N. 36 - Dicembre 2010
(LXVII)
rsi, CONTROVERSA “UTOPIA”
DAL FASCISMO MONARCHICO AL FASCISMO REPUBBLICANO
di Danilo Caruso
Negli
affari
di
Stato
il
tentativo
di
cogliere
l’opportunità
al
volo
a
prescindere
da
considerazioni
di
carattere
ideologico
e
morale
è un
tentativo
che
non
sempre
ha
successo
e
non
sempre
paga.
Questo
è
stato
il
fondamentale
errore
dell’Italia
fascista
alla
fine
degli
anni
’30:
l’avvicinamento,
pure
sul
piano
della
condotta,
alla
Germania
nazista
è
equivalso
ad
un’alleanza
con
una
ideologia
del
male.
Con
l’emanazione
delle
leggi
razziali
(1938)
il
fascismo
si è
deteriorato,
e da
movimento
che
aveva
ottenuto
la
simpatia
e
l’appoggio
delle
masse,
per
compiacenza
verso
i
nazisti,
introdusse
in
Italia
norme
inaccettabili
e si
legò
ad
un
alleato
che
lo
avrebbe
portato
alla
rovina.
La
tardiva
partecipazione
all’ultimo
conflitto
mondiale,
dieci
mesi
dopo
il
suo
inizio,
è la
riprova
di
voler
stare
dalla
parte
dei
potenziali
vincitori
(i
Tedeschi)
nel
timore
inoltre
che
questi
dopo
aver
sconfitto
Francia
ed
Inghilterra
non
avessero
difficoltà
a
prendere
di
mira
in
un
secondo
momento
anche
l’Italia
che
era
stata
a
guardare.
Una
strategia
politica
guidata
quasi
esclusivamente
da
opportunismo
può
portare
al
disastro
ed
alla
sconfitta,
come
è
effettivamente
successo.
L’alleanza
tra
Germania
nazista
ed
Italia
fascista
era
un’alleanza
di
politica
estera:
il
nazismo
ed
il
fascismo
non
avevano
ideologie
molto
simili,
ed
anzi
i
fascisti
–
che
non
erano
stati
antisemiti
fino
al
’38,
né
tanto
meno
paganeggianti
–
non
avevano
visto
di
buon
occhio
l’emergente
nazismo
(il
cancelliere
austriaco
filofascista
Dollfuss
era
stato
ucciso
da
terroristi
nazisti,
e
Mussolini
in
un
discorso
pubblico
aveva
ricordato
che
le
popolazioni
germaniche
vivevano
in
uno
stato
barbarico
quando
a
Roma
antica
c’erano
Augusto
e
Virgilio).
L’avvicinamento
tra
i
due
movimenti
avvenne
dopo
la
seconda
guerra
d’Etiopia
(1935-36),
durante
la
quale
l’Inghilterra
fu
tra
coloro
che
votarono
alla
Società
delle
nazioni
le
sanzioni
contro
l’Italia
per
l’impresa
di
conquista,
ma
gli
Inglesi
dietro
la
cessione
dei
diritti
sui
pozzi
petroliferi
dell’AGIP
in
Iraq
fecero
passare
le
navi
di
rifornimento
italiane
dal
Canale
di
Suez:
fu
quest’atteggiamento
di
ambiguità
a
spingere
nel
contesto
politico
estero
l’Italia
verso
la
Germania
ed
ad
allontanarla
dai
compagni
della
vittoria
cosiddetta
mutilata
nella
prima
guerra
mondiale.
Un’ipotesi
vorrebbe
l’ingresso
in
guerra
degli
Italiani
sollecitata
da
Churchill,
perché
paventava
in
caso
di
sconfitta
di
trovarsi
a
disagio
davanti
alla
sola
Germania
vincitrice,
mentre
il
governo
italiano,
anch’esso
in
prospettiva
futura
tra
i
vincitori,
avrebbe
potuto
moderare
le
pretese
dei
nazisti
e
l’urto
della
sconfitta:
qui
però
si
entra
in
un
campo
che
riguarda
il
famoso
carteggio
Churchill-Mussolini,
e
non
è
possibile
fondare
un
giudizio
storico
inoppugnabile.
In
parole
povere
quando
il
buon
senso
negli
anni
della
guerra
consigliava
di
non
schierarsi
con
la
Germania
(come
fu
fatto
per
quasi
un
anno)
tutto
finì
per
congiurare
a
favore
di
una
partecipazione
militare
che
con
l’allargamento
delle
ostilità
a
livello
mondiale
non
sembrò
più
foriera
di
vittoria.
