N. 15 - Agosto 2006
ROMA NEL PRIMO MILLENNIO
Nascita e sviluppo dello spazio cristiano
di
Laura Gasparri
Nel periodo di passaggio tra tarda antichità e medioevo la
città subisce profonde e, talvolta, radicali
trasformazioni: le fonti letterarie e archeologiche
consentono la ricostruzione della complessità di
questo fenomeno che si connota in modo diverso a
seconda dei luoghi in cui di volta in volta si attua e
manifesta.
A Roma la crisi definitiva del sistema urbanistico
classico si attesta già a partire dal IV sec. d.C. A
condizionarne e determinarne le soluzioni sono
verosimilmente due fattori, la diffusione del
Cristianesimo e le invasioni barbariche, che si
traducono dal punto di vista urbanistico nel graduale
inserimento di edifici di culto cristiano
nell’impianto preesistente e nella duplice attività di
distruzione e costruzione operata dalle nuove classi
dirigenti germaniche.
Nei primi secoli le comunità cristiane si trovano in
condizioni estremamente precarie determinate dalla
clandestinità e dalle persecuzioni cui furono
obbligate. In quest’ottica non può destare stupore che
i primi spazi formalmente occupati dai cristiani siano
costituiti dalle necropoli collocate fuori le mura
Aureliane.
Poche informazioni è possibile ricavare dalle fonti
storiche sulla tipologia dell'aula cultuale, dove si
riuniva quella che S. Paolo chiama ripetutamente
domestica ecclesia. Le ecclesiae domesticae
sono case private, di cui uno o più ambienti sono
destinati al culto. Solo graffiti e pitture con temi
cristiani possono distinguere le ecclesiae domesticae
dalle normali abitazioni private. Esse sono poste
sotto la responsabilità del proprietario che è
indicato nel titulus.
A partire dal III sec. d.C. la comunità cristiana
subisce un forte incremento e si struttura in un
preciso ordinamento gerarchico riconosciuto dalla
Chiesa e protetto dalla classe dominante.
Dal punto di vista edilizio intorno alla metà del secolo
nasce una nuova struttura: la domus ecclesiae,
cioè un'abitazione in cui i fedeli si riuniscono per
il culto, ma di proprietà della comunità cristiana e
in cui tutti gli ambienti sono adibiti al culto.
Queste case sono donate alla comunità o da questa
acquistate. L' immobile può conservare il nome del
donatore come segno di riconoscenza o come toponimo,
sino a che viene santificato o sostituito dal nome di
un santo. Le testimonianze archeologiche non
consentono di ricostruire una mappa precisa di questi
edifici di culto che dovunque fossero dislocati non
intaccavano il tessuto urbanistico della città.
Un momento decisivo per il Cristianesimo non solo a livello
politico, ma anche in senso urbanistico è
rappresentato dall’attività di Costantino.
L’imperatore non solo dichiara con l’editto del 313
d.C. il Cristianesimo religio licita, ma
inserisce nel preesistente assetto urbano pagano nuovi
edifici di carattere cristiano. Egli restaura il
centro monumentale e politico, arricchendolo del suo
arco trionfale e di terme sul Quirinale, ma promuove
anche la costruzione della prima chiesa episcopale: la
basilica di S. Giovanni in Laterano.
Tale edificio sorge in un'area periferica, nell'angolo
sud-orientale a ridosso delle mura. Nell'area erano
presenti precedentemente ricche dimore di proprietà
imperiale e i castra equitum singularium (la
caserma delle guardie imperiali a cavallo, schieratesi
dalla parte di Massenzio). L’imperatore sceglie
appositamente una zona decentrata e di sua proprietà
per non creare aperto contrasto con l'aristocrazia
romana legata ancora al paganesimo. Gli altri
interventi edilizi di Costantino sono localizzati nel
suburbio, dove interra una ricca necropoli ancora in
uso e sbanca parte del colle Vaticano per realizzare
la grandiosa basilica di S. Pietro.
Dopo la morte di Costantino la produzione architettonica si
ridimensiona soprattutto perché viene meno il supporto
finanziario imperiale. Con Teodosio I (379-395 d.C.)
si verifica una ripresa se pur marginale: egli infatti
commissiona al prefetto Sallustio la costruzione della
basilica di S. Paolo fuori le mura sulla via
Ostiense. Teodosio ordina anche la chiusura dei templi
pagani che diventano proprietà demaniale. Questo
provvedimento innesta il fenomeno del reimpiego dei
materiali architettonici classici e il riuso di
strutture preesistenti.
