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N. 10 - Marzo 2006

LAURENTINA - ACQUA ACETOSA

L'abitato e la necropoli - Parte II*

di Leonardo Schifi

 

*su gentile concessione dell’autore

Edifici abitativi e tombe di epoca romana

 

Fase Repubblicana

 

Sul pianoro antistante il vallo dell’abitato protostorico, nella zona precedentemente occupata da un casale moderno attualmente non più visibile, sono state rinvenute tracce di un edificio risalente al IV-III secolo a.C.

 

Un'indagine di scavo parziale delle strutture ha permesso di individuare una serie di pozzi e cunicoli, scavati nel banco di tufo, probabilmente collegati ad un complesso sotterraneo per la raccolta idrica; nelle fosse di scarico, trovate nelle immediate vicinanze, si sono potuti recuperare centinaia frammenti di vasi di uso comune d’impasto, di argilla depurata acroma, ceramica a vernice nera dipinta a fasce o sovradipinta.

 

A nord di questo complesso una serie di trincee ortogonali scavate nel banco di tufo, forse utilizzate per usi agricoli, sembrano indicare l'esistenza di un altro edificio a cui si possono anche attribuire alcuni pozzi-cisterna con cunicoli rivestiti d'intonaco idraulico.

 

Anche nell’area di Casale Massima si è riconosciuta una rete di trincee, scavate nel banco di tufo, con probabile destinazione agricola, forse attribuibile ad epoca medio repubblicana, ed un coevo sistema idrico costituito da pozzi-cisterna e cunicoli per la raccolta delle acque meteoriche.

 

Altri resti di due fattorie, insieme ad alcune trincee e fosse riferibili alla piantagione di un vigneto di epoca tardo repubblicana, si segnalano lungo Via dell'Acqua Acetosa Ostiense nell'area di Casale dell'Ara.

 

Strutture probabilmente riferibili ad un altro stanziamento agricolo, con resti di una probabile fossa-cisterna e muri di delimitazione per installazioni di servizio, sono state messe in luce nei pressi dell'incrocio di Via Laurentina con Via di Tor Pagnotta.

 

La presenza di queste strutture abitative è ulteriormente confermata dal ritrovamento di un nucleo di tombe repubblicane nell'area occupata precedentemente dalla necropoli protostorica.

 

Di particolare interesse è stato il rinvenimento nei pressi di Casale Massima, a circa venti metri ad ovest del gruppo di tombe protostoriche, di una grande tomba a camera databile sicuramente al IV secolo a.C.

 

Fase Imperiale

 

Di notevole interesse è l’area occupata da una villa situata lungo Via dell’Acqua Acetosa Ostiense a circa un chilometro e mezzo sulla destra dal bivio con la moderna Via Laurentina. La villa si sviluppava su un’altura tufacea prospiciente a nord est il fosso dell’Acqua Acetosa ed era protesa, verso la collina nota come Centro di Mezzo, con due lingue separate da una sella.

 

L’insediamento sorgeva sulla dorsale orientale che presentava pareti assai scoscese sui lati settentrionale e nord orientale, mentre scendeva più dolcemente ad ovest.

 

L’impianto della villa occupava il pianoro superiore ampliato artificialmente sul fianco occidentale con una spianata sostenuta da poderosi muri di terrazzamento; la maggior parte delle strutture è però conservata solo a livello di fondazione o ad un minimo elevato.

 

Esteso su un fronte di circa venti metri, si è individuato un ampio muro in opera reticolata sostenuto ad intervalli irregolari da contrafforti in simile tecnica costruttiva.

 

A distanza di 30 metri verso sud è stato scoperto un secondo complesso di terrazzamenti sensibilmente danneggiato: esso presentava un ambiente con fondazioni in opera cementizia, formato da un muro inserito in una sacca nel banco di tufo, che correva in senso est ovest parallelamente alla pendenza del terreno, e un secondo muro perpendicolare di maggior larghezza.

 

Nell'area del pianoro e alla base del declivio sono state individuate tracce di un sistema idrico costituito da pozzi e canalizzazioni sotterranee. Per l’inquadramento cronologico dell’impianto gli unici dati a disposizione provengono dalla ceramica recuperata che, insieme al tipo di tecnica edilizia, delinea un orizzonte di epoca augustea.