Non
fu
però
solo
la
Germania
a
scatenare
lo
scoppio
della
guerra
in
Europa:
bisogna
ricordare
che
con
il
patto
Ribbentrop-Molotov
Tedeschi
e
Russi
si
erano
divisi
la
Polonia,
per
la
cui
difesa
Inghilterra
e
Francia
dichiararono
guerra
alla
Germania;
perché
non
anche
all’URSS
con
cui
anzi
si
allearono
dopo
che
questa
fu
attaccata
nel
’41?
Anche
l’Unione
sovietica
ha
delle
responsabilità
per
la
condivisione
dei
piani
espansionistici
tedeschi:
perché
l’URSS
non
difese
la
Polonia?
L’Italia
dal
canto
suo
sbagliò
ad
allinearsi
con
chi
sembrava
più
forte,
avrebbe
dovuto
invece
difendersi
allorché
fosse
stata
attaccata
da
chiunque.
La
guerra,
come
tutte
le
guerre,
fu
tragica
sino
alla
caduta
del
fascismo,
ma
quello
che
accadde
dopo
fu
ancora
più
tragico
e
luttuoso.
Dopo
il
25
luglio
1943
quello
che
accadde
è
frutto
dell’operato
del
nuovo
governo
che
firmò
l’armistizio.
Un
governo
diverso
per
il
dopo
Mussolini,
come
era
negli
accordi
tra
monarchia
e
dissidenti
fascisti
guidati
dal
filoinglese
Grandi,
formato
da
fascisti,
tecnici
e
politici
di
altre
forze,
si
sarebbe
fatto
trovare
molto
probabilmente
più
preparato.
L’esistenza
storica
della
Repubblica
sociale
italiana
è
ignorata
da
molti,
e
tra
quelli
che
ne
sanno
la
considerazione
è
quasi
esclusivamente
quella
di
uno
Stato
fantoccio
al
servizio
dei
Tedeschi
occupatori:
questa
è
una
parte
della
verità,
la
verità
sostanziale,
a
volte
mal
inquadrata
nella
dinamica
degli
eventi.
Gli
antefatti
che
vanno
dal
25
luglio
all’8
settembre
1943
hanno
in
sé
le
radici
che
spiegano
i
due
anni
di
storia
successiva
fino
al
25
aprile
1945,
una
storia
che
viene
vista,
come
giusto
dato
acquisito,
di
liberazione
dall’invasore
nazista
e di
parziale
guerra
civile
(dopo
l’armistizio
con
gli
Alleati
un’invasione
tedesca
in
Italia
ci
sarebbe
stata
quasi
certamente
comunque).
Mussolini
fu
arrestato
subito
dopo
essersi
dimesso
da
capo
del
governo,
la
monarchia
progettava
da
prima
una
congiura
e
non
comprese
che
l’arresto
di
un
Mussolini
dimissionario
avrebbe
peggiorato
la
situazione:
il
duce
era
uscito
dalla
scena
politica
spontaneamente,
bastava
organizzare
solamente
il
previsto
governo.
Ma
anche
qui
la
monarchia
si
comportò
inadeguatamente:
provocò
la
caduta
completa
del
regime
con
cui
aveva
coabitato
per
un
ventennio,
non
rispettò
l’accordo,
e
tutto
finì
d’un
colpo
allo
sbando.
Il
nuovo
governo
Badoglio
non
seppe
organizzare
tempestivamente
nulla
se
non
la
fuga
con
il
re.
Non
esisteva
alcun
progetto
di
difesa
da
una
prevedibile
invasione
tedesca.
Se
il
re
fosse
rimasto
a
Roma
con
un
altro
governo
più
premuroso
e
più
cauto,
che
avesse
mantenuto
soprattutto
l’unità
nazionale,
è
possibile
che
i
Tedeschi
non
andassero
più
a
sud
della
Pianura
Padana
e
che
nel
giro
di
pochi
mesi,
con
il
sostegno
degli
Alleati,
fossero
ricacciati
al
di
là
delle
Alpi.
Non
ci
sarebbe
stata
la
Repubblica
sociale
italiana
–
canto
del
cigno
del
fascismo
–,
non
ci
sarebbe
stata
la
legittima
guerra
partigiana,
molti
di
meno
sarebbero
stati
gli
Italiani
catturati
dai
Tedeschi.
Di
un’altra
storia
si
sarebbe
parlato
oggi,
una
storia
che
non
avrebbe
avuto
né
vincitori
né
vinti,
né
odi
né
rancori
che
sono
perdurati
per
decenni,
per
chi
costretto
a
scegliere
si
trovò
a
stare
da
una
parte
o
dall’altra.
