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N. 17 - Ottobre 2006

LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE CINESI

La società cinese contemporanea e le ONG

di Francesca Panasiti

 

Uno dei fenomeni più caratteristici della società cinese contemporanea è costituito dalla comparsa e dallo sviluppo del settore delle organizzazioni non governative (ONG).

Lo sviluppo della società civile è spesso considerato un indicatore del progresso, un prerequisito alla democrazia e un’espressione del pluralismo politico. Per quei paesi che attraversano una fase di transizione – da un’economia pianificata ad un’economica di mercato e da un sistema monopartitico ad uno multipartitico – la società civile riempie quello spazio associativo tra lo stato e i privati cittadini all’interno del quale i processi partecipativi e le istituzioni democratiche possono cominciare ad attecchire e a prosperare[i].

Nella Repubblica Popolare cinese i cambiamenti innescati dal processo di riforma economica, inaugurato alla fine degli anni ’70, hanno creato nuove opportunità per la partecipazione della cittadinanza, alterando le sue modalità di auto – organizzazione e di interazione con l’apparato statale.

Dal punto di vista dei singoli individui, il cambiamento innescato dalla politica delle Quattro Modernizzazioni ha operato una transizione radicale da una vita regolata in ogni suo aspetto dallo stato, ad una nella quale l’esistenza di un tempo privato ha trovato una sua legittimazione. La maggiore flessibilità delle regole di registrazione della popolazione, l’hukou, e lo smantellamento delle unità di lavoro, i danwei, hanno restituito ai cittadini cinesi la possibilità di scegliere dove vivere, cosa studiare, quale professione intraprendere. Il processo di modernizzazione ha consentito loro di riappropriarsi di una certa libertà di impresa, di riunione e di associazione, sancita dall’articolo 35 della Costituzione del 1982, a patto però che non venga varcata la frontiera della rivendicazione e della militanza politica.

Dal punto di vista economico, l’innesto dei meccanismi di mercato sul preesistente sistema di economia pianificata non sembra affatto aver mirato ad un abbandono della struttura socialista, caratterizzata dal ruolo indiscusso ed esclusivo del partito comunista, ma ad un potenziamento della sua efficienza produttiva allo scopo di incrementare la stabilità sociale e consolidare il potere dei quadri dirigenti. I risultati di questo processo sono stati da un lato una straordinaria crescita economica, dall’altro una serie di conseguenze negative per la popolazione cinese, tra le quali l’inasprimento del divario città – campagna,  l’ allargamento della disparità di crescita tra la cosiddetta “Cina blu” e la “Cina gialla”[ii], con conseguenti fenomeni di migrazione verso le aree più ricche, l’aumento della disoccupazione, foriero di minacce per il sistema di sicurezza sociale in vigore, l’innalzamento dei valori relativi all’inquinamento e al degrado ambientale causato da un maggiore sfruttamento delle risorse naturali, per accelerare lo sviluppo del paese, e dal consolidamento dell’uso di fertilizzati e pesticidi, al fine di soddisfare una popolazione in continuo accrescimento e di incentivare la produzione agricola.

Il governo cinese, una volta ammessa l’inadeguatezza dei propri mezzi nel risolvere i problemi sociali e ambientali creatisi, è stato costretto a delegare parte delle proprie funzioni e responsabilità al settore privato o alla società, adottando una nuova strategia nota come “un piccolo governo, una grande società”, il cui scopo era soddisfare le lacune statali nell’erogazione del welfare attraverso lo sviluppo della società civile, della quale però intendeva conservare il controllo e la gestione.

Sebbene il concetto di società civile rimanga una nozione piuttosto astratta e difficilmente misurabile, è possibile valutarne le effettive condizioni e le potenzialità utilizzando un indicatore concreto: la presenza e la crescita delle organizzazioni non governative. 

Definizione di organizzazione non governativa cinese

Il settore delle ONG è stato spesso descritto come un settore estremamente vario ed eterogeneo, che raggruppa organizzazioni con obiettivi, strutture e motivazioni molto diversificate per le quali esistono diversi regimi giuridici atti a regolamentarle: non è agevole dunque trovare una definizione comune di organizzazione non governativa.