Nel V secolo d.C. si succedono a Roma continui assedi e
saccheggi (Alarico nel 410 d.C.; Genserico nel 455 d.C.;
Ricimero nel 472 d.C.) oltre a terremoti (442 d.C.). A
questo proposito, Onorio provvede subito al restauro
delle mura Aureliane e al ripristino parziale della
Basilica Emilia, incendiata nel 410 d.C. come è
attestato dal dato numismatico. Dell’edificio si
ricostruiscono solo un portico di colonne di granito
rosa e le tabernae retrostanti, ma la facciata
originaria venne chiusa e divenne il muro di
contenimento delle rovine della basilica stessa. E’ un
palese tentativo della città di continuare a vivere e
a costruire, cercando di nascondere la sua reale
disgregazione. Questa alternanza di spazi abitati e
disabitati sarà una caratteristica dell’insediamento
urbano medioevale. La stessa basilica Lateranense,
sorta in una zona periferica per motivi politici, si
trova effettivamente separata dal centro abitato,
costituendo un borgo nettamente distinto dal quartiere
pontificio sorto presso S. Pietro.
Nella prima metà del VI secolo d.C. e, più
specificatamente, durante il regno di Teodorico
(493-526 d.C.), si verifica a Roma un nuovo fervore
edilizio, che non si concretizza in interventi diretti
a costruzioni ex novo, ma attraverso
adattamenti di edifici precedenti.
A Felice V (526-530 d.C.) si attribuiscono le prime due
chiese sorte nel centro della città imperiale e
insieme i primi due esempi di trasformazione di
edifici pubblici da parte del clero. Si tratta della
basilica dei SS. Cosma e Damiano al margine
della via sacra e più a nord, sempre nel foro romano,
di quella di S. Maria Antiqua.
Segue la guerra ventennale tra goti e bizantini (536-555
d.C.). Nel 537 d.C. Vitige taglia gran parte degli
acquedotti facendo entrare in crisi la città di Roma.
In questo stesso periodo si riscontra l’abbandono di
edifici abitativi e di zone dell’abitato in cui si
cominciano a praticare sepolture, contravvenendo
all’uso attestato fino ad allora di porre le necropoli
fuori dalle mura urbane. Tali aree sepolcrali nascono
spesso sui ruderi di grandi monumenti pubblici, come
nel caso delle terme inutilizzate per il taglio degli
acquedotti (basti pensare che all’interno delle terme
di Caracalla si estendeva un cimitero con più di mille
tombe). Queste sepolture, diffuse ovunque non sono il
segno di abbandono, ma l’indizio di un nuovo modo di
abitare il territorio.
Inizia a manifestarsi nel VI secolo e si svilupperà con
maggiore intensità nel VII d.C., l’istituzione di
xenodochia e di monasteri. Gli
xenodochia sono strutture adibite all’alloggio e
all’assistenza dei pellegrini e sono distribuiti in
varie zone della città. Con Gregorio Magno (590-604
d.C.) la realizzazione di monasteri subisce un
notevole impulso, ma essi non modificano radicalmente
il tessuto urbano perché si insediano su strutture
preesistenti. Lo stesso Gregorio Magno ci informa del
fatto che alcuni monasteri minori nascono su domus
con horti abbandonati o non più impiegabili
come rendite da affitto.
Dal punto di vista architettonico si può rilevare
un’interessante novità: la costruzione di grandi vie
porticate che conducono dalle porte urbane alle
basiliche di S. Pietro, S. Paolo e S. Lorenzo fuori le
mura. Gli edifici pubblici meno importanti o che
comunque avevano perso la loro funzione originaria
vennero trasformati. Il Pantheon viene convertito
nella chiesa di S. Maria ad Martyres al tempo
di Bonifacio IV (608 – 615 d.C.) e nella Curia
Senatus si installa la chiesa di S. Adriano.
