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N. 21 - Febbraio 2007

SLOVACCHIA NON STOP

Le contraddizioni del paese con il più alto tasso di crescita economica in Europa

di Leila Tavi

 

Negli anni ’90, alle due frontiere di Berg e Kittsee tra l’Austria e la Slovacchia, ogni giorno, durante il periodo natalizio, ai posti di blocco si controllavano centinaia di auto targate Bratislava con il portabagagli carico di provviste fatte nei primi supermercati che si incontrano superato il confine austriaco, sulla strada per Hainburg.

 

Con il periodo di passaggio dall’economia socialista a quella di mercato si è assistito in Slovacchia, per tutti gli anni ’90, a una privatizzazione selvaggia.

 

Dopo i primi anni di transizione la domanda di beni di consumo superava nella capitale di gran lunga l’offerta.

 

Per questo motivo i residenti di Bratislava, distante solo 60 km. da Vienna e 40 km. dal confine, si riversavano in massa nei punti di rivendita al dettaglio presenti sul territorio austriaco, a meno di un’ora dalla capitale slovacca.

 

Negli ultimi anni Bratislava si è trasformata da nostalgica capitale comunista in una città di media grandezza sul modello di quelle tedesche.

 

Nel centro della città, completamente ristrutturato, al posto dei vecchi caffè fumosi, in cui in passato la gente si incontrava per discutere di politica e per bere della buona birra con poche corone, si trovano ora locali di tendenza dalle fredde architetture e ristoranti per turisti, dove di tradizionalmente slovacco a malapena si trova ancora la birra.

 

Le filiali delle banche hanno preso il posto dei bugigattoli dove era possibile trovare fino a poco tempo fa cimeli e orpelli degli anni del regime.

 

Tutto per le strade adesso è picobello[1]: non si trova più traccia dello sporco e del degrado .

 

Quella che era un’economia al tracollo si è trasformata in breve tempo, anche per effetto della mancanza di una regolamentazione iniziale, in un sistema consumistico in piena regola.

 

La situazione si è capovolta nel giro di pochi anni e adesso sono gli Austriaci a passare la frontiera in cerca di occasioni e prezzi convenienti a Bratislava, soprattutto in tarda serata e di domenica, quando in Austria, Vienna compresa, gli “shopping dipendenti” non trovano neanche un negozio aperto per soddisfare il loro bisogno di consumo.

 

In Austria questi patiti dell’acquisto oltre frontiera sono soprannominati grenzüberschreitenden österreichischen Käufer; una novità per gli Slovacchi stessi, abituati a vedere gli Austriaci negli studi dei dentisti,  nei saloni di bellezza, dal parrucchiere o nei sexy shop, le cui tariffe sono nettamente inferiori rispetto a quelle applicate in Austria[2], ma che fino a poco tempo fa snobbavano la gastronomia e l’abbigliamento.

 

Adesso gli Austriaci, ormai convinti dalla formula vincente del picobello, non hanno timore a sedersi nei ristoranti e perché no, dopo una piacevole serata, decidono di fare compere in uno degli shopping center aperti fino alle 22.

 

Per i nottambuli la catena britannica Tesco fa addirittura orario continuato.

 

La strategia del “consumo non stop” è circoscritta, però, solo alla capitale e ai discount alla frontiera; in periferia e in provincia, dove i turisti stranieri difficilmente si spingono, gli orari di apertura dei negozi sono ben altri.

 

Nei paesi è forte l’influsso della religione cattolica, che considera la domenica e i prefestivi come giornate sacre dedicate alla famiglia.

 

In provincia la vita scorre a ritmi meno frenetici rispetto alla capitale, dove i centri commerciali crescono di anno in anno come funghi.

 

Nei paesi di montagna ci sono ancora gli spacci dove si possono trovare solo beni di prima necessità, acquistati generalmente dai forestieri, perché gli abitanti dei paesi ancora vivono di quello che la terra loro offre.

 

Nel retro di ogni chata[3] si trova una stalla, una stia e un piccolo orto; le famiglie non si possono permettere di andare al ristorante, si preferisce non acquistare allo spaccio.

 

Ancora vige il sistema delle cooperative sociali, con cui è stabilito il prezzo del latte.

 

Più lontani ancora dalle luci della capitale sono gli insediamenti dei Rom di provincia, dove nelle baracche non c’è né acqua né elettricità.

 

Ai Rom, le cui abitazioni si trovano di solito nella parte bassa dei paesi, non è permesso di acquistare negli spacci dei gadje[4]; in chiesa devono sedere separati dagli altri abitanti del paese, se, addirittura, non sono previste delle funzioni separate per i fedeli delle comunità Rom.

 

A Liptovska Teplička, nella valle dei Nízke Tatry[5], i Rom si lavano nel canale che scorre dalla segheria, situata nella parte alta del paese abitata esclusivamente dai gadje, fino alla strada per Štrba e puliscono le strade del paese, un lavoro che i gadje disdegnano perché umile e sottopagato.

 

I Rom non sorpassano mai l’invisibile confine tra la parte bassa e quella alta del paese, a loro interdetta dai gadje.

 

In Slovacchia anche i Rom festeggiano il Natale.

 

Dietro alle loro finestre non brilla nessuna luce, ma le famiglie si riuniscono per cantare e suonare; il piatto tradizionale non è come nelle “altre” famiglie slovacche la kapusta[6], ma il Baklažánový ježko[7].

 

Nei ghetti delle comunità Rom nonostante i problemi di alcolismo, la disoccupazione, la violenza consumata tra le pareti domestiche, il Natale è una festa sentita e negli occhi dei piccoli Rom si legge la stessa gioia dell’attesa la sera della Vigilia per scartare i regali degli altri bambini slovacchi.

 

[1] Aggettivo diffuso equivalente all’espressione italiana “lucidato a nuovo” e che è stato preso in prestito nella lingua slovacca dal tedesco. L’aggettivo è  formato dai due aggettivi pük (→piekfein) dal Niederdeutsch, che significa “eccellente” e dall’italiano bello.

[2] Dalla fine del 2006 il cambio euro-corona slovacca è  sfavorevole agli acquirenti provenienti dalla zona euro; da un cambio di 1 euro per 45 corone si è passato a un rapporto 1:35.

[3] La tipica baita che si trova nei paesini di montagna in Slovacchia.

[4] Nel dialetto Rom della regione dell’est della Slovacchia significa “bianchi” e che è utilizzato per indicare tutti coloro che non sono appartenenti alle comunità Rom.

[5] I monti Bassi Tatra.

[6] Tradizionale zuppa che ha come ingrediente principale il cavolo rosso.

[7] Il porcospino in umido.

 

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