Il dibattito internazionale sulla definizione di organizzazione nonprofit, avviato alla fine degli anni ’80 ha trovato una sintesi nel John Hopkins Comparative Nonprofit Sector Project[iii], un progetto di ricerca comparata diretto dal Professor Lester Salamon, iniziato nel 1990, che ha avuto, tra gli altri, il merito di adottare una definizione comune basata sull’individuazione delle caratteristiche fondamentali che accomunano le ONG[iv]:

Costituzione formale: possiedono un carattere istituzionale o formale

Natura privatistica: sono indipendenti, in particolare da governi e altre autorità pubbliche, nonché da partiti politici o da organizzazioni commerciali

Non profit: hanno un fine non lucrativo in quanto non è data alcuna distribuzione di utili

Autonomia gestionale: sono loro stesse a gestire e controllare il proprio lavoro

Base volontaristica: si servono di lavoro volontario

Uno dei problemi derivante da una accettazione sic et simpliciter di questa definizione è l’impossibilità di applicarla alle associazioni cinesi che, come si vedrà in seguito, godono di un grado di un’indipendenza discutibile avendo stretti legami con lo stato anche per motivi legislativi. Questa difficoltà ha portato alcuni studiosi a preferire il termine “organizzazioni sociali” a quello di “organizzazioni non governative”, anche sulla base di una discreta varietà terminologica, nonché di una certa ambiguità semantica, presenti nella lingua cinese.

Uno dei termini cinesi più diffusi per indicare le associazioni esterne alla struttura statale è shehui tuanti o shetuan, ovvero “organizzazioni sociali”: il suo uso è antecedente alla fondazione della Repubblica Popolare e alcuni studiosi ritengono persino che le prime forme di organizzazioni sociali cinesi risalgano al periodo cosiddetto di “Primavera e Autunno”[v] (770 – 454  a.C.). In ogni caso oggi viene usato soprattutto per indicare quelle forme di associazionismo privato apparse per la prima volta all’inizio del XX secolo e dal 1949 in poi è stato introdotto nei documenti legislativi cinesi ed utilizzato nelle normative del 1950, 1989 e 1998 per indicare i gruppi al di fuori del sistema statale.

Per riferirsi a questi tipi di associazioni esistono poi altre due locuzioni verbali adoperate ufficialmente ma in maniera più specifica. Renmin tuanti, “organizzazioni del popolo”, appare nella Costituzione del 1954, del 1982 ed in altri documenti del governo. L’espressione qunzhong zuzhi, “organizzazione di massa”, sebbene non sia mai stata inserita in un documento legislativo, viene menzionata in molte occasioni ufficiali. Solo un numero ridotto di organizzazioni importanti viene classificato con i due suddetti vocaboli, e l’uno non esclude l’altro. La All China Federations of Trade Unions (ACFTU), la Chinese Communist Youth League (CCYL) e la All China Women’s Federation sono organizzazioni di massa nella loro struttura, ma sono considerate organizzazioni del popolo per sottolinearne il prestigio. Questi due tipi di organizzazioni non devono essere registrate presso il Ministero degli Affari Civili[vi] e non sono soggette alla sua supervisione, com’è previsto invece per tutte le organizzazioni sociali e pur essendo catalogate come tali.

Le renmin tuanti e le qunzhong zuzhi  hanno una notevole tradizione storica e considerevoli implicazioni politiche. Il primo termine venne coniato dal Partito Nazionalista (Guomindang) negli anni ’20 ed è ancora oggi utilizzato a Taiwan. Dopo il 1949, il governo della RPC se ne appropriò per riferirsi a tutte quelle organizzazioni che erano state ammesse a partecipare alla prima Conferenza Consultiva del Popolo cinese nel settembre 1949, le stesse che avevano partecipato alla guerra contro il Guomindang e che, avendo accettato poi di aderire alla lotta rivoluzionaria, potevano godere di alcuni privilegi, quali l’esenzione dalle pratiche di registrazione.

Anche il termine qunzhong zuzhi gode di un certo peso politico: qunzhong significa letteralmente “le masse” ma nel vocabolario del Partito Comunista esso viene utilizzato per distinguere i non appartenenti al partito, qunzhong appunto, dai suoi membri, dangyuan:  diversità di status politico discriminante nella vita quotidiana del singolo individuo, incidendo ad esempio sulle sue opportunità di lavoro o di carriera all’interno di ambienti accademici e non.

Masse e partito costituiscono il binomio inscindibile, pur nella sua natura contraddittoria, del sistema socialista cinese alla nascita: il PCC cinese si proponeva di formulare direttive che fossero manifestazioni delle aspirazioni delle masse che, dal canto loro, dovevano aderire con una partecipazione totale e attiva sul piano esecutivo. In questo quadro le organizzazioni di massa fungevano da tramite tra il partito e il popolo, diventavano forme istituzionali e permanenti di mobilitazione e controllo, in un contesto di subordinazione verso il governo.

Nel corso del tempo, soprattutto a partire dagli anni ’80, la natura di queste organizzazioni ha cominciato a modificarsi, a perdere quell’impostazione maoista che le vedeva unicamente cinghie di trasmissione delle direttive emanate dall’alto e ad avvalersi di nuovi elementi di spontaneità nello sforzo di rappresentare gli interessi autentici dei propri membri e di risolverne i problemi concreti. L’atteggiamento del governo, come vedremo meglio in seguito, è stato quello di spingere le associazioni verso una maggiore autosufficienza, ma non verso una vera e propria indipendenza, considerato il valore politico da esse ricoperto.