Dopo
l’8
settembre
i
nazisti
invasori
avevano
in
mente
uno
Stato
fantoccio
alla
“Vichy”:
era
papabile
per
la
sua
guida
Roberto
Farinacci,
fascista
filonazista,
però
dopo
che
i
Tedeschi
liberarono
dalla
prigionia
Mussolini
e lo
ebbero
in
pugno
quest’ultimo
non
si
poté
tirare
indietro.
Non
si
guarda
il
lato
ideale
di
quella
repubblica,
obiettivamente
con
tutti
i
suoi
aspetti
negativi,
per
un’analisi
storiografica
più
articolata,
perché
è
sopraffatto
da
un
insopprimibile
peso.
I
lati
più
negativi
della
RSI
consistono
nella
prosecuzione
della
guerra
accanto
all’alleato
precedente
(con
tutte
le
sue
conseguenze)
e
nel
mantenimento
delle
leggi
razziali.
Se
il
distacco
dall’alleanza
germanica
fosse
stato
meno
«ignobile»
(come
lo
definisce
l’inno
della
Xma
MAS)
il
senso
dell’onore
e
della
coerenza,
pur
fuori
luogo
e
mal
giustificato,
forse
non
avrebbe
spinto
molti
fascisti
a
ritornare
a
sbagliare:
in
aggiunta
alla
caduta
del
regime
il
governo
Badoglio
dopo
un
mese
e
mezzo
di
continuazione
nel
conflitto,
tenendo
all’oscuro
i
Tedeschi
dei
suoi
propositi,
firmò
l’armistizio.
Esistevano
modi
più
dignitosi
e
meno
traumatici
per
uscire
da
una
guerra
in
cui
assolutamente
l’Italia
non
doveva
entrare
come
promotrice
accanto
ai
nazisti.
Il
percorso
ideologico
dell’ultimo
fascismo
monarchico
fu
caratterizzato
dall’indelebile
e
gravissima
responsabilità
nell’adozione
di
provvedimenti
discriminatori
verso
gli
Ebrei
seguendo
il
pessimo
e
tragico
esempio
nazista.
Bisogna
ricordare
che
l’antisemitismo
moderno
ebbe
una
gestazione
religiosa
che
ne
assecondò
la
diffusione,
tant’è
che
nel
caso
fascista
si
accennava
a
richiami
di
norme
antisemite
emanate
in
alcuni
concili
(quello
Lateranense
del
1215,
quello
di
Bezieres
del
1246
e
quello
di
Orleans
del
1553),
e
che
tra
le
varie
personalità
di
spicco
a
mostrare
plauso
per
le
leggi
razziali
italiane
ci
furono,
per
fare
qualche
significativo
esempio,
Romolo
Murri,
Luigi
Gedda,
Amintore
Fanfani,
Pietro
Badoglio
e
Giovanni
Guareschi.
Addirittura
l’espressione
«oremus
pro
perfidis
Iudeis
(preghiamo
per
i
perfidi
Ebrei)»
scomparirà
dalla
liturgia
cattolica
anni
dopo
l’Olocausto
con
il
Concilio
Vaticano
II
(1962-65).
Durante
il
periodo
della
Repubblica
sociale
fascisti
e
nazisti
non
andarono
perfettamente
d’accordo:
i
Tedeschi
allargando
i
propri
confini
erano
arrivati
fino
all’Adriatico
ed
un
canto
fascista
recitava:
«guai
a
chi
dal
Brennero
il
cippo
sposterà»;
inoltre
i
nazisti
non
gradivano
lo
spostamento
a
sinistra
della
politica
sociale
di
Salò
(lo
Stato
stava
per
chiamarsi
REPUBBLICA
SOCIALISTA
ITALIANA).
Il
fascismo
repubblicano
si
riallacciò
alle
proprie
origini
del
primo
dopoguerra
mondiale
(il
sansepolcrismo).
Il
filosofo
Giovanni
Gentile
che
aderì
alla
RSI
(come,
tra
altri,
Nicola
Bombacci,
uno
dei
fondatori
del
PCI)
aveva
definito
i
comunisti
«corporativisti
impetuosi».
Lenin
anni
addietro
era
stato
un
estimatore
del
Mussolini
socialista
massimalista.
Il
corporativismo
dell’ultimo
fascismo
proponeva
l’armonizzazione
integrale
del
mondo
del
lavoro
attraverso
la
soppressione
della
dicotomia
“datori
di
lavoro
/
prestatori
d’opera”
e la
creazione
di
un
unitario
organismo
sindacale
(da
ogni
base
corporativa
era
pure
prevista
l’elezione
di
ogni
ministro
del
governo
nazionale).
