N. 73 - Gennaio 2014
(CIV)
acquedotti romani
antica perizia Ingegneristica
di Dorotea Feliciotto
Gli
acquedotti
costituiscono
una
delle
opere
più
monumentali
e
imponenti
che
gli
antichi
romani
abbiano
mai
realizzato.
Per
far
fronte
alla
ormai
insufficiente
fornitura
idrica,
che
in
origine
era
affidata
ai
pozzi
o al
Tevere,
dal IV
secolo
a.C.,
furono
costruiti
gli
acquedotti,
con
lo
scopo
di
portare
acqua
fresca
in
città.
Gli
acquedotti
non
furono
solo
questo.
Apparentemente
costruiti
per
soddisfare
le
necessità
idriche
dei
romani,
la
realizzazione
di
un
acquedotto
finì
col
diventare
un’affermazione
di
potenza
della
città
e
legava
per
sempre
il
nome
del
committente
alla
sua
grandiosa
opera.
Le
conoscenze
che
abbiamo
sugli
acquedotti
di
Roma
sono
dovute
non
solo
all’ottima
conservazione
di
alcuni
di
essi
ma,
soprattutto,
all’opera,
“De
aquis
urbis
romae”
che
Frontino
scrisse
nel
97
d.C.
mentre
ricopriva
la
carica
di
curator
aquarum
(curatore
degli
acquedotti).
Nell’opera
è
raccolta
ogni
tipo
di
notizia:
portata,
percorso
degli
acquedotti,
organizzazione
del
personale
addetto,
etc.
Ecco
cosa
Frontino
dice
a
proposito
degli
acquedotti:
“Nei
441
anni
che
seguirono
la
fondazione
di
Roma,
i
Romani
s’accontentarono
di
usare
le
acque
tratte
dal Tevere,
dai
pozzi
e
dalle
sorgenti.
Il
ricordo
delle
sorgenti
è
connesso
ancor
oggi
con
un
elemento
sacro,
che
costituisce
oggetto
di
culto:
si
crede
infatti
che
esse
possano
guarire
le
malattie,
come
è il
caso
della
sorgente
delle Camene,
dell’Apollinare,
e di
quella
di
Giuturna.
Ora
invece
affluiscono
in
città
l’Acqua
Appia,
l’Aniene
Antico,
la
Marcia,
la
Tepula,
la
Giulia,
la
Vergine,
l’Alsietina
(chiamata
anche
Augusta),
la
Claudia,
l’Aniene
Nuovo”.
É
questo
l’ordine
cronologico
degli
acquedotti
che
ci
fornisce
Frontino;
poi
furono
aggiunte
l’Acqua
Traiana
e
quella
Alessandrina.
Grazie
agli
acquedotti
che
si
susseguirono
dal
312
a.C.,
affluì
a
Roma
una
tale
quantità
di
acqua
tanto
da
essere
superiore
a
quella
attuale,
che
era
distribuita
tra
le
fontane
pubbliche,
le
terme,
piscine
e
tra
le
case
private
dei
pochi
privilegiati.
Per
stabilire
il
percorso
del
futuro
acquedotto,
i
tecnici
(libratores)
si
servivano
di
strumenti
come
il
coròbate,
simile
a
una
panca,
provvista
di
fili
a
piombo
lungo
i
lati
per
misurare
la
pendenza
del
terreno
e,
al
centro,
una
fessura
per
stabilire
la
direzione
delle
acque.
Il
dioptra,
invece,
regolato
tramite
viti
di
precisione
calcolava
l’inclinazione
di
una
parte
di
acquedotto
attraverso
mirini
girevoli.
Gli
ingegneri
romani
dovettero
superare
una
serie
di
problematiche
non
indifferenti,
prima
fra
tutte
il
“motore”
per
muovere
le
acque
e lo
trovarono
nella
forza
di
gravità.
Essi
intuirono
che,
mantenendo
costante
la
pendenza
dell’acquedotto
in
tutto
il
suo
tragitto
l’acqua,
sfruttando
la
forza
di
gravità,
sarebbe
arrivata
in
città.
Era
indispensabile,
inoltre,
saper
scegliere
la
sorgente
adeguata
per
far
scorrere
l’acqua
in
tutte
le
stagioni
dell’anno,
senza
periodi
di
secca
o di
piena.