 

Probabilmente facevano parte di questo vasto complesso alcuni ambienti di servizio e resti di strutture di un impianto termale, situati a circa 150 metri ad ovest della villa, scoperti recentemente durante lavori per l'allargamento di Via Camus nell'area del Piano di Zona Colle Parnaso.

 

Nella zona di Casale Massima sono state rinvenute alcune cave di tufo che, insieme a resti di tracciati stradali di servizio, delineano il prolungarsi nell’uso di quest'area fino ad epoca imperiale.

 

A circa 750 metri a est da questa zona, infine, lungo Viale dell'Esercito, nella città militare della Cecchignola, sorgono i resti di grande cisterna rettangolare databile al II secolo d.C.

 

La struttura, realizzata in muratura di opera listata e rivestimento interno in cocciopesto, è costruita su grandi archi in laterizio e presenta due piani ciascuno con quattro vani rettangolari indipendenti. Sullo spigolo nord est della cisterna, intorno al XV secolo d.C., venne realizzata una torre medioevale che dette il nome a tutto il complesso.

 

Il complesso medioevale

 

A circa 350 metri a nord dell’abitato protostorico sono stati rinvenuti i resti di un casale fortificato di epoca medioevale. Questo complesso, databile dal X al XV secolo d.C., è il primo finora documentato nel Lazio a sud del Tevere.

 

La struttura, di cui si conservano solo le fondazioni, occupa la parte settentrionale del pianoro ed è costituita da una torre a cui sono addossati due ambienti.

 

Il complesso medioevale è circondato da un fossato, scavato nel banco di tufo, formante un recinto grosso modo ellittico, delle dimensioni circa di 60 x 40 metri, all'interno del quale sono state individuate tre cisterne a forma di silos; all'esterno del fossato sono stati invece scavati i resti di due fornaci e di due cisterne per raccolta dell’acqua.

 

A meno di 1300 metri a est da questo complesso, all'interno della città militare della Cecchignola, si conservano i resti medioevali di una vedetta noti con il nome di Torre d'Archetta.

 

La struttura, sorta sullo spigolo nord est di una cisterna romana a grandi archi laterizi (da qui il nome di Torre d'Archetta), era a pianta rettangolare con paramenti in tufelli frammisti a materiale di recupero; presentava finestre, poi murate, con stipiti marmorei e numerosi fori per le travature lignee.

La notevole altezza della torre facilitava il controllo lungo i tracciati stradali della Laurentina moderna e dell'Ardeatina antica.

 

Aree di confine dell’abitato protostorico

 

Tenuta del Torrino

 

Nel 1979 la realizzazione del nuovo quartiere abitato in località Torrino, lungo la Via Ostiense presso il Grande Raccordo Anulare, ha fornito l'occasione per un'indagine archeologica approfondita su una porzione di territorio che, per posizione e conformazione, presentava condizioni particolarmente favorevoli allo stanziamento umano.

 

La ricerca è stata condotta a tappeto su una superficie di circa cento ettari, costituita da due principali propaggini collinari di terreno argilloso calcareo poggianti su strati di ghiaia e sabbia con sottostante banco di tufo; su ognuna di queste propaggini si è ritrovata in modo quasi puntuale una successione di testimonianze di vita.

 

Il risultato più interessante delle ricerche è costituito dall'accertamento della presenza di vita stabile nel comprensorio, dalla seconda metà dell'VIII secolo a.C. fino a tutta l'epoca imperiale romana; inoltre le testimonianze archeologiche, anche se in parte frammentarie a causa della precarietà delle strutture (capanne o edifici con muri a secco e a graticcio) e per le vicissitudini dei luoghi (cave, movimenti di terra, arature, dilavamenti ecc.), sembrano


raggruppate attraverso i secoli intorno a determinati punti in modo da poter essere interpretate come possibili entità terriere, che si sono mantenute tali per un arco di tempo considerevole.

 

 

L'area del Torrino fa parte di un gruppo di alture prospicienti la riva sinistra del Tevere, fra i fossi di Acqua Acetosa e Vallerano a nord e quello di Malafede a sud, a metà strada fra i due antichi abitati di Tellenae (Acqua Acetosa Laurentina) ad est e di Ficana (Acilia) a sud ovest.

