[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 204 / DICEMBRE 2024 (CCXXXV)


ambiente

L’abete e la sua simbologia STORICA

Credenze, miti e tradizioni
di Giulia Cesarini Argiroffo

 

“Abete” è il nome di alcuni alberi coniferi sempreverdi della famiglia delle Pinacee dell’emisfero boreale, che comprendono diverse specie. Nello specifico si tratta di una pianta dal tronco slanciato a chioma conica e con foglie aghiformi. In particolare il cosiddetto “abete bianco” (Abies alba) ha una corteccia giovane bianco-grigia e liscia (con l’età diventa rugosa), foglie appiattite, rami orizzontali e lo strobilo eretto, può raggiungere fino ai 60 metri di altezza. Mentre quello “rosso” (Picea excelsa) che presenta una corteccia rossastra e sfaldata in placche, foglie acute e dirette in ogni senso, rametti pendenti dagli strobili rossastri, può toccare i 68 metri.

 

Nell’Antico Egitto l’abete si considerava un albero della Natività, in quanto era la pianta dove nacque il dio Biblos, il prototipo dell’Osiride predinastico egizio. Nell’Antica Grecia l’abete bianco (eláte) era sacro alla dea Artemide, intesa come Luna e protettrice delle nascite. In suo onore era d’uso sventolare nelle feste dionisiache un ramo di quest’albero intrecciato con edera e coronato sulla punta da una pigna. Portava lo stesso nome dell’abete bianco Eláte, la dea della Luna nuova, detta anche Kaineídes, da kinízo, “rinnovare, recare cose nuove”.

 

Proprio di quest’albero narra il seguente mito Greco. Un giorno la ninfa Kaineídes, figlia di Elato il Magnesio, o secondo altri mitografi di Corono il Lapita, fu posseduta da Poseidone che, soddisfatto, le chiese che cosa volesse come dono d’amore. Lei rispose che era stanca di essere una donna e desiderava diventare un uomo e un guerriero invincibile.

 

Così Poseidone l’accontentò e divenne il guerriero Kaineús, che condusse più volte alla vittoria i Lapiti fino a che, con acclamazione, divenne loro re. Pertanto, inorgoglito dal suo potere, Kaineús piantò una lancia di abete nel centro della piazza del mercato costringendo tutti a offrirgli sacrifici, come se fosse una divinità. Allora Zeus, sdegnato dalla sua presunzione, indusse i Centauri a ucciderlo. Nello specifico, durante le nozze di Piritoo, essi assalirono il guerriero che ne uccise facilmente cinque o sei senza subire nemmeno un graffio perché le armi degli assalitori scivolavano sulla sua pelle invulnerabile. Allora i Centauri superstiti cambiarono tattica e percossero Kaineús sul capo con tronchi di abete fino a stenderlo a terra. Poi lo coprirono con una catasta di altri tronchi soffocandolo. Fu allora che un uccello grigio si levò dalla catasta. L’indovino Mopso, che assistette alla scena, disse di avere riconosciuto in quell’uccello l’anima di Kaineús. Al termine delle esequie si scoprì che il corpo del guerriero riacquistò forme femminili.

 

Il mito adombra forse un rito primaverile in onore della Grande Madre che doveva consistere nell’innalzamento di un abete nella piazza del mercato e in una cerimonia rituale in cui uomini nudi, armati di magli, percuotevano sul capo l’effige della Madre Terra per liberare lo spirito dell’anno nuovo.

 

Per i Celti, nell’alfabeto arboreo druidico, ogni lettera prende il nome di un albero o di un arbusto di cui è l’iniziale. Ad esempio, l’abete bianco (ailm) corrispondeva alla prima lettera. Inoltre lo si chiamava argentato perché i suoi rami sono nella parte superiore di color verde lucido e in quella inferiore argentei. Nel calendario celtico, l’abete si consacrava al giorno della nascita del Fanciullo divino, giornata supplementare che seguiva al Solstizio d’Inverno.

