N. 9 - Febbraio 2006
LAURENTINA - ACQUA ACETOSA
L'abitato e la
necropoli - Parte I*
di Leonardo Schifi
*su gentile concessione
dell’autore
L'abitato protostorico
L’insediamento protostorico individuato
all’ottavo chilometro a sud di Roma, lungo la moderna
Via Laurentina in località Acqua Acetosa, di fronte la
città militare della Cecchignola, è stato oggetto di
un'accurata campagna di indagini sistematiche, a cura
della Soprintendenza archeologica di Roma, dal
settembre del 1976 ad oggi.
La scoperta dell'insediamento è
avvenuta in seguito ad un’attenta ricognizione
territoriale, in occasione della creazione del nuovo
quartiere abitato previsto dal Piano di Zona 38
Laurentino.
Stupisce che il sito sia stato quasi
ignorato dalla letteratura archeologica, salvo alcune
indagini condotte nel 1839 dalla Duchessa di Sermoneta,
sia per l'abbondanza di frammenti ceramici presenti in
superficie, sia per la caratteristica forma del
pianoro dell'abitato.
La presenza di una sorgente di acqua
minerale e la posizione strategica della collina,
dominante la valle del fosso dell’Acqua Acetosa, a
poca distanza dal Tevere, devono aver certo favorito
la scelta del luogo per un centro abitato, a partire
dall’VIII secolo a.C., epoca in cui si formano nel
Lazio nuovi insediamenti ed in cui anche altri, di
origine più antica, fra cui la stessa Roma, vengono ad
assumere un carattere più unitario, chiusi da
imponenti opere difensive, tipiche dell’area laziale;
tali strutture erano articolate essenzialmente nella
successione di un terrapieno fortificato e di un
fossato artificiale antistante.
L'abitato protostorico, seppur di
modeste dimensioni, dovette avere una certa
importanza, determinata dalla sua posizione ai confini
del territorio della Roma regia e dalla vicinanza del
Tevere, importante via commerciale e di comunicazione,
con l'area delle città di Veio e di Falerii.
Dai dati raccolti, in attesa dello
scavo sistematico dell’insediamento, si può ipotizzare
una decadenza del sito verso la fine del VII secolo
a.C.; molto probabilmente una ripresa di vita si ha
durante il IV e III secolo a.C., quando, per motivi di
difesa, Roma dovette erigere tutta una serie di
cittadelle fortificate, in posizione strategica,
spesso coincidenti con i siti dei villaggi
protostorici come nei casi di Ficana (Acilia) e
Politorium (Tenuta di Castel di Decima).
Anche se per ora resta problematica
l’identificazione dell'abitato protostorico con uno
dei nomi dei centri latini "scomparsi senza lasciare
tracce" come riporta Plinio (Naturalis Historia
III, 68-70), la sua ubicazione a sud di Roma, non
lontano dagli insediamenti di Ficana e Politorium, ben
si adatta al tradizionale accostamento dei tre centri,
Ficana, Politorium e Tellenae, ricordati da Livio (Annales
1, 33, 1, 4) e distrutti da Anco Marcio (640-616 a.C.)
per realizzare l’espansione di Roma verso il mare.
Le testimonianze di vita, attestate per
i secoli successivi, non sembrano togliere credibilità
alle fonti storiche che parlano della distruzione di
questi centri da parte di Roma: la conquista romana
segna, infatti, la loro fine politica con lo
smantellamento delle fortificazioni, tuttavia la vita
dovette continuare, anche se solo a livello di
insediamenti molto verosimilmente di carattere
agricolo-pastorale, ed era certo questo uno degli
scopi della conquista romana.
Fig. 1 - Ricostruzione della struttura
di una capanna dell'abitato protostorico
(da AA.VV. 2000, pag. 317)
Topografia Generale
L’area dell’abitato protostorico
occupava il pianoro di una collina tufacea di forma
allungata, leggermente semicircolare, con orientamento
est ovest.