La seconda metà del VII secolo d.C. segna il periodo più
difficile che Roma abbia attraversato in tutto l’arco
del primo millennio: l’invasione dei longobardi, la
dominazione degli esarchi, l’imposizione di papi
orientali, l’assenza quasi totale di contatti con il
governo centrale e soprattutto la fine del grande
commercio annonario, spina dorsale di tutti i
commerci. Questa situazione è ulteriormente aggravata
alla fine dell’VIII secolo d.C. da un provvedimento di
Leone III Isaurico con cui si impedisce
l’approvvigionamento di grano e di merci provenienti
dalla Sicilia. Roma è costretta a riorganizzarsi e a
ripiegare sulle risorse locali. In mancanza di un
effettivo interessamento dell’autorità statale è
la
Chiesa ad intervenire. Nascono le diaconie,
ricordate per la prima volta dal Liber Pontificalis
come “monasteria diaconiae”. Tali strutture non
erano luogo di culto, ma istituzioni con fini
utilitari e assistenziali gestite da un funzionario
laico della amministrazione papale. Esse sono
strettamente collegate con i vecchi centri di
distribuzione annonaria come testimonia la loro
collocazione in edifici adibiti fin dall’età imperiale
all’immagazzinamento e alla distribuzione delle
derrate, nei pressi degli approdi e dei mercati più
importanti. Basti pensare che la diaconia di S.
Maria in Cosmedin si insediava nel luogo della
Statio Annonae del IV secolo d.C., sede del
funzionario imperiale incaricato
all’approvvigionamento.
Per sfruttare al massimo l’agricoltura nei pressi di Roma,
la Chiesa crea anche le domus cultae, cioè latifondi
organizzati in aziende sorvegliate da clerici, con
l’obbligo di fornire quote di prodotti da destinare al
mantenimento del papato, del popolo e del clero. In
profonda crisi economica, Roma cercò di incrementare
la sua funzione religiosa di meta di pellegrinaggio e
nella prima metà dell’VIII secolo d.C. installò le
cosiddette scholae, punti di riferimento o
centri di accoglienza per le varie nazioni da cui i
pellegrini partivano. A partire da quella dei Sassoni
con S. Maria in Sassia del 727
d.C., si realizzarono per i Longobardi, per i Franchi,
per i Frisoni.
L’età carolingia segna un periodo di ripresa economica che
si concretizza dal punto di vista edilizio più che con
le costruzioni ex novo con l’attività di restauro.
L’unica novità architettonica è l’adozione della
cripta a colonne. I percorsi del pellegrinaggio
venivano spostati dalle catacombe a più comodi
itinerari urbani focalizzati nelle nuove cripte, che
determinarono con la loro presenza un maggiore
consolidamento della viabilità interna. Tali strutture
servirono anche a salvaguardare i ricchi santuari
suburbani dalle razzie prima dei Longobardi e poi dei
Saraceni.
Le continue incursioni di popolazioni straniere determinano
una maggiore attenzione ai sistemi di difesa. Le mura
Aureliane erano ancora funzionali se resistettero
nell’846 d.C. al tremendo attacco dei Saraceni. Questi
ultimi saccheggiarono le basiliche di SS. Pietro e
Paolo extramuranee e, quindi, non difendibili. La
reazione immediata è la costruzione di mura intorno
alle due chiese. Nasce così la cosiddetta Civitas
Leoniana, iniziata dal pontefice Leone III
(795-816 d.C.) e di fatto eseguita più tardi da Leone
IV (847-855 d.C.). Il programma di committenza papale
prevede solo l’erezione di mura per fortificare una
realtà insediativa esistente. Si configurava in questo
modo una sorta di città annessa alla città. Nello
stesso tempo l’aristocrazia determina una
lottizzazione delle aree ed una sorta di
incastellamento interno alla città. I poli di S.
Pietro, importante per le consacrazioni imperiali,
e di S. Giovanni, luogo di consacrazione per i
papi, fanno sviluppare la città in una forma nuova,
tendente ad escludere sempre più i settori N-O e S a
favore di quelli che si trovavano nella fascia che
collega i due poli citati.
Nel corso di un lunghissimo millennio la città di Roma
acquisisce una nuova fisionomia urbanistica:
l’impianto della città classica, sviluppato intorno al
Foro, fulcro per secoli di ogni attività urbana, entra
definitivamente in crisi a partire dal IV sec. d.C.,
lasciando pian piano il posto ad una nuova città in
cui nuovo e decisivo fattore poleogenetico è il
complesso episcopale. Si compie così il passaggio
dalla città tardo-antica ad una città che può
definirsi tipicamente medioevale.
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