N. 8 - Gennaio 2006
SERVIO TULLIO
Macstarna - Parte IV
di
Antonio Montesanti
.
In
quest’ultimo e breve capitolo che segna la fine del
ciclo dedicato al rapporto tra Vulci, con la Tomba
François, e Roma con la figura di Servio Tullio /
Mastarna, si cercheranno nuove ipotesi e nuove
strutturazioni, per una serie di conoscenze a noi
note, come abbiamo visto solo tramite l’annalistica
romana da una parte, e qualche sporadica notizia di
annalistica etrusca riferita dall’imperatore Claudio
che si integra con le pitture della tomba vulcente.
Una
serie di ipotesi possono essere stilate in base ai
dati ottenuti, ossia tutti quelli a nostra
disposizione. Partiamo dalle considerazioni che
riguardano la figura di Servio Tullio per giungere poi
ad una nuova, ipotetica rilettura della tomba.
Prima di tutto sarà necessario, come già notato
altrove cercare di capire perché la figura di Servio
Tullio / Mastarna è così controversa.
Non
parliamo di una controversia che vede due filoni
storiografici contrapposti, ci riferiamo piuttosto
alla presenza di un filone storiografico, quello
latino/romano e all’assenza di uno etrusco.
Ormai è chiara la volontà della storiografia romana,
liviana e tacitiana, ovviamente dedotta
dall’annalistica più arcaica, di occludere, nascondere
e vanificare gli sforzi prodotti da una cultura
etrusca indipendente. È piuttosto chiaro che la
volontà di eradere una versione differente da quella
ufficiale e di eludere anche o solo la tradizione, è
dovuta a differenti motivi o forse esclusivamente ad
un unico fattore, che al momento non è possibile
individuare con precisione.
Nel
caso ‘serviano’ è evidente il voler ricostruire una
tradizione latina delle origini del sesto re: abbiamo
visto come Servio non solo è generato da una donna
latina, seppur allevato da un principe etrusco, ma è
anche di umili origini, come a voler significare che
la sua figura debba apparire marginale e ridotta nelle
origini, ma non nelle sue opere.
La
cosa più importante, dunque è nascondere le origini di
un re, anzi camuffarle sotto uno pseudonimo, che ne
ricalcasse l’umile provenienza. Non dando adito in
questo modo a ipotetiche ricerche, magari lasciandole
nell’ombra, cosa che avrebbe potuto suscitare ipotesi
e ricerche potenzialmente pericolose, in quanto
comunque rintracciabili.
Tanto rintracciabili che qualcuno trovò le storie di
una tradizione alternativa e non solo le ricacciò
dall’ombra in cui erano avvolte ma sfortunatamente per
tutti coloro i quali le avevano volutamente celate, le
fece incidere sul bronzo.
Addirittura, la tradizione ufficiale romana, non solo
nasconde l’identità di Mastarna, ma anche evita in
tutti i suoi aspetti di riportare connessioni, dirette
o indirette, con i fratelli Vibenna.
Che
rapporto lega i fratelli Vibenna a Mastarna / Servio
Tullio? E soprattutto in che funzione si collocano con
Roma?
Purtroppo siamo costretti a partire da quello che ci
viene detto dalla tradizione: il monte
Querquetulanus cambia nome quando questo viene
occupato da Caele, il primo e più famoso dei fratelli.
Il
racconto di Claudio è estremamente lineare, benché
davvero troppo ridotto, per poter rintracciare una
linea unica, priva di lacune. Claudio ci parla di
sodales, di amici d’arme, di clientes, di
ausiliari: di questo tipo di persone è formato
l’esercito di Caele Vibenna, come si evince in qualche
maniera nell’affresco della Tomba François.
Incredibilmente affascinante può essere
l’identificazione di questo manipolo che sembra essere
più una banda, un gruppo, un’aggregazione di
personaggi differenti, forse di varie etnie, forse di
differenti ragioni sociali, legati però da un qualcosa
più simile all’amicizia piuttosto che alle armi.
