N. 12 - Maggio 2006
PIAZZA DJEMAA
EL-FNA
Nel cuore di Marrakech
di
Matteo Liberti
Djemaa El-Fna
è il cuore pulsante di Marrakech, per certi
aspetti dell’intero Marocco, ne riassume i tempi, il
divenire del giorno e della notte; tra le sue
attrazioni antropologiche si perdono i turisti e i
viaggiatori, ma soprattutto vi passano l’esistenza,
ogni giorno, gli uomini e le donne di Marrakech, come
in un palcoscenico all’aria aperta.
Il luogo in questione altro non è che la piazza del
mercato della medina (la città vecchia) di
Marrakech: è qui che si svolge gran parte di tutta la
vita sociale, culturale e turistica.
Di giorno è puntualmente attraversata da acrobati,
danzatrici, ammaestratori di serpenti, musicisti,
venditori di acqua in costume, con le tradizionali
borse di cuoio e le tazze di ottone, bancarelle di
cianfrusaglie, dentisti ambulanti e circondata dalle
decine di banchi disposti lungo la sua circonferenza e
la cui mercanzia è rappresentata da spremute di
arancia fatte sul momento.
Ci sono poi i cantastorie, che per qualche Dirham
raccontano il loro sapere a piccole fette di umanità
sedute in terra ad ascoltare, una tradizione
fondamentale della vita della città, e le abilissime,
veloci, disegnatrici di tatuaggi a base di henné:
ciascuno si posiziona nel proprio spazio immaginario,
detto halqa.
Ogni giorno.
Di notte tutto ciò scompare, anche se apparentemente
quel che avviene è una trasformazione, una mutazione: prendono possesso della piazza moltitudini
di piccoli carretti che, aperti, rivelano la loro
natura segreta di veri e propri ristoranti ambulanti:
ne escono panche e tavoli, griglie, legna ed attrezzi
da cucina.
La piazza è pronta per una sorta di cena collettiva,
avvolta nei fumi dei bracieri e negli odori di pesce,
carne, verdure, zuppe e spezie. Pane arabo e bevande
rigorosamente analcoliche completano la cena, la
festa, la notte.
Ogni notte.
Festa che si protrae per buona parte delle ore del
buio, sublimando il valore nero, macabro, che è
proprio di piazza Djemaa El-Fna, il cui nome, secondo
una delle sue interpretazioni, significa più o meno
raduno dei morti, dall’uso di un tempo di
svolgervi le pubbliche esecuzioni, con le teste dei
condannati lasciate in mostra come esempio per gli
altri.
Altro significato, non meno suggestivo: la
moschea svanita, con riferimento ad una
costruzione fatta erigere da un sultano almoravide
(dinastia di sultani di origine berbera che
governò sul Maghreb tral'XI ed il XII secolo) e poi
distrutta.
Quel che sia l'origine del suo nome, la sua
funzione attuale è quella di catino colorato, di
calderone umano: l’intera città di Marrakech, ogni
giorno dell’anno, in presenza o in assenza di turisti,
converge attorno a questo caotico, pieno, strabordante
evento, o rito: chiunque, al primo approccio con esso,
non può non ritrovarsi a vagare stupito e
suggestionato, forse anche spaventato di una paura
buona, nell’inquietudine del suono-rumore e delle
migliaia di persone e odori e luci.
Intorno alla piazza, in alto, le terrazze di qualche
cafè ed un paio di ristoranti, dalle cui postazioni
arrivano costantemente i flash dei turisti.
Il Cafè della Francia, il Cafè Argana,
il Cafè Ghiacciaio, tra gli altri, hanno
difatti splendide terrazze in pieno stile arabo da
dove poter guardare lo spettacolo in tranquillità,
fuori dal caos, ma certamente perdendone parte del
senso.
Pur a suo modo meravigliosa, non è bella,
piazza Djemaa El-Fna, è anzi piuttosto brutta, formata
dall’unione ad elle di due spianate di cemento e
nessun edificio di rilievo, con una parte forse più
caratteristica rappresentata dall’ingresso al Souk,
a nord, da dove si accede al dedalo irregolare di
strette vie che formano il mercato, nel ventre della
medina.
Dall'altra parte della piazza domina invece lo spazio
il gigantesco minareto annesso alla Moschea
Koutoubia, l' edificio più alto della città con i
suoi quasi settanta metri di altezza, testimone della
magia e della vita che sotto di lui violentano i
giorni di Marrakech.
Tutti i giorni.
E tutte le notti. |