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N. 97 - Gennaio 2016 (CXXVIII)

PASOLINI A VENEZIA

TEOREMA E IL FESTIVAL DEL 1968

di Simone Pioltelli

 

La situazione a poche settimane dall’inizio della XXIX Mostra internazionale del cinema di Venezia era estremamente tesa. Già nel maggio 1968 il Festival di Cannes era stato occupato da studenti contestatori a cui si erano aggiunti diversi critici e registi, costringendo la direzione a sospenderlo. Eguali tensioni si ebbero durante la Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro dove però, grazie alla diplomazia del direttore Lino Micciché e del Sindaco della città, la rassegna poté proseguire senza interruzioni.

 

Sembrava certo che le contestazioni sarebbero presto arrivate anche in laguna, dopo aver scosso altre città italiane. Pier Paolo Pasolini era molto preoccupato, puntava molto sul suo nuovo film Teorema, un’opera nella quale si indaga la presenza del sacro in una famiglia borghese, che avrebbe presentato in concorso a Venezia, nell’agosto di quel caldo 1968. La tensione era già molto alta ben prima dell’apertura della Mostra, come ben dimostra il proclama di luglio nel quale viene annunciata l’ostilità alla rassegna da parte dell’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC), lasciando comunque completa libertà di partecipazione ai propri soci, Pasolini compreso. Il regista non voleva infatti rinunciare ad un’occasione così importante per sé e per il suo film; le preoccupazioni maggiori arrivavano però non tanto dagli autori, quanto dagli studenti e dai contestatori che minacciavano di portare il caos in città.

 

Inizialmente Pasolini non era schierato dalla parte dei contestatori, limitandosi a qualche proposta di riforma del Festival. In una dichiarazione a Paese sera del 1 agosto 1968, l’autore disse che era necessaria un’urgente revisione dello statuto fascista della Mostra. In particolare riteneva necessario proibire l’accesso ai giornalisti durante le proiezioni, condizione fondamentale per preservare la purezza della rassegna. Due settimane più tardi, in un suo articolo apparso su Il giorno del 15 agosto, ribadisce però la volontà di presentare il film, opponendosi a quello che definisce fascismo di sinistra, un fenomeno assolutamente nuovo che aveva creato un certo terrore ideologico. Un nuovo tipo di fascismo, un nuovo conformismo, rifugio di moralisti finti giovani e di giovani borghesi, che agisce sotto il segno dell’intimidazione. Pasolini era convinto che si dovesse sfruttare cinicamente il sistema per fare e far conoscere le proprie opere e non si poteva impedire gli autori a tacere; continuare ancora quella lotta era inutile, in quanto il fronte di protesta era talmente ampio che era impossibile che lo statuto fascista della Biennale non venisse rinnovato. Chiuse l’articolo chiedendo al direttore della Biennale Luigi Chiarini due condizioni: abolire per l’edizione del 1968, in attesa di un nuovo statuto, la cerimonia di premiazione con il Leone d’oro e l’assenza di polizia.

 

Queste richieste furono presentate al direttore il giorno successivo, il 16 agosto, direttamente da Pasolini, accompagnato da Liliana Cavani e Bernardo Bertolucci. Dopo un’intera giornata di discussioni si giunse finalmente ad un compromesso: i tre registi avrebbero partecipato al concorso, senza però mettersi in gara per i premi. Per quanto riguardo l’altra richiesta sarebbe stato il Prefetto e il questore a decidere l’eventuale intervento della polizia. La posizione di Pasolini fu, come pare ovvio, duramente criticata dai comunisti, tra cui il critico de l’Unità Sergio Spina che scrisse che non rinunciare alla Mostra e accusare i contestatori di fascismo voleva dire frenare ogni possibile rinnovamento del cinema italiano.

 

La situazione si fece ancora più tesa nei giorni successivi quando, nella notte tra il 18 e 19 agosto, ignoti fecero esplodere una bomba carta di fronte al Palazzo del cinema. Nonostante l’accaduto vennero comunque inaugurate le rassegne minori: il concorso di film per ragazzi e quello dei film documentario; a quest’ultimo, tra l’altro, partecipò lo stesso Pasolini con un mediometraggio televisivo intitolato Appunti di viaggio per un film in India.