 

 

Fig. 10 - Tenuta del Torrino. Veduta aerea della torre medioevale del Torrino (da A. Bedini 1985) 

Il nome del Torrino compare per la prima volta nel secolo scorso in alternativa al toponimo di Torraccia, con cui si indicavano i resti di una torre posta su una collina a sinistra dell'undicesimo chilometro della Via Ostiense.

 

Lo scavo archeologico dell'area ha permesso di mettere in luce i ruderi della torre medioevale, collegati ad una sottostante cisterna rettangolare, all'interno di una villa il cui impianto risale ad epoca augustea; il complesso, in posizione dominante, si estende su una superficie di quasi un ettaro e si dispone a terrazze degradanti verso il ciglio nord della collina.

 

L'importanza della zona è stata confermata dalle ricognizioni superficiali effettuate nel 1978-'79 che hanno identificato, sull'altura presso l'incrocio della Via Ostiense e il Grande Raccordo Anulare, resti di vita attribuibili alla fine dell'età del Bronzo (XII-IX secolo a.C.); gli scarsi frammenti ceramici recuperati in superficie sono però estremamente significativi, soprattutto alla luce del rinvenimento di un medesimo orizzonte culturale nell'area degli abitati di Tellenae (Acqua Acetosa Laurentina), di Ficana (Acilia) e di Casale della Perna (tenuta di Castel di Decima), presso l'abitato protostorico di Politorium.

 

L'area comunque risulta abitata già in epoca più antica in seguito al recupero, su un'altura presso la Via Ostiense, di una sepoltura, con un individuo inumato in posizione rannicchiata, che potrebbe far risalire la frequentazione della zona alla fine dell'Eneolitico o alla prima età del Bronzo (XVIII-XVI secolo a.C.).

 

A circa 500 metri a sud sud ovest della sepoltura eneolitica, sono stati individuati i resti di tre tombe a fossa di cui due, una maschile ed una femminile, risalenti al 730 a.C.; la terza, maschile, databile entro la prima metà del VII secolo a.C.

 

L'area delle sepolture è stata disturbata da interventi di epoca successiva, con


l'apertura di fosse quadrangolari e tombe a cappuccina di età romana, che possono aver probabilmente distrutto altre tombe protostoriche.

Fig. 8 - Tenuta del Torrino. Veduta interna della tomba a camera n.° 2

(da A. Bedini 1985)

 

I resti sconvolti di altre sepolture a fossa del VII secolo a.C. sono stati trovati più ad est presso la cisterna di una villa di epoca tardo repubblicana-imperiale e nella zona già edificata nel comprensorio di Mostacciano.

 

Il rinvenimento più importante è stato fatto a circa 450 metri a sud est del rudere medioevale del Torrino con la scoperta di due tombe a camera databili all'ultimo quarto del VII secolo a.C.

 
Queste due sepolture, scavate nel banco di tufo su un pendio a forma di vasca, si presentano una attigua all'altra con corridoio di accesso e più camere interne di fattura piuttosto rozza; la maggiore delle due, con sei camere, presenta un uso prolungato a tutto il VI secolo a.C.

 

Fig. 9 - Tenuta del Torrino. Oggetti di corredo delle tombe protostoriche A e C (da A. Bedini 1985) 

La presenza di queste tombe deve essere riferita a nuclei familiari residenti nell'area del Torrino, forse sulle vicine alture di Mostacciano e sulla collina di San Ciriaco lungo la Via Ostiense. 

Molto probabilmente la comunità di appartenenza di questi gruppi era quella residente nell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa, a cui territorialmente doveva appartenere l'attuale area del Torrino, che costituiva la zona di confine lungo il percorso del fiume Tevere.

 

La presenza di tali famiglie di carattere gentilizio doveva avere, oltre ad una precisa funzione di carattere economico, cioè di controllo delle strade di comunicazione e di gestione dei traffici, anche un importante funzione politica, tutelando in un certo senso i confini del territorio in epoche in cui dovevano essere frequenti i contrasti causati da episodi di sconfinamento a scopo di razzia.

