N. 10 - Marzo 2006
LAURENTINA - ACQUA ACETOSA
L'abitato e la
necropoli - Parte II*
di Leonardo Schifi
*su gentile concessione
dell’autore
Edifici abitativi e tombe di epoca
romana
Fase Repubblicana
Sul pianoro antistante il vallo
dell’abitato protostorico, nella zona precedentemente
occupata da un casale moderno attualmente non più
visibile, sono state rinvenute tracce di un edificio
risalente al IV-III secolo a.C.
Un'indagine di scavo parziale delle
strutture ha permesso di individuare una serie di
pozzi e cunicoli, scavati nel banco di tufo,
probabilmente collegati ad un complesso sotterraneo
per la raccolta idrica; nelle fosse di scarico,
trovate nelle immediate vicinanze, si sono potuti
recuperare centinaia frammenti di vasi di uso comune
d’impasto, di argilla depurata acroma, ceramica a
vernice nera dipinta a fasce o sovradipinta.
A nord di questo complesso una serie di
trincee ortogonali scavate nel banco di tufo, forse
utilizzate per usi agricoli, sembrano indicare
l'esistenza di un altro edificio a cui si possono
anche attribuire alcuni pozzi-cisterna con cunicoli
rivestiti d'intonaco idraulico.
Anche nell’area di Casale Massima si è
riconosciuta una rete di trincee, scavate nel banco di
tufo, con probabile destinazione agricola, forse
attribuibile ad epoca medio repubblicana, ed un coevo
sistema idrico costituito da pozzi-cisterna e cunicoli
per la raccolta delle acque meteoriche.
Altri resti di due fattorie, insieme ad
alcune trincee e fosse riferibili alla piantagione di
un vigneto di epoca tardo repubblicana, si segnalano
lungo Via dell'Acqua Acetosa Ostiense nell'area di
Casale dell'Ara.
Strutture probabilmente riferibili ad
un altro stanziamento agricolo, con resti di una
probabile fossa-cisterna e muri di delimitazione per
installazioni di servizio, sono state messe in luce
nei pressi dell'incrocio di Via Laurentina con Via di
Tor Pagnotta.
La presenza di queste strutture
abitative è ulteriormente confermata dal ritrovamento
di un nucleo di tombe repubblicane nell'area occupata
precedentemente dalla necropoli protostorica.
Di particolare interesse è stato il
rinvenimento nei pressi di Casale Massima, a circa
venti metri ad ovest del gruppo di tombe protostoriche,
di una grande tomba a camera databile sicuramente al
IV secolo a.C.
Fase Imperiale
Di notevole interesse è l’area occupata
da una villa situata lungo Via dell’Acqua Acetosa
Ostiense a circa un chilometro e mezzo sulla destra
dal bivio con la moderna Via Laurentina. La villa si
sviluppava su un’altura tufacea prospiciente a nord
est il fosso dell’Acqua Acetosa ed era protesa, verso
la collina nota come Centro di Mezzo, con due lingue
separate da una sella.
L’insediamento sorgeva sulla dorsale
orientale che presentava pareti assai scoscese sui
lati settentrionale e nord orientale, mentre scendeva
più dolcemente ad ovest.
L’impianto della villa occupava il
pianoro superiore ampliato artificialmente sul fianco
occidentale con una spianata sostenuta da poderosi
muri di terrazzamento; la maggior parte delle
strutture è però conservata solo a livello di
fondazione o ad un minimo elevato.
Esteso su un fronte di circa venti
metri, si è individuato un ampio muro in opera
reticolata sostenuto ad intervalli irregolari da
contrafforti in simile tecnica costruttiva.
A distanza di 30 metri verso sud è
stato scoperto un secondo complesso di terrazzamenti
sensibilmente danneggiato: esso presentava un ambiente
con fondazioni in opera cementizia, formato da un muro
inserito in una sacca nel banco di tufo, che correva
in senso est ovest parallelamente alla pendenza del
terreno, e un secondo muro perpendicolare di maggior
larghezza.
Nell'area del pianoro e alla base del
declivio sono state individuate tracce di un sistema
idrico costituito da pozzi e canalizzazioni
sotterranee. Per l’inquadramento cronologico
dell’impianto gli unici dati a disposizione provengono
dalla ceramica recuperata che, insieme al tipo di
tecnica edilizia, delinea un orizzonte di epoca
augustea.
