N. 6 - Novembre 2005
VIAGGIO IN AUSTRALIA
Il Northern Territory, the Top End
di
Salvatore Liberti
2 febbraio
Mi
appresto a lasciare Alice Spring, custodendo
gelosamente dentro di me i ricordi della esperienza
unica ed irripetibile vissuta nel Red Centre.
L’
aereo ha appena sorvolato Tennant Creek
(conosciuta come “la città dell’oro” per lo
sfruttamento delle sue miniere negli anni ’30) circa
500 km. a nord di Alice Spring, quando all’ improvviso
il rosso del deserto cede il posto al verde della
foresta monsonica: stiamo atterrando a Darwin,
nel “top end” del “Northern Territory”.
Darwin sembra un immenso giardino botanico;
ricostruita nel 1974 dopo essere stata rasa al suolo
dalla furia del ciclone Tracy, è interamente
circondata da una rigogliosa vegetazione tropicale. Le
strade sono quasi deserte (è domenica) e ne approfitto
per una passeggiata lungo i giardini che costeggiano
il mare.
Prendo alloggio all’Hotel Value Inn (Mitchell Street,
al centro di Darwin). Nella piscina (si fa per dire)
dell’ albergo faccio amicizia con tre ragazzi di
Mantova, che mi danno alcune utili indicazioni su
Cairns (prossima destinazione).
La
sera, al ristorante “Capri”, ho la possibilità di
gustare il famoso barramundi, considerato uno
dei migliori pesci della zona.
3 febbraio
E’
una giornata di relativo riposo. Presso l’Ufficio del
Turismo prenoto le escursioni al Kakadua Park
ed approfitto per visitare il locale Museo di arte
aborigena.
Molto
interessante, oltre alla parte riservata ai manufatti
aborigeni (didjeridoo, uno strumento musicale
ricavato svuotando l’interno dei rami di eucalipto,
boomerang, graffiti rupestri), il settore
riservato alla ricca fauna che popola il Northern
Territory: oltre 250 specie di uccelli e più di 80
differenti specie di rettili, serpenti compresi. Fa
molto caldo, con un alto tasso di umidità e grigi
nuvoloni erranti nel cielo: il clima, in questa parte
dell’Australia, è molto simile a quello della
Thailandia.
Dopo
una distensiva passeggiata sulla spiaggia adiacente il
Museo, rientro a Darwin con il bus e mi dedico alla
visita del centro cittadino. Darwin (circa 80.000’
abitanti) è una tipica città multietnica con una
consistente presenza orientale (probabilmente per la
sua vicinanza al continente asiatico) e rappresenta il
punto di partenza ideale per chi vuole organizzare
autonomamente la visita del Northern Territory.
Quasi dappertutto incontro agenzie di viaggio, empori
in grado di fornire ogni tipo di attrezzatura
escursionistica, centri commerciali, negozi di
artigianato e souvenirs, pubs e ristoranti dove si può
passare dalla cucina locale (avete mai assaggiato le
polpette di canguro o le bistecche di emu?) a quella
indonesiana o giapponese. C’è da dire che gli
australiani mangiano piuttosto presto, perché sono
abituati a trascorrere il resto della serata nei pubs
o nelle birrerie. La scelta del locale per la cena è
particolarmente indovinata: si tratta di “Sizzler”, un
locale dove offrono una scelta di piatti unici a base
di carne (la T-bone, bistecca con l’osso) o filetto di
pesce, completi di contorno, oltre ad un ricco buffet
di insalate e dessert; il tutto, per solo 16 dollari
australiani.
4
febbraio
Kakadua Adventure Safari.
Scott è la guida australiana che con la sua Land
Cruiser 4wd ci accompagnerà in questi giorni alla
scoperta di uno degli angoli più selvaggi ed
inesplorati di questo immenso continente: è il top
end, il cuore verde dell’Australia.
Nel
gruppo ci sono anche due ragazze di Venezia, Cristina
e Alessandra, in vacanza in Australia da novembre
(lavorano nel turismo a Jesolo durante la stagione
estiva). Sono allegre e simpatiche e stabiliamo subito
una solidale intesa. La prima tappa del tour è il
South Alligator River.
Navighiamo lungo il fiume per la jumping crocodile
cruise e per la prima volta ho la possibilità di
vedere da vicino, nel loro ambiente naturale, i
numerosi e voraci coccodrilli che popolano tutte le
vie fluviali e le immense paludi del Northern
Territory. E’ anche l’ occasione per mangiare
bistecche di coccodrillo: hanno uno strano sapore, a
metà fra il pollo ed il pesce.
