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N. 45 - Settembre 2011 (LXXVI)

ABORTO E CONTRACCEZIONE IN TUNISIA
Storia di una conquista

di Francesca Zamboni

 

Nell’Islam l’aborto e la contraccezione sono due pratiche proibite e condannate, ma solo apparentemente, perché in realtà, anche se con discrezione, vengono esercitate. Il Corano infatti non tratta il tema dell’aborto e della contraccezione se non in termini molto velati, ovvero attraverso la celebrazione della procreazione.

 

Si tratta di una tematica delicata, che si presta ad essere oggetto di varie interpretazioni da parte di teologi e giuristi. Il Libro Sacro afferma che il nascituro acquista l’anima al quarto mese, portando conseguentemente alcuni teologi a sostenere che l’aborto sia praticabile entro i primi 120 giorni di gestazione. Ovviamente la decisione di procedere all’intervento deve essere presa dietro parere medico e in base a decisioni emesse da appositi consigli composti da specialisti.

 

L’interruzione di gravidanza diviene perciò lecita solo in determinati casi: quando si debba salvare la vita della donna, preservare la sua salute fisica e mentale, e quando i genitori, a causa di condizioni economiche sfavorevoli, non possano garantire il futuro del proprio bambino.

 

Altre situazioni, che legittimano l’aborto, sono: l’incesto, lo stupro, e infine una malattia congenita o una malformazione che compromettano la vita del nascituro. L’interruzione deve essere praticata, per rientrare nella liceità, durante i primi tre mesi di gravidanza in una struttura sanitaria od ospedaliera e comunque da un medico autorizzato legalmente all’intervento. I medici inoltre stabiliscono in modo equilibrato, affinché la loro decisione non sia considerata un crimine.

 

La Tunisia è stato il primo paese arabo-musulmano a legalizzare l’aborto, modificando il Codice Penale tunisino del 1913, che proibiva tutte le forme di aborto, se non per salvare la vita della madre. In seguito i decreti legislativi del 1920 del 1940 hanno abrogato tali disposizioni, facendo da trampolino di lancio per un’ulteriore e significativa modifica avvenuta il 1° luglio 1965, la quale ha consentito la pratica dell’aborto durante i primi tre mesi di gravidanza e sempre nel caso in cui la vita della madre fosse messa a repentaglio e nel caso in cui la famiglia fosse composta da almeno cinque figli. Infine il codice penale è stato nuovamente modificato nel 1973, rettificando l’articolo 214, che regolamenta dettagliatamente l’interruzione della gestazione nei minimi particolari e con le relative sanzioni penali.

 

L’articolo 214 stabilisce infatti: “Chiunque, attraverso alimenti, bevande, medicine e tutti gli altri modi, avrà procurato o tentato di procurare l’aborto di una donna incinta o presumibilmente incinta, che sia stata consenziente o non, sarà punito con la reclusione di 5 anni e un’ammenda di 10.000 dinari o con una soltanto di queste due pene. Sarà punito con la reclusione di due anni e un’ammenda di 2000 dinari o una sola di queste due pene, la donna che si sarà provocata l’aborto o che avrà tentato di procurarselo, o che avrà acconsentito di fare uso dei mezzi ad essa suggeriti o ad essa somministrati al tal fine.

 

L’interruzione artificiale della gravidanza è autorizzata quando avvenga entro i primi tre mesi in una struttura ospedaliera o sanitaria ed in una clinica autorizzata attraverso un medico che eserciti legalmente la sua professione.

 

Dopo i primi tre mesi, l’interruzione della gravidanza può essere praticata quando la salute della madre o il suo equilibrio fisico rischiano di essere compromessi dalla prosecuzione della gravidanza o ancora quando il bambino rischierà, alla nascita, di soffrire di una malattia o di una grave minorazione. In questo caso dovrà avvenire in un centro abilitato a tale scopo.

 

L’interruzione deve avere luogo dietro presentazione di un certificato medico”. Anche in questo caso la Tunisia dimostra come l’interpretazione (ijtihad) sia stato ancora una volta lo strumento capace di rispondere alle richieste di una società, che da molto tempo sentiva la necessità di uscire da una prospettiva statica connessa a principi religiosi divenuti anacronistici e ormai superati.