Probabilmente facevano parte di questo
vasto complesso alcuni ambienti di servizio e resti di
strutture di un impianto termale, situati a circa 150
metri ad ovest della villa, scoperti recentemente
durante lavori per l'allargamento di Via Camus
nell'area del Piano di Zona Colle Parnaso.
Nella zona di Casale Massima sono state
rinvenute alcune cave di tufo che, insieme a resti di
tracciati stradali di servizio, delineano il
prolungarsi nell’uso di quest'area fino ad epoca
imperiale.
A circa 750 metri a est da questa zona,
infine, lungo Viale dell'Esercito, nella città
militare della Cecchignola, sorgono i resti di grande
cisterna rettangolare databile al II secolo d.C.
La struttura, realizzata in muratura di
opera listata e rivestimento interno in cocciopesto, è
costruita su grandi archi in laterizio e presenta due
piani ciascuno con quattro vani rettangolari
indipendenti. Sullo spigolo nord est della cisterna,
intorno al XV secolo d.C., venne realizzata una torre
medioevale che dette il nome a tutto il complesso.
Il complesso medioevale
A circa 350 metri a nord dell’abitato
protostorico sono stati rinvenuti i resti di un casale
fortificato di epoca medioevale. Questo complesso,
databile dal X al XV secolo d.C., è il primo finora
documentato nel Lazio a sud del Tevere.
La struttura, di cui si conservano solo
le fondazioni, occupa la parte settentrionale del
pianoro ed è costituita da una torre a cui sono
addossati due ambienti.
Il complesso medioevale è circondato da
un fossato, scavato nel banco di tufo, formante un
recinto grosso modo ellittico, delle dimensioni circa
di 60 x 40 metri, all'interno del quale sono state
individuate tre cisterne a forma di silos; all'esterno
del fossato sono stati invece scavati i resti di due
fornaci e di due cisterne per raccolta dell’acqua.
A meno di 1300 metri a est da questo
complesso, all'interno della città militare della
Cecchignola, si conservano i resti medioevali di una
vedetta noti con il nome di Torre d'Archetta.
La struttura, sorta sullo spigolo nord
est di una cisterna romana a grandi archi laterizi (da
qui il nome di Torre d'Archetta), era a pianta
rettangolare con paramenti in tufelli frammisti a
materiale di recupero; presentava finestre, poi
murate, con stipiti marmorei e numerosi fori per le
travature lignee.
La notevole altezza della torre
facilitava il controllo lungo i tracciati stradali
della Laurentina moderna e dell'Ardeatina antica.
Aree di confine dell’abitato
protostorico
Tenuta del Torrino
Nel 1979 la realizzazione del nuovo
quartiere abitato in località Torrino, lungo la Via
Ostiense presso il Grande Raccordo Anulare, ha fornito
l'occasione per un'indagine archeologica approfondita
su una porzione di territorio che, per posizione e
conformazione, presentava condizioni particolarmente
favorevoli allo stanziamento umano.
La ricerca è stata condotta a tappeto
su una superficie di circa cento ettari, costituita da
due principali propaggini collinari di terreno
argilloso calcareo poggianti su strati di ghiaia e
sabbia con sottostante banco di tufo; su ognuna di
queste propaggini si è ritrovata in modo quasi
puntuale una successione di testimonianze di vita.
Il risultato più interessante delle
ricerche è costituito dall'accertamento della presenza
di vita stabile nel comprensorio, dalla seconda metà
dell'VIII secolo a.C. fino a tutta l'epoca imperiale
romana; inoltre le testimonianze archeologiche, anche
se in parte frammentarie a causa della precarietà
delle strutture (capanne o edifici con muri a secco e
a graticcio) e per le vicissitudini dei luoghi (cave,
movimenti di terra, arature, dilavamenti ecc.),
sembrano
raggruppate attraverso i secoli intorno
a determinati punti in modo da poter essere
interpretate come possibili entità terriere, che si
sono mantenute tali per un arco di tempo
considerevole.
L'area del Torrino fa parte di un
gruppo di alture prospicienti la riva sinistra del
Tevere, fra i fossi di Acqua Acetosa e Vallerano a
nord e quello di Malafede a sud, a metà strada fra i
due antichi abitati di Tellenae (Acqua Acetosa
Laurentina) ad est e di Ficana (Acilia) a sud ovest.