Altre due locuzioni per indicare le organizzazioni non governative sono minjian zuzhi e feizhengfu zuzhi, che possiedono una loro propria origine e connotazione politica. Minjian, in un’accezione piuttosto antica, costituisce un’ antinomia delle parole guanban e zhenfu Minjian zuzhi esprimerebbe dunque il concetto opposto a quello di “organizzazioni del governo”. Il vocabolo rileva la capacità di auto-organizzazione, senza l’intervento dello stato, delle organizzazioni a cui viene associato.

Agli inizi degli anni ’50 nove organizzazioni religiose, minjian zongjiao tuanti e le loro diramazioni locali furono identificate come società segrete antirivoluzionarie e bandite ufficialmente. La rilevanza politica dell’evento determinò una rarefazione del termine che da allora in poi e fino agli anni ’80 venne utilizzato solamente per indicare le organizzazioni non governative straniere che avevano assunto un’importanza rilevante come canali di comunicazione tra la Cina e il mondo esterno. Negli anni ’90 l’uso del vocabolo tornò a moltiplicarsi e nel 1999 l’agenzia governativa preposta alla supervisione di tutte le ONG nazionali registrate presso il MOCA è stata ribattezzata Minjian zuzhi guanliju che tradotto letteralmente significherebbe “Ufficio per la gestione delle organizzazioni popolari”, sebbene il suo nome ufficiale sia “Ufficio per la gestione delle ONG”.

Il termine feizhenfu zuzhi non è propriamente cinese ma è un calco sintattico dall’inglese “non governmental organization” diffuso nell’ambito della quarta “Conferenza Mondiale della Donna” tenutasi a Pechino nel 1995, attraverso una serie di incontri, seminari e laboratori organizzati dalla All-China Women’s Federation. Da allora in poi feizhengfu zuzhi e più tardi feiyingli zuzhi , ovvero “organizzazione nonprofit”, sono diventate espressioni formali del vocabolario politico cinese. Ciononostante, mentre le ONG straniere sono comunemente chiamate feizhenfu zuzhi, le associazioni locali sono riluttanti a definirsi nello stesso modo soprattutto per una semplice motivazione linguistica: la parola fei in cinese significa non solo “non”, ma anche “anti” oppure “sbagliato”. Per questo motivo le ONG cinesi preferiscono al suo posto la dicitura “organizzazione non profit”, nella quale l’avverbio fei precede “profit” e non “governo”.

L’ambito legale delle ONG

Sotto le direttive di Mao, il 19 ottobre 1950, venne adottato il cosiddetto “Provvedimento Provvisorio sulla Registrazione delle organizzazioni sociali”, il primo documento legale relativo alle organizzazioni non governative nella storia della Repubblica Popolare cinese. Il testo era incentrato sull’affermazione dei diritti dei cittadini, sulla punizione dei controrivoluzionari e la repressione delle loro attività. In base a questo principio tutte le ONG classificate come “feudali” o “reazionarie” vennero messe al bando; alcune altre invece, come l’Alleanza Democratica cinese e il 9.3 Institute , che avevano mantenuto un orientamento politico pro – comunista ed avevano assistito il partito durante il conflitto contro il Giappone e la guerra civile, furono trasformate in partiti democratici e inglobati nella Conferenza Politica Consultiva ma finirono col perdere l’indipendenza e la propria identità politica. Le associazioni di categoria vennero fuse all’interno delle organizzazioni governative che ricevevano fondi dallo stato e lo aiutavano a prendersi cura del benessere sociale dei lavoratori.

Allo scopo di riportare tutte le cosiddette associazioni di massa all’interno della struttura politica del partito, il Ministero degli Affari Civili divenne responsabile della registrazione e della gestione delle ONG, classificate nelle seguenti categorie:

Organizzazioni di massa coinvolte in attività sociali, inclusi i sindacati, le associazioni dei contadini, la Federazione dell’industria e del commercio, la Federazione delle donne, la Lega giovanile;

Organizzazioni per i servizi pubblici, come la China Welfare Association e la Croce Rossa;

Gruppi di arte e letteratura, come l’ Art and Literature Association e la Theater and Drama Association;

Organizzazioni per la ricerca accademica, inclusi le associazioni di professionisti, quali l’Associazione Medica e la Social Sciences Workers’ Association;

Organizzazioni religiose, come i gruppi cristiani o buddisti;

Altre organizzazioni riconosciute dalla legge

La perdita d’indipendenza affiancata ad un’attività quasi meramente veicolare, atta ad incrementare il controllo del partito sulla popolazione, rese le organizzazioni di massa di stampo maoista semplici forme permanenti e istituzionali di mobilitazione di massa: per garantire la supervisione della nuova amministrazione i gruppi non direttamente associati con gli organi di governo e di partito erano sottoposti all’autorità del Dipartimento del Fronte Unito, che aveva il compito di continuare a coinvolgere l’intera cittadinanza nella lotta comune, in base al principio noto come “linea di massa”, volto a conciliare una concezione quasi mistica della creatività delle masse con il ruolo direzionale riconosciuto al partito comunista, avvalendosi non della mera sottomissione delle masse bensì della loro adesione totale e incondizionata alle decisioni prese dall’alto.   