La
squadra di Caile Vipinas sembra, almeno
socialmente, mista, formata dal fratello e quindi da
parenti (Aule), amici di pari rango (Larth
Ulthes, Marce Camitlnas) e
coadiutori di rango inferiore (Macstrna,
Rasce) e ricorda molto da vicino la composizione
delle compagnie medievali unite da giuramenti, da
patti e da ideali comuni piuttosto che da resoconti di
tipo economico.
La
maggior parte di questi personaggi è designata con la
formula onomastica, prenome e gentilizio (nomen
e prenomen), rivelando con ciò la sua
appartenenza alla classe dotata di diritti civili.
Oltre ai due Vibenna si rileva Larth Ulthes con
un raro gentilizio attestato in tempi più recenti
anche con forme affini in area centro-etrusca.
Per
Marce Camitlnas la cui scontata assonanza
Camitlnas con Camillus può essere
fuorviante ma non da scartare a priori, il richiamo
più pertinente potrebbe essere con il tipo Camaedius,
di area laziale, campana, umbro-sannitica: dunque
forse un commilitone ‘meridionale’, forse un capitano.
Macstrna
e Rasce sono gli unici due privi di un
gentilizio: hanno un unico nome individuale e
dovrebbero quindi ritenersi di condizione servile o
comunque inferiore, secondo quanto sappiamo del
sistema onomastico etrusco; il secondo ha richiamato
alla mente il fatto che si possa trattare di un
semplice ausiliare designato genericamente dalla sua
nazionalità (Ras-ce con formazione equivalente
a Rasna, Rasenna, cioè ‘l'etrusco’).
Questi personaggi si rendono protagonisti, durante la
metà del VI sec. a.C. di una serie di imprese
leggendarie. Delle dieci figure dipinte, sei
costituiscono il gruppo vincente: di questi solo uno è
tunicato (Larth Ulthes), mentre gli altri sono
nudi (Rasce, Aule Vipinas, Marce
Camitlnas).
Questo fatto è sottolineato sia nel discorso claudiano
per quanto riguarda le ‘imprese’ sia nei pannelli
vulcenti per quello che concerne l’aggettivo ‘leggendarie’,
la nudità eroica ne è chiaro indizio.
L’intero squadrone, esercito o banda armata che sia, è
il nucleo, protagonista di una serie di azioni, forse
belliche, forse rappresentative, forse di aiuto per un
determinato periodo storico, forse di mercenariato, ma
comunque tra loro sempre legati da vincoli di sangue.
“VARIA FORTVNA EXACTVS CVM OMNIBVS RELIQVIS CAELIANI
EXERCITVS ETRVRIA EXCESSIT MONTEM CAELIVM OCCVPAVIT …”
(Tab. Lyon.):
a
Roma si svolgono gli ultimi atti di questa saga.
L’episodio del monte Celio è proprio il momento
culminante di un percorso fatto all’interno di uno
specificato contesto storico-geografico. Le
testimonianze dei Vibenna, sono legate ad alcuni
circuiti storico-geografici che racchiudono
fondamentalmente l’intera Etruria meridionale, con
l’esclusione di Caere. Dalle testimonianze
archeologico-iconografiche abbiamo la loro presenza
attestata a Vulci, a Veio e a Roma, inoltre sono
tirate in ballo altre città tra cui almeno Tarquinia,
Sovana e Volsinii.
I
soccombenti nel dipinto, caratterizzati tutti da
prenome, gentilizio e da un cognomen locativo e
perciò piuttosto col valore di “etnico”, che indica la
città di provenienza o di appartenenza: Volsinii
per Laris Papathnas, *Sveama per
Pesna Arcmsna, *-plznach per Venthicau...,
Ruma per Cneve Tarchunies.
La
presenza tra loro di un Tarquinio di Roma fa pensare
che per tutti si tratti di personaggi di alto rango,
se non addirittura di capi o re delle rispettive
città. L'ultimo duello è il più significativo perché
ci garantisce l'aggancio cronologico dell'intera
storia con l'età dei Tarquinii, oltre che il suo
diretto rapporto con Roma, offrendo così il più
puntuale riscontro con le fonti di Claudio e di
Tacito.
