durante una cerimonia per ricordare il 55esimo anniversario del processo.


Anche la moglie Vera inoltrò una richiesta di grazia a seguito di una precedente richiesta: “Dopo che il mio appello è stato respinto, il destino di mio marito è nelle vostre mani. In quanto moglie e madre di quattro figli, chiedo a Vostra Eccellenza la vita di mio marito”. Il Presidente Ben Zvi le rispose con un biglietto scritto a mano con una citazione biblica, le parole del profeta Samuele prima di uccidere il re Agag: “Proprio come la tua spada ha privato di figli le donne, così tua madre sarà privata di figli tra le donne!” (1 Samuele 15:33).


I cinque fratelli di Eichmann si unirono alla richiesta di grazia con una lettera che terminava con una dolente richiesta di grandezza d’animo da parte del Presidente: “Nel corso del processo il terribile passato è stato nuovamente riproposto davanti al mondo intero // La conclusione di questo rimprovero globale, attraverso un atto di gentilezza, metterà in luce la magnanimità del popolo ebraico e lo aiuterà attraverso la promozione dell’amicizia tra i popoli e le razze. Affinché questa magnanimità prevalga, chiediamo la sincera attenzione di Vostro Onore”.


L’avvocato difensore, il tedesco Robert Servatius che aveva patrocinato alcuni gerarchi nazisti al processo di Norimberga, chiese di annullare la sentenza di morte in quanto il suo cliente “era una persona senza importanza che era stata buttata dal destino in eventi politici” e che il condannato “Non ha agito per una posizione di antisemitismo, ma perché vincolato da un sistema burocratico che lo obbligava a farlo”.

Il presidente di Israele Ben Zvi respinse ogni richiesta di clemenza con un breve comunicato al ministro della giustizia Dov Josef il 31 maggio 1962: “Dopo aver considerato le richieste di grazia avanzate a nome di Adolf Eichmann, e dopo aver esaminato tutto il materiale a mia disposizione, sono giunto alla conclusione che non vi è alcuna giustificazione per concedere la grazia a Eichmann o per alleggerire la punizione inflitta dal Tribunale di Gerusalemme il 15 dicembre 1961, confermata dalla Corte suprema il 29 maggio 1962. Vi informo pertanto che ho deciso di respingere le richieste e di non usare i miei poteri per perdonare e ridurre le pene in questo caso”.


Rafi Eitan, l’agente del Mossad che aveva diretto l’operazione di arresto in Argentina, raccontò in un documentario televisivo israeliano sui criminali nazisti, che le ultime parole di Eichmann, da lui accompagnato al patibolo, furono: “Spero che tutti voi mi seguirete”.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]