.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Antica

.

N. 8 - Gennaio 2006

SERVIO TULLIO

Macstarna - Parte IV

di Antonio Montesanti

.

In quest’ultimo e breve capitolo che segna la fine del ciclo dedicato al rapporto tra Vulci, con la Tomba François, e Roma con la figura di Servio Tullio / Mastarna, si cercheranno nuove ipotesi e nuove strutturazioni, per una serie di conoscenze a noi note, come abbiamo visto solo tramite l’annalistica romana da una parte, e qualche sporadica notizia di annalistica etrusca riferita dall’imperatore Claudio che si integra con le pitture della tomba vulcente.

 

Una serie di ipotesi possono essere stilate in base ai dati ottenuti, ossia tutti quelli a nostra disposizione. Partiamo dalle considerazioni che riguardano la figura di Servio Tullio per giungere poi ad una nuova, ipotetica rilettura della tomba.

 

Prima di tutto sarà necessario, come già notato altrove cercare di capire perché la figura di Servio Tullio / Mastarna è così controversa.

 

Non parliamo di una controversia che vede due filoni storiografici contrapposti, ci riferiamo piuttosto alla presenza di un filone storiografico, quello latino/romano e all’assenza di uno etrusco.

 

Ormai è chiara la volontà della storiografia romana, liviana e tacitiana, ovviamente dedotta dall’annalistica più arcaica, di occludere, nascondere e vanificare gli sforzi prodotti da una cultura etrusca indipendente. È piuttosto chiaro che la volontà di eradere una versione differente da quella ufficiale e di eludere anche o solo la tradizione, è dovuta a differenti motivi o forse esclusivamente ad un unico fattore, che al momento non è possibile individuare con precisione.

 

Nel caso ‘serviano’ è evidente il voler ricostruire una tradizione latina delle origini del sesto re: abbiamo visto come Servio non solo è generato da una donna latina, seppur allevato da un principe etrusco, ma è anche di umili origini, come a voler significare che la sua figura debba apparire marginale e ridotta nelle origini, ma non nelle sue opere.

 

La cosa più importante, dunque è nascondere le origini di un re, anzi camuffarle sotto uno pseudonimo, che ne ricalcasse l’umile provenienza. Non dando adito in questo modo a ipotetiche ricerche, magari lasciandole nell’ombra, cosa che avrebbe potuto suscitare ipotesi e ricerche potenzialmente pericolose, in quanto comunque rintracciabili.

 

Tanto rintracciabili che qualcuno trovò le storie di una tradizione alternativa e non solo le ricacciò dall’ombra in cui erano avvolte ma sfortunatamente per tutti coloro i quali le avevano volutamente celate, le fece incidere sul bronzo.

 

Addirittura, la tradizione ufficiale romana, non solo nasconde l’identità di Mastarna, ma anche evita in tutti i suoi aspetti di riportare connessioni, dirette o indirette, con i fratelli Vibenna.

 

Che rapporto lega i fratelli Vibenna a Mastarna / Servio Tullio? E soprattutto in che funzione si collocano con Roma?

 

Purtroppo siamo costretti a partire da quello che ci viene detto dalla tradizione: il monte Querquetulanus cambia nome quando questo viene occupato da Caele, il primo e più famoso dei fratelli.

 

Il racconto di Claudio è estremamente lineare, benché davvero troppo ridotto, per poter rintracciare una linea unica, priva di lacune. Claudio ci parla di sodales, di amici d’arme, di clientes, di ausiliari: di questo tipo di persone è formato l’esercito di Caele Vibenna, come si evince in qualche maniera nell’affresco della Tomba François.

 

Incredibilmente affascinante può essere l’identificazione di questo manipolo che sembra essere più una banda, un gruppo, un’aggregazione di personaggi differenti, forse di varie etnie, forse di differenti ragioni sociali, legati però da un qualcosa più simile all’amicizia piuttosto che alle armi.

 

La squadra di Caile Vipinas sembra, almeno socialmente, mista, formata dal fratello e quindi da parenti (Aule), amici di pari rango (Larth Ulthes, Marce Camitlnas) e coadiutori di rango inferiore (Macstrna, Rasce) e ricorda molto da vicino la composizione delle compagnie medievali unite da giuramenti, da patti e da ideali comuni piuttosto che da resoconti di tipo economico.