Dal 1950 all’inizio del processo di riforma, inaugurato alla fine degli anni ’70, il governo cinese fu in grado di mantenere il proprio controllo sulle organizzazioni sociali, persino durante il momento confuso e per certi aspetti drammatico della Rivoluzione Culturale.

Alla fine degli anni ’80 il governo cinese promulgò tre nuovi regolamenti amministrativi per rispondere alle necessità derivanti dallo sviluppo del settore non governativo, le “Norme relative alla registrazione e alla gestione delle organizzazioni sociali”, le “Norme relative alla registrazione e alla gestione delle Fondazioni” e il “Regolamento Provvisorio per l’amministrazione delle Camere di Commercio straniere in Cina”, le ultime due pubblicate in seguito agli incidenti di Piazza Tiananmen del 4 giugno 1989. Il tono generale dei tre provvedimenti legislativi enfatizza il controllo del governo  e introduce un sistema di management su due livelli: accettazione di un ente governativo garante propedeutica alla registrazione presso il Ministero degli Affari Civili o presso le sue estensioni provinciali e municipali.

In nessuno dei documenti succitati è presente una definizione del termine “organizzazioni sociali” ma nelle “Norme relative alla registrazione e alla gestione delle organizzazioni sociali” il governo si limita a stilare una lista di tutti i tipi di associazioni riconosciute, suddividendole in cinque categorie generali, basate sul settore professionale e le funzioni organizzative:

Organizzazioni scientifiche o accademiche

Associazioni di categoria

Associazioni commerciali o industriali

Associazioni unite

Enti finanziatori

Alla fine degli anni ’90 le “Norme relative alla registrazione e alla gestione delle organizzazioni sociali” subiscono un processo di revisione, fautore di una nuova classificazione ufficiale per le organizzazioni non governative cinesi, che riunisce i cinque sottoinsiemi, precedentemente individuati, nell’unica categoria di “organizzazioni sociali”, intese come gruppi volontari formati da cittadini cinesi allo scopo di realizzare un obiettivo condiviso, in accordo ai propri regolamenti, e di sviluppare attività senza scopo di lucro (articolo 2).

L’Articolo 4 delle “Norme relative alla registrazione e alla gestione delle organizzazioni sociali” stabilisce che le organizzazioni sociali devono rispettare la Costituzione, le leggi, i regolamenti e la politica di Stato. Non possono opporsi ai principi sanciti dalla Costituzione, mettere in pericolo l’unità e la sicurezza dello Stato e l’unità nazionale, recare danno agli interessi dello Stato, agli interessi pubblici della società, ai diritti legali ed ai benefici di altre organizzazioni ed altri cittadini, né tanto meno andare contro l’etica ed i costumi sociali.

Permane la richiesta di registrazione presso il Ministero degli Affari Interni o ad uno dei suoi uffici regionali o locali, a cui ci si riferisce come denji guanli jiguan ovvero “ufficio per la registrazione e la gestione”, previa accettazione di un’unità di patrocinio, yewu zhuguan danwei, ovvero un dipartimento del governo o del partito che funge da garante. In caso di rifiuto non è chiaro se l’organizzazione possa o meno rivolgersi ad un altro ente garante ma nel concreto questa possibilità incontra molte difficoltà pratiche.

Rispetto alla normativa del 1989, la nuova regolamentazione per la prima volta specifica il ruolo delle unità di patrocinio a cui è affidato, tra l’altro, il compito di verificare che le associazioni rispondano ad esigenze effettive e non si sovrappongano ad altre organizzazioni simili. A questo proposito l’articolo 13 precisa che è consentita l’esistenza di un solo tipo di ONG per livello amministrativo. Questo provvedimento limita una moltiplicazione e una diversificazione di organizzazioni sociali per ogni settore. L’articolo 19 inoltre proibisce alle organizzazioni nazionali di stabilire qualunque tipo di succursali regionali.

L’articolo 10 si occupa di stabilire alcune condizioni fondamentali:

Al momento della registrazione un’ organizzazione sociale nazionale deve disporre di un fondo iniziale superiore a 100.000 Yuan (cambio attuale: 1 Yuan Renminbin = 0,0990 €), mentre una locale o regionale deve possedere più di 30.000 Yuan. In ogni caso però non è permesso all’organizzazione di raccogliere fondi finché la propria domanda di accettazione non è stata approvata. 

Ciascuna ONG deve essere composta da più di 50 individui o più di 30 se si tratta di membri delle istituzioni dello stato.