 

Al VI-V secolo a.C. probabilmente, deve risalire la prima sistemazione di un tracciato viario che, salendo dalla Via Ostiense, ad est, tagliava obliquamente il pianoro del comprensorio per poi piegare verso nord, scendendo in una valle nel quartiere di Mostacciano.

 

Quest'asse stradale di lunga percorrenza doveva avere alcune diramazioni secondarie sul lato nord, come attestano i due tratti di tracciato rinvenuti sul pianoro.

 

All'incrocio con una di queste diramazioni, ai limiti del settore occidentale del comprensorio, sono state messe in luce, su un pendio volto a sud est, un interessante raggruppamento di capanne con fosse ellittiche e un pozzo in comune per l'approvvigionamento idrico.

 

Il materiale ceramico rinvenuto attesterebbe una frequentazione dell'area dall'epoca tardo arcaica fino al IV-III secolo a.C.; una successiva occupazione del sito è testimoniata dai resti di una villa databile tra la tarda età repubblicana e quella imperiale.

 

Il tracciato stradale rimase invariato fino ad epoca imperiale, come dimostrano tre gruppi di tombe alla cappuccina, dislocati lungo il percorso, e la tomba a camera ipogea, con all'interno un sarcofago a superfici grezze, rinvenuta presso l'estremità orientale del comprensorio.

 

Nei pressi del Grande Raccordo Anulare, a meno di 650 metri a sud ovest di questa tomba ipogea, sono stati recentemente individuati i resti di un insediamento romano databile alla tarda età repubblicana.

 

Un'altra villa rustica, di cui si conservano, in fondazione, i muri perimetrali di alcuni ambienti di servizio, è situata 600 metri ad ovest di quest'area lungo il Vicolo di Trafusa.

 

Procedendo lungo questo percorso viario, al centro del pianoro, sono stati messi in luce alcuni ambienti riferibili ad una villa risalente tra la tarda età repubblicana e quella imperiale. Tracce di un pozzo-cisterna sono state rinvenute, su una propaggine del comprensorio, a meno di 300 metri a sud sud ovest da questo complesso.

 

A circa 200 metri ad est di questo insediamento sono state individuate tracce di capanne, forse databili al VII-VI secolo a.C., e muri a secco, purtroppo molto frammentari, di un edificio databile ad epoca tardo arcaica. Tale struttura, forse costituita da un cortile porticato con ambienti su due lati, sarebbe stata successivamente distrutta da fosse di epoca medio repubblicana relative ad un impianto di cui si conservano i resti, in parte ipogei, di una grande cisterna rettangolare a blocchi di tufo.

 

Un altro edificio arcaico, realizzato con muri a secco che descrivono un cortile centrale e ambienti sui lati corti nord e sud, è stato rinvenuto a circa 250 metri più ad est nell'area occupata successivamente da una villa rustica.

 

Nel corso della media e tarda età repubblicana, tutte le strutture di quest'area vengono spianate e solcate da canalizzazioni, forse ad uso agricolo, relative all'impianto di un edificio rustico, databile al III-II secolo a.C., di cui si conservano strutture a blocchi di tufo e resti di una grande cisterna rettangolare.

Con la seconda metà del I secolo a.C. l'impianto della villa viene ampliato e radicalmente ristrutturato con la creazione di una corte porticata su tre lati e di ambienti residenziali a nord, con al centro il tablinium affiancato ai lati da ambienti disposti simmetricamente; a sud viene invece realizzata la parte rustica con ambienti di lavorazione e di immagazzinamento dei prodotti agricoli e le stalle.

 

Una nuova cisterna circolare viene a sostituire quella rettangolare più antica e forse in occasione di questi lavori viene costruita una fornace rettangolare all'angolo sud ovest del complesso.

 

Successive modifiche e rifacimenti testimoniano la sua durata fino a tarda epoca imperiale; la presenza di tombe a cappuccina nell'area del cortile e del portico nord confermerebbero tale ipotesi.

 

Dagli scavi condotti risulta evidente che nell'area del Torrino, durante la fase romana, il momento di maggior fioritura edilizia è quello rappresentato dal periodo augusteo, come testimoniano le prime fasi d'impianto relative a quattro ville rustiche.

