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N. 3 - Marzo 2008 (XXXIV)

VINCENZO  MELLINI  E  L’ABBAZIA  DI  MONTECRISTO

Montecristo e l’abbazia di S. Mamiliano

di Marcello Camici

 

Vincenzo Mellini nacque il 15 dicembre 1819 e morì nel 1897. Suo padre Giacomo era tenente colonnello: aveva partecipato alle campagne di guerra napoleoniche e aveva seguito Napoleone Bonaparte nell’esilio all’Elba. Sua madre era Lucrezia Ponce de Leon, nobile, di famiglia spagnola ( sorella del capitano Domenico Ponce de Leon di Porto Longone, ufficiale d’Ordinanza dell’imperatore spagnolo).

 

A Capoliveri, nella piazza principale, una lapide ricorda Mellini come “silenziosa fonte di pensiero e di azione”. Si laureò in legge all’università di Siena, rifiutò l’insegnamento di diritto penale nella stessa università perché voleva ritornare a vivere nella sua amata isola d’Elba. Qui, nel 1861, fu nominato vicedirettore delle miniere di ferro divenendone poi nel 1871 direttore generale.

 

Eccezionale fu l’impulso dato da Vincenzo Mellini al miglioramento della miniera del ferro: l’esportazione del minerale raggiunse in quel periodo le 450 mila tonnellate in un anno.Sotto la sua direzione si aprirono nuove miniere a Capopero e al Giove, mentre a Rio Marina furono costruiti i ponti caricatori. Si può affermare che Mellini contribuì in modo determinante allo sviluppo della nazione: con il minerale di ferro elbano furono costruite ferrovie, ponti, case.

 

Ma Mellini si impegnò nella sua passione preferita: la storia e l’archeologia elbana. Infaticabile fu la sua attività in questo campo dove ha lasciato innumerevoli scritti e manoscritti. Ricordo: “I francesi all’Elba”, “L’isola d’Elba durante il governo di Napoleone I”, studi planimetrici delle antiche pievi romanico-pisane  elbane (vedi “Memorie storiche di Vincenzo Mellini” di Giorgio Monaco, edito Olscki, 1965), manoscritti sugli antichi statuti degli antichi comuni elbani. Iniziò gli scavi archeologici col padre alla necropoli del Profico,vicino a Capoliveri.

 

Il 4 maggio 1886 il consiglio comunale di Portoferraio,presieduto dal sindaco Pietro Traditi,con deliberazione accettò l’offerta di Vincenzo Mellini di una raccolta di oggetti storici,preistorici e mineralogici quale nucleo iniziale per un progetto di costituzione di un museo, di cui,purtroppo, niente fu fatto.

 

Nell’agosto del 1852 dopo aver visitato l’isola di Montecristo, fece una dettagliata e precisa descrizione manoscritta di quest’isola dal punto di vista storico ed archeologico sui monumenti ivi presenti (Abbazia, grotta di S. Mamiliano, ruderi di un frantoio e di un molino con forno,resti di un tempietto nella vallata di S.Maria e di un forte sul punto più elevato dell’isola).

 

E’ sull’abbazia, con la sua millenaria storia religiosa ed economico-politica, che si sofferma l’attenzione di Vincenzo Mellini: di essa fa una pianta disegnata a mano.

 

Ecco come descrive l’abbazia di Montecristo (agosto 1852. Manoscritto).

 

“Un miglio circa sopra la spiaggia e a sinistra della vallata di Cala Maestra sopra un colle molto rilevato,giacciono le rovine dell’antica Abbadia.Esse sono solenni, e al loro aspetto si svegliano le senza ioni più sublimi ! La Pianta del Plaustro,compreso il Tempio,è di forma quadrangolare. Esiste tuttora intatta la Chiesa colle due cappelle a croce latina. Esse come le Chiese primitive nel suo interno è divisa a metà della navata da un muro,sul quale sembra che sorgessero delle colonne,con gradini che pongono in comunicazione l’aula o l’atrio col Santuario.

 

Un tronco di colonna granitica giace tuttora sul pavimento,che ora non esiste più,forse asportato,perchè di marmi finissimi,dai Saraceni. Essa è coperta da volta a pien-centro sostenuta da due archi con pilastri: il tutto di pietre granitiche,unite insieme a scalpello,come di granito e rettangolari sono sono tutte le pietre che formano l’intero edificio.