Si
procedeva
con
la
realizzazione
di
un
bacino
di
raccolta,
caput
aquae,
mediante
dighe
nel
caso
si
trattasse
di
acque
superficiali;
per
quelle
sotterranee,
invece,
si
scavavano
pozzi
per
convogliare
l’acqua
in
un
unico
condotto.
In
seguito
l’acqua
era
fatta
sostare
nelle
piscine
limariae
(vasche
di
decantazione)
per
l’eliminazione
delle
impurità.
Lo
specus
(canale
di
conduzione)
era
di
dimensioni
elevate,
tali
da
permettere
all’addetto
alla
manutenzione
di
camminarvi
dentro.
A
causa
dell’andamento
del
terreno,
alcune
parti
dell’acquedotto
correvano
in
superficie.
Per
ovviare
a
ciò
una
soluzione
consisteva
nel
costruire
un
viadotto
o un
ponte
per
arrivare
dall’altra
parte
del
pendio:
poi,
il
percorso,
nuovamente
tornava
sotterraneo.
Un’altra
tecnica
utilizzata
era
quella
del
sifone
rovesciato:
prima
di
superare
una
gola
o
una
parete
scoscesa,
l’acqua
era
convogliata
in
una
cisterna
dalla
quale,
tramite
forza
di
gravità,
un
condotto
la
conduceva
in
fondo
al
precipizio
per
poi
farla
risalire,
dal
lato
opposto,
dove
raggiungeva
una
seconda
cisterna.
Questa
tecnica
non
era
utilizzata
spesso
poiché
le
tubature
usate
dai
romani
(terracotta),
non
erano
adatte
a
sostenere
una
così
grande
pressione
dell’acqua.
Più
spesso
gli
ingegneri
preferivano
prolungare
il
tragitto
dell’acquedotto
per
sfruttare
le
caratteristiche
naturali
del
terreno.
Nella
parte
finale
del
percorso
era
presente
il
castellum
aquae,
una
costruzione
da
cui
l’acqua
poi
era
distribuita
a
tutta
la
città.
A
volte
questa
costruzione
poteva
avere
la
sembianza
di
una
fontana
monumentale:
è
questo
il
caso
dei
resti
noti
come
i
“Trofei
di
Mario”
all’interno
di
piazza
Vittorio
Emanuele
a
Roma.
Nel
periodo
repubblicano,
la
cura
aquarum
era
affidata
al
censore,
magistrato
addetto
alle
opere
pubbliche,
generalmente
affiancato
da
un
edìle.
Il
censore
incaricava
la
costruzione
dell’acquedotto
attraverso
una
gara
d’appalto,
curandone
soltanto
il
collaudo
finale.
Nel
periodo
imperiale,
invece,
Augusto
affidò
la
gestione
degli
acquedotti
a
tre
senatori:
uno
di
questi,
assumeva
il
titolo
di
curator
aquarum.
Trattandosi
di
un
livello
consolare,
questo
magistrato
aveva
il
potere
assoluto
sulla
gestione
di
tutto
ciò
che
riguardava
le
acque:
interventi,
manutenzione,
flusso.
Da
Diocleziano
in
poi
questa
carica
fu
affidata
al
prefectus
urbi.
Esaminiamo,
adesso,
dal
più
antico
al
più
recente,
gli
acquedotti
suggeriti
da
Frontino
nella
sua
opera:
Aqua
Appia
L’acquedotto
Appio
fu
il
più
antico
costruito
a
Roma
per
far
fronte
alla
penuria
d’acqua
che
si
verificò
in
seguito
all’aumento
della
popolazione.
Ideato
e
impostato
dal
censore
C.
Claudius
Venox,
scopritore
delle
sorgenti
tra
l’VIII
e il
IX
miglio
della
via
Prenestina,
fu
invece
costruito
da
Appio
Claudio
Cieco
nel
312,
suo
collega
di
consolato
che,
riuscendo
a
prolungare
la
scadenza
del
suo
mandato,
si
aggiudicò
il
nome
dell’opera.