Alle due estremità del pianoro erano
situati gli unici accessi possibili in posizione
strategica e facilmente difendibili: l'accesso est è
ancora chiaramente identificabile tramite due tagliate
artificiali nel banco di tufo, creanti uno stretto
passaggio obbligato.
Il lato sud era naturalmente difeso da
alte pareti a strapiombo, ai cui piedi scorreva il
fosso dell’Acqua Acetosa. Il lato nord, in parte
scosceso, in parte raccordato al pianoro antistante,
fu fortificato agli inizi dell'VIII secolo a.C.
realizzando un taglio artificiale lungo circa 200
metri. Contemporaneamente venne realizzato sul ciglio
della collina, in modo da accentuarne il dislivello,
un terrapieno, tuttora conservato, di 11 metri di
altezza, costituito da scheggioni di tufo e terra.
Questa struttura, oltre a formare
un'efficace barriera difensiva dell'abitato,
permetteva il passaggio di un tracciato stradale che,
dal fondo valle, ad ovest, risaliva verso est,
costeggiava la collina dell'abitato, attraversava il
pianoro della necropoli e si dirigeva infine verso
nord est.
Tale percorso, identificabile fino
all’attuale Via Laurentina, consisteva in un'ampia
tagliata artificiale nel banco di tufo, larga fino a 6
metri e di profondità variabile; il fondo della
tagliata, le cui scarpate erano rivestite da scaglioni
di tufo, era occupato dalla sede stradale ampia circa
2 metri, costituita da un primo strato in scaglie di
tufo e terra battuta ricoperto da un lastricato sempre
in tufo.
Con molta probabilità, già a partire
dal V secolo a.C., la sede stradale lastricata, in cui
sono evidenti le profonde solcature dovute all’usura
per il passaggio dei carri, incominciò ad essere
interrata.
La superficie del pianoro occupata
dall'insediamento protostorico è di poco superiore ai
due ettari, ma indagini svolte nell'area pianeggiante
ad est della collina, verso la moderna Via Laurentina,
hanno provato l’esistenza di ampliamenti dell’abitato,
forse in una seconda fase, fuori della collina
fortificata.
Pur non essendo ancora stati eseguiti
scavi sistematici dell'abitato, numerosi frammenti di
ceramica, raccolti durante i sondaggi lungo il
terrapieno di fortificazione, ne permettono la
datazione agli inizi dell'VIII secolo a.C.
Durante l'esecuzione di alcuni saggi di
scavo nel settore centrale del terrapieno, presso la
sommità della collina, sono stati rinvenuti alcuni
frammenti ceramici che hanno attestato una
frequentazione del sito già a partire dall'età del
Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.). Il materiale
recuperato sembra però trovarsi in giacitura
secondaria, in una zona interessata da successivi
lavori di sistemazione delle fortificazioni;
costituendo una quantità piuttosto cospicua, questi
frammenti, sono in perfetta analogia con il materiale
che si riscontra nei vicini abitati di Ficana, in
località La Perna (Castel di Decima) e al Torrino.
Resti, infine, di uno stanziamento
probabilmente databile tra la fine dell'età Eneolitica
e la prima età del Bronzo (III-II millennio a.C.), in
gran parte distrutto dalle cave di pozzolana, sono
stati individuati lungo la moderna Via Laurentina nei
pressi dell'incrocio con Via Byron.
Fig. 2 - Ricostruzione di una parte
dell'abitato protostorico
(da AA.VV. 2000, pag. 283, fig. a)
La necropoli
I dati più interessanti e più
appariscenti sono stati ricavati dalla necropoli che,
a differenza dell’abitato, è stata scavata quasi
completamente ed ha consentito il recupero di oltre
centosettanta sepolture.
L’importanza della scoperta è data dal
fatto che essa rappresenta l’unica necropoli di cui si
ha fino ad oggi uno scavo completo e sistematico, il
cui studio potrà fornire nuovi ed importanti dati
nella ricostruzione del quadro storico e culturale del
Lazio antico.