Dopo
una passeggiata per il lunch lungo le sponde
acquitrinose dello Yellow water, un enorme
stagno (che gli australiani chiamano billabong)
ricco di vegetazione e ninfee, visitiamo il Bowali
Aboriginal Centre, godendoci un interessante
filmato sulla flora e la fauna del Kakadua Park,
il cui nome deriva da Gagadju, una delle tribu
aborigene che abitavano l’area.
Ma
ora ci attende il momento più emozionante: sorvoleremo
il Kakadua con un aereo da turismo (un piper
noleggiato a Jabiru). Decolliamo con i motori al
massimo ed il rumore delle eliche nelle orecchie
(sembra di essere su una 500 spinta a tavoletta.) e
subito lo scenario che si stende sotto i miei occhi mi
fa dimenticare l’ eccitazione e la paura del mio primo
volo con un piccolo aereo da turismo.
Un
immenso manto verde costituito dalle ricche foreste
pluviali che nella weat season, con il caldo e
l’umidità dei monsoni, sembrano esplodere in tutto il
loro rigoglio, si alterna all’ argento delle acque che
hanno invaso le pianure, ai torrioni rocciosi di
arenaria degli altopiani, ai canyon scavati in ripidi
burroni. Ogni volta che l’ apparecchio vira, il cielo
appare da un lato gonfio di nuvole e di pioggia; dall’
altro, di un limpido e trasparente colore azzurro,
quasi senza limiti. D’improvviso, si apre davanti ai
nostri occhi il suggestivo scenario delle Jim Jim
Falls, una vertiginosa cascata che dalle pareti a
strapiombo si getta nelle acque del South Alligator
in una immensa nuvola di polvere bianca.
Sicuramente, le foto scattate non potranno descrivere
le sensazioni che ho provato di fronte ad una tale
espressione della natura.
Dopo
un rilassante bagno nella piscina dello Jabiru Resort
(lo jabiru è una cicogna dal collo nero, simbolo del
Parco), ci sistemiamo per la notte nel nostro campo.
5
febbraio
Di
buon mattino, ci avventuriamo per una escursione, con
relativo climbing, a Nourlangie
Rock, un sito archeologico, luogo sacro per
gli aborigeni, dove possiamo ammirare splendidi
graffiti e pitture rupestri.
Sulle
pareti della roccia sono dipinti opossum, wallaby
(una varietà più piccola di canguro), tartarughe,
pesci.
Mi
colpiscono soprattutto Namarrgon,l’ uomo
fulmine e Nabulwinjbulwinj, un pericoloso
spirito che mangia le donne (questo, ovviamente,
nella mitologia aborigena.). Alcuni di questi graffiti
risalgono ad oltre 25.000 anni fa. Richiamano immagini
di riti misteriosi perpetuati nel tempo per tramandare
antichissime credenze aborigene.
Risaliamo lungo il corso di un fiume, che ad un certo
punto si getta in una serie di piscine naturali
scavate nella roccia: è l’ occasione per divertirci a
nuotare fra mille spruzzi d’ acqua e poi rilassarci
con il benefico, naturale idromassaggio delle cascate
che il fiume forma ogni volta che incontra l’ostacolo
delle rocce lungo il suo impetuoso corso.
Nel
pomeriggio raggiungiamo Ubir, un altro
importante sito archeologico di arte rupestre situato
a breve distanza dal corso dell’East Alligator
River, che fa da confine fra il parco di Kakadua e
lo sterminato territorio aborigeno di Arnhem Land.
Dopo aver “guadato” con la nostra Jeep la strada
allagata da oltre 80 cm. di acqua, raggiungiamo in
trekking Ubir Rock, una scarpata
rocciosa da dove possiamo godere un panorama che
lascia senza fiato: lo sguardo spazia su una vasta
pianura fluviale di un verde intenso che incanta gli
occhi e la mente.
Torniamo al nostro accampamento con un discreto
appetito e mentre preparo un ragù a base di carne
trita di canguro, ci divertiamo con Cristina ed
Alessandra e due simpatici ragazzi svizzeri (Ives e
Patrich) con cui ci siamo coalizzati, a fare scherzi
goliardici agli altri componenti del gruppo. Scott, la
nostra guida, si associa agli scherzi con energica
partecipazione.
6
febbraio
Il
terzo giorno del nostro tour è dedicato alla visita
della zona sud del parco, ricca di billabong,
stagni dove si bagnano le chiome degli eucalipti e
corsi d’ acqua che creano numerose cascate dove, tanto
per cambiare, ci rinfreschiamo tuffandoci dalle rocce.
Piove a sprazzi e l’umidità ci rimane incollata
addosso per tutto il giorno. Durante il percorso
incontriamo diversi animali in semilibertà: canguri,
wallabies, emù, lucertoloni vari, trampolieri che si
aggirano fra spettacolari grovigli di radici ed i
caratteristici “ghost gum”, gli eucalipti fantasma
così chiamati per il bianco quasi spettrale della loro
corteccia.
