L’abete e la sua simbologia
STORICA
Credenze, miti e tradizioni
di Giulia
Cesarini Argiroffo
“Abete” è il nome di alcuni alberi
coniferi sempreverdi della famiglia
delle Pinacee dell’emisfero boreale,
che comprendono diverse specie.
Nello specifico si tratta di una
pianta dal tronco slanciato a chioma
conica e con foglie aghiformi. In
particolare il cosiddetto “abete
bianco” (Abies alba) ha una
corteccia giovane bianco-grigia e
liscia (con l’età diventa rugosa),
foglie appiattite, rami orizzontali
e lo strobilo eretto, può
raggiungere fino ai 60 metri di
altezza. Mentre quello “rosso”
(Picea excelsa) che presenta una
corteccia rossastra e sfaldata in
placche, foglie acute e dirette in
ogni senso, rametti pendenti dagli
strobili rossastri, può toccare i 68
metri.
Nell’Antico Egitto l’abete si
considerava un albero della
Natività, in quanto era la pianta
dove nacque il dio Biblos, il
prototipo dell’Osiride predinastico
egizio. Nell’Antica Grecia l’abete
bianco (eláte) era sacro alla dea
Artemide, intesa come Luna e
protettrice delle nascite. In suo
onore era d’uso sventolare nelle
feste dionisiache un ramo di
quest’albero intrecciato con edera e
coronato sulla punta da una pigna.
Portava lo stesso nome dell’abete
bianco Eláte, la dea della Luna
nuova, detta anche Kaineídes, da
kinízo, “rinnovare, recare cose
nuove”.
Proprio di quest’albero narra il
seguente mito Greco. Un giorno la
ninfa Kaineídes, figlia di Elato il
Magnesio, o secondo altri mitografi
di Corono il Lapita, fu posseduta da
Poseidone che, soddisfatto, le
chiese che cosa volesse come dono
d’amore. Lei rispose che era stanca
di essere una donna e desiderava
diventare un uomo e un guerriero
invincibile.
Così Poseidone l’accontentò e
divenne il guerriero Kaineús, che
condusse più volte alla vittoria i
Lapiti fino a che, con acclamazione,
divenne loro re. Pertanto,
inorgoglito dal suo potere, Kaineús
piantò una lancia di abete nel
centro della piazza del mercato
costringendo tutti a offrirgli
sacrifici, come se fosse una
divinità. Allora Zeus, sdegnato
dalla sua presunzione, indusse i
Centauri a ucciderlo. Nello
specifico, durante le nozze di
Piritoo, essi assalirono il
guerriero che ne uccise facilmente
cinque o sei senza subire nemmeno un
graffio perché le armi degli
assalitori scivolavano sulla sua
pelle invulnerabile. Allora i
Centauri superstiti cambiarono
tattica e percossero Kaineús sul
capo con tronchi di abete fino a
stenderlo a terra. Poi lo coprirono
con una catasta di altri tronchi
soffocandolo. Fu allora che un
uccello grigio si levò dalla
catasta. L’indovino Mopso, che
assistette alla scena, disse di
avere riconosciuto in quell’uccello
l’anima di Kaineús. Al termine delle
esequie si scoprì che il corpo del
guerriero riacquistò forme
femminili.
Il mito adombra forse un rito
primaverile in onore della Grande
Madre che doveva consistere
nell’innalzamento di un abete nella
piazza del mercato e in una
cerimonia rituale in cui uomini
nudi, armati di magli, percuotevano
sul capo l’effige della Madre Terra
per liberare lo spirito dell’anno
nuovo.
Per i Celti, nell’alfabeto arboreo
druidico, ogni lettera prende il
nome di un albero o di un arbusto di
cui è l’iniziale. Ad esempio,
l’abete bianco (ailm) corrispondeva
alla prima lettera. Inoltre lo si
chiamava argentato perché i suoi
rami sono nella parte superiore di
color verde lucido e in quella
inferiore argentei. Nel calendario
celtico, l’abete si consacrava al
giorno della nascita del Fanciullo
divino, giornata supplementare che
seguiva al Solstizio d’Inverno.
Nei paesi Scandinavi e Germanici
dall’Antichità, poco prima delle
feste solstiziali ci si recava nel
bosco a tagliare un abete, che si
portava a casa e che si decorava con
ghirlande, uova dipinte e dolciumi.