Le
alterne vicende riportate in Claudio, definiscono sia
momenti di esaltazione ma soprattutto attimi di
estrema difficoltà in cui Caele Vibenna ed il suo
manipolo si dovettero trovare. L’affresco della tomba
ce ne riporta sicuramente uno, forse il più tragico e
al tempo stesso il più significativo, il taglio dei
legacci dai polsi di Caele, mentre altri compagni si
prodigano in combattimenti violenti uscendone
vincitori.
L’ipotesi in assoluto data come certa è il duplice
rapporto che lega i pannelli tombali all’interno del
sepolcro dei Saties, che secondo tutti gli studiosi ha
una lettura speculare, in base per esempio al doppio
pannello di Fenice e Nestore, isometricamente di
fronte alle figure dei Saties.
L’uccisione dei prigionieri troiani è stato
interpretato con il sacrificio rituale e di
rappresaglia operato dai tarquiniesi nel 358 a.C. e
che vede nella sua composizione un ‘manifesto’
dell’avversione nei confronti di Roma. Tutto sommato
un’ipotesi quasi scontata, in cui contemporaneamente
tutti questi ‘eroi’ sono impegnati in varie imprese.
Tutti i personaggi sono etruschi sia gli assalitori
sia gli assaliti. Questo induce a pensare che si
tratta di una lotta interna dove i contendenti erano
da una parte una grande lucumonia (Veio o Vulci) o un
gruppo e dall’altra una coalizione di città, che dopo
qualche vittoria iniziale, fu sconfitta.
L’atteggiamento delle figure fa vedere come gli
assalitori siano giunti inaspettati e gli altri, colti
di sorpresa, non oppongono resistenza. In ogni caso è
Vulci, successivamente, ad appropriarsi della gloria
dell’impresa.
I
dati della tradizione sono in parte confermati,
collegati e per così dire illustrati dal fregio
dipinto della Tomba François di Vulci, databile
intorno agli ultimi decenni del IV secolo a.C., più
giovane di due secoli rispetto avvenimenti
rappresentati.
Anche se possono porsi dei ragionevoli dubbi almeno
sulla contemporaneità delle azioni, le vicende
‘alterne’ di cui parla Claudio, potrebbero essere
parte di una klimax che, partendo dal fondo
della camera (liberazione di Caele), giungono
fino alla minaccia di Marce Camitlnas nei
confronti di Cneve Tarqunie Rumach.
Dopotutto per chi procede all’interno della tomba la
lettura potrebbe essere anche duplice, soprattutto
perché mentre il pannello con il sacrificio dei
prigionieri troiani è composto da un’unica scena in
quello ad esso opposto si ritrovano quattro (più una)
scene differenti. Quello che viene da pensare a
riguardo è che questa serie di scene sia in realtà un
racconto, che magari voglia in un qualche modo
rispecchiare il messaggio già individuato da tutti gli
studiosi, di una propaganda antiromana, ma in maniera
differente.
L’affresco storico della tomba dei Saties, potrebbe
essere il sunto, dell’ascesa dei fratelli Vipienas e
del loro compagno più famoso Mastarna. Infatti se
osserviamo l’intera scena in chiave diacronica,
possiamo immaginare che al contrario del grande
pannello epico ad esso contrapposto, questo storico
rappresenta un’escalation di azioni all’interno
di una saga che si sviluppa, non solo in chiave
temporale, ma anche e soprattutto in quella
topografica e geografica. Il pannello potrebbe essere
una grande narrazione che racconta le gesta
dell’intera compagnia.
Partendo dal punto cruciale che è la liberazione di
Caele, il gruppo avrebbe sconfitto almeno tre città (Volsinii,
Sovana e una terza) e poi alla fine sarebbe giunto a
Roma per mettere fine al regno di Cneve Taqunie,
il quale però al pari degli altri non viene ucciso, ma
solo minacciato.
L’obbiettivo dell’intero gruppo è solo la città di
Roma. Solo qui, solo dal riferimento con Rumach
abbiamo l’aggancio diretto con la tradizione
annalistica, certamente una tradizione minore, ma pur
sempre una tradizione.