Dopo
un pic-nic lunch sulle rive di un ruscello immerso
nella foresta pluviale, ci dirigiamo verso il
Litchfield National Park
passando attraverso l’antica città mineraria di
Pine Creek.
E’
prevista una sosta ad Adelaide River, dove si
trova una farm divenuta famosa per la presenza di
Charlie, un bufalo con due enormi corna, star del film
“Crocodile Dundee”.
Cristina ed Alessandra ci salutano perché rientrano
direttamente a Darwin (il giorno dopo si trasferiscono
a Cairns) e noi proseguiamo per Litchfield.
7
febbraio
Ci
svegliamo, animati del giusto spirito per visitare il
Litchfield Park, costituito da un altopiano di
arenaria e dalla foresta pluviale; il tavolato è
disseminato di sorgenti che danno origine a diverse
cascate e numerosi, limpidi laghetti.
Ma
l’attrazione principale è costituita da giganteschi e
spettacolari termitai. Costruiti da milioni di termiti
con erba digerita mescolata a terra, sono di due tipi:
quelli “a cattedrale”, alti fino a 5/6 metri, e quelli
“magnetici” con una struttura assolutamente singolare;
di
forma molto affinata e simili a lapidi di un cimitero,
sono orientati in modo da presentare al sole, durante
il giorno, lo spigolo più sottile, affinché l’habitat
interno si mantenga sempre su una temperatura di circa
30°.
Nel
parco sono anche presenti alcune tra le più belle
cascate del Top End, in particolare Florence
Falls, che risaliamo attraverso un sentiero ricco
di vegetazione tropicale, sotto una improvvisa,
leggera pioggia. Dopo una breve sosta alla
Rumjungle Mine, una vecchia miniera dove veniva
estratto l’uranio, raggiungiamo Tolmer Falls,
una scoscesa parete di montagna lungo la quale si
formano innumerevoli, ripide cascate.
Per
raggiungere il punto panoramico dobbiamo affrontare
una passeggiata di circa mezz’ora fra grossi massi
levigati dall’azione dell’acqua, eucalipti e cicadee;
prima di precipitare nel laghetto sottostante, le
acque formano un bellissimo arco naturale. Infine,
eccoci a
Wangi
Falls dove, tanto per cambiare, possiamo goderci
una bella nuotata in un idilliaco specchio d’acqua,
senza però riuscire a raggiungere il punto dove il
getto della cascata è più potente, in quanto la
corrente è troppo forte.
Rimaniamo praticamente bagnati per tutto il giorno tra
sudore (il tasso di umidità è molto elevato), spruzzi
di pioggia e bagni sotto le cascate; dobbiamo poi fare
molta attenzione perché mentre camminiamo, delle
fameliche sanguisughe si infilano dentro le scarpe,
attaccandosi ai nostri piedi .
Nel
rientro a Darwin buchiamo una ruota della Land Cruiser
e la sostituzione non è poi così semplice (Scott
sembra decisamente contrariato).
Saluto i miei compagni di avventura, mentre insieme a
Ives e Patrich decidiamo di festeggiare con una cena
al ristorante “Capri” a base di barramundi,
accompagnato da una buona bottiglia di vino bianco
Riesling. Loro proseguiranno per Alice Spring con una
macchina che hanno acquistato e che rivenderanno prima
di rientrare in Europa; sembra sia molto più
conveniente che affittarla. In Australia si dice che
sia molto facile cambiare la macchina. la casa e…la
moglie.
8
febbraio
L’
escursione al Parco di Nitmiluk -
Katherine Gorge prevede il trasferimento con
un luxury coach fornito di aria condizionata (fra
andata e ritorno sono circa 700 km). Lungo la strada
ci fermiamo in una “roadhouse”, una tipica
struttura che si incontra spesso percorrendo le
sterminate vie di comunicazione australiane.
Il
tutto è costituito generalmente da una stazione di
servizio, un emporio, un pub o ristorante e alcuni
alloggi consistenti il più delle volte in
prefabbricati in legno e lamiera; talora è presente
anche uno spazio adibito a caravan-park. Si tratta, in
pratica, di punti di sosta per viaggiatori, che si
richiamano alle vecchie stazioni di posta; la
differenza è che il cavallo è stato sostituito
dall’automobile e la stalla dal distributore di
benzina…
Dopo
una breve sosta ad Adelaide River, raggiungiamo
il molo alla foce del fiume, imbarcandoci sul battello
che ci condurrà lungo le gole del canyon. Il canyon,
scavato dal Katherine River nell’arenaria
dell’altopiano di Arnhemland in 25 milioni di anni, fa
parte del
Nitmiluk
National Park e si sviluppa attraverso 13
gole successive fra spettacolari pareti arancioni
lungo le quali si aprono insenature e piccole
spiaggette sabbiose. Il contrasto fra i riflessi
argentei dell’acqua, il colore rosato delle rocce e
l’azzurro limpido del cielo è uno spettacolo davvero
entusiasmante: sembra incredibile come il fiume possa
essersi scavato questo letto fra imponenti pareti di
roccia granitica alte almeno 70/80 metri che si
inabissano in acqua.