Il nome scelto dall’associazione deve rispecchiarne la natura e le attività e pertanto nomi che includano le parole China o All China possono essere approvati solo in accordo con la legge costituzionale mentre per nessun motivo ne viene consentito l’utilizzo ad organizzazioni registrate a livello locale. 

Il sistema di supervisione prevede che ciascuna ONG ogni anno fornisca un rapporto al proprio ente garante e si sottoponga ad una verifica ma, al di là dell’applicazione delle leggi, lo stato possiede altri strumenti per esercitare il controllo. Innanzitutto la repressione di quei gruppi considerati una minaccia alla sua stabilità e sicurezza e, in quanto tali, dichiarati illegali. Questo metodo è stato utilizzato nel caso di  associazioni di stampo politico o religioso: nel dicembre 1998 furono arrestati e condannati i capi-gruppo del Partito Democratico cinese che ne richiedevano la registrazione.

All’inizio del 1997 una circolare dell’Ufficio per la Pubblica Sicurezza ha introdotto l’uso di misure amministrative per bloccare l’effettiva operatività di alcune associazioni attraverso tre procedure: privarle dell’approvazione dell’unità di patrocinio, sottoporle ad una regolamentazione finanziaria oppure identificarne i membri principali e trasferirli in ambienti di lavoro statale dove l’impegno richiesto li mantenga lontani dal lavoro presso l’organizzazione sociale.  

Nel 1998 infine il partito ha riattivato l’utilizzo delle cellule attraverso una circolare interna che le introduce all’interno delle organizzazioni sociali e le rafforza laddove siano già presenti: in accordo con l’articolo 39 della Costituzione del partito comunista cinese deve essere istituita una cellula in ogni organizzazione con tre o più membri. In ogni caso, laddove anche sia presente una cellula essa è subordinata all’unità di patrocinio alla quale sottopone i propri rapporti e da cui è diretta[vii].

Creazione di un settore non – profit ufficiale

Negli anni ’80 i dipartimenti del governo e del partito hanno creato un settore non – profit parastatale avviando fondazioni benefiche e organizzazioni alla promozione di obiettivi nel campo della solidarietà, della ricerca e dell’informazione. Alle associazioni coinvolte in questo progetto ci si riferisce in genere con il nome di GONGO, Governement Organized NGO, anche se alcuni studiosi propongono di adottare un’altra terminologia e parlano di SONGO, State Owned NGO, sottolineando sia l’analogia rilevante con le imprese statali sia la possibilità latente che queste agenzie vengano poste in una relazione di semi – indipendenza con il governo o vengano persino completamente incorporate.

E’ possibile individuare tre motivazioni principali che sottintendono l’istituzione delle GONGO: 1) la partecipazione delle organizzazioni non – profit ai progetti di sviluppo ha consentito al governo cinese di ottenere più facilmente i fondi e l’assistenza tecnica da risorse bilaterali, multilaterali o internazionali; 2) le GONGO, in quanto produttrici di benessere sociale, sono state fondate allo scopo di integrare gli sforzi del governo nell’attenuare le conseguenze del processo di riforma dell’economia; 3) queste associazioni sono diventate bacino d’assunzione del personale reso disoccupato proprio dalla trasformazione economica cinese.  

Le GONGO, come alcune ONG, sono registrate in qualità di organizzazioni sociali presso il Ministero degli Affari Civili e sono sponsorizzate da un’unità di patrocinio. Lavorano come centri di ricerca, fondazioni ed istituti di carità soprattutto su progetti di consulenza per le agenzie governative. Grazie alla solida relazione con il governo ed il partito, queste associazioni godono spesso di personale altamente qualificato, buon management, discreta struttura organizzativa e facilitazioni nel reperimento dei fondi.

Il settore delle GONGO sta conoscendo un periodo di rapida evoluzione ed è difficile stabilire un grado unico di autonomia per tutte le associazioni. Un importante fattore di cambiamento negli ultimi anni è stata la diminuzione del flusso di fondi provenienti dal governo a partire dalle riforme amministrative degli anni ’90, che ha costretto le organizzazioni a cercare nuove fonti di finanziamento internazionali e di conseguenza a conseguire una maggiore indipendenza. Inoltre un’inversione di tendenza ha fatto si che molti giovani leader delle associazioni più autonome siano stati reclutati nel mondo delle ONG piuttosto che presso i dipartimenti governativi.

Alcune GONGO fungono da supporto per le ONG registrate e non. Per esempio, il “Centro per l’educazione ambientale e la comunicazione” di Pechino mantiene strette relazioni con le maggiori organizzazioni non – governative ambientali, come la Global Village Beijing. Il supporto morale delle GONGO, che si manifesta anche attraverso l’invito dei rappresentanti delle altre associazioni alle cerimonie nazionali ufficiali, è stato cruciale nella legittimazione delle ONG ed ha facilitato la costruzione di una fiducia reciproca tra queste ultime e l’opinione pubblica.