 

Il 20 agosto accadde l’inaspettato: l’ANAC decise di ritirare i film dei suoi registi in concorso e di occupare il Palazzo del cinema il 25 agosto, giorno dell’inaugurazione, spalleggiata da critici, registi, intellettuali, giovani studenti e, cosa ancor più sorprendente date le dichiarazioni dei giorni precedenti, da Pasolini. L’autore dichiarò che, in seguito ad incontri coi registi dell’ANAC, questi si trovarono perfettamente in linea con le sue posizioni riguardo la necessità di serie riforme a favore del cinema e per la modifica del codice fascista della Biennale, decidendo perciò di unirsi alla lotta che l’Associazione stava combattendo. L’ANAC aveva progettato un’invasione pacifica della sala principale, senza comunque impedire la proiezione delle opere. La Mostra si sarebbe tenuta, ma non la premiazione finale. Era questa l’autogestione a cui aspiravano i registi contestatori; durante l’occupazione una loro assemblea permanente si sarebbe occupata di elaborare un nuovo statuto così da trasformare la Biennale in un vero organo democratico.

 

L’apertura stessa della Mostra fu messa in dubbio e la decisione a riguardo fu rinviata ai giorni seguenti. Molte furono le domande riguardo l’improvviso cambio di rotta di Pasolini, ma ben poche ed evasive furono le risposte. Forse i registi dell’ANAC gli parlarono, richiamarono la sua coscienza di compagno, di comunista che non poteva non unirsi alla lotta contro le ingiustizie, facendogli cambiare idea. Nonostante questo cambio di rotta, molti giornalisti credevano che il film Teorema sarebbe stato comunque presentato, date le proteste del produttore Franco Rossellini, nipote di Roberto. Pochi sapevano come sarebbe andata a finire: da un lato i registi dell’ANAC che minacciavano l’invasione, dall’altra i critici e i giornalisti che erano convinti che la Mostra si sarebbe tenuta comunque.

 

Si arrivò così al 25 agosto, il giorno dell’inaugurazione, nella confusione più totale. Ancora per tutta la mattinata nessuno sapeva che cosa sarebbe stato del Festival. In serata, verso le 19,30, fu emanato un comunicato del direttore Chiarini nel quale si dichiarava che, per cause di forza maggiore, la XXIX Mostra Internazionale del Cinema di Venezia era sospesa e l’apertura rimandata al 27 agosto. Le giornate furono occupate da riunioni di cineasti e studenti, cortei improvvisati, tentativi di accordi con Chiarini e il presidente della Biennale, Giovanni Favaretto Fisca, e anche contromanifestazioni da parte di chi era stanco di quelle proteste. Si cercarono nuovi accordi tra l’ANAC e Chiarini: i registi si dissero pronti a collaborare qualora la Mostra fosse stata gestita sotto l’aspetto burocratico, amministrativo e tecnico dal Consiglio Comunale di Venezia, mentre un comitato di coordinamento si sarebbe occupato della sua gestione culturale. Ma questa proposta fu bocciata da Chiarini; il Festival era una sua creatura e non poteva accettare che fosse gestita da un comitato di coordinamento.

 

Il 26 agosto i facenti parte al comitato per il boicottaggio organizzarono una riunione nel Palazzo del cinema, nella sala Volpi. In serata fu accolta la proposta di Pasolini di indire subito un’assemblea congiunta di cineasti e giornalisti; nel frattempo il consiglio della Biennale annunciò che la Mostra sarebbe stato finalmente inaugurata il giorno successivo, ordinando lo sgombero della sala Volpi entro le 11 di sera di quello stesso giorno, ora poi prorogata alla mezzanotte e infine all’una. Furono pochi i giornalisti che abbandonarono la riunione entro l’ora prefissata, mentre la maggioranza rimase ai propri posti. La polizia, dopo ripetuti avvisi, fece irruzione nel palazzo verso le due di notte, portando fuori, senza comunque usare la violenza, i contestatori.

