N. 9 - Settembre 2008
(XL)
INTELLETTUALI E
POTERE IN unione
sovietica
Intervista al
dissidente sovietico
Jurij Vladimirovič
Mal'cev - Parte I
di Stefano De Luca
Jurij Vladimirovič Mal’cev è nato nel 1935 a
Rostov-sul-Don. Si è affermato come italianista
all’Università di Leningrado, e nel 1967 è diventato
docente presso l’Università di Mosca. Tra i
fondatori nel 1968 del ‘Gruppo
d’iniziativa per la difesa dei diritti civili in
Unione Sovietica’, venne arrestato e rinchiuso
in un ospedale psichiatrico ‘speciale’ per la sua
attività dissidente. Ottenuto infine il permesso di
emigrare, si trasferì in Italia nel 1974. Qui ha
insegnato Lingua e Letteratura russa presso le
Università di Parma, Perugia e Milano. E’ uno dei
massimi studiosi del samizdat sovietico, vale
a dire le auto-edizioni clandestine non soggette
alla censura.
Tra
le sue pubblicazioni ricordiamo: L’«altra»
letteratura. La letteratura del samizdat da Pasternak a
Solženicyn (Milano, 1976), Ivan Bunin e il
modernismo (Milano, 1985), ed Ivan Bunin: la vita
e l’opera - 1870-1953 (Milano, 1987).
D)
Lo scrittore dissidente Andreij Sinjavskij nel suo
saggio intitolato “Cos’è il realismo socialista?”
sostiene che la Letteratura sovietica sia ‘teleologica’,
in quanto finalizzata allo ‘scopo’ (il comunismo). E’
d’accordo con questa affermazione?
R)
Questo è evidente, lo dimostrano le risoluzioni del
Partito. Conosce le risoluzioni del Cc del Partito sulla
letteratura e sull’arte? Queste risoluzioni dicevano
chiaramente che la letteratura sovietica deve servire la
causa della costruzione del socialismo.
Lo
scrittore sovietico doveva essere un ‘costruttore delle
anime’ dei cittadini sovietici. Era una cosa così
evidente, proclamata apertamente, che non ci sono dubbi
sull’esattezza dell’affermazione di Sinjavskij.
D)
In Unione Sovietica l’uomo non poteva esprimere la
propria personalità liberamente, ma doveva mettere la
stessa al servizio delle conquiste rivoluzionarie.
Stessa logica seguiva la letteratura, che doveva essere
funzionale ai fini politici perseguiti dal PCUS. Questo
‘vincolo’ dell’individuo con la società, a Suo avviso,
ha innalzato o abbassato il livello della letteratura
sovietica?
R)
Il declino della letteratura russa è
cominciato nei primi anni Venti. In seguito al primo
Congresso degli scrittori sovietici del 1935, dove venne
affermato il ‘realismo socialista’, la letteratura russa
ha smesso di esistere. E’ intervenuta allora la
letteratura sovietica, che non ci ha dato nessuna opera
di valore. Fu il buio, il livellamento della vita
culturale. La letteratura ne uscì distrutta.
A
partire dal 1926-1927 per arrivare ai nostri giorni, le
uniche opere valide nella letteratura sovietica, sono
quelle in contrasto con la linea del Partito, in
contrasto con il potere: in sostanza, la letteratura
dissidente. Solo per due tre anni, nel periodo della
guerra, la letteratura ufficiale produsse alcune opere
di valore sulla battaglia del popolo russo contro
l’invasore. Molto bello è il romanzo di Nekrsov ‘Nelle
trincee di Stalingrado’. Ma si trattò solo di un
brevissimo periodo dovuto alla guerra. Prima e dopo
infatti, nella letteratura ufficiale sovietica non è
possibile riscontrare alcunché di significativo.
D)
Alla luce della repressione del ’56 ungherese e del
‘caso’ Pasternak, ritiene che il ‘disgelo’ fosse il
frutto di una convinzione morale di Chruščëv, oppure di
un calcolo politico dello stesso, necessario per
affermare la propria leadership politica?
R)
In Occidente c’è una leggenda, un mito di Chruščëv, come
se fosse un liberale che aveva cambiato l’Unione
Sovietica o portato questo così detto disgelo. In realtà
chi era Chruščëv? Un boia nel sangue fino al collo. Ha
massacrato gli ucraini, ha eseguito il terrore
staliniano in Ucraina. Fu esecutore del terrore, un
servo fedele di Stalin. Dopo la morte di Stalin, c’erano
molti motivi per cambiare il corso, innanzi tutto i
milioni di prigionieri sparsi per i lager. La gente era
stanca, sfinita, e quindi tutto fu un calcolo, nessuna
convinzione morale.
