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N. 140 - Agosto 2019 (CLXXI)

La nuova zona di libero scambio africana

opportunità made in Africa

 di Gian Marco Boellisi

 

Lo scorso 7 luglio a Niamey, la capitale del Niger, è stato scritto un capitolo molto importante della storia africana. Infatti qui, dal 4 all’8 luglio, si è tenuta una riunione generale dell’Unione Africana per la firma dell’African Continental Free Trade Agreement (ACFTA), ovvero un nuovo accordo di libero scambio che coinvolgerà l’interezza del continente nero.

 

L’area di scambio che ne risulterebbe sarebbe la più grande al mondo per numero di paesi coinvolti, interessando più di un miliardo di persone. Un progetto di proporzioni titaniche che ha tutte le carte in regola per diventare una delle pietre miliari degli accordi economici della storia e anche uno dei mezzi attraverso i quali questo continente riesca finalmente ad acquisire indipendenza sullo scacchiere internazionale, allontanandosi così dai vecchi ma sempre presenti paesi colonizzatori occidentali e dagli interessi sempre più invadenti di Pechino. Tuttavia, gli ostacoli affinché il progetto possa decollare realmente sono innumerevoli, alcuni imputabili a fattori interni e altri a fattori esterni.

 

La nascita di questo progetto viene da lontano. Già nei primi anni ’60 venne fondata l’Organizzazione d’Unità Africana, una specie di predecessore di quella che sarebbe diventata poi l’Unione Africana con l’intenzione di arrivare a una visione comune per l’intero continente africano.

 

Nel 1980 venne redatto il Piano di Azione di Lagos, nel quale vennero poste le basi per l’accordo firmato il 7 luglio: la volontà di creare un’area di scambio comune a tutti i paesi africani, di emettere una moneta unica e infine si istituire una banca centrale africana a coordinamento dell’economica unitaria così creatasi. Nonostante il progetto ambizioso, all’epoca il tutto rimase solamente pura teoria, essendo l’Africa spaccata, come tutto il mondo del resto, nell’eterna lotta tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

 

Per decenni è stata rinviata l’ufficializzazione dell’accordo, anche dopo la fine della Guerra Fredda, a causa prevalentemente delle pressioni esercitate dagli ex colonizzatori occidentali, i quali temevano più di ogni altra cosa di perdere la propria influenza politica e i propri vantaggi economici qualora tutti gli stati africani si fossero uniti sotto un’unica organizzazione indipendente.

 

Un altro fattore che ha rallentato il processo di ratifica è stato il problema di integrare le 8 aree di scambio attualmente esistenti all’interno del continente africano in un’unica area di scambio generale. Anche a seguito della ratifica del documento finale, queste 8 aree di scambio “intra-africane” continueranno a esistere, generando così un’alta probabilità di conflitti di interessi tra esigenze particolari ed esigenze generali.

 

Nonostante queste problematiche, nel 2012 ad Addis Abeba i paesi dell’Unione Africana decisero di dare inizio all’iter formale per la creazione dell’ACFTA. Si tennero così 8 round negoziali tra il 2015 e il 2017 per definire i dettagli economi e amministrativi dell’area di libero scambio, per poi giungere infine nel 2018 a Kigali, in Ruanda, alla firma da parte di 44 paesi di un accordo preliminare.

 

Tanto è stato l’entusiasmo in questa prima ratifica del progetto che si era parlato addirittura della creazione di un unico passaporto interafricano, in modo da facilitare la libera circolazione di persone e merci, da attuarsi entro il 2022. Nonostante l’entusiasmo iniziale per una così ampia adesione da parte degli stati africani, a Kigali vi furono degli assenti importanti. Infatti sia la Nigeria che il Sudafrica non firmarono il documento d’intesa. Questo costituì una questione critica sin dal primo momento, essendo questi due stati le più grandi economie di tutto il continente. Basti pensare che la Nigeria da sola costituisce circa il 17% dell’intero PIL africano.

 

Tuttavia, grazie all’instancabile lavoro diplomatico di alcuni leader, il Sudafrica firmò l’accordo nel luglio dello stesso anno e nel corso dei mesi successivi altre 8 nazioni rientrarono tra le firmatarie dello stesso, a eccezione dei soli Nigeria, Benin ed Eritrea. Ed è proprio qui che arriviamo al 7 luglio 2019.

 

In questa data infatti, grazie anche al costante impegno del presidente nigerino Mahamadou Issoufou, si è avuta l’adesione della Nigeria, e quindi la nascita ufficiale dell’area di libero scambio. Infatti non aveva senso far partire il progetto senza l’importante apparato industriale e manifatturiero nigeriano: si avrebbe avuto solo un progetto morto prima ancora di nascere. Sicuramente la firma da parte del Sudafrica avrà contribuito in maniera importante a convincere gli animi ad Abuja sulla serietà e lungimiranza del progetto.

 

Al momento attuale manca solo l’Eritrea tra i firmatari, essendo stata bloccata in un primo momento dal veto etiope a causa del conflitto tra le due nazioni. Tuttavia, a seguito dei trattati di pace dell’anno scorso, il suddetto veto è stato ritirato, quindi vi sono buone probabilità che ora anche l’Eritrea entri a far parte dei giochi.