 

La maggior parte di questi personaggi è designata con la formula onomastica, prenome e gentilizio (nomen e prenomen), rivelando con ciò la sua appartenenza alla classe dotata di diritti civili. Oltre ai due Vibenna si rileva Larth Ulthes con un raro gentilizio attestato in tempi più recenti anche con forme affini in area centro-etrusca.

 

Per Marce Camitlnas la cui scontata assonanza Camitlnas con Camillus può essere fuorviante ma non da scartare a priori, il richiamo più pertinente potrebbe essere con il tipo Camaedius, di area laziale, campana, umbro-sannitica: dunque forse un commilitone ‘meridionale’, forse un capitano.

 

Macstrna e Rasce sono gli unici due privi di un gentilizio: hanno un unico nome individuale e dovrebbero quindi ritenersi di condizione servile o comunque inferiore, secondo quanto sappiamo del sistema onomastico etrusco; il secondo ha richiamato alla mente il fatto che si possa trattare di un semplice ausiliare designato genericamente dalla sua nazionalità (Ras-ce con formazione equivalente a Rasna, Rasenna, cioè ‘l'etrusco’).

 

Questi personaggi si rendono protagonisti, durante la metà del VI sec. a.C. di una serie di imprese leggendarie. Delle dieci figure dipinte, sei costituiscono il gruppo vincente: di questi solo uno è tunicato (Larth Ulthes), mentre gli altri sono nudi (Rasce, Aule Vipinas, Marce Camitlnas).

 

Questo fatto è sottolineato sia nel discorso claudiano per quanto riguarda le ‘imprese’ sia nei pannelli vulcenti per quello che concerne l’aggettivo ‘leggendarie’, la nudità eroica ne è chiaro indizio.

 

L’intero squadrone, esercito o banda armata che sia, è il nucleo, protagonista di una serie di azioni, forse belliche, forse rappresentative, forse di aiuto per un determinato periodo storico, forse di mercenariato, ma comunque tra loro sempre legati da vincoli di sangue.

 

“VARIA FORTVNA EXACTVS CVM OMNIBVS RELIQVIS CAELIANI EXERCITVS ETRVRIA EXCESSIT MONTEM CAELIVM OCCVPAVIT …” (Tab. Lyon.):

 

a Roma si svolgono gli ultimi atti di questa saga. L’episodio del monte Celio è proprio il momento culminante di un percorso fatto all’interno di uno specificato contesto storico-geografico. Le testimonianze dei Vibenna, sono legate ad alcuni circuiti storico-geografici che racchiudono fondamentalmente l’intera Etruria meridionale, con l’esclusione di Caere. Dalle testimonianze archeologico-iconografiche abbiamo la loro presenza attestata a Vulci, a Veio e a Roma, inoltre sono tirate in ballo altre città tra cui almeno Tarquinia, Sovana e Volsinii.

 

I soccombenti nel dipinto, caratterizzati tutti da prenome, gentilizio e da un cognomen locativo e perciò piuttosto col valore di “etnico”, che indica la città di provenienza o di appartenenza: Volsinii per Laris Papathnas, *Sveama per Pesna Arcmsna, *-plznach per Venthicau..., Ruma per Cneve Tarchunies.

 

La presenza tra loro di un Tarquinio di Roma fa pensare che per tutti si tratti di personaggi di alto rango, se non addirittura di capi o re delle rispettive città. L'ultimo duello è il più significativo perché ci garantisce l'aggancio cronologico dell'intera storia con l'età dei Tarquinii, oltre che il suo diretto rapporto con Roma, offrendo così il più puntuale riscontro con le fonti di Claudio e di Tacito.

 

Le alterne vicende riportate in Claudio, definiscono sia momenti di esaltazione ma soprattutto attimi di estrema difficoltà in cui Caele Vibenna ed il suo manipolo si dovettero trovare. L’affresco della tomba ce ne riporta sicuramente uno, forse il più tragico e al tempo stesso il più significativo, il taglio dei legacci dai polsi di Caele, mentre altri compagni si prodigano in combattimenti violenti uscendone vincitori.

 

L’ipotesi in assoluto data come certa è il duplice rapporto che lega i pannelli tombali all’interno del sepolcro dei Saties, che secondo tutti gli studiosi ha una lettura speculare, in base per esempio al doppio pannello di Fenice e Nestore, isometricamente di fronte alle figure dei Saties.