 

La zona del Torrino, servita da importanti assi viari quali la Via Ostiense e la Via Laurentina, non lontana da un importantissimo centro di scambio come il porto di Ostia e da un sempre più esigente mercato come quello di Roma, soddisfaceva in pieno le condizioni prescritte da Catone (De Agric. I, 3), e dagli altri agronomi (Varrone De r.r. I, 16, 1-3; Columella I, 2), per l'insediamento di quelle fattorie modello che sono alla base del modo di produzione schiavistico, autosufficienti e nello stesso tempo produttrici di surplus destinato al grande mercato.

 

Numerose sono pure le fonti che da Cicerone a Plinio il Giovane e Simmaco descrivono questa parte del suburbio di Roma parlando di ville e possedimenti lungo la Via Ostiense e riportando nomi di proprietari famosi o sconosciuti, a cui si possono aggiungere quelli tramandatici dalla documentazione epigrafica su cippi e da tubazioni plumbee.

 

Difficile è il compito di trovare una puntuale corrispondenza fra questi personaggi e i resti archeologici evidenziati, tenendo presente che la forte domanda di terra nelle aree prossime alla città ne favoriva il continuo passaggio di proprietà ed il frazionamento, bastando spesso anche una superficie minima, ma opportunamente sfruttata, per ottenere lauti guadagni.

 

L'E.U.R. e la Tenuta della Ferratella

 

Il territorio su cui attualmente sorge il moderno quartiere dell’E.U.R. ha rappresentato, fin dai primi secoli della storia dell’Urbe e successivamente durante tutta l’epoca romana e medioevale, una posizione di notevole importanza, venendo quasi a costituire, a sud di Roma, un punto di congiunzione tra l’immediato suburbio e la campagna vera e propria.

 

Durante gli sbancamenti, operati negli anni dal 1937 al 1939, per la realizzazione dell’intero quartiere, non fu mai data una descrizione accurata dei rinvenimenti e non tutti i resti messi in luce furono adeguatamente salvaguardati, anzi la maggior parte delle strutture fu distrutta, per permettere il proseguimento dei lavori d’urbanizzazione dell'area.

 

La funzionalità del quartiere era ulteriormente accresciuta, oltre alla relativa vicinanza all’importantissimo centro di scambio come il porto di Ostia, anche dalla presenza di un vicino borgo, noto con il nome di vicus Alexandri, considerato uno dei principali scali commerciali lungo il percorso suburbano del Tevere.

 

Il complesso portuale, situato tra la collina su cui sorge il Forte Ostiense e quella più a sud detta di Ponte Fratto, pur avendo origini probabilmente risalenti ad epoca medio repubblicana, non viene mai menzionato dalle fonti prima della metà del IV secolo d.C., quando ce ne dà una breve notizia Ammiano Marcellino (Rerum gestarum libri, XVII, 4, 14).

 

Nell'area in cui si è voluto porre il vicus Alexandri provengono numerosi ritrovamenti: due documenti del 1321 ricordano il carico di marmi dal Portus Grapiliani, denominazione che assunse la località durante l'epoca medievale; nel '700, nelle diverse vigne della zona, furono rinvenute iscrizioni, sia funerarie sia votive, resti di colombari e ruderi di un imponente mausoleo. Alcuni rinvenimenti compiuti nell'800 misero in luce ambienti termali, un bacino lustrale, un sepolcro in blocchi di peperino, cippi per la delimitazione di tombe, iscrizioni funerarie e resti forse pertinenti alle strutture portuali.

 

Tra il 1891 e il 1897, sulla riva sinistra del fiume, emersero a circa 4 chilometri dalla porta di S. Paolo, muri di fondazione in scaglioni di tufo con paramento in cortina laterizia, pavimenti in mosaico a tessere bianche e nere e soglie di travertino; successivamente, sulla riva sinistra del fiume, nei prati fra la Basilica di S. Paolo e il bivio detto "del Ponticello", fu rinvenuto, a circa 700 metri a sud della Basilica, un muraglione di circa 22 metri di lunghezza realizzato in scaglioni di tufo legati con malta (forse poteva trattarsi di una sponda murata). Altre porzioni di banchine sono riemerse in anni recenti poco a valle dell'ansa sottostante la Basilica di S. Paolo, lungo la riva destra del fiume.