Purtroppo
non
si
conosce
l’esatta
posizione
della
sorgente,
presumibilmente
si
sarà
prosciugata
durante
il
corso
dei
secoli.
Il
percorso,
interamente
sotterraneo,
ad
eccezione
di
un
piccolo
tratto
all’altezza
di
Porta
Capena,
misurava
circa
16
km e
aveva
una
capacità
di
73.000
m3
il
giorno.
L’acquedotto
entrava
in
città
nella
località
di
Spes
Vetus
(dal
nome
di
un
antico
tempio
dedicato
alla
dea
Speranza,
eretto
nel
477
a.C.),
dove
si
trova
adesso
Porta
Maggiore;
da
qui,
dopo
aver
superato
l’avvallamento
tra
i
colli
Celio
e
Aventino,
terminava
presso
Porta
Trigemia
nell’area
del
Foro
Boario,
dove
una
ventina
di
“castelli”
smistavano
l’acqua
all’utenza
pubblica.
Fu
restaurato
tre
volte.
Anio
Vetus
Nel
272
a.C.,
a
distanza
di
circa
quarant’anni
dal
primo
acquedotto,
fu
costruito
l’Aniene
Vetus
dal
censore
Manio
Curio
Dentato.
L’acquedotto
riceveva
le
acque
dal
fiume
Aniene,
nelle
vicinanze
di
Tivoli,
in
una
località
tra
Vicovaro
e
Mandela.
Purtroppo
il
calo
della
sua
portata
nei
periodi
siccità
e la
sua
poca
purezza,
in
seguito
a
piene
e
abbondanti
piogge,
fece
sì
che,
nel
periodo
imperiale,
le
acque
furono
destinate
a
irrigare
ville
e ad
alimentare
fontane.
L’acquedotto
entrava
in
città
in
località
Spes
Vetus,
attraversava
l’Esquilino
per
poi
terminare
nelle
vicinanze
della
stazione
Termini.
Aqua
Marcia
Il
terzo
acquedotto
della
città
fu
realizzato
dal
pretore
Q.
Marcius
Rex
nel
144
a.C.
L’acqua
proveniva
sempre
dal
bacino
dell’Aniene
e la
fonte,
tutt’oggi
esistente,
si
trova
nel
comune
di
Marano
Equo.
Il
percorso
dell’acquedotto
prevedeva
una
parte
sotterranea
e
una
su
arcate,
per
una
lunghezza
complessiva
di
91
km.
Come
per
i
precedenti,
in
città
arrivava
nella
località
di
Spes
Vetus,
seguiva
il
percorso
delle
Mura
Aureliane
che,
in
parte,
ne
hanno
incorporati
gli
archi,
fino
alla
Porta
Tiburtina
e
poi
sboccava
nei
pressi
della
Stazione
Termini.
Un
ramo
secondario
forniva
l’Aventino
e il
Celio.
L’acqua
era
considerata
la
migliore
della
città
tant’è
che
Plinio
il
Vecchio,
nella
sua
Naturalis
Historia,
la
definì
“clarissima
aquarum
omnium”.
Aqua
Tepula
Il
quarto
acquedotto
dell’età
repubblicana
fu
costruito
nel
125
a.C.
da
due
censori:
Cn.
Servillo
Cepione
e L.
Cassio
Longino.
Le
sorgenti,
poste
nella
zona
dei
Colli
Albani,
tra
gli
attuali
comuni
di
Marino
e
Grottaferrata,
prendono
il
nome
dalla
temperatura
piuttosto
elevata
dell’acqua
(16-17
gradi).
Anch’essa
giungeva
in
città
alla
Spes
Vetus,
seguendo
lo
stesso
percorso
dell’acqua
Marcia.
La
sua
capacità
era
di
17.800
m3,
una
delle
più
basse.
Aqua
Iulia
Fu
costruito
nel
33
a.C.
da
Agrippa,
genero
di
Augusto,
e
dedicato
alla
gens
Iulia
di
cui
l’imperatore
faceva
parte.
La
sorgente,
che
sgorgava
nella
via
Latina
al
XII
miglio,
è
identificata
adesso
nelle
vicinanze
del
ponte
degli
“Squarciarelli”.