 

L’uccisione dei prigionieri troiani è stato interpretato con il sacrificio rituale e di rappresaglia operato dai tarquiniesi nel 358 a.C. e che vede nella sua composizione un ‘manifesto’ dell’avversione nei confronti di Roma. Tutto sommato un’ipotesi quasi scontata, in cui contemporaneamente tutti questi ‘eroi’ sono impegnati in varie imprese.

 

Tutti i personaggi sono etruschi sia gli assalitori sia gli assaliti. Questo induce a pensare che si tratta di una lotta interna dove i contendenti erano da una parte una grande lucumonia (Veio o Vulci) o un gruppo e dall’altra una coalizione di città, che dopo qualche vittoria iniziale, fu sconfitta.

 

L’atteggiamento delle figure fa vedere come gli assalitori siano giunti inaspettati e gli altri, colti di sorpresa, non oppongono resistenza. In ogni caso è Vulci, successivamente, ad appropriarsi della gloria dell’impresa.

 

I dati della tradizione sono in parte confermati, collegati e per così dire illustrati dal fregio dipinto della Tomba François di Vulci, databile intorno agli ultimi decenni del IV secolo a.C., più giovane di due secoli rispetto avvenimenti rappresentati.

 

Anche se possono porsi dei ragionevoli dubbi almeno sulla contemporaneità delle azioni, le vicende ‘alterne’ di cui parla Claudio, potrebbero essere parte di una klimax che, partendo dal fondo della camera (liberazione di Caele), giungono fino alla minaccia di Marce Camitlnas nei confronti di Cneve Tarqunie Rumach. Dopotutto per chi procede all’interno della tomba la lettura potrebbe essere anche duplice, soprattutto perché mentre il pannello con il sacrificio dei prigionieri troiani è composto da un’unica scena in quello ad esso opposto si ritrovano quattro (più una) scene differenti. Quello che viene da pensare a riguardo è che questa serie di scene sia in realtà un racconto, che magari voglia in un qualche modo rispecchiare il messaggio già individuato da tutti gli studiosi, di una propaganda antiromana, ma in maniera differente.

 

L’affresco storico della tomba dei Saties, potrebbe essere il sunto, dell’ascesa dei fratelli Vipienas e del loro compagno più famoso Mastarna. Infatti se osserviamo l’intera scena in chiave diacronica, possiamo immaginare che al contrario del grande pannello epico ad esso contrapposto, questo storico rappresenta un’escalation di azioni all’interno di una saga che si sviluppa, non solo in chiave temporale, ma anche e soprattutto in quella topografica e geografica. Il pannello potrebbe essere una grande narrazione che racconta le gesta dell’intera compagnia.

 

Partendo dal punto cruciale che è la liberazione di Caele, il gruppo avrebbe sconfitto almeno tre città (Volsinii, Sovana e una terza) e poi alla fine sarebbe giunto a Roma per mettere fine al regno di Cneve Taqunie, il quale però al pari degli altri non viene ucciso, ma solo minacciato.

 

L’obbiettivo dell’intero gruppo è solo la città di Roma. Solo qui, solo dal riferimento con Rumach abbiamo l’aggancio diretto con la tradizione annalistica, certamente una tradizione minore, ma pur sempre una tradizione.

 

Nella raffigurazione vulcente il rappresentante di Roma è minacciato, sconfitto. Il generale dell’impresa rimane comunque Caele unico acquisitore dei diritti della vittoria su Roma: lui non vuole il controllo della città, la sua vittoria gli consegna una strana occupazione parziale della città sconfitta, che nella tradizione antica, forse comune, si ricollega a quello del Caelius Mons.

 

Anche se è più giusto ritenere che si tratti sempre di due filoni della tradizione in cui quella romano/latina vedeva un’occupazione parziale della città con la scomparsa totale di quel tale “Mastarna”, mentre quella etrusca riportava la presa dell’Urbe e la imposizione del nuovo re Tullius. In ambedue i casi, il capo e la sua spedizione probabilmente giunse personalmente a Roma nel corso delle sue azioni militari. Ma che Mastarna divenne re e che Roma venne occupata, questo sembra assodato.

 

Fu solo un manipolo di persone, forse etruschi o forse italici con componente principale tirrena a prendere la città capitolina? Il crollo della monarchia dei Tarquinii è solo opera loro. È ovvio che questo avvenne in un lasso temporale ridotto, poiché sembra che l’occupazione almeno del Celio, sia comunque un qualcosa di fulmineo, repentino e che si può collocare nel momento in cui gli storici tendono a collocare la fine del “periodo di Tarquinio Prisco” e l'inizio del “periodo serviano” e che può essere tuttavia posto tra il 570-560 a.C.