 

Con ogni probabilità le strutture di questo vicus dovevano rappresentare uno scalo intermedio nella navigazione di risalita del Tevere da Ostia a Roma, intorno alle quali si era sviluppato, a partire dalla metà del IV secolo a.C., un centro abitato: sul lato sinistro della Via Ostiense si dovevano trovare le abitazioni, mentre sul lato destro doveva essere la zona commerciale con uffici e magazzini.

L'area occupata dal moderno complesso urbanistico dell'E.U.R., collocata in una posizione sopraelevata e caratterizzata da una serie di pianori dagli estesi orizzonti, si prestava favorevolmente, durante il periodo romano, all’insediamento di piccole fattorie e ville residenziali garantite anche da una locale rete stradale particolarmente ricca e ben articolata.

 

Questa maglia viaria poteva contare, oltre alla Via Ostiense e alle due vie che portavano nell’agro Laurentino, entrambe con andamento nord sud, anche di un lungo asse viario che, staccandosi verosimilmente al sesto chilometro dell'antica Via Ostiense, tagliava diagonalmente il comprensorio, da nord ovest a sud est, e si univa, una volta incrociato il percorso della moderna Via Laurentina, nei pressi di Ponte Buttero, con l'antica Via Ardeatina mediante un diverticolo ricalcante l'attuale Via di Vigna Murata.

 

Oltre a quest'asse stradale, in questa zona dovevano probabilmente convergere altre due vie: una, il cui tracciato è solo ipotetico, ricalcava la moderna Via Laurentina, l’altra, probabilmente un diverticolo di cui era già noto da tempo un breve tratto, proveniva dall’Abbazia delle Tre Fontane e tagliava diagonalmente questo complesso con andamento nord est sud ovest.

 

Il percorso della tangenziale, che tagliava in due il comprensorio dell'E.U.R., portato in luce in vari segmenti durante gli sbancamenti per la realizzazione del nuovo quartiere e della Via Cristoforo Colombo, si dirigeva nel primo tratto, con un andamento grosso modo regolare nord nord ovest, a destra di un’altura ora occupata dal Piazzale delle Nazioni Unite, per poi deviare decisamente, all’altezza di Piazzale Guglielmo Marconi, verso sud est; in particolare in quest’area fu messo in luce un tratto di strada basolata, compreso fra l’attuale Piazzale Konrad Adenauer e Via Ciro il Grande, in cui la via, evitando tutta una serie d’alture, correva lungo un avvallamento delimitato a sud da una collina ed a nord da banchi tufacei, probabilmente già sfruttati in epoca antica come cava di materiali da costruzione.

 

Nel 1938, nell'area occupata attualmente dal Piazzale delle Nazioni Unite, durante la realizzazione delle fondazioni per la costruzione del palazzo dell’I.N.A., furono rinvenuti alcuni resti delle strutture murarie di un tempio arcaico, databili al V secolo a.C., e frammenti appartenuti alla decorazione fittile dell'edificio cultuale (un'antefissa policroma con raffigurazione di una cavallo e decorazione con motivi a riquadri nella parte inferiore, un frammento di lastra raffigurante la parte superiore di una gamba maschile, un frammento policromo di un elemento per la copertura del tetto e un frammento di piede relativo ad un ex voto).

 

Il tracciato stradale, prima di raggiungere la Via Cristoforo Colombo, nelle vicinanze della quale fu rinvenuto un brevissimo tratto di strada basolata, aveva una diramazione ad est lungo l’asse dell’attuale Piazzale dell’Agricoltura; nell’angolo formato dalla biforcazione furono rinvenuti i resti di una tomba. Questa diramazione stradale doveva probabilmente raggiungere una piccola altura, all’altezza di Piazzale dell’Industria, dove emersero un gruppo di tombe, e raccordarsi, nei pressi del Santuario della Madonna delle Tre Fontane, con il tracciato ricalcante la moderna Via Laurentina.