Intorno all’albero la notte del
Solstizio d’Inverno, tra il 24 e il
25 dicembre, si trascorreva la notte
allegramente. Tale radicata
tradizione proseguì anche nel
Medioevo, nonostante
l’evangelizzazione, come
testimoniano documenti di condanna
della Chiesa. In questi scritti si
affermava che durante quella notte
trascorsa intorno all’abete la
popolazione si dedicasse a eccessi
orgiastici.
In Tirolo e in Svizzera si
favoleggiava fra i montanari che il
Genio della foresta abitasse in un
vecchio abete, forse perché in
Europa quest’albero era il più alto
e maestoso. Pertanto era d’uso
raffigurare quest’entità con un
abete sradicato in mano. Quando
qualche boscaiolo si apprestava a
tagliare l’albero, egli si lamentava
supplicandolo di lasciarlo vivere.
Inoltre si credeva che questa pianta
vegliasse sul bestiame e portasse
prosperità nelle fattorie.
In Germania, a Hildesheim
nell’Hannover, celebre per la
cattedrale dove cresce un roseto che
pare si piantò nel Medioevo a opera
del vescovo sant’Alfredo, era d’uso
colpire le donne con rami d’abete
per favorirne la fecondità. Questi
rituali non erano dissimili a quanto
accadeva nell’Antica Roma durante i
Lupercalia, a metà febbraio, quando
i Luperci percuotevano le donne
ritualmente però con strisce di
pelli di capra.
In Savoia l’albero di abete si
credeva che neutralizzasse gli
effetti del malocchio e impedisse al
fulmine di cadere. Affinché la sua
influenza fosse più intensa, la cima
si mozzava in modo che i rami
rimasti rappresentassero le cinque
dita di una mano aperta.
Nei paesi neolatini l’abete
solstiziale e poi, dopo la
cristianizzazione natalizio, forse
già presente in epoca barbarica nei
territori invasi dalle popolazioni
germaniche scomparve con
l’evangelizzazione. Di conseguenza
in queste nazioni la consuetudine
dell’uso dell’albero di Natale tardò
ad arrivare.
Nello specifico l’entrata di questa
tradizione nel bagaglio culturale di
questi paesi avvenne solo nel 1840.
Ciò lo si deve alla principessa di
Mecklenburg, che sposò il duca
Orléans, figlio di Luigi Filippo la
quale introdusse l’albero di Natale,
un abete, alle Tuileries, suscitando
la sorpresa generale della corte. Fu
così che l’uso di decorare per
Natale l’abete bianco o rosso si
diffuse gradualmente anche nei paesi
latini. Quest’albero, in questo
caso, sta a simboleggiare la nascita
di Cristo o meglio è un simbolo del
Cristo da considerarsi come Albero
della vita, il che ha una curiosa
analogia con le tradizioni
siberiane.
Infatti l’abete per le popolazioni
dell’Asia settentrionale è un Albero
cosmico che si erge al centro
dell’universo. Ad esempio per gli
Altaici dall’ombelico della Terra
spunta l’albero più alto. Questo è
un gigantesco abete i cui rami
s’innalzano fino alla dimora di
Bai-Ulgän, la divinità protettrice,
collegando le tre zone del cosmo:
cielo, terra e inferi. Invece
secondo gli Ostíachi-Vasjugan la
cima di quest’albero penetra nel
cielo mentre le radici affondano
negli inferi. Mentre i Tartari
siberiani sostengono che una copia
dell’Albero celeste si trova
nell’inferno. Nello specifico, un
abete con nove radici si erge
davanti al palazzo di Irle Khan, il
re dei morti.
Invece fra gli sciamani yakuti si
favoleggia che nel Nord cresca un
abete gigantesco che porta dei nidi
sui suoi rami, dove si trovano gli
sciamani, i maggiori sui più alti, i
medi su quelli di mezzo e i minori
sui più bassi. L’Uccello-Madre-da-Preda,
che ha testa d’aquila e piume di
ferro, si posa sull’Albero dove
depone le uova per poi covarle, da
loro nasceranno le nuove generazioni
di sciamani. Le uova si schiudono in
tempi diversi a seconda della
tipologia di sciamano che
racchiudono. Se contengono i “grandi
sciamani” il loro tempo di
incubazione dura tre anni, quello
dei “medi” è di due anni e quello
dei “minori” un solo anno.