La cooperazione tra GONGO e NGO potrebbe divenire un elemento caratterizzante nel futuro del settore non – profit cinese; le prime potrebbero costituire un ponte tra le agenzie governative, i donatori internazionali e le seconde, senza dimenticare però che la penuria di fondi governativi a disposizioni delle GONGO potrebbe anche innescare una competizione per la ricerca di finanziamenti tra le due categorie.

Le ONG non registrate

Di fronte alle difficoltà incontrate nel processo di registrazione, molte ONG hanno scelto altri metodi per istituire la propria organizzazione. Una delle strategie più diffuse è stata quella di fondare una società e registrarla come azienda presso l’Ufficio per l’Industria ed il Commercio: un iter più semplice che non richiedeva una sponsorizzazione governativa e permetteva un maggior grado di autonomia, anche se queste imprese, in quanto tali, venivano sottoposte alla medesima tassazione applicata alle aziende profit. Il metodo è caduto in disuso dopo la promulgazione della legge n. 252 del Consiglio di Stato della RPC relativa alle aziende non-governative senza scopo di lucro.

Altre associazioni invece hanno preferito registrarsi come organizzazioni secondarie o sussidiarie di istituzioni preesistenti, siano esse università, aziende o altre. In questo caso è necessaria solamente l’approvazione dell’ente ospitante e non è prevista nessuna attività di monitoraggio da parte di una delle unità di patrocinio.

Esiste poi una terza via seguita da quelle associazioni che evitano completamente la registrazione e si organizzano in gruppi informali: nelle città esistono vari club o salotti culturali mentre nelle campagne risorgono le solidarietà familiari e di clan. Queste organizzazioni sono in linea di principio illegali, non essendo presenti nella lista del Ministero degli Affari Civili, non godono pertanto di nessun diritto garantito alle ONG registrate e sono continuamente a rischio di chiusura. Ciononostante alcuni studiosi sostengono che le autorità cinesi non applichino delle istanze restrittive contro questi gruppi, i quali anzi godrebbero di una maggiore autonomia[viii] perché, mantenendo un basso profilo, sono in grado di evitare le ispezioni statali. L’interferenza del governo nelle attività delle associazioni non registrate dipende in gran parte dal loro campo di azione: i gruppi che operano su obiettivi politici sensibili come i diritti umani, il lavoro o la religione rischiano continuamente una spaccatura con il governo perché agiscono lungo un immaginario confine di tolleranza. Una di queste, ad esempio, è la Human Rights in China, fondata da scienziati e studiosi cinesi nel marzo 1989 e sostenitrice delle Tiananmen Mothers, un gruppo composto dai familiari delle vittime di Tiananmen che contesta  la versione ufficiale relativa ai fatti accaduti durante gli scontri del giugno 1989.

Le ONG che invece si focalizzano su argomenti politicamente meno delicati, come la salvaguardia e l’educazione ambientale, la promozione dei servizi per i disabili e gli anziani o la protezione della salute, possono generalmente portare avanti le proprie attività con un numero relativamente ridotto di restrizioni o persino con il supporto del governo.

E’ necessario notare però che in assenza di uno status legale, l’organizzazione non governativa non può utilizzare il proprio nome nell’adempimento di alcune pratiche amministrative, come l’apertura di un conto in banca o la registrazione delle entrate. Questo ovviamente limita le sue possibilità di auto – promuoversi come un’organizzazione legittima e di ottenere fondi dai cittadini comuni e dagli enti donatori in genere, dal proprio governo o dai finanziatori internazionali, tendenzialmente rivolti verso le GONGO o verso cause di straordinario rilievo, quali le catastrofi naturali, ai fini di ottenere maggiore visibilità pubblica e credito politico.

Il supporto internazionale

L’interesse internazionale per la società civile cinese ha origini e cause diverse. Innanzitutto, la società civile è sempre più vista come una parte essenziale dello sviluppo socioeconomico di un paese e, per estensione, c’è una certa tendenza a cooperare con essa in quanto partner locale di progetti internazionali. I governi stranieri, anche per una questione di visibilità, desiderano dimostrare che i loro programmi coinvolgono le comunità locali attraverso attività di consultazione e soprattutto di effettiva partecipazione.

Lavorare con i beneficiari e le altre parti interessate, che figurano nella lista degli stakeholder[ix], è un elemento che accomuna sempre più i progetti bilaterali o multilaterali coinvolgendo ovviamente le organizzazioni non governative cinesi.  Questo trend assume una finalità ancor più specifica per i finanziatori internazionali che operano nella Repubblica Popolare, accusati di sostenere un regime antidemocratico e quindi desiderosi di dimostrare che i propri fondi vengono erogati dopo la consultazione con i beneficiari diretti, la comunità locale e le organizzazioni non governative.