 

Gia lo storico tedesco W. Keller aveva proposto che l’avvento al trono di Servio Tullio (Mastarna) non fu la conseguenza dell’assassinio di Tarquinio Prisco, come riporta la storiografia ufficiale romana, ma il risultato di un’impresa bellica condotta da giovani nobili rivoluzionari etruschi contro un mondo reazionario e assolutistico.

 

Sembra una ‘riduzione’ storica quella che vede i due fratelli Vibenna ed in particolare il comandante Caelius attestato o attestati solo sul monte omonimo. Benché come sembra dalle raffigurazioni vulcenti si tratti della caduta di Cneve Tarchunies nella scena di combattimento della Tomba François fa pensare logicamente a scontri cruenti, pur tuttavia non ci sarebbe stata una soppressione violenta del potere e della persona regnante.

 

Al contrario è molto più probabile che il re sia stato sostituito da uno degli invasori, Caele o Aule che si sarebbero investiti del ruolo e del titolo regio.

Questo è da vedersi nell' ‘Olo (Aulo) re’ della favolosa iscrizione ‘arnobiana’ del Campidoglio. Alla fine della campagna Caele sarebbe perito, forse negli scontri e che il suo posto, e poi quello di re di Roma sia stato preso da Aule (anche se il suo nome, obliterato o cancellato, non apparirà nella lista canonica dei re di Roma) al posto dei Tarquinii spodestati, cacciati, esiliati ma non sterminati, cosa che provocherà il rientro degli stessi a danno di Servio Tullio.

 

Aulo ha contatti con Veio e con la dinastia regnante dei Tolumni in particolare, poiché si dirige proprio nel santuario di Apollo della città a nord di Roma per dedicare alla divinità e probabilmente ingraziarsi coloro i quali avevano aiutato uno sparuto manipolo di persone a divenire padroni di Roma.

 

La sconfitta di Tarquinius Priscus da parte di Servius Tullius fu probabilmente il risultato di un conflitto tra gli interessi di due o tre città etrusche: Tarquinia, Vulci e Veio.

 

Dopotutto sarebbe impossibile pensare alla presa dell’urbe senza un appoggio almeno di un esercito esterno come quello veiente. Anche se non rimane da escludere la tradizione annalistica ufficiale romana secondo cui gli invasori spettò solo un settore cittadino: la sovranità dei Tarquinii non sarebbe stata esautorata ed annullata è possibile che sotto la dominazione o la presenza degl'invasori, essi abbiano continuato a portare il titolo regio.

 

L’importanza di Roma è riconosciuta dalle due città più in auge in quel periodo Tarquinia e Vulci: ambedue hanno in comune un rapporto diretto con la Grecia e il commercio con questa parte del Mediterraneo sembra l’obbiettivo ultimo: il ruolo di Roma, come e in qualità di porto franco, situata in una posizione molto più favorevole rispetto alle consorelle etrusche, la poneva a contatto con influenze straniere più aperte, in cui il commercio è considerato la chiave e quindi favorito rispetto ad altre attività.

 

Non sfugge quindi la funzione dell’area attorno al porto tiberino, che verrà tra l’altro potenziata dallo stesso Servio; a questo proposito non sembra un caso che nell’area del santuario di S. Omobono si siano trovati grandi quantitativi di ceramica etrusco-corinzia di produzione vulcente, che rapporta Roma a alla città mesotirrenica.

 

Certo e incontrovertibile è comunque il fatto che Mastarna divenne Servio Tullio e il suo nascondimento di fronte alla storia, ossia del suo passato e quindi dello scambio di nomi e il tentativo di confusione delle sue origini commutandole in latine lasciano adito ad ipotesi che spiegherebbero questo atteggiamento come una chiara e precisa volontà di nascondimento di un capitolo della storia capitolina che i posteri giudicarono indegna di essere narrata nella loro realtà dei fatti.

 

Anche se più oscuro sembra essere la scomparsa dei fratelli Vipienas (dovuta alla morte o a una qualsiasi altra ragione) fattore adombrato nel racconto claudiano, cioè il fatto che una parte residua del suo esercito sarebbe rimasta affidata a Mastarna il quale l'avrebbe impiegata per installarsi definitivamente in Roma. Mentre Caele sembra comunque sparire quasi immediatamente dalla storia, Aule pare prendere il suo posto o per lo meno pare sopravvivere più a lungo.

