N. 4 - Settembre 2005
MASCOTTE
Dalle prime divinità
del paleolitico a Neve e Gliz, le due mascotte di
Torino 2006
di
Gilberto Trombetta
Dalle prime divinità del paleolitico a Neve e Gliz, le
due mascotte di Torino 2006, i giochi olimpici
invernali italiani. Ma che c’entrano gli idoli
preistorici con due characters ideati ai nostri
tempi? Il nesso può sembrare forzato, se non
addirittura eccessivo: ma non è così.
A
partire dalla preistoria, ogni epoca, ogni luogo ed
ogni popolo ha sempre avuto idoli, simboli e…
mascotte. Perché, in sostanza, che cos’è una mascotte?
Nell’accezione moderna, la mascotte è quella persona o
quell’oggetto che si ritiene possa portare fortuna. E,
partendo dal suo valore intrinseco, a prescindere da
come sia stato chiamato nel corso dei secoli, si può
risalire all’origine di questo feticcio: il
paleolitico appunto e le sue due forme d’arte più
rappresentative, le pitture rupestri e le veneri
paleolitiche. Nelle prime le immagini più ricorrenti
erano quelle degli animali maggiormente cacciati,
soprattutto il bisonte con una valenza non solo
grafico-rappresentativa, ma anche fortemente
simbolica. Sì, perché la rappresentazione dell’animale
cacciato era di buon auspicio, e la cura nei dettagli
dimostra, in realtà, la nascita di un culto legato
all’animale-guida. Era, di fatto, la prima mascotte
della storia.
Una
storia che è proseguita soprattutto attraverso i totem
e gli animali-guida appunto delle tribù. Gli uomini
hanno sempre ammirato le bestie selvagge cui hanno
dato la caccia. La grazia e il potere dei grandi
felini, la velocità e la resistenza del lupo,
l’intelligenza della volpe e l’incredibile forza
dell’orso. E l’assunzione di queste figure a livello
totemico stava ad indicare la speranza e la credenza
che le loro caratteristiche venissero trasmesse a
tutta la tribù: dall’aquila dell’Impero Romano ai
Totem indiani.
Ma
quand’è che queste creature hanno perso i loro
riferimenti magico-religiosi per assumere quelli più
pagani, tipici della mascotte, come la intendiamo
oggi, cioè un feticcio giocoso e, spesso, commerciale?
Quando è nato – infine – il termine? L’”inventore” fu,
nel 1867, il francese Edmond Audran che mandò in scena
un’operetta intitolata appunto La Mascotte. Ma
l’origine della parola resta dubbia: sembrerebbe
provenire dal provenzale masca (strega), di derivazione a sua volta longobarda e già presente
nel famoso editto di Rotari del 643 con l’espressione
“Stria quae est masca”. Vocabolo che a sua
volta potrebbe derivare dal galloromanzo masca,
mascata, cioè guancia colorita, inganno della
guancia: maschera, più semplicemente.
A
questo punto i rimandi logico-semantici sono
innumerevoli: dalle streghe, agli sciamani che si
mascheravano da animali per invocare lo spirito guida
e via dicendo. Ma è stata proprio l’operetta di Audran
ad associare in modo indissolubile quella parola a
tutti quegli oggetti cui noi oggi ci riferiamo come
mascotte.
La
storia la racconta il figlio del celebre operettista.
“Mio zio, capitano di lungo corso, regalò a sua
sorella, mia madre, un ninnolo proveniente dall’Italia
che lui stesso chiamava Mascotte. Una specie di
feticcio fiorentino. Mio padre, che a quel tempo era
maestro di Cappella nella chiesa di Saint Joseph,
scorse quel ninnolo poggiato sul tavolo di lavoro di
mia madre. Ne restò così affascinato che lo prese per
esaminarlo meglio. Immediatamente mia madre, che aveva
visto tutto, gli gridò col suo delizioso accento del
sud ‘Santa madre, Edmond, non toccare la mia mascotte’.
Mio padre, stupito, le chiese il perché; al che lei le
rispose ‘Quell’oggetto porta fortuna, ma bisogna che
nessuno lo tocchi, altrimenti perderà il suo potere’.
Poco a poco quel ninnolo nella fantasia di mio padre
assunse i connotati di una donna, una donna che
portava fortuna senza saperlo. Questa donna per
mantenere i suoi poteri non doveva essere toccata da
nessuno e grazie agli sforzi delle persone che la
circondavano, tutti interessati ai suoi poteri, restò
pura”.
Questa è infatti la storia dell’operetta, che –
neanche a dirlo - portò incredibilmente fortuna al suo
autore (ebbe più di 500 repliche in 2 anni) e anche
alla parola stessa, che, da quel momento, entrò
nell’uso comune.
Oggi
la parola mascotte rimanda direttamente ad un ambito
ludico-sportivo. Sono infatti “mascotte” per
antonomasia quelle dei giochi Olimpici, dei Mondiali
di calcio e, più in generale, di tutti gli sport
americani.
La
prima mascotte in assoluto a comparire sulla scena
delle Olimpiadi, in realtà, non aveva i crismi
dell’ufficialità olimpica: si chiamava Schuss,
raffigurava un omino sugli sci e comparve nel 1968, in
occasione dei Giochi invernali di Grenoble. Toccò
quindi a Waldi, il bassotto Dachshund a strisce
olimpiche scelto per Monaco 1972, l’onore di essere la
prima mascotte olimpica ufficiale. Riguardo ai loro
utilizzi, sorprendentemente Schuss non diventò
mai un peluche e Waldi non diventò mai una
spilla (forse l’oggetto legato alla mascotte più
scambiato al giorno d’oggi). Ma erano anni in cui il
merchandising, ovvero la consuetudine di trarre
oggetti commerciabili da ogni simbolo e, appunto, da
ogni feticcio popolare, non era quasi ancora nato.
Da
quelle Olimpiadi di Monaco, alle quali peraltro Waldi portò tutt’altro che fortuna, visti i fatti
che le insanguinarono, la mascotte è diventata un
elemento simbolico fondamentale per i Giochi. Fra
Olimpiadi invernali ed estive, sono state presenti in
18 edizioni (compreso Schuss): dal 1968 in poi,
infatti, solo Sapporo ’72 non la ebbe. Neve e
Gliz, le mascotte di Torino 2006, sono le
diciannovesime.
In
generale, la mascotte multipla è una tendenza recente,
che però ha preso sempre più piede (alimentando un merchandising che ormai non ha più limiti): a
Lillehammer ’94 con Haakon e Kristie
(personificati poi anche da veri fanciulli norvegesi);
a Nagano ’98 con le civette Sukki, Nokki,
Lekki e Tsukki (all’inizio poco
considerate e poi amate alla follia dai giapponesi); a
Sydney 2000 con Syd, Ollie e Millie
(a simboleggiare i tre elementi acqua, aria e terra);
a Salt Lake 2002 con Powder, Copper e Coal (a richiamare i tre valori olimpici
citius,
altius e fortius) e ad Atene 2004,
infine, con Phevos e Athena (ispirate
alle antiche raffigurazioni degli dei greci Apollo ed
Atena).
Passando al calcio non si possono non citare le due
mascotte che, per motivi diversi, sono entrate a far
parte dell’immaginario collettivo italiano: Naranjito e
Ciao. La prima è legata
all’ultimo mondiale vinto dagli azzurri, quello ormai
mitico di Spagna ’82; la seconda, invece, è stata la
mascotte dei mondiali di Italia ’90. Col senno di poi,
effettivamente, non si può proprio dire che tutte le
mascotte portino fortuna. |