Nelle tradizioni italiane l’usanza
dell’abete solstiziale scomparve con
la cristianizzazione per riapparire
solo all’inizio del Novecento per
poi diffondersi, soprattutto nel
dopoguerra, sulla scia
dell’influenza statunitense.
Come notava Cattabiani oggigiorno in
alcune chiese e monasteri, in
diversi luoghi pubblici e in molte
case private in occasione delle
feste natalizie si dispone un abete
decorato di lumini e globi decorati.
In talune case spesso sostituisce il
presepe. Di quest’ultimo i fautori
sostengono a torto che non sia
un’usanza cristiana. Per capire
questo simbolo occorre rammentare
che in tutte le tradizioni Antiche
l’albero figura l’Asse del mondo
attraverso il quale l’Eterno si
manifesta nel mondo visibile.
Nell’Antico Testamento è l’Albero
della Vita piantato al centro
dell’Eden e del quale Adamo ed Eva
potevano nutrirsi prima del Peccato
originale. Molti teologi medievali
lo identificarono con Cristo.
Ad esempio, a tal proposito Ruperto
scriveva: “Il Paradiso Terrestre fu
creato a immagine del paradiso
celeste dove le potenze angeliche
sono come alberi bellissimi e
l’Albero della Vita è Dio stesso”.
Non diversamente dal vescovo
Ippolito di Roma che, nel III
secolo, scriveva riferendosi alla
Croce: “Pianta immortale, s’innalza
al centro dell’universo, legame di
tutto, sostegno di tutta la terra
abitata, legame cosmico che
comprende in sé tutta la
molteplicità della natura umana”.
Per questo suo simbolismo religioso
esemplificativo è il caso di
Assisisi dove, nella cappella del
monastero di Santa Croce in cui
vivono suore cappuccine tedesche,
nella notte di Natale campeggia un
abete sotto il Crocifisso dell’altar
maggiore. Altri alberi decorati con
striscioline di carta e candeline
sono disposti lungo la navata.
Comunque non è l’unico caso di luogo
di culto cristiano in cui lo si
inserisce.
Anche gli addobbi dell’albero per il
Cristianesimo hanno un simbolismo
preciso. Nello specifico, i lumini
rappresentano la Luce che il Cristo
dispensa all’umanità, mentre i
frutti dorati e le palle natalizie
sono simboli della Vita spirituale.
Infine i regalini e i dolciumi che
si dispongono ai piedi o si
appendono ai suoi rami rappresentano
l’Amore che Cristo offre ai
credenti.
Dunque, radunarsi la notte di Natale
sotto quest’albero significa essere
illuminati dalla Sua luce, godere
della Sua linfa, essere pervasi dal
Suo amore.
In breve, nelle case cristiane dove
si è consapevoli del suo simbolismo
si usa l’albero di Natale. Nello
specifico, si appendono all’abete
tanti lumini che rappresentano per i
credenti la luce che Cristo dispensa
all’umanità, mentre i frutti dorati,
i regalini e i dolciumi sono simboli
della vita spirituale e dell’amore
che Egli ci offre.
Ciò nonostante purtroppo negli
ultimi decenni la bellezza e
l’allegria dell’albero di Natale,
oltre alla tradizione dei suoi
regali, in molti ambienti ha perso
la sua connotazione religiosa per
lasciare spazio al consumismo.
Infatti si trova ormai anche in
nazioni a tradizione culturale non
cristiana, emblema delle cosiddette
“Feste di fine d’anno” (non delle
Feste di Natale, che è un periodo di
festività della religione
cristiana). Esso sta diventando più
un’immagine strumentale da parte del
marketing per spingere i consumatori
ad acquistare regali. L’albero di
Natale oggigiorno sta diventando
sempre più un simbolo del
consumismo, del denaro; piuttosto
che spirituale e religioso,
significato che si sta perdendo ogni
anno di più.
Riferimenti bibliografici:
Aleotti,
Attilio Angelo, Le Caravelle
dell’abbondanza, Torino, Robin
Edizioni, 2022
Cattabiani, Alfredo, Florario,
Mondadori editore, Milano, 2016.
Cattabiani, Alfredo, Il Lunario,
Mondadori editore, Milano, 2002.
Centini, Massimo, Simboli. Celti,
Red Edizioni, Como, 2001.
Pastoureau, Michel, Verde. Storia
di un colore, Ponte delle Grazie
editore, Milano, 2008.
Went, Fritzs W. e dai redattori di
LIFE, Le Piante, Mondadori
editore, Milano, 1965.