 

Finestre strette, a pien centro e a guisa di feritoje danno adito appena alla luce,la quale colla sua incertezza rende ancora più imponente l’effetto che produce sull’animo del viaggiatore questo tempio vetusto. La facciata della Chiesa è rivolta a ponente. Essa è tutta corrosa dai sali marini: del resto l’interno della Chiesa e in ogni altra parte è benissimo conservata e sembra uscita jeri dalle mani dell’artefice.

 

Contigue alla Chiesa e più specialmente alla Cappella meridionale,erano due grandi sale,ora dirute dal lato di ponente,che dovevano servire ai monaci una di Sacristia ed una per le adunanze capitolari. La porta del Convento che resta tuttora in piedi è nascosta nell’angolo estremo del lato di levante e vi si accede dall’esterno per uno strettissimo sentiero intagliato a scalpello sulla falda della roccia che lambade da questa parte l’edifizio. Entrati la porta si trova un vestibolo scoperto; quindi un’area quadrata di terreno ad uso di giardino,ora ingombro di scope che serviva di comunicazione tra le diverse parti del fabbricato. All’angolo settentrionale di quest’area e a breve distanza dalla Chiesa, si scorgono i ruderi di un  piccolo edifizio quadrilatero di incognita destinazione: come altri avanzi di un muro anch’esso di sconosciuta destinazione,rendono difficile l’accesso alla Corsia che guardava Ponente.

 

Il Convento era composto di due ale di Fabbriche: una a mezzogiorno ed una a ponente. La prima si ricongiungeva col lato di levante che comprendeva le stanze più sopra rammentate e le cappelle, la seconda per mezzo di un largo ed alto murosi congiungeva col lato di ponente che abbraccia tutto il corpo della Chiesa. Attualmente le rovine segnano le tracce del fabbricato al curioso viaggiatore, dappoichè dell’intero Convento non resta intatto che il pianterreno dell’ala meridionale. Esso è diviso in due saloni a volta di pietra,che hanno l’ingresso e regresso uno a levante e l’altro a ponente sull’esterna piattaforma su cui sorge l’Abbadia. Nella sala verso Ponente vi si scorgono tuttora le traccie di un largo focolare ad uso monastico,adombrato dal lato esterno da un magnifico caprifico che ha incastrato le sue radici nelle fessure della muraglia. Questa sala comunicava col pianterreno dell’ala occidentale, per una strettissima posticcio la nascosa in un angolo. Il pianterreno  suddetto è tutto in rovina ed è diviso anch’esso in altre tre sale che per l’interno comunicano tra loro, e per l’esterno per una scaletta di pietra, coll’area di terreno superiormente accennata.

 

Le corsìe superiori,che erano anch’esse coperte a volta granitica,e che erano coronate da una magnifica terrazza a foggia orientale,sono state demolite; tranne un pezzo all’ingresso del convento,che conserva tuttora una porzione della volta e della piattaforma coperta di durissimo smalto che la finiva.

 

Questi ruderi pittoreschi per l’orrido che spirano da ogni pietra da ogni angolo,hanno dato più di una volta ricetto e alle capre che sciolte e senza padrone pascolavano per le alpestri pendici di quest’Isola,e agli schiumatori del Mediterraneo,che si servivano di questo lontano e deserto scoglio per terreno neutrale onde cambiare o dividere pacificamente e senza tèma d’umana giustizia le loro prede. Le tracce delle une e degli altri sono visibili sul terreno e sulle muraglie.

 

Tutto questo romantico edifizio,tranne il lato orientale,riposa sopra massi enormi di granito, accavallati alla rinfusa gli uni sugli altri e ombreggiati quà e là da cupe boscaglie,che lo rendono per tre lati accessibile unicamente agli uccelli selvaggi che soli,quivi di tratto in tratto,interrompono la quiete solenne che spirano da ogni intorno quelle mura secolari e consacrate ad un religioso silenzio!”

 

Il religioso silenzio con l’abbandono regnano ancora tra le rovine dell’abbazia di Montecristo e sono lì a testimoniare circa mille anni di vita religiosa(500-1500 d.C.).

 

Tempo fa sono andato a Montecristo con una gita autorizzata: volevo visitare il convento e l’abbazia ma mi è stato detto che non è possibile.La struttura che è non solo un vero tesoro d’arte ma anche  testimonianza delle tradizioni e delle radici religiose degli abitanti dell’arcipelago toscano,era già distrutta e decadente quando fu visitata centocinquanta anni fa dal Mellini: la speranza è che  non sia ulteriormente peggiorata e impossibile il suo recupero.

 

 

 

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