L’ambiente è abitato da coccodrilli di acqua dolce,
uccelli acquatici, pappagalli e kookaburra
(l’uccello simbolo dell’Australia). Lo scenario è
veramente impressionante e suggestivo e,
fortunatamente, le nuvole cariche di pioggia (nel
Northern Territory sono una costante durante il
periodo dei monsoni) si allargano, lasciando penetrare
i raggi del sole e squarci di cielo azzurro. Ci sono
con noi quattro ragazzi (probabilmente danesi o
polacchi), pieni di tatuaggi tipo Hells Angels, che
tracannano a tutto spiano lattine di birra.
Nel
punto di attracco del battello, ai bordi del fiume,
centinaia e centinaia di pipistrelli penzolano dai
rami degli alberi; devo dire che fanno una certa
impressione.
Dopo
un lauto pic-nic, consumato sotto lo sguardo di un
kokaburra che mi osserva dal ramo del vicino
albero, visitiamo le grotte di Cutta Cutta che
si trovano a pochi chilometri di distanza.
La
nostra guida ci accompagna lungo un percorso
sotterraneo che si sviluppa tra particolari formazioni
carsiche di diversa struttura; una delle “stanze” ha
il soffitto e le pareti disseminate di minuscoli
cristalli che brillano anche senza l’illuminazione
artificiale ed è questo particolare che dà il nome
alle grotte (Cutta Cutta, in lingua aborigena,
significa stelle stelle).
Rientriamo a Darwin attraverso la mitica Stuart
Highway (familiarmente chiamata “track”), la strada
che taglia l’Australia in senso nord-sud da Darwin ad
Adelaide per una lunghezza di oltre 3.000 chilometri.
Lungo il percorso, scorrendo come in un film le
straordinarie immagini che dall’Ayers Rock mi hanno
accompagnato fino al Kakadua Park, mi rendo conto che
sono alla conclusione del mio viaggio in quella parte
del territorio australiano che costituisce il cuore e
l’anima della cultura aborigena, legata al “dream
time”, il tempo del sogno. Ma come è lontana quella
cultura dalla condizione di emarginazione che oggi
vive la comunità aborigena.
Al
di là dei pochi che sono riusciti ad inserirsi
parzialmente nel contesto sociale (impegnandosi in
attività artistiche e artigianali), la gran parte
degli aborigeni, come del resto è successo anche con
gli indiani d’America, sono stati gradualmente
privati della possibilità di mantenere un legame con
le proprie tradizioni.
Le
“riserve” territoriali e le abitazioni assegnate loro
dal governo vengono di fatto utilizzate come
magazzini, in quanto nel loro patrimonio genetico essi
non hanno il concetto degli spazi chiusi; tanto è vero
che vivono giorno e notte all’aperto ed il loro
contatto con la società “civile” si limita alla
frequentazione degli empori e dei supermercati, dove
spendono gran parte del sussidio settimanale
(soprattutto in birra).
La
sensazione che se ne ricava è quella di una condizione
di vita priva di ogni e qualsiasi aspettativa, sia
individuale che collettiva, rispetto al loro “status”
ed alle prospettive future.
Pochi
sono quelli che, avendo deciso di non spostarsi dai
territori più lontani e isolati, cercano di continuare
a condurre la stessa esistenza degli antenati,
girovagando, nutrendosi di semi, bacche e radici, e
dormendo negli anfratti fra le rocce.
Perché dal “tempo del sogno”, che equivale al periodo
della Creazione, la terra rappresenta per gli
aborigeni il bene più prezioso a cui si ispira tutta
la loro cultura, basata sul nomadismo e sulla vita
errabonda, l’unica che può ristabilire quella armonia
che esisteva originariamente tra l’uomo e l’universo.
Credo che nessun continente, come l’Australia, sia
ancora oggi capace di offrire lo spettacolo di una
natura così primordiale e situazioni così estreme.
Ma
il modo migliore per vivere l’emozione di spazi
sconfinati, di scenari naturali di incomparabile
bellezza, di aspri contrasti, è soltanto uno… mettersi
in viaggio.
Per
chi volesse approfondire i temi della cultura
aborigena consiglio la lettura, oltre al già citato “Le
vie dei canti” di Bruce Chatwin, del libro “Il
tempo del sogno – Miti australiani”, della collana
Oscar Mondadori. |