Il coinvolgimento della società civile è considerato necessario per individuare meglio i bisogni effettivi della popolazione, soprattutto di quei gruppi che maggiormente sono stati danneggiati dalle riforme inaugurate in Cina alla fine degli anni ’70 ed emarginati dal processo di modernizzazione. Per questi cittadini un progetto di sviluppo proposto o organizzato dal governo può essere accolto con diffidenza e ostilità, seppur finanziato dall’estero; viceversa, il coinvolgimento di una ONG locale può indurre i beneficiari diretti di un programma ad una maggiore collaborazione.

L’interesse crescente per la società cinese deriva anche dalla diffusione delle idee di quanti ne collegano lo sviluppo alla promozione della democrazia. La transizione verso la democrazia operata dai paesi dell’Europa dell’Est dopo il collasso dell’Unione Sovietica è spesso attribuita alla comparsa della società civile in paesi come la Polonia e la Cecoslovacchia. La possibilità che l’intervento internazionale, in collaborazione con le entità locali, possa influenzare i regimi autoritari indirizzandoli verso una politica di liberalizzazione costituisce infatti un ulteriore incentivo per i finanziatori stranieri ad avvicinarsi al mondo non profit cinese.

D’altro canto la collaborazione con l’estero fornisce alle ONG locali una fonte di visibilità, riconoscimento e legittimazione, somme di finanziamenti non disponibili in patria[x] e l’opportunità di imparare dall’esperienza occidentale. Infatti, sebbene le associazioni che si occupano di settori complementari all’attività governativa, quali la protezione ambientale o l’erogazione di servizi civili, possano avvalersi del sostegno del partito comunista, di sovvenzioni statali e di un’adeguata copertura mediatica, la maggior parte delle organizzazioni che operano in settori particolarmente sensibili dal punto di vista politico sono sempre a rischio di collisione con il governo e pertanto non possono godere delle stesse agevolazioni. Bisogna aggiungere però che spesso proprio la mancanza di visibilità, connessa alla necessità di mantenere un basso profilo per non incorrere in ispezioni governative, impedisce a questi gruppi di raggiungere una notorietà all’estero tale da ottenere finanziamenti internazionali. Solo una piccola percentuale delle ONG cinesi riceve fondi dai donatori stranieri che ovviamente preferiscono favorire le associazioni più in vista e che possibilmente abbiano già partecipato ad altri progetti di cooperazione finanziati da fondi internazionali. Le ONG e i finanziatori stranieri devono però vigilare affinché la loro politica di selezione non invogli le associazioni locali a spostare la propria attenzione dalle necessità effettive verso obiettivi più graditi alla cooperazione straniera.

Uno dei rischi maggiori per le organizzazioni straniere che operano in Cina e per i loro finanziatori è l’eventualità che il governo percepisca il loro intervento come un’interferenza nei propri affari interni. Sebbene generalmente si sia riscontrata una certa tolleranza da parte dello stato cinese, non esistono delle vere e proprie garanzie legali che assicurino per il futuro il mantenimento di questo atteggiamento, che fondamentalmente si basa sul binomio “nessun riconoscimento, nessuna proibizione”. Le attività delle ONG internazionali sono comunque parzialmente sottoposte agli stessi regolamenti che disciplinano la registrazione e l’amministrazione delle associazioni sociali, come ad esempio la necessità di trovare un dipartimento governo o del partito che funga da garante.

Solitamente le ONG internazionali sono state in grado di negoziare delle condizioni speciali per i propri progetti attraverso i cosiddetti memoranda of understanding, documenti frutto dell’accordo con le autorità locali che specificano l’area geografica e il campo d’azione. Molte organizzazioni internazionali hanno invece deciso di registrarsi come imprese commerciali e di aprire semplicemente degli uffici di rappresentanza in Cina con una serie di vantaggi: una procedura più semplice, una registrazione più trasparente e, infine, la possibilità di assumere più facilmente personale cinese. La precarietà della situazione però costringe i finanziatori e le ONG stranieri a cautelarsi nei confronti di un’eventuale reazione governativa con conseguenze anche sulla selezione dei progetti e delle ONG locali.

Le associazioni cinesi invece sono penalizzate dallo stesso iter di partecipazione ai bandi di gara per l’ottenimento dei finanziamenti internazionali perché non sempre possiedono le competenze e l’esperienza sufficiente per presentare, negoziare e infine portare a termine con successo un progetto. Le prime difficoltà incontrate riguardano l’espletamento delle pratiche burocratiche come la compilazione del formulario per la domanda di partecipazione, che le costringe a misurarsi con la modulistica in lingua inglese e con l’obbligo di consegnare una documentazione considerevole, dovere che viene generalmente percepito come un segno di sfiducia da parte dell’ente donatore. 