Nella raffigurazione vulcente il rappresentante di
Roma è minacciato, sconfitto. Il generale dell’impresa
rimane comunque Caele unico acquisitore dei diritti
della vittoria su Roma: lui non vuole il controllo
della città, la sua vittoria gli consegna una strana
occupazione parziale della città sconfitta, che nella
tradizione antica, forse comune, si ricollega a quello
del Caelius Mons.
Anche se è più giusto ritenere che si tratti sempre di
due filoni della tradizione in cui quella
romano/latina vedeva un’occupazione parziale della
città con la scomparsa totale di quel tale “Mastarna”,
mentre quella etrusca riportava la presa dell’Urbe e
la imposizione del nuovo re Tullius. In ambedue
i casi, il capo e la sua spedizione probabilmente
giunse personalmente a Roma nel corso delle sue azioni
militari. Ma che Mastarna divenne re e che Roma venne
occupata, questo sembra assodato.
Fu
solo un manipolo di persone, forse etruschi o forse
italici con componente principale tirrena a prendere
la città capitolina? Il crollo della monarchia dei
Tarquinii è solo opera loro. È ovvio che questo
avvenne in un lasso temporale ridotto, poiché sembra
che l’occupazione almeno del Celio, sia comunque un
qualcosa di fulmineo, repentino e che si può collocare
nel momento in cui gli storici tendono a collocare la
fine del “periodo di Tarquinio Prisco” e l'inizio del
“periodo serviano” e che può essere tuttavia posto tra
il 570-560 a.C.
Gia
lo storico tedesco W. Keller aveva proposto che
l’avvento al trono di Servio Tullio (Mastarna) non fu
la conseguenza dell’assassinio di Tarquinio Prisco,
come riporta la storiografia ufficiale romana, ma il
risultato di un’impresa bellica condotta da giovani
nobili rivoluzionari etruschi contro un mondo
reazionario e assolutistico.
Sembra una ‘riduzione’ storica quella che vede i due
fratelli Vibenna ed in particolare il comandante
Caelius attestato o attestati solo sul monte omonimo.
Benché come sembra dalle raffigurazioni vulcenti si
tratti della caduta di Cneve Tarchunies nella scena di
combattimento della Tomba François fa pensare
logicamente a scontri cruenti, pur tuttavia non ci
sarebbe stata una soppressione violenta del potere e
della persona regnante.
Al
contrario è molto più probabile che il re sia stato
sostituito da uno degli invasori, Caele o
Aule che si sarebbero investiti del ruolo e del
titolo regio.
Questo è da vedersi nell' ‘Olo (Aulo) re’ della
favolosa iscrizione ‘arnobiana’ del Campidoglio. Alla
fine della campagna Caele sarebbe perito, forse negli
scontri e che il suo posto, e poi quello di re di Roma
sia stato preso da Aule (anche se il suo nome,
obliterato o cancellato, non apparirà nella lista
canonica dei re di Roma) al posto dei Tarquinii
spodestati, cacciati, esiliati ma non sterminati, cosa
che provocherà il rientro degli stessi a danno di
Servio Tullio.
Aulo
ha contatti con Veio e con la dinastia regnante dei
Tolumni in particolare, poiché si dirige proprio nel
santuario di Apollo della città a nord di Roma per
dedicare alla divinità e probabilmente ingraziarsi
coloro i quali avevano aiutato uno sparuto manipolo di
persone a divenire padroni di Roma.
La
sconfitta di
Tarquinius Priscus
da parte di Servius Tullius fu probabilmente il
risultato di un conflitto tra gli interessi di due o
tre città etrusche: Tarquinia, Vulci e Veio.
Dopotutto sarebbe impossibile pensare alla presa
dell’urbe senza un appoggio almeno di un esercito
esterno come quello veiente. Anche se non rimane da
escludere la tradizione annalistica ufficiale romana
secondo cui gli invasori spettò solo un settore
cittadino: la sovranità dei Tarquinii non sarebbe
stata esautorata ed annullata è possibile che sotto la
dominazione o la presenza degl'invasori, essi abbiano
continuato a portare il titolo regio.