 

Nei paesi Scandinavi e Germanici dall’Antichità, poco prima delle feste solstiziali ci si recava nel bosco a tagliare un abete, che si portava a casa e che si decorava con ghirlande, uova dipinte e dolciumi. Intorno all’albero la notte del Solstizio d’Inverno, tra il 24 e il 25 dicembre, si trascorreva la notte allegramente. Tale radicata tradizione proseguì anche nel Medioevo, nonostante l’evangelizzazione, come testimoniano documenti di condanna della Chiesa. In questi scritti si affermava che durante quella notte trascorsa intorno all’abete la popolazione si dedicasse a eccessi orgiastici.

 

In Tirolo e in Svizzera si favoleggiava fra i montanari che il Genio della foresta abitasse in un vecchio abete, forse perché in Europa quest’albero era il più alto e maestoso. Pertanto era d’uso raffigurare quest’entità con un abete sradicato in mano. Quando qualche boscaiolo si apprestava a tagliare l’albero, egli si lamentava supplicandolo di lasciarlo vivere. Inoltre si credeva che questa pianta vegliasse sul bestiame e portasse prosperità nelle fattorie.

 

In Germania, a Hildesheim nell’Hannover, celebre per la cattedrale dove cresce un roseto che pare si piantò nel Medioevo a opera del vescovo sant’Alfredo, era d’uso colpire le donne con rami d’abete per favorirne la fecondità. Questi rituali non erano dissimili a quanto accadeva nell’Antica Roma durante i Lupercalia, a metà febbraio, quando i Luperci percuotevano le donne ritualmente però con strisce di pelli di capra.

 

In Savoia l’albero di abete si credeva che neutralizzasse gli effetti del malocchio e impedisse al fulmine di cadere. Affinché la sua influenza fosse più intensa, la cima si mozzava in modo che i rami rimasti rappresentassero le cinque dita di una mano aperta.

 

Nei paesi neolatini l’abete solstiziale e poi, dopo la cristianizzazione natalizio, forse già presente in epoca barbarica nei territori invasi dalle popolazioni germaniche scomparve con l’evangelizzazione. Di conseguenza in queste nazioni la consuetudine dell’uso dell’albero di Natale tardò ad arrivare.

 

Nello specifico l’entrata di questa tradizione nel bagaglio culturale di questi paesi avvenne solo nel 1840. Ciò lo si deve alla principessa di Mecklenburg, che sposò il duca Orléans, figlio di Luigi Filippo la quale introdusse l’albero di Natale, un abete, alle Tuileries, suscitando la sorpresa generale della corte. Fu così che l’uso di decorare per Natale l’abete bianco o rosso si diffuse gradualmente anche nei paesi latini. Quest’albero, in questo caso, sta a simboleggiare la nascita di Cristo o meglio è un simbolo del Cristo da considerarsi come Albero della vita, il che ha una curiosa analogia con le tradizioni siberiane.

 

Infatti l’abete per le popolazioni dell’Asia settentrionale è un Albero cosmico che si erge al centro dell’universo. Ad esempio per gli Altaici dall’ombelico della Terra spunta l’albero più alto. Questo è un gigantesco abete i cui rami s’innalzano fino alla dimora di Bai-Ulgän, la divinità protettrice, collegando le tre zone del cosmo: cielo, terra e inferi. Invece secondo gli Ostíachi-Vasjugan la cima di quest’albero penetra nel cielo mentre le radici affondano negli inferi. Mentre i Tartari siberiani sostengono che una copia dell’Albero celeste si trova nell’inferno. Nello specifico, un abete con nove radici si erge davanti al palazzo di Irle Khan, il re dei morti.

 

Invece fra gli sciamani yakuti si favoleggia che nel Nord cresca un abete gigantesco che porta dei nidi sui suoi rami, dove si trovano gli sciamani, i maggiori sui più alti, i medi su quelli di mezzo e i minori sui più bassi. L’Uccello-Madre-da-Preda, che ha testa d’aquila e piume di ferro, si posa sull’Albero dove depone le uova per poi covarle, da loro nasceranno le nuove generazioni di sciamani. Le uova si schiudono in tempi diversi a seconda della tipologia di sciamano che racchiudono. Se contengono i “grandi sciamani” il loro tempo di incubazione dura tre anni, quello dei “medi” è di due anni e quello dei “minori” un solo anno.