 

La donna ha acquisito, con l’emanazione delle leggi e dell’articolo suddetti, una maggiore capacità giuridica voluta fortemente da Bourguiba, un Presidente di altri tempi, che è riuscito a rompere le tradizioni in favore di nuovi obiettivi tra cui l’emancipazione femminile intesa, in questo ambito, come capacità di gestire il proprio corpo.

 

Negli anni Settanta lo slogan dei movimenti femministi era infatti: “Notre ventre nous appartient”, sottolineando il potere decisionale della donna sul proprio corpo e sulla vita o la morte del proprio feto.

 

Tornando all’articolo 214 del Codice Penale tunisino, le prestazioni, che riguardano l’interruzione di gravidanza, sono sovvenzionate dal governo allo stesso modo di tutte le altre prestazioni mediche, offrendo la possibilità di ricorrere all’intervento in una struttura ospedaliera del tutto gratuitamente.

 

Dal 1973 l’aborto è stato praticato sempre di più, rappresentando il terzo modo per controllare il tasso di natalità dopo i metodi intrauterini e la pillola contraccettiva. L’interruzione di gravidanza tuttavia resta una pratica proibita e poco accettata nelle zone meno sviluppate a livello sociale e soprattutto da parte di coloro che aspettano un figlio concepito extra coniugalmente. Il ricorso a metodi abortivi autoindotti è rilevante e va dall’impiego di erbe e droghe fino a pozioni preparate illegalmente da farmacisti.

 

La Tunisia è stato il primo paese arabo-musulmano ad adottare la cosiddetta “pianificazione familiare”, ovvero la regolamentazione del tasso di natalità per favorire lo sviluppo economico e sociale; una politica volta anche a rinforzare i precedenti cambiamenti, quali l’abolizione del ripudio e della poligamia.

 

La riduzione della fertilità è stata resa possibile grazie alla legge del 9 gennaio 1961 relativa ai metodi e prodotti anticoncezionali, abrogando perciò la legge francese del 1920. Non solo i contraccettivi erano approvati, ma la loro vendita sarebbe stata pubblicizzata come qualsiasi altro prodotto farmaceutico.

 

Tuttavia il programma di “pianificazione familiare” non venne inizialmente esteso a tutto il paese, ma solo ad alcune regioni. Bisognerà attendere il 1966 perché tale disposizione venisse adottata in tutta la Tunisia, anche se presto si palesò la sua incapacità di rispondere al programma di politica nazionale per contenere il tasso di natalità.

 

Tale programma è stato però pensato per regolamentare il numero delle nascite per quelle donne che abbiano già avuto un figlio, o perlomeno per impedirne ulteriori nel momento in cui il numero dei figli desiderati fosse stato raggiunto. Bisogna però sottolineare che tale programma non viene utilizzato dalla Tunisia con lo stesso scopo di altri paesi in via di sviluppo, ovvero esercitare l’aborto come metodo di controllo delle nascite, bensì tramite l’informazione e l’uso di sistemi contraccettivi.

 

Nel 1973 una nuova riforma ha creato l’Office National de la Famille, che ha il compito di informare la popolazione a proposito dell’andamento demografico del paese attraverso censimenti e statistiche.

 

Nell’ambito della contraccezione un ruolo determinante viene svolto dal medico, il quale ha il compito di decidere come se fosse un giudice, avvalendosi di una responsabilità che può esercitare senza essere contrastato dai teologi. Infatti solo una piccola minoranza musulmana si dichiara contraria alla “pianificazione familiare”, che viene vissuta come il frutto dell’intrusione occidentale.

 

L’Islam non finalizza il matrimonio alla procreazione, anche se costituisce uno dei suoi fini, inoltre il celibato è coranicamente condannato. Tuttavia l’età del matrimonio è cresciuta e ciò costituisce uno dei fattori per il quale la contraccezione è molto più usata rispetto agli anni precedenti. Il livello d’istruzione femminile è sensibilmente migliorato, così come le loro aspirazioni lavorative, che si sono anteposte al concetto di nucleo familiare, portando ad una forte diminuzione delle nascite.

 

In Tunisia l’età media del matrimonio è passata da 19 anni nel 1956 ai 28 dei giorni odierni, dando vita ad una rivoluzione sociale che tende a completare il processo di assimilazione alla cultura occidentale. Infatti le donne maghrebine non solo si sposano più tardi, ma fanno sempre meno figli.

 

La famiglia resta però sempre un aspetto fondamentale della società tunisina a cui sia la Costituzione che la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo accordano profonda tutela.



 

 

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