L’importanza di Roma è riconosciuta dalle due città
più in auge in quel periodo Tarquinia e Vulci: ambedue
hanno in comune un rapporto diretto con la Grecia e il
commercio con questa parte del Mediterraneo sembra
l’obbiettivo ultimo: il ruolo di Roma, come e in
qualità di porto franco, situata in una posizione
molto più favorevole rispetto alle consorelle
etrusche, la poneva a contatto con influenze straniere
più aperte, in cui il commercio è considerato la
chiave e quindi favorito rispetto ad altre attività.
Non
sfugge quindi la funzione dell’area attorno al porto
tiberino, che verrà tra l’altro potenziata dallo
stesso Servio; a questo proposito non sembra un caso
che nell’area del santuario di S. Omobono si siano
trovati grandi quantitativi di ceramica
etrusco-corinzia di produzione vulcente, che rapporta
Roma a alla città mesotirrenica.
Certo e incontrovertibile è comunque il fatto che
Mastarna divenne Servio Tullio e il suo nascondimento
di fronte alla storia, ossia del suo passato e quindi
dello scambio di nomi e il tentativo di confusione
delle sue origini commutandole in latine lasciano
adito ad ipotesi che spiegherebbero questo
atteggiamento come una chiara e precisa volontà di
nascondimento di un capitolo della storia capitolina
che i posteri giudicarono indegna di essere narrata
nella loro realtà dei fatti.
Anche se più oscuro sembra essere la scomparsa dei
fratelli Vipienas (dovuta alla morte o a una qualsiasi
altra ragione) fattore adombrato nel racconto
claudiano, cioè il fatto che una parte residua del suo
esercito sarebbe rimasta affidata a Mastarna il quale
l'avrebbe impiegata per installarsi definitivamente in
Roma. Mentre Caele sembra comunque sparire quasi
immediatamente dalla storia, Aule pare prendere il suo
posto o per lo meno pare sopravvivere più a lungo.
Pare
che Aulo Vibenna abbia avuto una storia propria ed
indipendente da quella del suo generale e fratello,
che si colloca in una fase posteriore alla scomparsa
di Cele. Fu proprio Aulo ad assumere l'eredità ed il
comando che era del fratello, ormai in una fase in cui
la compagnia non era più itinerante. Il rapporto molto
stretto di fedeltà tra Cele Vibenna e Mastarna, deve
averlo posto come un compagno molto particolare,
capace di poter contendere il ruolo di successore
anche al fratello.
Per
questo in molti hanno pensato ad una rivalità finale
fra Aulo Vibenna e Mastarna. Di questo contrasto
ipotetico non esistono testimonianze dirette ma appena
qualche indizio nelle fonti a proposito del caput Oli,
in una supposta iscrizione etrusca che lo designava
addirittura come re, mentre nel testo di Arnobio si
accenna al fatto secondo cui Olus sarebbe stato ucciso
da un servo, “...cur manu servuli vita juerit
spoliatus et lumine”.
Possiamo pensare che in quella parola servulus
sia intrinseco il riferimento al Tullio re?
È
giusto ancora prima di chiudere questo lungo capitolo
su Servio / Macstarna annotare alcune minuziose
particolarità che avvolgono il monumento della Tomba
dei Saties.
Come
abbiamo visto, la tomba François è costruita secondo
uno schema molto di voga in ambiente macedone, visto
che sia l’aspetto delle misure che quello
architettonico riprendono evidentemente le tombe
macedoni di Vergina (l’antica Ege). In particolare
l’accostamento più probabile è proprio con la tomba
regale attribuita a Filippo II, padre di Alessandro
III il Grande. Questo indica che il committente (Vel
Saties ?) dovette essere necessariamente a conoscenza
della presenza di una tale struttura e che volle una
sepoltura degna di un re o pari ad un monarca.
Come
sappiamo, le pitture individuano, per la tomba una
datazione compresa tra il 340 e il 320 a.C., una
forbice cronologica piuttosto ampia quando è possibile
avere dati storici ben definiti.
P.es. sappiamo che la morte del monarca macedone
avvenne esattamente nella primavera del 334 a.C. e che
la tomba dovette essere edificata (o comunque scavata
ed intagliata nella roccia) da li a poco e comunque
terminata almeno un anno dopo, vista la complessità
dell’opera.