L’esame dei corredi e l'organizzazione
e struttura delle tombe ci permette di seguire lo
sviluppo sociale all’interno della comunità che,
seppur esigua, mostra lo stesso processo, verso una
sempre maggiore articolazione e differenziazione dei
gruppi familiari, attestato anche nelle altre
necropoli laziali.
La necropoli dell'abitato si
sviluppava, sul pianoro a nord della collina, per
almeno 500 metri di lunghezza ed aveva una larghezza
di 100 metri circa. Questo sviluppo è stato
determinato dalla presenza di un percorso stradale che
risaliva la valle del fosso dell'Acqua Acetosa, ad
ovest, e si dirigeva, superata la collina
dell’abitato, verso il pianoro della necropoli a nord
est.
Le sepolture, allineate sui due lati di
quest'asse viario, sono state individuate fino dove la
Via Laurentina e le cave moderne non hanno eliminato
la possibilità di ulteriori accertamenti.
L’apertura di queste cave, verso la
fine dell'800 inizio '900, oltre a creare un’ampia
lacuna nel tessuto della necropoli, ci impedisce di
poterne fissare i limiti più lontani, mentre è quasi
sicura l’estensione in larghezza.
Dallo scavo sistematico della parte di
necropoli risparmiata dalla cave, si è comunque
accertata la presenza di una chiara stratificazione
orizzontale.
Le tombe sono scavate tutte nel banco
di tufo a profondità variabile, sotto uno strato
superficiale di humus con uno spessore di poche decine
di centimetri.
Pur non rimanendo quasi mai resti ossei
dei defunti si riesce a definire il sesso degli
inumati dagli oggetti di corredo personale.
L’orientamento delle tombe e la
disposizione degli oggetti all'interno della sepoltura
mutano a seconda delle diverse epoche, confermando
quanto avviene anche nelle altre necropoli laziali.
Questa caratteristica è una testimonianza concreta dei
mutamenti del rito funebre legati all’evoluzione
sociale ed economica delle comunità.
Le sepolture più antiche, risalenti
alla fase avanzata II B del Periodo Laziale (circa
830-770 a.C.), sono raggruppate su un pianoro
antistante il fossato difensivo dell’abitato; tale
disposizione è stata determinata dalla presenza del
tracciato stradale che risaliva, da ovest, la valle
del fosso dell’Acqua Acetosa e, dopo aver costeggiato
il terrapieno di fortificazione del villaggio, si
dirigeva a nord est verso il pianoro della necropoli.
Le tombe di questo periodo,
complessivamente dodici, per lo più femminili, con una
sola deposizione maschile, sono a fossa stretta di
forma rettangolare allungata; in genere il corpo del
defunto si trova deposto al centro della fossa, che ha
un orientamento grosso modo est ovest, mentre il capo
è sempre rivolto ad est.
Gli oggetti del corredo, in genere due
tazze e un'anfora in ceramica d'impasto, sono
collocati ai piedi dell'inumato, mentre sul corpo sono
deposti quelli di ornamento personale.
Per quanto si può giudicare, visto
l’esiguo numero di tombe a causa dello sconvolgimento
operato dalle cave di fine secolo e dal successivo uso
dell’area per abitazioni e lavori agricoli, non si
hanno differenze vistose nel rito e nella composizione
degli oggetti di corredo che sono quelli tipici delle
altre necropoli laziali.
L’unica sepoltura della fase III del
Periodo Laziale (770-730/720 a.C.) è una tomba
femminile rinvenuta sul ciglio a nord est della cava
di pozzolana.
La tomba è una fossa orientata a sud
ovest nord est con il capo del defunto volto a sud
ovest.
Il corredo, non particolarmente ricco,
presenta una certa abbondanza di fibule ed oggetti di
ornamento personale, fra cui spiccano piccole spirali
in argento, e pochi vasi d’impasto deposti ai piedi
del defunto.