 

Recentemente in quest’area, durante alcuni lavori di sterro, sono stati recuperati, all'interno di una fossa scavata nel banco di tufo, alcuni ex voto fittili databili tra il IV e gli inizi del III secolo a.C. (una mezza testa femminile e un piede sinistro); il tipo di materiale rinvenuto può essere messo in relazione con un luogo sacro probabilmente legato al culto delle acque od una vicina fonte, identificabile verosimilmente all’interno del complesso dell'Abbazia delle Tre Fontane.

 

La presenza di questi votivi fittili e il precedente rinvenimento in zona, durante gli sbancamenti del 1938, di elementi architettonici d’età arcaica (due antefisse a testa femminile, due frammenti di lastre fittili con decorazione geometrica e figurata, un frammento di antefissa policroma con palmette e un frammento policromo di un piede calzato, forse relativo ad un ex voto), probabilmente riferibili alla decorazione di un altro edificio cultuale, può far ipotizzare l’esistenza, sull’altura ora occupata dal moderno complesso delle Madonna delle Tre Fontane, di un secondo santuario con una sua prima fase databile tra la fine del VI ed gli inizi del V secolo a.C. ed una successiva frequentazione dell’area almeno fino alla metà del III secolo a.C.

 

Ulteriori resti dell’asse viario affiorarono, ancora per diversi tratti e a varie distanze, nella zona compresa tra gli edifici che ospitano il Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini” e quello della Marina Mercantile; in questo settore di scavo furono messi in luce, ai lati del tracciato viario, resti di un sarcofago liscio in terracotta collocato alla stessa quota del piano stradale, un muro in blocchi di tufo giallo che rivestiva un nucleo cementizio in scaglie di pietra, un gruppo di tombe a camera, colombari, numerose tombe a fossa con copertura a cappuccina, tracce di muratura a blocchi di tufo e avanzi di murature forse attribuibili ad altri sepolcri.

 

A Nord di quest’area, in particolare su di un’ampia collina attualmente compresa tra Viale della Civiltà Romana e Viale della Letteratura, furono messi in luce, durante alcuni lavori che portarono successivamente al completo livellamento dell’altura, i resti di un vasto complesso rustico identificabile in una villa romana databile alla tarda età repubblicana (fine II secolo a.C. inizi I secolo d.C.).

 

Del complesso furono messi in luce numerosi ambienti, quasi tutti con orientamento est ovest, con paramenti di muratura in opera reticolata di tufo; vennero anche rinvenuti, all’interno di alcune stanze, pavimenti in mosaico con decorazioni floreali, in opus spicatum e in cocciopesto.

 

All’interno dell'insediamento furono evidenziati anche i resti di un sistema di raccolta per le acque, costituito da alcune cisterne e cunicoli scavati nel banco di tufo con rivestimento d’intonaco idraulico; presso l’estremità meridionale della villa fu identificato un pozzo di forma circolare.

 

Si potrebbe ipotizzare che l'area facesse parte di un tenuta appartenente alla gens Antonia, Cornelia o Cassia: sappiamo, infatti, che tra i fondi che componevano nel VII secolo d.C. la massa quae Aqua Salvias nuncupatur, vale a dire la Tenuta delle Tre Fontane, erano compresi quelli denominati Antoniana, Cassianum e Cornelianum.

 

L’asse stradale, di cui non furono evidenziati ulteriori resti, proseguiva verso sud est andando a raggiungere la moderna Via di Vigna Murata.

 

Su un’altura delimitante a nord questa strada, a circa 500 metri a sinistra dall’incrocio con la moderna Via Laurentina, furono rinvenuti i resti di una cisterna romana realizzata in calcestruzzo di selce nota con il nome di “ruderi delle Grotte d’Arcaccio”. Sulle strutture d’epoca romana, di cui attualmente non rimangono che alcuni tratti della parete sud, fu fondata, tra il X secolo e l'XI secolo d.C., una torretta d’avvistamento realizzata in blocchetti regolari di tufo; la torre occupava un’ottima posizione in quanto, oltre a vigilare sulla Via Laurentina, poteva controllare una strada d'origine romana, l’odierna Via di Vigna Murata, che univa la Via Ostiense all’Appia.