Fig. 10 - Tenuta del Torrino. Veduta
aerea della torre medioevale del Torrino (da A. Bedini
1985)
Il nome del Torrino compare per la
prima volta nel secolo scorso in alternativa al
toponimo di Torraccia, con cui si indicavano i resti
di una torre posta su una collina a sinistra
dell'undicesimo chilometro della Via Ostiense.
Lo scavo archeologico dell'area ha
permesso di mettere in luce i ruderi della torre
medioevale, collegati ad una sottostante cisterna
rettangolare, all'interno di una villa il cui impianto
risale ad epoca augustea; il complesso, in posizione
dominante, si estende su una superficie di quasi un
ettaro e si dispone a terrazze degradanti verso il
ciglio nord della collina.
L'importanza della zona è stata
confermata dalle ricognizioni superficiali effettuate
nel 1978-'79 che hanno identificato, sull'altura
presso l'incrocio della Via Ostiense e il Grande
Raccordo Anulare, resti di vita attribuibili alla fine
dell'età del Bronzo (XII-IX secolo a.C.); gli scarsi
frammenti ceramici recuperati in superficie sono però
estremamente significativi, soprattutto alla luce del
rinvenimento di un medesimo orizzonte culturale
nell'area degli abitati di Tellenae (Acqua Acetosa
Laurentina), di Ficana (Acilia) e di Casale della
Perna (tenuta di Castel di Decima), presso l'abitato
protostorico di Politorium.
L'area comunque risulta abitata già in
epoca più antica in seguito al recupero, su un'altura
presso la Via Ostiense, di una sepoltura, con un
individuo inumato in posizione rannicchiata, che
potrebbe far risalire la frequentazione della zona
alla fine dell'Eneolitico o alla prima età del Bronzo
(XVIII-XVI secolo a.C.).
A circa 500 metri a sud sud ovest della
sepoltura eneolitica, sono stati individuati i resti
di tre tombe a fossa di cui due, una maschile ed una
femminile, risalenti al 730 a.C.; la terza, maschile,
databile entro la prima metà del VII secolo a.C.
L'area delle sepolture è stata
disturbata da interventi di epoca successiva, con
l'apertura di fosse quadrangolari e
tombe a cappuccina di età romana, che possono aver
probabilmente distrutto altre tombe protostoriche.
Fig. 8 - Tenuta del Torrino. Veduta
interna della tomba a camera n.° 2
(da A. Bedini 1985)
I resti sconvolti di altre sepolture a
fossa del VII secolo a.C. sono stati trovati più ad
est presso la cisterna di una villa di epoca tardo
repubblicana-imperiale e nella zona già edificata nel
comprensorio di Mostacciano.
Il rinvenimento più importante è stato
fatto a circa 450 metri a sud est del rudere
medioevale del Torrino con la scoperta di due tombe a
camera databili all'ultimo quarto del VII secolo a.C.
Queste due sepolture, scavate nel banco
di tufo su un pendio a forma di vasca, si presentano
una attigua all'altra con corridoio di accesso e più
camere interne di fattura piuttosto rozza; la maggiore
delle due, con sei camere, presenta un uso prolungato
a tutto il VI secolo a.C.
Fig. 9 - Tenuta del Torrino. Oggetti di
corredo delle tombe protostoriche A e C (da A. Bedini
1985)
La presenza di queste tombe deve essere
riferita a nuclei familiari residenti nell'area del
Torrino, forse sulle vicine alture di Mostacciano e
sulla collina di San Ciriaco lungo la Via Ostiense.
Molto probabilmente la comunità di
appartenenza di questi gruppi era quella residente
nell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa, a cui
territorialmente doveva appartenere l'attuale area del
Torrino, che costituiva la zona di confine lungo il
percorso del fiume Tevere.
La presenza di tali famiglie di
carattere gentilizio doveva avere, oltre ad una
precisa funzione di carattere economico, cioè di
controllo delle strade di comunicazione e di gestione
dei traffici, anche un importante funzione politica,
tutelando in un certo senso i confini del territorio
in epoche in cui dovevano essere frequenti i contrasti
causati da episodi di sconfinamento a scopo di razzia.