La
socializzazione
delle
imprese
fu
un
esperimento
che
spodestava
radicalmente
il
capitale
dal
suo
tradizionale
predominio
per
consegnare
la
direzione
imprenditoriale
privata
a
meccanismi
di
democrazia
interna
che
concedevano
larghissimi
spazi
ai
lavoratori.
Sotto
questo
profilo
sociale
d’analisi
risultano
interessanti
a)
il
punto
15
del
Manifesto
del
Partito
fascista
repubblicano
(diritto
alla
casa)
e b)
gli
articoli
113-124
del
progetto
costituzionale
della
Repubblica
(diritto
al
lavoro).
a)
Quello
della
casa
non
è
soltanto
un
diritto
di
proprietà,
è un
diritto
alla
proprietà.
Il
Partito
inscrive
nel
suo
programma
la
creazione
di
un
Ente
nazionale
per
la
casa
del
popolo,
il
quale,
assorbendo
l’Istituto
esistente
ed
ampliandone
al
massimo
l’azione,
provvede
a
fornire
in
proprietà
la
casa
alle
famiglie
di
lavoratori
di
ogni
categoria,
mediante
diretta
costruzione
di
nuove
abitazioni
o
graduale
riscatto
di
quelle
esistenti.
In
proposito
è da
affermare
il
principio
generale
che
l’affitto
–
una
volta
rimborsato
il
capitale
pagato
nel
giusto
frutto
–
costituisce
titolo
di
acquisto.
Come
primo
compito
l’Ente
risolverà
i
problemi
derivanti
dalle
distruzioni
di
guerra
con
la
requisizione
e la
distribuzione
di
locali
inutilizzati
e
con
costruzioni
provvisorie.
b)
113
- Il
lavoro
è il
soggetto
e il
fondamento
dell’economia
produttiva.
114
- Il
lavoro,
sotto
tutte
le
sue
forme
organizzative
ed
esecutive,
intellettuali,
tecniche
e
manuali
è un
dovere
nazionale.
Soltanto
il
cittadino
che
adempie
il
dovere
del
lavoro
ha
la
pienezza
della
capacità
giuridica,
politica
e
civile.
115
-
Come
l’adempimento
del
dovere
di
svolgere
l’attività
lavorativa
secondo
le
capacità
e
attitudini
di
ognuno
è
pari
titolo
di
onore
e di
dignità,
così
la
Repubblica
assicura
la
piena
uguaglianza
giuridica
di
tutti
i
lavoratori.
116
- La
Repubblica
garantisce
a
ogni
cittadino
il
diritto
al
lavoro,
mediante
l’organizzazione
e
l’incremento
della
produzione
e
mediante
il
controllo
e la
disciplina
della
domanda
e
dell’offerta
di
lavoro.
Il
collocamento
dei
lavoratori
è
funzione
pubblica,
svolta
gratuitamente
da
idonei
uffici
dell’organizzazione
professionale
riconosciuta.
117
-
Poiché
la
attuazione,
rigorosa
e
inderogabile,
delle
condizioni
fondamentali
costituenti
garanzia
del
lavoro
è di
preminente
interesse
pubblico,
la
disciplina
del
rapporto
di
lavoro
è
affidata
alla
legge
o
alle
norme
da
emanarsi
dall’organizzazione
professionale
riconosciuta.
Tali
norme
si
inseriscono
automaticamente
nei
contratti
individuali,
i
quali
possono
contenere
norme
diverse
ma
soltanto
più
favorevoli
al
lavoratore.
118
- La
retribuzione
del
prestatore
di
lavoro
deve
corrispondere
alle
esigenze
normali
di
vita,
alle
possibilità
della
produzione
e al
rendimento
del
lavoro.
Oltre
alla
retribuzione
normale
saranno
corrisposti
al
lavoratore
anche
nello
spirito
di
solidarietà
tra
i
vari
elementi
della
produzione,
assegni
in
relazione
agli
oneri
familiari.
119
-
L’orario
ordinario
di
lavoro
non
può
superare
le
44
ore
settimanali
e le
8
ore
giornaliere,
salvo
esigenze
di
ordine
pubblico
per
periodi
determinati
e
per
settori
produttivi
da
stabilirsi
per
legge.
La
legge
o le
norme
emanate
dalle
associazioni
professionali
riconosciute
stabiliscono
i
casi
e i
limiti
di
ammissibilità
del
lavoro
straordinario
e
notturno
e la
misura
della
maggiorazione
di
retribuzione
rispetto
a
quella
dovuta
per
il
lavoro
ordinario.