 

Nel 1971, a circa 250 metri prima dell’incrocio di Via del Serafico con Via del Tintoretto, durante alcuni lavori per la realizzazione di un edificio, furono rinvenuti i resti di un sepolcro ipogeo; la tomba, costruita con un paramento in opera mista di laterizi e tufelli, accoglieva, all’interno di due celle, sepolture ad inumazione ed incinerazione.

 

Anche l’attuale tracciato di Via Laurentina, da Ponte Buttero fino all’altezza della città militare della Cecchignola, doveva ricalcare i resti di un’antica strada.

 

Nel 1942 all’incrocio di Via Laurentina con Via del Fenilone, durante la realizzazione della centrale elettrica, fu scoperto un cunicolo scavato nel banco di tufo, le cui pareti erano rivestite con un sottile strato d’intonaco idraulico in cocciopesto; a meno di 300 metri ad est da quest’area, lungo Via dei Radiotelegrafisti, nel 1959 furono rinvenuti tre tombe con sarcofagi di marmo bianco.

 

A breve distanza da quest'area, nella zona di Ponte Buttero, vennero in luce nel 1926 altri due sarcofagi in marmo, databili al III secolo d.C. (uno presentava la raffigurazione di una scena di orante, l'altro con strigilatura, aveva nella parte centrale circolare la raffigurazione delle tre grazie ed agli angoli eroi sorreggenti delle fiaccole); altri elementi architettonici, forse decorazione di antichi sepolcri, andati completamente distrutti durante la costruzione degli edifici, sono conservati all'interno di un giardino condominiale in Via dei Corazzieri, di fronte a Via dei Guastatori.

 

I resti di un lungo tratto di strada basolata furono rinvenuti nel 1953, al chilometro 6,500 della Via Laurentina, nei pressi dell’incrocio con Via Oscar Sinigaglia, durante i lavori d’ampliamento del villaggio Giuliano-Dalmata. Dell’asse basolato fu messo in luce un tratto che conservava ancora sul lato est i margini a blocchi di basalto disposti verticalmente.

 

Recentemente, tra marzo e giugno del 1995, a meno di 150 metri a sud da quest'area, durante gli sbancamenti operati per il raddoppio dell'attuale tracciato di Via Laurentina, sono stati messi in luce i resti di un probabile complesso abitativo d’epoca romana, tracce di un pozzo-cisterna scavato nel banco di tufo e i resti di una necropoli d’età imperiale.

 

Nel 1969, a circa 600 metri ad ovest da questi ritrovamenti, furono rinvenuti, durante la realizzazione del Piano di Zona 37 Ferratella, i resti riferibili ad una villa rustica databile tra la fine del II secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C.; del complesso, già in parte sezionato dallo sfruttamento dell'area ad uso di cava per la pozzolana, vennero messe in luce alcune murature di terrazzamento, realizzate in opera reticolata di tufo ed in calcestruzzo di selce e i resti di una cisterna in calcestruzzo con copertura a volta.

 

Lo scavo dell'impianto rustico della villa mise in evidenza un sistema costituito da canalette e fosse scavate nel banco di tufo, utilizzate probabilmente per la raccolta e conservazione delle acque meteoriche; fu inoltre individuato un complesso idrico sotterraneo costituito da pozzi e cunicoli scavati nel tufo e rivestiti d'intonaco idraulico in cocciopesto.

 

Dopo un periodo di abbandono, probabilmente avvenuto sul finire del II secolo d.C., il complesso rustico venne riutilizzato come area di necropoli; all'interno di alcuni ambienti furono messe in luce una serie di tombe a fossa con copertura di tegole disposte alla cappuccina o all'interno di anfore di tipo africano (III secolo d.C.).

 

Come si può vedere, questi sporadici rinvenimenti concorrono alla ricomposizione dell'antico tessuto topografico di una vasta area che, proprio per la mancanza di ruderi affioranti sul terreno, non era stata finora inquadrata nel suo giusto contesto.

 

La probabile esistenza di luoghi di culto, a partire dal periodo arcaico, e la presenza di resti della fine della repubblica e di varie testimonianze relative ad epoca imperiale, testimoniano una continuità di vita e un crescendo di insediamenti in tutta la zona.



 

 

 

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