Al VI-V secolo a.C. probabilmente, deve
risalire la prima sistemazione di un tracciato viario
che, salendo dalla Via Ostiense, ad est, tagliava
obliquamente il pianoro del comprensorio per poi
piegare verso nord, scendendo in una valle nel
quartiere di Mostacciano.
Quest'asse stradale di lunga
percorrenza doveva avere alcune diramazioni secondarie
sul lato nord, come attestano i due tratti di
tracciato rinvenuti sul pianoro.
All'incrocio con una di queste
diramazioni, ai limiti del settore occidentale del
comprensorio, sono state messe in luce, su un pendio
volto a sud est, un interessante raggruppamento di
capanne con fosse ellittiche e un pozzo in comune per
l'approvvigionamento idrico.
Il materiale ceramico rinvenuto
attesterebbe una frequentazione dell'area dall'epoca
tardo arcaica fino al IV-III secolo a.C.; una
successiva occupazione del sito è testimoniata dai
resti di una villa databile tra la tarda età
repubblicana e quella imperiale.
Il tracciato stradale rimase invariato
fino ad epoca imperiale, come dimostrano tre gruppi di
tombe alla cappuccina, dislocati lungo il percorso, e
la tomba a camera ipogea, con all'interno un sarcofago
a superfici grezze, rinvenuta presso l'estremità
orientale del comprensorio.
Nei pressi del Grande Raccordo Anulare,
a meno di 650 metri a sud ovest di questa tomba
ipogea, sono stati recentemente individuati i resti di
un insediamento romano databile alla tarda età
repubblicana.
Un'altra villa rustica, di cui si
conservano, in fondazione, i muri perimetrali di
alcuni ambienti di servizio, è situata 600 metri ad
ovest di quest'area lungo il Vicolo di Trafusa.
Procedendo lungo questo percorso
viario, al centro del pianoro, sono stati messi in
luce alcuni ambienti riferibili ad una villa risalente
tra la tarda età repubblicana e quella imperiale.
Tracce di un pozzo-cisterna sono state rinvenute, su
una propaggine del comprensorio, a meno di 300 metri a
sud sud ovest da questo complesso.
A circa 200 metri ad est di questo
insediamento sono state individuate tracce di capanne,
forse databili al VII-VI secolo a.C., e muri a secco,
purtroppo molto frammentari, di un edificio databile
ad epoca tardo arcaica. Tale struttura, forse
costituita da un cortile porticato con ambienti su due
lati, sarebbe stata successivamente distrutta da fosse
di epoca medio repubblicana relative ad un impianto di
cui si conservano i resti, in parte ipogei, di una
grande cisterna rettangolare a blocchi di tufo.
Un altro edificio arcaico, realizzato
con muri a secco che descrivono un cortile centrale e
ambienti sui lati corti nord e sud, è stato rinvenuto
a circa 250 metri più ad est nell'area occupata
successivamente da una villa rustica.
Nel corso della media e tarda età
repubblicana, tutte le strutture di quest'area vengono
spianate e solcate da canalizzazioni, forse ad uso
agricolo, relative all'impianto di un edificio
rustico, databile al III-II secolo a.C., di cui si
conservano strutture a blocchi di tufo e resti di una
grande cisterna rettangolare.
Con la seconda metà del I secolo a.C.
l'impianto della villa viene ampliato e radicalmente
ristrutturato con la creazione di una corte porticata
su tre lati e di ambienti residenziali a nord, con al
centro il tablinium affiancato ai lati da
ambienti disposti simmetricamente; a sud viene invece
realizzata la parte rustica con ambienti di
lavorazione e di immagazzinamento dei prodotti
agricoli e le stalle.
Una nuova cisterna circolare viene a
sostituire quella rettangolare più antica e forse in
occasione di questi lavori viene costruita una fornace
rettangolare all'angolo sud ovest del complesso.
Successive modifiche e rifacimenti
testimoniano la sua durata fino a tarda epoca
imperiale; la presenza di tombe a cappuccina nell'area
del cortile e del portico nord confermerebbero tale
ipotesi.
Dagli scavi condotti risulta evidente
che nell'area del Torrino, durante la fase romana, il
momento di maggior fioritura edilizia è quello
rappresentato dal periodo augusteo, come testimoniano
le prime fasi d'impianto relative a quattro ville
rustiche.
