N. 11 - Aprile 2006
TOMMIE SMITH
Un nero con il pugno alzato
di Matteo Liberti
Appena
la
bandiera
a
stelle
e
strisce
cominciò
a
oscillare
nel
vento
di
quell’estate
messicana,
Tommie
Smith
e
John
Carlos
rimasero
in
piedi
sul
podio,
con
le
loro
medaglie
al
petto
(per
la
cronaca,
una
era
fatta
d’oro
e
una
di
bronzo);
abbassarono
la
testa
e
alzarono
un
pugno.
Il
destro
Smith,
il
sinistro
Carlos.
Pugni
evidenziati
dai
loro
guanti
di
cuoio
nero.
Thomas
Smith,
meglio
conosciuto
come
Tommie,
era
nato
il 5
giugno
del
1944,
settimo
di
dodici
figli.
Da
piccolo,
dopo
essersi
salvato
da
un
terribile
attacco
di
polmonite,
lavorò
nei
campi
di
cotone;
ma
presto,
visto
che
il
ragazzo
era
determinato
e
amava
lo
studio,
si
iscrisse
all’università,
dove
ottenne
due
lauree.
Oltre
a
ciò,
visto
che
il
ragazzo
era
determinato
e
amava
correre...
si
portò
a
casa
tredici
record
universitari
nell’atletica
leggera.
Iniziò
così
la
storia
di
uno
dei
più
grandi
sprinter
dell’atletica
leggera,
Tommie
Smith,
tra
i
più
forti
di
sempre
nei
200
metri,
specialità
con
cui
trionfò
nelle
olimpiadi
di
Mexico
City,
nel
1968,
con
il
tempo
record
di
19.83
secondi.
Ma a
questo
punto,
poco
dopo
il
record,
la
storia
di
Tommie
esce
dai
confini
dell'attività
sportiva.
La
sua
premiazione
divenne
uno
dei
più
grandi
simboli
per
immagini
di
tutto
il
XX
secolo,
e si
trattò
senza
dubbio
della
cerimonia
di
medaglia
più
popolare
di
tutti
i
tempi,
nonché
di
un
momento
fondamentale
per
movimento
di
diritti
civili.
Ad
accompagnare
Tommie
Smith
nella
Storia,
il
suo
collega
e
amico
John
Carlos,
medaglia
di
bronzo
nella
stessa
gara.
Smith
disse
più
tardi
a
chi
lo
intervistò
che
il
suo
pugno
destro,
dritto
nell’aria,
rappresentava
il
potere
nero
in
America,
mentre
il
pugno
sinistro
di
Carlos
rappresentava
l’unità
dell’America
nera.
Con
i
loro
pugni
alzati,
lì
sul
podio
olimpico,
Tommie
Smith
e
John
Carlos
comunicarono
al
mondo
intero
la
loro
solidarietà
con
il
movimento
del
black
power,
che
in
quegli
anni
lottava
aspramente
per
i
diritti
dei
neri
negli
Stati
Uniti.
In
maniera
non
violenta
i
due
stavano
attuando
quella
disobbedienza
civile
che
era
stata
auspicata
da
Martin
Luther
King,
morto
poco
prima
delle
Olimpiadi.
I
loro
occhi
rivolti
verso
il
basso
(e
non
verso
la
bandiera
americana),
insieme
al
loro
pugni
foderati
di
cuoio
nero,
suscitarono
enorme
scalpore
e
polemiche.
Un
gesto
silenzioso
che
scavò
dentro
molte
coscienze.
Questo
gesto
di
portata
mondiale
spinse
Tommie
Smith
nella
ribalta
come
portavoce
dei
diritti
umani,
attivista,
e
simbolo
dell'orgoglio
afro-americano,
a
casa
e
all'estero.
Nel
frattempo
Smith
ha
vissuto
anche
una
discreta
carriera
come
allenatore,
educatore
e
direttore
sportivo...
Ma
torniamo
a
quelle
olimpiadi
del
'68.
Il
movimento
dei
diritti
civili
non
aveva
fatto
molta
strada
nel
tentativo
di
eliminare
le
ingiustizie
subite
dai
neri
d’America,
e
per
attirare
l'attenzione
pubblica
sulla
questione,
verso
la
fine
del
1967,
alcuni
atleti
neri
avevano
dato
vita
all’Olympic
Project
for
Human
Rights,
OPHR,
con
il
fine
di
organizzare
un
boicottaggio
delle
olimpiadi
che
si
sarebbero
tenute
l’anno
seguente
a
Città
del
Messico.
Il
leader
del
progetto
era
il
dottor
Harry
Edwards.
Edwards,
pur
appoggiato
da
Smith
e da
altri,
non
riuscì
però
a
convincere
gli
atleti
neri
della
nazionale
olimpica
a
partecipare
al
boicottaggio.
I
due
atleti
sfruttarono
quindi
il
palcoscenico
offerto
dalla
premiazione
per
rovinare
la
festa
ai
connazionali
e al
mondo.
Almeno
un
po'.
Anche
il
terzo
atleta,
quello
bianco
con
la
medaglia
d’argento,
prese
a
suo
modo
parte
all’evento:
portava
infatti
sul
petto
un
piccolo
distintivo
dove
c’era
scritto
OPHR.
La
provocazione
era
completa.
Il
nome
di
quell’atleta
è
Pietro
Norman,
la
nazionalità
australiana.
Un
temporale
di
oltraggi
fu
quello
che
investì
i
ribelli
Tommie
e
John:
per
vilipendio
alla
bandiera
e ai
Giochi
Olimpici
furono
espulsi
dalla
squadra
nazionale
e
addirittura
banditi
dal
villaggio
olimpico.
Ma
la
loro
leggenda
era
già
iniziata,
visceralmente
legata,
come
molti
fatti
del
'900,
a
un'immagine...
una
fotografia.