Come
per
i
precedenti
acquedotti,
anche
l’aqua
Iulia
arrivava
a
Roma
nella
località
di
Spes
Vetus,
seguendo
lo
stesso
percorso
dell’acqua
Marcia.
In
seguito
fu
unita
all’acqua
Tepula
e
insieme
riuscivano
a
rifornire
Quirinale,
Campidoglio,
Esquilino,
Celio,
Palatino
e
Foro
Romano.
Aqua
Virgo
Secondo
un’antica
leggenda,
l’acquedotto
assume
il
nome
di
“Vergine”
in
onore
di
una
giovane
che
indicò
ai
soldati,
che
ne
andavano
in
cerca,
il
luogo
delle
sorgenti.
Fu
realizzato
nel
19
a.C.
da
Agrippa
e la
sua
funzione
principale
era
quella
di
approvvigionare
le
Terme
di
Agrippa.
Quest’acquedotto
seguiva
un
percorso
diverso
rispetto
agli
altri:
dalle
sorgenti
di
Salone,
vicine
a
quelle
dell’acqua
Giulia,
esso
arrivava
a
Roma
alle
pendici
del
Pincio.
Il
tragitto
era
molto
ampio:
costeggiava
la
via
Collatina,
attraversava
la
via
di
Portonaccio,
Pietralata
e da
qui
la
Nomentana,
la
via
Salaria
per
arrivare,
poi,
nelle
attuali
Villa
Borghese
e
Villa
Ada.
All’altezza
di
piazza
di
Spagna
l’acquedotto,
fino
a
ora
sotterraneo,
continuava
in
superficie
con
un
sistema
di
arcate,
alcune
delle
quali
ancora
visibili
in
via
del
Bufalo
e in
via
Nazareno.
La
costruzione,
superata
la
via
Lata
(via
del
Corso)
sopra
dell’arco
di
trionfo
dell’imperatore
Claudio,
terminava
nelle
vicinanze
del
Pantheon.
Attraverso
un
condotto
sotterraneo,
l’acqua
arrivava
alle
Terme.
É la
stessa
acqua
che
attualmente
alimenta
la
Fontana
di
Trevi.
Aqua
Alsietina
Quest’acqua
è
detta
anche
aqua
Augusta,
giacché
fu
proprio
l’imperatore
Augusto
a
condurla
a
Roma
nel
2
a.C.
per
utilizzarla,
principalmente,
per
le
Naumachie
(battaglie
navali).
Secondo
Frontino
era
un’acqua
imbevibile,
proveniente
dai
laghi
di
Martignano
(lacus
Alsietinus)
e di
Bracciano
e
usata
anche
per
l’irrigazione.
Poiché
non
si
trattava
di
un’acqua
potabile,
non
era
presente
il
bacino
di
decantazione,
indispensabile,
invece,
nel
caso
di
acque
destinate
a un
uso
alimentare.
Quasi
completamente
sotterraneo,
il
percorso
seguiva,
approssimativamente,
la
via
Cassia
e la
via
Trionfale
per
giungere,
infine,
nell’area
che
oggi
è
occupata
dalla
Villa
Doria
Pamphili,
entrando
in
città
nei
pressi
di
Porta
San
Pancrazio,
proseguiva
per
Trastevere
fino
all’odierna
piazza
di
San
Pancrazio,
dove
era
presente
il
bacino
per
la
Naumachia.
Aqua
Claudia
Iniziato
dall’imperatore
Caligola
nel
38
a.C.
e
terminato
da
Claudio
nel
52
d.C.,
è
l’acquedotto
più
importante
della
città,
sia
per
l’ingente
somma
di
denaro
spesa
per
la
sua
costruzione,
che
per
le
tecnologie
utilizzate.
L’acqua
era
captata
da
due
sorgenti,
Ceruleo
e
Curzio,
al
XXXVIII
miglio
della
via
Sublacense.
Oggi,
questa
località,
s’identifica
con
il
lago
di
Santa
Lucia.
Il
condotto
seguiva
il
corso
del
fiume
Aniene,
giungendo
a
Tivoli
e da
qui
andava
verso
la
via
Prenestina,
la
via
Latina
e
verso
i
Colli
Albani.