La zona del Torrino, servita da
importanti assi viari quali la Via Ostiense e la Via
Laurentina, non lontana da un importantissimo centro
di scambio come il porto di Ostia e da un sempre più
esigente mercato come quello di Roma, soddisfaceva in
pieno le condizioni prescritte da Catone (De Agric.
I, 3), e dagli altri agronomi (Varrone De r.r.
I, 16, 1-3; Columella I, 2), per l'insediamento di
quelle fattorie modello che sono alla base del modo di
produzione schiavistico, autosufficienti e nello
stesso tempo produttrici di surplus destinato
al grande mercato.
Numerose sono pure le fonti che da
Cicerone a Plinio il Giovane e Simmaco descrivono
questa parte del suburbio di Roma parlando di ville e
possedimenti lungo la Via Ostiense e riportando nomi
di proprietari famosi o sconosciuti, a cui si possono
aggiungere quelli tramandatici dalla documentazione
epigrafica su cippi e da tubazioni plumbee.
Difficile è il compito di trovare una
puntuale corrispondenza fra questi personaggi e i
resti archeologici evidenziati, tenendo presente che
la forte domanda di terra nelle aree prossime alla
città ne favoriva il continuo passaggio di proprietà
ed il frazionamento, bastando spesso anche una
superficie minima, ma opportunamente sfruttata, per
ottenere lauti guadagni.
L'E.U.R. e la Tenuta della Ferratella
Il
territorio su cui attualmente sorge il moderno
quartiere dell’E.U.R. ha rappresentato, fin dai primi
secoli della storia dell’Urbe e successivamente
durante tutta l’epoca romana e medioevale, una
posizione di notevole importanza, venendo quasi a
costituire, a sud di Roma, un punto di congiunzione
tra l’immediato suburbio e la campagna vera e propria.
Durante gli sbancamenti, operati negli anni dal 1937
al 1939, per la realizzazione dell’intero quartiere,
non fu mai data una descrizione accurata dei
rinvenimenti e non tutti i resti messi in luce furono
adeguatamente salvaguardati, anzi la maggior parte
delle strutture fu distrutta, per permettere il
proseguimento dei lavori d’urbanizzazione dell'area.
La
funzionalità del quartiere era ulteriormente
accresciuta, oltre alla relativa vicinanza
all’importantissimo centro di scambio come il porto di
Ostia, anche dalla presenza di un vicino borgo, noto
con il nome di vicus Alexandri, considerato uno
dei principali scali commerciali lungo il percorso
suburbano del Tevere.
Il
complesso portuale, situato tra la collina su cui
sorge il Forte Ostiense e quella più a sud detta di
Ponte Fratto, pur avendo origini probabilmente
risalenti ad epoca medio repubblicana, non viene mai
menzionato dalle fonti prima della metà del IV secolo
d.C., quando ce ne dà una breve notizia Ammiano
Marcellino (Rerum gestarum libri, XVII, 4, 14).
Nell'area in cui si è voluto porre il vicus
Alexandri provengono numerosi ritrovamenti: due
documenti del 1321 ricordano il carico di marmi dal
Portus Grapiliani, denominazione che assunse la
località durante l'epoca medievale; nel '700, nelle
diverse vigne della zona, furono rinvenute iscrizioni,
sia funerarie sia votive, resti di colombari e ruderi
di un imponente mausoleo. Alcuni rinvenimenti compiuti
nell'800 misero in luce ambienti termali, un bacino
lustrale, un sepolcro in blocchi di peperino, cippi
per la delimitazione di tombe, iscrizioni funerarie e
resti forse pertinenti alle strutture portuali.
Tra
il 1891 e il 1897, sulla riva sinistra del fiume,
emersero a circa 4 chilometri dalla porta di S. Paolo,
muri di fondazione in scaglioni di tufo con paramento
in cortina laterizia, pavimenti in mosaico a tessere
bianche e nere e soglie di travertino;
successivamente, sulla riva sinistra del fiume, nei
prati fra la Basilica di S. Paolo e il bivio detto
"del Ponticello", fu rinvenuto, a circa 700 metri a
sud della Basilica, un muraglione di circa 22 metri di
lunghezza realizzato in scaglioni di tufo legati con
malta (forse poteva trattarsi di una sponda murata).