 

Nelle tradizioni italiane l’usanza dell’abete solstiziale scomparve con la cristianizzazione per riapparire solo all’inizio del Novecento per poi diffondersi, soprattutto nel dopoguerra, sulla scia dell’influenza statunitense.

 

Come notava Cattabiani oggigiorno in alcune chiese e monasteri, in diversi luoghi pubblici e in molte case private in occasione delle feste natalizie si dispone un abete decorato di lumini e globi decorati. In talune case spesso sostituisce il presepe. Di quest’ultimo i fautori sostengono a torto che non sia un’usanza cristiana. Per capire questo simbolo occorre rammentare che in tutte le tradizioni Antiche l’albero figura l’Asse del mondo attraverso il quale l’Eterno si manifesta nel mondo visibile. Nell’Antico Testamento è l’Albero della Vita piantato al centro dell’Eden e del quale Adamo ed Eva potevano nutrirsi prima del Peccato originale. Molti teologi medievali lo identificarono con Cristo.

 

Ad esempio, a tal proposito Ruperto scriveva: “Il Paradiso Terrestre fu creato a immagine del paradiso celeste dove le potenze angeliche sono come alberi bellissimi e l’Albero della Vita è Dio stesso”. Non diversamente dal vescovo Ippolito di Roma che, nel III secolo, scriveva riferendosi alla Croce: “Pianta immortale, s’innalza al centro dell’universo, legame di tutto, sostegno di tutta la terra abitata, legame cosmico che comprende in sé tutta la molteplicità della natura umana”.

 

Per questo suo simbolismo religioso esemplificativo è il caso di Assisisi dove, nella cappella del monastero di Santa Croce in cui vivono suore cappuccine tedesche, nella notte di Natale campeggia un abete sotto il Crocifisso dell’altar maggiore. Altri alberi decorati con striscioline di carta e candeline sono disposti lungo la navata. Comunque non è l’unico caso di luogo di culto cristiano in cui lo si inserisce.

 

Anche gli addobbi dell’albero per il Cristianesimo hanno un simbolismo preciso. Nello specifico, i lumini rappresentano la Luce che il Cristo dispensa all’umanità, mentre i frutti dorati e le palle natalizie sono simboli della Vita spirituale. Infine i regalini e i dolciumi che si dispongono ai piedi o si appendono ai suoi rami rappresentano l’Amore che Cristo offre ai credenti.

Dunque, radunarsi la notte di Natale sotto quest’albero significa essere illuminati dalla Sua luce, godere della Sua linfa, essere pervasi dal Suo amore.

 

In breve, nelle case cristiane dove si è consapevoli del suo simbolismo si usa l’albero di Natale. Nello specifico, si appendono all’abete tanti lumini che rappresentano per i credenti la luce che Cristo dispensa all’umanità, mentre i frutti dorati, i regalini e i dolciumi sono simboli della vita spirituale e dell’amore che Egli ci offre.

 

Ciò nonostante purtroppo negli ultimi decenni la bellezza e l’allegria dell’albero di Natale, oltre alla tradizione dei suoi regali, in molti ambienti ha perso la sua connotazione religiosa per lasciare spazio al consumismo. Infatti si trova ormai anche in nazioni a tradizione culturale non cristiana, emblema delle cosiddette “Feste di fine d’anno” (non delle Feste di Natale, che è un periodo di festività della religione cristiana). Esso sta diventando più un’immagine strumentale da parte del marketing per spingere i consumatori ad acquistare regali. L’albero di Natale oggigiorno sta diventando sempre più un simbolo del consumismo, del denaro; piuttosto che spirituale e religioso, significato che si sta perdendo ogni anno di più.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Aleotti, Attilio Angelo, Le Caravelle dell’abbondanza, Torino, Robin Edizioni, 2022

Cattabiani, Alfredo, Florario, Mondadori editore, Milano, 2016.

Cattabiani, Alfredo, Il Lunario, Mondadori editore, Milano, 2002.

Centini, Massimo, Simboli. Celti, Red Edizioni, Como, 2001.

Pastoureau, Michel, Verde. Storia di un colore, Ponte delle Grazie editore, Milano, 2008.

Went, Fritzs W. e dai redattori di LIFE, Le Piante, Mondadori editore, Milano, 1965.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]