120
- Il
lavoratore
ha
diritto
a un
giorno
di
riposo
ogni
settimana,
di
regola
in
coincidenza
con
la
domenica
e a
un
periodo
annuale
di
ferie
retribuito.
121
-
Ogni
lavoratore
ha
diritto
a
sciogliere
il
rapporto
di
lavoro
a
tempo
indeterminato.
Se
il
licenziamento
avviene
senza
sua
colpa,
il
lavoratore
ha
diritto,
oltre
a un
congruo
preavviso,
a
un’indennità
proporzionata
agli
anni
di
servizio.
122
- In
caso
di
morte
del
lavoratore,
quanto
a
questo
spetterebbe
se
fosse
licenziato
senza
sua
colpa,
spetta
ai
figli,
al
coniuge,
ai
parenti
conviventi
a
carico
o
agli
eredi,
nei
modi
stabiliti
dalla
legge.
123
- La
previdenza
è
un’alta
manifestazione
del
principio
di
collaborazione
tra
tutti
gli
elementi
della
produzione,
che
debbono
concorrere
agli
oneri
di
essa.
La
Repubblica
coordina
e
integra
tale
azione
di
previdenza,
a
mezzo
dell’organizzazione
professionale,
e
con
la
costituzione
di
speciali
Istituti
per
l’incremento
e la
maggiore
estensione
delle
assicurazioni
sociali.
L’opera
convergente
dello
Stato
e
delle
categorie
interessate
deve
garantire
a
tutti
i
lavoratori
piena
assistenza
per
la
vecchiaia,
l’invalidità,
gli
infortuni
sul
lavoro,
le
malattie,
la
gravidanza
e
puerperio,
la
disoccupazione
involontaria,
il
richiamo
alle
armi.
124
-
Allo
scopo
di
dare
e
accrescere
la
capacità
tecnica
e
produttiva
e il
valore
morale
dei
lavoratori
e di
agevolare
l’azione
selettiva
tra
questi,
la
Repubblica,
anche
a
mezzo
dell’associazione
professionale
riconosciuta,
promuove
e
sviluppa
l’istruzione
professionale.
A
distanza
di
tanti
anni
da
quegli
eventi
si
parla
del
“sangue
dei
vinti”,
il
giornalista
Giampaolo
Pansa
ha
affrontato
in
alcuni
suoi
libri
un
rovescio
della
medaglia
poco
noto.
Se
il
fascismo
fu
protagonista
e
promotore
di
violenza
e
guerre,
fermamente
da
condannare,
in
frangenti
della
sua
azione,
in
contesti
vari
in
cui
non
efficace
fu
la
mediazione
per
evitare
il
peggio
e
queste
vie
trovavano
facile
accesso,
è
anche
vero
che
i
fascisti
di
Salò,
che
credevano
in
idee
solamente
in
parte
lecite,
subirono
violenze
altrettanto
ingiustificabili.
Pansa
ha
trattato
lunghe
serie
di
episodi
riguardanti
i
cosiddetti
“repubblichini”.
Mai
un
male
può
giustificarne
un
altro:
la
violenza
è
incompatibile
con
la
civiltà
umana
e
con
la
democrazia,
entrambe
vanno
difese
da
qualsiasi
attacco
e
dal
pericolo
di
disordini
sociali,
conflitti
bellici
e
discriminazioni
di
tutti
i
tipi.
La
Repubblica
sociale
ebbe
a
carico
un
enorme
numero
di
vittime
a
causa
della
guerra
e
dell’occupazione
militare
straniera,
il
suo
patrimonio
d’idee
può
essere
analizzato
per
vedere
ciò
che
non
porta
il
segno
del
male.
Il
corporativismo
fascista
non
coinvolge
ideologicamente
l’antisemitismo,
e il
primo
considerato
per
sé
può
essere
studiato
come
dottrina
socio-economica
autonoma.
Da
una
ideologia
che
non
sia
integralmente
votata
al
male,
come
invece
lo
fu
il
nazionalsocialismo,
la
parte
concettualmente
sana
può
distinguersi,
tenendo
ben
chiaro
ed
inamovibile
che
la
netta
ed
universale
condanna
maturata
verso
tutte
le
persecuzioni
e lo
sterminio
degli
Ebrei
perseguiti
dai
nazisti
e
dai
loro
alleati
non
può
in
nessun
tempo
ed
in
nessun
luogo
essere
rimossa
o
corrotta
da
forme
di
negazionismo
o
menomata
da
qualsiasi
analisi.