Quello che dobbiamo chiederci è quanto tempo impiegò
questo fastoso schema ‘tombale’ a raggiungere Vulci?
E, in seguito, come fece lo stesso schema a
raggiungere la città tirrenica? E ancora, quanto tempo
ci volle perché fosse scavata, intagliata, affrescata,
stuccata e rifinita?
Sommando le tre domande potremmo ipotizzare un
discorso piuttosto che abbia la una sua ragionevole
coerenza.
Benché l’arte etrusca sia stata sempre imbevuta delle
storie dell’Iliade, verso la quale sembra avere una
predilezione rispetto all’Odissea (quasi totalmente
ignorata), nel periodo ellenistico queste narrazioni
sembrano ricevere una spinta iconografica notevole, in
base agli avvenimenti etruschi interni a cui si
riallacciano singoli episodi narrati all’interno del
poema.
Una
risposta ad una spinta così preminente verso solo uno
dei poemi omerici, lascia supporre che quella foga che
si ebbe a cominciare dal primo ellenismo sia iniziata
proprio con l’inizio della campagna d’Oriente di
Alessandro in cui doveva essere ben chiara la volontà
macedone di contrapporre, nella demagogica propaganda
primordiale, l’Oriente all’Occidente.
Questa forse era l’idea paterna. Alessandro stravolse
negli intenti questa ideologia riuscendo nelle sue
conquiste ad essere conquistato e a fondere le due
culture, partendo da una tradizione differente da
quella erodotea, che vedeva una contrapposizione tra i
due blocchi, ma una che voleva i Troiani come Greci in
terra straniera.
Per
questo all’interno della tomba i motivi riprendono il
supplizio dei condannati troiani ma non sembrano
esserci dallo spirito delle immagini, scelte
‘gloriose, eriche o epocali’. I pannelli non parlano
di un inizio della ribalta etrusca, non delle
sconfitte subite dai romani, non di una glorificazione
di uno stato etrusco volto all’annientamento di Roma.
I
pannelli riportano eventi estremamente tristi, in cui
sono gli inermi ad avere la peggio per colpa (almeno
nel pannello iliaco) di una rabbia di cui le vittime
sono incolpevoli.
Il
grande progetto figurativo e la persona di Mastarna /
Servio sono legate tra di loro da un senso di
malinconia, in cui su tutte primeggia una simbologia
sacra quasi di ammonimento, ma comunque di episodi
gravi in cui non sono i vinti ad essere glorificati
piuttosto sono gli sconfitti a subire l’ira dei
vincitori che si comportano in modo barbaro (come nel
caso di Achille e di Aiace).
Per
questo la tomba è più una sorta di apologia e allo
stesso tempo riflette la nuova ideologia di chi aveva
in un certo qual modo ampliato i confini del mondo.
E
come Greci e Troiani erano parte di uno stesso nucleo,
con radici comuni, allo stesso modo, gli Etruschi,
glorificando i loro avi, narravano le gesta di quel
condottiero (Mastarna e i fratelli Vibenna) che
sedette sul trono di Roma, producendosi e
concretizzandosi come il re, insieme a Romolo, che
capace del miglior governo e delle migliori opere.
Forse l’intenzione del signore vulcente era proprio
quella, disponendo l’immagine di Eteocle e Polinice
speculare a quella di Marce Camitlnas e Cneve Tarqunie
Rumach, quello che in realtà i contrasti tra le due
potenze avrebbero portato, la distruzione di entrambe.
Ancora oggi dobbiamo chiederci se p.es. il nome della
donna etrusca sepolta all’interno, Tanachvil, abbia un
qualche collegamento con il nome della moglie di
Tarquinio Prisco e matrigna di Servio Tullio:
Tanaquilla.
Ancora oggi sarà necessario capire più il sentimento
dei dipinti, destinati a nessun pubblico, piuttosto
che ad una forma di propaganda o di auspicio.
La
simbologia etrusca accompagnava solo lo spirito di chi
lasciava la vita terrena e come tale rientrava nella
sfera del ricordo e dell’ammonimento per la nuova
vita…
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