Chruščëv è rimasto feroce come prima. Ha si liberato
milioni di prigionieri che stavano da anni nei lager
senza avere nessuna colpa, ma appena qualcuno alzava la
voce, andava a finire lui nel lager. Se c’era un
movimento in uscita dai lager, continuava ad esistere
anche un movimento in entrata. Era un movimento a doppia
corsia, non a senso unico. Accanto a questo metodo
orribile, Chruščëv inventò la repressione psichiatrica.
Insomma, questa del disgelo è una leggenda che non
corrisponde a nessuna realtà. La vita non è diventata
più libera e democratica. Se all’apparenza sembrava
esserci più libertà, così non fu nella sostanza. Perché
Chruščëv è stato fatto fuori? Perché era uno troppo
impulsivo, spesso faceva delle dichiarazioni
spontaneamente, che altrettanto spesso non facevano
piacere ad altri. Lo hanno fatto fuori non perché era un
liberale, ma perché c’erano delle rivalità personali
molto forti.
D)
Parallelamente alle pubblicazioni ‘ufficiali’ venne
sviluppandosi, in Unione Sovietica, il fenomeno del
samizdat, ossia delle auto-edizioni non autorizzate.
Tale fenomeno permise negli anni Sessanta di dare voce a
tutte quelle opere che non riuscivano a superare il
vaglio della censura, o che non interessavano alle case
editrici.
Lei ha scritto un libro molto importante sull’argomento,
dove ritiene che la letteratura del sottosuolo “riflette,
a differenza di quella ufficiale, gli stati d’animo del
popolo russo ed il suo attuale modo di pensare”. Può
spiegarci meglio questa affermazione?
R)
Dire che riflette il modo di pensare di tutto il popolo
russo è una generalizzazione, anche se senza dubbio
riflette il modo di pensare di gran parte dell’intelligencija.
Il modo di sentire direi invece di si, di quasi tutto il
popolo, perché il samizdat parlava di problemi reali, a
differenza della letteratura ufficiale che era pura
finzione, falsità, menzogna. Invece nella letteratura
del samizdat ogni opera parlava di un problema reale,
descriveva la situazione reale, personaggi reali, uomini
vivi con i loro problemi. In questo senso si può dire
che rifletteva in modo veritiero la vita intellettuale
del Paese.
D)
Nel 1959 cominciarono le riunioni poetiche in piazza
Majakovskij a Mosca, dove i giovani poterono finalmente
esprimere i propri sentimenti attraverso la poesia in
modo veritiero, libero e sincero. Perché, se il
‘realismo socialista’ è nato nel 1935, dobbiamo
attendere fino al 1959 per riscontrare questo tipo di
fenomeno, sintomatico di un risveglio intellettuale?
R)
E’ chiaro perché. Nel 1935 siamo nel bel mezzo del
terrore di massa, sanguinario, quando milioni di persone
innocenti andarono a finire nei lager. Paura, di tutto.
Quando una persona andava a dormire la sera, e sentiva
qualche rumore, si svegliava terrorizzata, perché
pensava che fossero venuti ad arrestarla. Aveva paura
dei lager. Quello era un periodo di paura generale, di
terrore di massa. Non si poteva allora nemmeno
ipotizzare una manifestazione come quelle di piazza
Majakovskij.
Quando finalmente è arrivato il 1959, il regime era già
stanco, il terrore di massa non c’era più, c’era il
terrore selettivo, finalizzato. Nel 1959 venivano
arrestate solo le persone effettivamente ostili al
regime. In quella nuova atmosfera agirono i gruppi dei
giovani, dei poeti in questo caso, che potevano
riunirsi, parlare tra di loro, avendo uno stimolo molto
forte di esprimersi. Le loro riunioni in piazza
Majakovskij non erano riunioni politiche, ma poetiche,
dove i ragazzi recitavano le loro poesie. Spesso erano
poesie d’amore.
D)
Queste
riunioni vennero
fatte cessare con la forza nel 1961. Qual’era la
minaccia avvertita dalle autorità sovietiche?
R)
Il fatto stesso che vi fosse una
manifestazione non organizzata era impensabile. Solo il
Partito aveva il diritto di promuovere una
manifestazione, nessun altro. Il regime totalitario sta
proprio in questo. Controllo totale. Se una persona
andava in piazza a leggere le proprie poesie senza
l’autorizzazione del Partito, ‘doveva’ essere arrestato,
altrimenti sarebbe crollato il totalitarismo stesso. |