Per sviluppare le capacità organizzative dei partner cinesi, in linea con i requisiti di una buona progettazione, sono stati istituiti, grazie alla cooperazione internazionale, alcuni centri di formazione professionali presso la China Association for NGO Cooperation (CANGO), la Xinghua University NGO Research Center e la China Non Profit Organization Network.  In passato proprio l’inesperienza di alcune ONG cinesi, incapaci di gestire, monitorare e modificare in itinere le attività previste, unita ad una certa ignoranza internazionale sull’effettivo sviluppo del settore in loco o ad una sopravvalutazione dello stesso, ha determinato il fallimento di progetti anche piuttosto onerosi nei costi. L’istituzione di corsi di formazione professionale ha dato origine però ad un nuovo paradosso: il personale che ne ha beneficiato ha infatti raggiunto una qualificazione tale da poter investire le proprie competenze in carriere maggiormente remunerative, nel mondo degli affari o presso organizzazioni internazionali.

Dal panorama delineato emergono una serie di rischi che potrebbero rendere inesistente o addirittura dannoso il supporto internazionale all’evoluzione della società civile cinese. La possibilità che la comunità internazionale continui invece a giocare un ruolo positivo è legata soprattutto alla sua capacità di approfondire la conoscenza della realtà in cui opera, di convincere le associazioni locali ad una maggiore coordinazione tra loro e con i partner internazionali e di promuovere una legislazione più favorevole allo sviluppo delle organizzazioni non governative locali.

Conclusioni

L’evoluzione della società civile nella Repubblica Popolare cinese si è scontrata con una serie di ostacoli: controllo del governo, incertezza terminologia, ambiguità normativa e penuria di finanziamenti interni.

Nonostante l’ostilità dell’ambiente circostante, le ONG sono riuscite a moltiplicarsi, ad aggirare le restrizioni del governo e ad ottenere il riconoscimento e il supporto della comunità internazionale anche su temi invisi allo stato quali, ad esempio, il rispetto per i diritti umani.

E’ difficile credere che il governo cinese sia disposto a perdere il controllo su questo settore della società, sebbene per il momento non sembri possedere le risorse economiche per ripristinare pienamente la propria autorità.

Il quadro attuale lascia presagire che la comunità internazionale inciderà in maniera determinante sugli equilibri tra stato e società civile, soprattutto se sarà in grado di convincere il governo ad emanare una nuova legislazione.

[i] J. G. Bentley, The role of international support for civil society organizations in China, Harvard Asia Quarterly, Winter 2003, p. 11.

[ii] F. Mazzei, Il confronto tra Oriente e Occidente nell’area transpacifica, “Parolechiave”, n. 29, 2003, pp. 153-154. Per “Cina blu” s’intende la Cina marittima, la zona della costa orientale con redditi pro-capite mediamente doppi rispetto al resto del paese e riduzione del tasso di natalità, mentre la “Cina gialla” è costituita dai territori interni e dalle province occidentali aventi caratteristiche  socio-economiche opposte.

[iv] L. M. Salamon, H. K. Anheier, R. List, S. Toepler, S. W. Sokolowski and Associates, A Global Civil Society: Dimension of the Nonprofit Sector, Johns Hopkins Center for Civil Society Studies, Baltimore, MD, 1999.

[v] Il periodo prende il nome dal titolo di un’opera attribuita dalla tradizione a Confucio Chunqiu appunto “Primavera e Autunno”.

[vi] La registrazione presso il Ministero degli Affari Civili è regolamentata dalla Normativa per la registrazione e la gestione delle organizzazioni sociali (Legge del Consiglio di Stato Cinese N. 250/1998).

[vii] T. Saich,, Negotiating the State: The Development of Social Organizations and the Evolution of Chinese Civil Society, “The China Quarterly”,, n. 161, 2000,  p. 12.

[viii] A. Edele, Non Governmental Organisations in China, Casin, March 2005, p. 14

[ix] Il termine “stakeholder” è entrato nel vocabolario della cooperazione allo sviluppo all’inizio degli anni ’90, quando la Banca Mondiale e alcuni donatori bilaterali hanno iniziato ad utilizzarlo correntemente. E’ generalmente designato come “stakeholder” chi è influenzato o direttamente interessato da un provvedimento o, inversamente, influisce su tale provvedimento. Significa che oltre ai target di un progetto o di un’attività, vi appartengono ad esempio anche le organizzazioni donatrici, le popolazioni svantaggiate, i rappresentanti dei governi, i gruppi d’interesse e i rappresentanti delle organizzazioni non governative e del settore privato. Oggi si parla spesso di un approccio “multistakeholder” che nelle attività di cooperazione allo sviluppo mira a coinvolgere il più rapidamente possibile gli interessati diretti e indiretti a una determinata attività, al fine di ottenere il risultato più vantaggioso per tutte le parti.

[x] I finanziamenti interni in effetti sono in continuo calo, nonostante la promulgazione della “Public Welfare Donation Law” nel 1999 che prevede sgravi fiscali per gli enti donatori.

 

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