 

La direzione della Biennale aveva ormai vinto e fu lo stesso Pasolini a confermarlo. Ma l’autore lanciò una nuova idea provocatoria: organizzare un parallelo controfestival veneziano alla quale avrebbero partecipato tutti i registi contestatori, italiani e stranieri. Un’idea che rimase però tale, dato che già altri registi che avevano partecipato alle proteste come Bernardo Bertolucci, Liliana Cavani, Dino Risi e Giorgio Bontempi confermarono la loro regolare partecipazione al Festival, lasciando la rassegna pasoliniana senza film. Si giunse così, senza ulteriori intoppi, all’apertura della Mostra, prevista per la sera del 27 agosto.

 

Molti si chiesero, nei giorni successivi, se Pasolini avrebbe partecipato alla rassegna oppure no. Qualche novità sembrò esserci qualche giorno dopo, quando durante un ricevimento a Palazzo Ducale, il regista Bontempi confermò che Teorema sarebbe stato in gara, per volontà del produttore Rossellini. Giunse il 4 settembre, il giorno in cui era prevista la prima del film. Pasolini decise di continuare nelle sue proteste e annunciò che non avrebbe preso parte alla proiezione. Nonostante le rimostranze dell’autore, che avrebbe voluto impedire la visione ai giornalisti, il film fu regolarmente proiettato la sera stessa. Furono pochi i critici che seguirono l’invito di Pasolini a disertare la serata per solidarietà col regista, secondo cui l’ultima parola doveva spettare a lui, vero autore e proprietario dell’opera, e non al produttore della pellicola.

 

Il film generò scandalo ma fu apprezzato da molti giornalisti che lo indicarono come possibile vincitore. Inaspettatamente, durante la serata di premiazione dell’8 settembre, Teorema non vinse il massimo premio ma ottenne comunque la coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile, vinta da Laura Betti, e il premio dell’OCIC (Organizzazione Cattolica Internazionale per il Cinema e l’audiovisivo). Quest’ultimo premio spaccò il mondo dei critici e l’ambiente cattolico tra chi riconosceva effettivamente nell’opera un’ispirazione religiosa e tra chi la indicava come scandalosa e blasfema.

 

Oltre ai problemi con la Chiesa, Pasolini incorse anche in guai giudiziari. Il 13 settembre il film fu sequestrato per ordine del sostituto procuratore della Repubblica, perché ritenuto osceno. Negli ultimi mesi del 1968 Pasolini si trovò perciò impegnato a correre di tribunale in tribunale, di processo in processo. L’ultimo a Teorema si sommava infatti a quelli già in corso e che si trascinavano da mesi. Il processo fu trasferito da Roma a Venezia e con esso anche le bobine del film. Una prima sentenza si ebbe il 23 novembre: il tribunale veneziano assolse l’imputato perché il fatto non costituiva reato. Ma si dovette aspettare oltre un anno, il 29 novembre 1969, per la definitiva archiviazione del processo e la conseguente assoluzione di Pasolini e del suo film. Il regista riuscì a farsi assolvere dimostrando che l’opera non era oscena in quanto tutta un’allegoria, mentre i rapporti sessuali non erano veristici ma simbolici.

 

Oltre a questo processo, dovette fronteggiare nel medesimo periodo, in seguito alle aspre proteste cattoliche, compresa quella di papa Paolo VI, la revisione, da parte del Comitato direttivo dell’OCIC, della decisione presa in occasione della Mostra veneziana. La decisione arrivò verso metà marzo e il verdetto fu pubblicato da L’Osservatore Romano: con la concessione del premio al film di Pasolini non si aveva rispettato il popolo cristiano né il premio stesso e inoltre i valori positivi che la giuria aveva pensato di ravvisare, non potevano essere alla portata del normale pubblico che frequentava le sale cinematografiche e sarebbe stato perciò incomprensibile per la maggior parte di esso.

 

La revisione del giudizio da parte dei cattolici fu un duro colpo per Pasolini che poté però consolarsi con il dissequestro della pellicola, ottenendo un grande successo di pubblico, in particolare a Parigi, che lo convinse a concentrarsi ancor più sull’effettiva realizzazione di un’opera che aveva progettato tempo prima: un film sulla vita di San Paolo.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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