Altre porzioni di banchine sono riemerse in anni
recenti poco a valle dell'ansa sottostante la Basilica
di S. Paolo, lungo la riva destra del fiume.
Con
ogni probabilità le strutture di questo vicus
dovevano rappresentare uno scalo intermedio nella
navigazione di risalita del Tevere da Ostia a Roma,
intorno alle quali si era sviluppato, a partire dalla
metà del IV secolo a.C., un centro abitato: sul lato
sinistro della Via Ostiense si dovevano trovare le
abitazioni, mentre sul lato destro doveva essere la
zona commerciale con uffici e magazzini.
L'area occupata dal moderno complesso urbanistico
dell'E.U.R., collocata in una posizione sopraelevata e
caratterizzata da una serie di pianori dagli estesi
orizzonti, si prestava favorevolmente, durante il
periodo romano, all’insediamento di piccole fattorie e
ville residenziali garantite anche da una locale rete
stradale particolarmente ricca e ben articolata.
Questa maglia viaria poteva contare, oltre alla Via
Ostiense e alle due vie che portavano nell’agro
Laurentino, entrambe con andamento nord sud, anche di
un lungo asse viario che, staccandosi verosimilmente
al sesto chilometro dell'antica Via Ostiense, tagliava
diagonalmente il comprensorio, da nord ovest a sud
est, e si univa, una volta incrociato il percorso
della moderna Via Laurentina, nei pressi di Ponte
Buttero, con l'antica Via Ardeatina mediante un
diverticolo ricalcante l'attuale Via di Vigna Murata.
Oltre a quest'asse stradale, in questa zona dovevano
probabilmente convergere altre due vie: una, il cui
tracciato è solo ipotetico, ricalcava la moderna Via
Laurentina, l’altra, probabilmente un diverticolo di
cui era già noto da tempo un breve tratto, proveniva
dall’Abbazia delle Tre Fontane e tagliava
diagonalmente questo complesso con andamento nord est
sud ovest.
Il
percorso della tangenziale, che tagliava in due il
comprensorio dell'E.U.R., portato in luce in vari
segmenti durante gli sbancamenti per la realizzazione
del nuovo quartiere e della Via Cristoforo Colombo, si
dirigeva nel primo tratto, con un andamento grosso
modo regolare nord nord ovest, a destra di un’altura
ora occupata dal Piazzale delle Nazioni Unite, per poi
deviare decisamente, all’altezza di Piazzale Guglielmo
Marconi, verso sud est; in particolare in quest’area
fu messo in luce un tratto di strada basolata,
compreso fra l’attuale Piazzale Konrad Adenauer e Via
Ciro il Grande, in cui la via, evitando tutta una
serie d’alture, correva lungo un avvallamento
delimitato a sud da una collina ed a nord da banchi
tufacei, probabilmente già sfruttati in epoca antica
come cava di materiali da costruzione.
Nel
1938, nell'area occupata attualmente dal Piazzale
delle Nazioni Unite, durante la realizzazione delle
fondazioni per la costruzione del palazzo dell’I.N.A.,
furono rinvenuti alcuni resti delle strutture murarie
di un tempio arcaico, databili al V secolo a.C., e
frammenti appartenuti alla decorazione fittile
dell'edificio cultuale (un'antefissa policroma con
raffigurazione di una cavallo e decorazione con motivi
a riquadri nella parte inferiore, un frammento di
lastra raffigurante la parte superiore di una gamba
maschile, un frammento policromo di un elemento per la
copertura del tetto e un frammento di piede relativo
ad un ex voto).
Il
tracciato stradale, prima di raggiungere la Via
Cristoforo Colombo, nelle vicinanze della quale fu
rinvenuto un brevissimo tratto di strada basolata,
aveva una diramazione ad est lungo l’asse dell’attuale
Piazzale dell’Agricoltura; nell’angolo formato dalla
biforcazione furono rinvenuti i resti di una tomba.
Questa diramazione stradale doveva probabilmente
raggiungere una piccola altura, all’altezza di
Piazzale dell’Industria, dove emersero un gruppo di
tombe, e raccordarsi, nei pressi del Santuario della
Madonna delle Tre Fontane, con il tracciato ricalcante
la moderna Via Laurentina.