 

Pare che Aulo Vibenna abbia avuto una storia propria ed indipendente da quella del suo generale e fratello, che si colloca in una fase posteriore alla scomparsa di Cele. Fu proprio Aulo ad assumere l'eredità ed il comando che era del fratello, ormai in una fase in cui la compagnia non era più itinerante. Il rapporto molto stretto di fedeltà tra Cele Vibenna e Mastarna, deve averlo posto come un compagno molto particolare, capace di poter contendere il ruolo di successore anche al fratello.

 

Per questo in molti hanno pensato ad una rivalità finale fra Aulo Vibenna e Mastarna. Di questo contrasto ipotetico non esistono testimonianze dirette ma appena qualche indizio nelle fonti a proposito del caput Oli, in una supposta iscrizione etrusca che lo designava addirittura come re, mentre nel testo di Arnobio si accenna al fatto secondo cui Olus sarebbe stato ucciso da un servo, “...cur manu servuli vita juerit spoliatus et lumine”.

Possiamo pensare che in quella parola servulus sia intrinseco il riferimento al Tullio re?

 

È giusto ancora prima di chiudere questo lungo capitolo su Servio / Macstarna annotare alcune minuziose particolarità che avvolgono il monumento della Tomba dei Saties.

 

Come abbiamo visto, la tomba François è costruita secondo uno schema molto di voga in ambiente macedone, visto che sia l’aspetto delle misure che quello architettonico riprendono evidentemente le tombe macedoni di Vergina (l’antica Ege). In particolare l’accostamento più probabile è proprio con la tomba regale attribuita a Filippo II, padre di Alessandro III il Grande. Questo indica che il committente (Vel Saties ?) dovette essere necessariamente a conoscenza della presenza di una tale struttura e che volle una sepoltura degna di un re o pari ad un monarca.

 

Come sappiamo, le pitture individuano, per la tomba  una datazione compresa tra il 340 e il 320 a.C., una forbice cronologica piuttosto ampia quando è possibile avere dati storici ben definiti.

 

P.es. sappiamo che la morte del monarca macedone avvenne esattamente nella primavera del 334 a.C. e che la tomba dovette essere edificata (o comunque scavata ed intagliata nella roccia) da li a poco e comunque terminata almeno un anno dopo, vista la complessità dell’opera.

 

Quello che dobbiamo chiederci è quanto tempo impiegò questo fastoso schema ‘tombale’ a raggiungere Vulci? E, in seguito, come fece lo stesso schema a raggiungere la città tirrenica? E ancora, quanto tempo ci volle perché fosse scavata, intagliata, affrescata, stuccata e rifinita?

 

Sommando le tre domande potremmo ipotizzare un discorso piuttosto che abbia la una sua ragionevole coerenza.

 

Benché l’arte etrusca sia stata sempre imbevuta delle storie dell’Iliade, verso la quale sembra avere una predilezione rispetto all’Odissea (quasi totalmente ignorata), nel periodo ellenistico queste narrazioni sembrano ricevere una spinta iconografica notevole, in base agli avvenimenti etruschi interni a cui si riallacciano singoli episodi narrati all’interno del poema.

 

Una risposta ad una spinta così preminente verso solo uno dei poemi omerici, lascia supporre che quella foga che si ebbe a cominciare dal primo ellenismo sia iniziata proprio con l’inizio della campagna d’Oriente di Alessandro in cui doveva essere ben chiara la volontà macedone di contrapporre, nella demagogica propaganda primordiale, l’Oriente all’Occidente.

 

Questa forse era l’idea paterna. Alessandro stravolse negli intenti questa ideologia riuscendo nelle sue conquiste ad essere conquistato e a fondere le due culture, partendo da una tradizione differente da quella erodotea, che vedeva una contrapposizione tra i due blocchi, ma una che voleva i Troiani come Greci in terra straniera.

 

Per questo all’interno della tomba i motivi riprendono il supplizio dei condannati troiani ma non sembrano esserci dallo spirito delle immagini, scelte ‘gloriose, eriche o epocali’. I pannelli non parlano di un inizio della ribalta etrusca, non delle sconfitte subite dai romani, non di una glorificazione di uno stato etrusco volto all’annientamento di Roma.