Nella
località
Capannelle,
per
più
di 4
km,
l’acquedotto
aveva
un
andamento
su
arcate,
tutt’oggi
ancora
in
parte
visibili
nel
Parco
degli
Acquedotti.
In
città
entrava
sempre
dalla
zona
di
Spes
Vetus,
Porta
Maggiore,
e
sulle
sue
arcate,
unite
successivamente
alle
mura
aureliane,
si
vede
ancora
oggi
il
doppio
condotto
dell’Acqua
Claudia
e
dell’Anio
Nuovo.
A
Porta
Maggiore,
dall’acquedotto
si
distaccava
un
ramo
secondario,
realizzato
da
Nerone,
che
si
dirigeva
verso
la
Domus
Aurea.
L’imperatore
Domiziano
prolungò
questo
secondo
ramo
col
fine
di
rifornire
il
palazzo
imperiale
del
Palatino.
Nel
III
secolo
un
successivo
ramo
conduceva
l’acqua
a
Trastevere.
Anio
Novus
Anche
quest’acquedotto,
come
il
precedente,
fu
iniziato
da
Caligola
nel
38
d.C.
e fu
terminato
da
Claudio
nel
52
d.C.
Prendeva
le
acque
dal
fiume
Aniene
e
l’aggettivo
Novus
serviva
a
differenziarlo
dall’Anio
Vetus
(vecchio).
Il
percorso
che
seguiva
era
il
più
lungo
di
tutti
gli
acquedotti:
circa
87
km,
di
cui
solo
quattordici
in
superficie
e,
alcuni,
coincidenti
con
l’Aqua
Claudia.
Aqua
Traiana
Il
penultimo
acquedotto
di
Roma
antica
fu
realizzato
dall’imperatore
Traiano
nel
109
a.C.,
principalmente
per
rifornire
il
quartiere
di
Trastevere
allora
oltrepassato
solo
dall’Aqua
Alsietina
ma,
essendo
stata
realizzata
con
lo
scopo
di
approvvigionare
la
naumachia
di
Augusto,
l’acqua
non
era
potabile.
Insieme
all’Aqua
Alexandriana,
successivo
acquedotto,
fu
realizzato
dopo
la
stesura
dell’opera
di
Frontino,
quindi,
si
hanno
notizie
meno
sicure.
Le
sorgenti
utilizzate
erano
quelle
situate
sul
versante
occidentale
del
lago
di
Bracciano.
L’acqua
entrava
in
città
dal
Gianicolo
e
rimase
in
funzione
fino
all’arrivo
dei
Goti
nel
537.
Per
festeggiare
il
completamento
della
sua
opera,
Traiano
emise
un
sesterzio
di
bronzo,
con
al
diritto
la
sua
immagine
e,
al
rovescio,
una
divinità
sdraiata
che
rappresenta
l’acquedotto.
Durante
il
medioevo,
l’acquedotto
fu
riallacciato
diverse
volte,
ma
non
funzionò
mai
come
prima;
nel
XVII
secolo
fu
completamente
ristrutturato
per
merito
di
Papa
Paolo
V e,
in
suo
onore,
prese
il
nome
di
Acqua
Paola.
In
realtà
il
Papa
mirava,
principalmente,
a
realizzare
una
riserva
idrica
considerevole
per
portare
acqua
ai
giardini
della
sua
residenza.
Il
condotto
terminava
sul
Gianicolo
con
la
maestosa
Fontana
dell’Acqua
Paola.
Aqua
Alexandriana
L’ultimo
degli
undici
acquedotti
di
Roma
antica,
fu
edificato
nel
226
d.C.
dall’imperatore
Alessandro
Severo,
per
rifornire
le
Terme
Alessandrine,
le
quali
ricalcavano
l’impianto
Neroniano.
Le
acque
provenivano
da
Pantano
Borghese
e
arrivavano
a
Roma
su
un
percorso
quasi
esclusivamente
di
arcate
(i
tratti
sotterranei
erano
pochi),
seguendo
la
via
Prenestina,
Labicana
e
terminando
a
Porta
Maggiore
(Spes
Vetus).
Adesso,
le
stesse
sorgenti
sono
utilizzate
dall’Acqua
Felice,
costruito
da
Papa
Sisto
V.