Recentemente in quest’area, durante alcuni lavori di
sterro, sono stati recuperati, all'interno di una
fossa scavata nel banco di tufo, alcuni ex voto
fittili databili tra il IV e gli inizi del III secolo
a.C. (una mezza testa femminile e un piede sinistro);
il tipo di materiale rinvenuto può essere messo in
relazione con un luogo sacro probabilmente legato al
culto delle acque od una vicina fonte, identificabile
verosimilmente all’interno del complesso dell'Abbazia
delle Tre Fontane.
La
presenza di questi votivi fittili e il precedente
rinvenimento in zona, durante gli sbancamenti del
1938, di elementi architettonici d’età arcaica (due
antefisse a testa femminile, due frammenti di lastre
fittili con decorazione geometrica e figurata, un
frammento di antefissa policroma con palmette e un
frammento policromo di un piede calzato, forse
relativo ad un ex voto), probabilmente riferibili alla
decorazione di un altro edificio cultuale, può far
ipotizzare l’esistenza, sull’altura ora occupata dal
moderno complesso delle Madonna delle Tre Fontane, di
un secondo santuario con una sua prima fase databile
tra la fine del VI ed gli inizi del V secolo a.C. ed
una successiva frequentazione dell’area almeno fino
alla metà del III secolo a.C.
Ulteriori resti dell’asse viario affiorarono, ancora
per diversi tratti e a varie distanze, nella zona
compresa tra gli edifici che ospitano il Museo
Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini”
e quello della Marina Mercantile; in questo settore di
scavo furono messi in luce, ai lati del tracciato
viario, resti di un sarcofago liscio in terracotta
collocato alla stessa quota del piano stradale, un
muro in blocchi di tufo giallo che rivestiva un nucleo
cementizio in scaglie di pietra, un gruppo di tombe a
camera, colombari, numerose tombe a fossa con
copertura a cappuccina, tracce di muratura a blocchi
di tufo e avanzi di murature forse attribuibili ad
altri sepolcri.
A
Nord di quest’area, in particolare su di un’ampia
collina attualmente compresa tra Viale della Civiltà
Romana e Viale della Letteratura, furono messi in
luce, durante alcuni lavori che portarono
successivamente al completo livellamento dell’altura,
i resti di un vasto complesso rustico identificabile
in una villa romana databile alla tarda età
repubblicana (fine II secolo a.C. inizi I secolo d.C.).
Del
complesso furono messi in luce numerosi ambienti,
quasi tutti con orientamento est ovest, con paramenti
di muratura in opera reticolata di tufo; vennero anche
rinvenuti, all’interno di alcune stanze, pavimenti in
mosaico con decorazioni floreali, in opus spicatum
e in cocciopesto.
All’interno dell'insediamento furono evidenziati anche
i resti di un sistema di raccolta per le acque,
costituito da alcune cisterne e cunicoli scavati nel
banco di tufo con rivestimento d’intonaco idraulico;
presso l’estremità meridionale della villa fu
identificato un pozzo di forma circolare.
Si
potrebbe ipotizzare che l'area facesse parte di un
tenuta appartenente alla gens Antonia, Cornelia
o Cassia: sappiamo, infatti, che tra i fondi che
componevano nel VII secolo d.C. la massa quae Aqua
Salvias nuncupatur, vale a dire la Tenuta delle
Tre Fontane, erano compresi quelli denominati
Antoniana, Cassianum e Cornelianum.
L’asse stradale, di cui non furono evidenziati
ulteriori resti, proseguiva verso sud est andando a
raggiungere la moderna Via di Vigna Murata.
Su
un’altura delimitante a nord questa strada, a circa
500 metri a sinistra dall’incrocio con la moderna Via
Laurentina, furono rinvenuti i resti di una cisterna
romana realizzata in calcestruzzo di selce nota con il
nome di “ruderi delle Grotte d’Arcaccio”. Sulle
strutture d’epoca romana, di cui attualmente non
rimangono che alcuni tratti della parete sud, fu
fondata, tra il X secolo e l'XI secolo d.C., una
torretta d’avvistamento realizzata in blocchetti
regolari di tufo; la torre occupava un’ottima
posizione in quanto, oltre a vigilare sulla Via
Laurentina, poteva controllare una strada d'origine
romana, l’odierna Via di Vigna Murata, che univa la
Via Ostiense all’Appia.