 

L’obiettivo principale della nuova area di libero scambio sarà quello di facilitare il commercio intra-africano, cercando di eliminare sempre più la dipendenza dei singoli stati, e quindi del continente tutto, dai prodotti occidentali e cinesi. Uno dei primi step sarà l’eliminazione delle tariffe doganali sulla quasi totalità dei beni circolanti all’interno del continente, a esclusione di un 10% ritenuto “strategicamente rilevante” per gli interessi dei singoli stati.

 

L’abbattimento delle imposte dovrebbe avvenire progressivamente nei prossimi 5 anni, con la possibilità di una proroga per le economie ritenute più deboli. Nonostante la firma dell’accordo, sono ancora in corso negoziati tra le diverse cancellerie in merito ai regimi doganali da assumere verso l’esterno del continente e anche sui beni che potranno beneficiare dell’abbattimento delle tariffe.

 

Gli obiettivi alla base di questa nuova area di libero scambio sono quanto mai ambiziosi e, se raggiunti, possono veramente significare una nuova era di sviluppo e prosperità per l’Africa. Tuttavia, prima di cedere a un’eccessiva dose di positivismo, è giusto analizzare i fatti reali con i quali i nuovi paesi africani dovranno fronteggiarsi nell’immediato.

 

Infatti la quasi interezza del continente, se non per alcune isolate eccezioni, è caratterizzata da una carenza intrinseca di infrastrutture atte allo sviluppo di commerci, da una scarsità di personale specializzato, da un sempre maggiore tasso di disoccupazione e da una classe media emergente, da sempre il motore dei paesi in via di sviluppo, che non riesce a trovare una propria posizione nel mondo del lavoro.

 

Queste sono tematiche molto importanti che dovranno essere affrontate sistematicamente dall’Unione Africana qualora si voglia vedere uno spiraglio per il futuro del continente.

 

Un altro importante ostacolo è costituito dalle stesse merci che circolano all’interno del continente africano. Prova ne sia che uno dei passaggi fondamentali che si stanno affrontando sin da subito è il discernere su cosa sia “africano” e cosa no. Allo stato attuale molti dei prodotti importati dall’Unione Europea o dalla Cina potrebbero essere equiparati ai prodotti autoctoni africani, provenendo essi dall’estero ma subendo la lavorazione finale in Africa, rendendo così di fatto nullo l’effetto della zona di libero scambio appena creata.

 

Questo è un problema molto serio, tant’è che l’attuale sistema commerciale sembra quasi preferire i prodotti eterni a quelli interni. Un esempio pratico può essere il riso proveniente dall’Asia o il cacao dalla Svizzera o lo zucchero dal Brasile. Proprio per questo motivo sin dalla firma dell’accordo è scattata immediatamente la cosiddetta “Rule of Origin”, ovvero una regola che discrimina l’origine effettiva dei prodotti circolanti nei mercati africani in modo da evitare interpretazioni erronee.

 

In conclusione, la sfida che l’Africa dovrà affrontare con la creazione di questa nuova area di libero scambio è di proporzioni mai viste prima, soprattutto in virtù delle dimensioni del progetto e dei relativi obiettivi a medio e lungo termine. Gli stati dell’Unione Africana dovranno gradualmente affrontare tutte le problematiche che caratterizzano il continente nero da decenni, in modo da poter rendere maggiormente effettiva questa neonata unione economica. Tuttavia essi dovranno essere anche pronti alle resistenze che quasi sicuramente arriveranno dall’esterno, e in particolar modo da due attori.

 

In primis dall’Occidente tutto, il quale non vorrà vedere ridotti i propri vantaggi commerciali e la propria influenza politica dopo decenni e decenni di sfruttamento senza alcun rispetto dei paesi interessati. In secondo luogo dalla Cina, la quale non vorrà vedere diminuire la propria influenza economica, strategica e politica alla luce soprattutto della competizione per l’egemonia del continente africano che si traduce inevitabilmente nella lotta per l’egemonia globale.

 

Oltre alle minacce dall’esterno, i paesi firmatari dell’accordo di libero scambio dovranno anche porre attenzione ai propri interessi particolari, in virtù soprattutto delle 8 zone di libero scambio presenti all’interno dell’Africa che, almeno per il momento, continueranno a esistere parallelamente all’area commerciale appena creata. La speranza è che queste 8 zone vengano lentamente sciolte a favore dell’unica zona generale appena creata, vedendo così prevalere uno spirito di unione africana mai visto prima nella storia di questo importante continente.

 

Qualunque sia l’esito di questo nuovo progetto economico, l’accordo siglato il 7 luglio a Niamey probabilmente cambierà gli scambi commerciali africani, e quindi anche quelli mondiali, in una maniera mai vista prima. Solamente il tempo però potrà dirci quanto questo cambiamento sarà incisivo e se ciò porterà l’Africa a prendere il proprio posto di diritto al tavolo delle relazioni internazionali come attore pari a tutti gli altri.



 

 

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