 

I pannelli riportano eventi estremamente tristi, in cui sono gli inermi ad avere la peggio per colpa (almeno nel pannello iliaco) di una rabbia di cui le vittime sono incolpevoli.

 

Il grande progetto figurativo e la persona di Mastarna / Servio sono legate tra di loro da un senso di malinconia, in cui su tutte primeggia una simbologia sacra quasi di ammonimento, ma comunque di episodi gravi in cui non sono i vinti ad essere glorificati piuttosto sono gli sconfitti a subire l’ira dei vincitori che si comportano in modo barbaro (come nel caso di Achille e di Aiace).

 

Per questo la tomba è più una sorta di apologia e allo stesso tempo riflette la nuova ideologia di chi aveva in un certo qual modo ampliato i confini del mondo.

 

E come Greci e Troiani erano parte di uno stesso nucleo, con radici comuni, allo stesso modo, gli Etruschi, glorificando i loro avi, narravano le gesta di quel condottiero (Mastarna e i fratelli Vibenna) che sedette sul trono di Roma, producendosi e concretizzandosi come il re, insieme a Romolo, che capace del miglior governo e delle migliori opere.

 

Forse l’intenzione del signore vulcente era proprio quella, disponendo l’immagine di Eteocle e Polinice speculare a quella di Marce Camitlnas e Cneve Tarqunie Rumach, quello che in realtà i contrasti tra le due potenze avrebbero portato, la distruzione di entrambe.

 

Ancora oggi dobbiamo chiederci se p.es. il nome della donna etrusca sepolta all’interno, Tanachvil, abbia un qualche collegamento con il nome della moglie di Tarquinio Prisco e matrigna di Servio Tullio: Tanaquilla.

 

Ancora oggi sarà necessario capire più il sentimento dei dipinti, destinati a nessun pubblico, piuttosto che ad una forma di propaganda o di auspicio.

 

La simbologia etrusca accompagnava solo lo spirito di chi lasciava la vita terrena e come tale rientrava nella sfera del ricordo e dell’ammonimento per la nuova vita…

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1963

J.B. Carter, The Religion of Numa, on the reorganization of Servius, London 1906

J. Carcopino, «La table Claudienne de Lyon», JOURNAL DES SAVANTS, 1930

O.A. Danielsson – G. Herbig, in: C.I.E., II, sect. I, 2 (923), p. 157

W.S. Davis, Readings in Ancient History: Illustrative Extracts from the Sources, Vol. II, Rome and the West, Boston 1913

P. De Francisci, Primordia Civitatis, Roma 1959

Ph. Fabia, «Claude et Lyon», REVUE D'HISTOIRE DE LYON, 1908, pp. 5-20

Ph. Fabia, La table Claudienne de Lyon, Lyon 1929

V. Gardthausen, Mastarna oder Servius Tullius, 1882

O. Gilbert, Geschichte und Topographie der Stadt Rom im Altertum,1885

J. Heurgon, Il Mediterraneo occidentale dalla preistoria a Roma arcaica, Roma-Bari 1972

W. Ihne, History of Rome, London 1882

W. Keller, Denn Sie enzüdeten das Licht, München-Zürich 1970

M.A. Levi, L'Italia antica, Bologna 1975

M. Lopes Pegna, Storia del Popolo Etrusco, Roma 1953

S. Mazzarino, Dalla monarchia allo stato repubblicano, Catania 1945

A. Momigliano, L’opera dell’Imperatore Claudio, Torino 1932

R.M. Ogilvie, Le origini di Roma, Milano 1999

E. Pais, Storia e antiche leggende di Roma, Torino 1898

M. Pallottino, Etruscologia, Milano, 1984

M. Pallottino, Servius Tullius à la lumière des nouvelles dècouvertes archéologiques et èpigraphiques, in: SAGGI I (1977), pp. 428-447

L. Pareti, Storia di Roma, I, Torino 1955

C. Pascal, Fatti e leggende di Roma antica, Firenze 1909

A. Piganiol, Le conquiste dei romani, Milano 1989

A. Schwegler, Römische Geschichte, I. Römische Geschichte im Zeitalter der Könige, Tübingen 1853

H.H. Scullard, Storia del mondo romano, Roma 1992

M. Torelli, Storia degli Etruschi, Milano 1981

C.I.L. XIII, 1668: (Tabula Lyonnaise)



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.