Nel
1971, a circa 250 metri prima dell’incrocio di Via del
Serafico con Via del Tintoretto, durante alcuni lavori
per la realizzazione di un edificio, furono rinvenuti
i resti di un sepolcro ipogeo; la tomba, costruita con
un paramento in opera mista di laterizi e tufelli,
accoglieva, all’interno di due celle, sepolture ad
inumazione ed incinerazione.
Anche l’attuale tracciato di Via Laurentina, da Ponte
Buttero fino all’altezza della città militare della
Cecchignola, doveva ricalcare i resti di un’antica
strada.
Nel
1942 all’incrocio di Via Laurentina con Via del
Fenilone, durante la realizzazione della centrale
elettrica, fu scoperto un cunicolo scavato nel banco
di tufo, le cui pareti erano rivestite con un sottile
strato d’intonaco idraulico in cocciopesto; a meno di
300 metri ad est da quest’area, lungo Via dei
Radiotelegrafisti, nel 1959 furono rinvenuti tre tombe
con sarcofagi di marmo bianco.
A
breve distanza da quest'area, nella zona di Ponte
Buttero, vennero in luce nel 1926 altri due sarcofagi
in marmo, databili al III secolo d.C. (uno presentava
la raffigurazione di una scena di orante, l'altro con
strigilatura, aveva nella parte centrale circolare la
raffigurazione delle tre grazie ed agli angoli eroi
sorreggenti delle fiaccole); altri elementi
architettonici, forse decorazione di antichi sepolcri,
andati completamente distrutti durante la costruzione
degli edifici, sono conservati all'interno di un
giardino condominiale in Via dei Corazzieri, di fronte
a Via dei Guastatori.
I
resti di un lungo tratto di strada basolata furono
rinvenuti nel 1953, al chilometro 6,500 della Via
Laurentina, nei pressi dell’incrocio con Via Oscar
Sinigaglia, durante i lavori d’ampliamento del
villaggio Giuliano-Dalmata. Dell’asse basolato fu
messo in luce un tratto che conservava ancora sul lato
est i margini a blocchi di basalto disposti
verticalmente.
Recentemente, tra marzo e giugno del 1995, a meno di
150 metri a sud da quest'area, durante gli sbancamenti
operati per il raddoppio dell'attuale tracciato di Via
Laurentina, sono stati messi in luce i resti di un
probabile complesso abitativo d’epoca romana, tracce
di un pozzo-cisterna scavato nel banco di tufo e i
resti di una necropoli d’età imperiale.
Nel
1969, a circa 600 metri ad ovest da questi
ritrovamenti, furono rinvenuti, durante la
realizzazione del Piano di Zona 37 Ferratella, i resti
riferibili ad una villa rustica databile tra la fine
del II secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C.; del
complesso, già in parte sezionato dallo sfruttamento
dell'area ad uso di cava per la pozzolana, vennero
messe in luce alcune murature di terrazzamento,
realizzate in opera reticolata di tufo ed in
calcestruzzo di selce e i resti di una cisterna in
calcestruzzo con copertura a volta.
Lo
scavo dell'impianto rustico della villa mise in
evidenza un sistema costituito da canalette e fosse
scavate nel banco di tufo, utilizzate probabilmente
per la raccolta e conservazione delle acque
meteoriche; fu inoltre individuato un complesso idrico
sotterraneo costituito da pozzi e cunicoli scavati nel
tufo e rivestiti d'intonaco idraulico in cocciopesto.
Dopo
un periodo di abbandono, probabilmente avvenuto sul
finire del II secolo d.C., il complesso rustico venne
riutilizzato come area di necropoli; all'interno di
alcuni ambienti furono messe in luce una serie di
tombe a fossa con copertura di tegole disposte alla
cappuccina o all'interno di anfore di tipo africano (III
secolo d.C.).
Come
si può vedere, questi sporadici rinvenimenti
concorrono alla ricomposizione dell'antico tessuto
topografico di una vasta area che, proprio per la
mancanza di ruderi affioranti sul terreno, non era
stata finora inquadrata nel suo giusto contesto.
La
probabile esistenza di luoghi di culto, a partire dal
periodo arcaico, e la presenza di resti della fine
della repubblica e di varie testimonianze relative ad
epoca imperiale, testimoniano una continuità di vita e
un crescendo di insediamenti in tutta la zona. |