In quest'area sono state rinvenute
anche un gruppo di sepolture databili all’orientalizzante
antico (ultimo quarto dell'VIII secolo a.C. - primo
quarto del VII secolo a.C.) e riferibili alla fase IV
A del Periodo Laziale (730/720 a.C.).
Sono state individuate ventiquattro
sepolture: otto sono femminili e sette maschili; delle
altre, o perché sconvolte o per mancanza di elementi
utili, non si è potuto definire il sesso. Le tombe a
fossa di questo periodo sono in genere più larghe e
hanno un orientamento a sud ovest nord est, con il
capo volto a sud ovest.
Alcune delle sepolture si differenziano
dalle altre per dimensioni maggiori e per la presenza
di una nicchia o loculo sulla parete alla destra del
defunto, ove sono raccolti, su un livello più alto del
piano di deposizione, i vasi del corredo quasi a voler
perpetuare nella tomba il concetto di tesaurizzazione
dei beni di consumo.
Comune è anche l'usanza di cospargere
sul fondo della fossa i frammenti di uno o più vasi
rotti intenzionalmente. Le tombe non presentano una
disposizione tale da far pensare a gruppi o rapporti
di dipendenza, tranne in un caso, dove purtroppo le
sepolture sono sconvolte e prive di oggetti.
Le tombe maschili contengono in genere
pochi ornamenti personali consistenti in una o più
fibule ad arco serpeggiante e rari ganci di cintura;
sono caratterizzate dalla presenza delle armi e si
possono dividere in due gruppi: quelle con spada e
lancia, con corredi più ricchi sia per quantità sia
per qualità, e quelle con sola lancia.
Nelle tombe maschili il corredo
vascolare, in media una dozzina di vasi, non si
differenzia da quello delle sepolture femminili che
invece sono caratterizzate dalla presenza della
fusarola e dalle più o meno numerose fibule in bronzo
e con arco rivestito a dischi d'ambra.
Nelle tombe più ricche si nota la
presenza di oggetti di particolare ricercatezza:
coppie di fermatrecce a nastro d'argento con
lavorazione a filigrana, bracciali, vaghi d’ambra e
pasta vitrea ed eccezionalmente anche ornamenti in
oro. In questo periodo il corredo vascolare delle
sepolture è composto, oltre che dai tradizionali vasi
di impasto tazza e anfora, anche da nuove forme
d'impasto di fattura locale (piatti, calici, coppe,
scodelle e olle) o di argilla depurata dipinta
d'importazione o di imitazione (skyphoi, kotylai, ed
oinochoai) attestanti l’introduzione dell’uso del
banchetto funebre, mutuato dall'ambiente greco
coloniale, come confermano la presenza del coltello e
degli spiedi con resti di ossa d’animali ed i
recipienti in bronzo, soprattutto bacili, tripodi e
patere.
Il processo di differenziazione dei
corredi raggiunge la sua massima esplicazione in un
gruppo di sepolture poste su un pianoro ad ovest
dell’attuale Via Laurentina.
Il centinaio di tombe rinvenute è
databile all'orientalizzante medio e recente (secondo
e terzo quarto del VII secolo a.C.) e riferibile alle
fasi IV A e IV B del Periodo Laziale (640/630-580 a.C.).
Le tombe sono disposte a formare ampi circoli o gruppi
più ristretti e solo poche si trovano isolate.
Gli orientamenti delle sepolture sono i
più disparati, anche se, per diverse sepolture resta
quello sud ovest nord est con il capo volto a sud
ovest. Questi circoli si formano a partire dagli
ultimi anni dell’VIII secolo a.C. e, per necessità di
spazio, sono realizzati sulla parte del pianoro più
lontana dall’abitato, spezzando così apparentemente la
stratigrafia orizzontale della necropoli.
Sono stati individuati cinque circoli
principali, all’interno dei quali, in posizione
centrale e/o periferica, le tombe dei membri più
importanti del gruppo assumono proporzioni decisamente
più vistose, con fosse di grandi dimensioni, definite
a "pseudo-camera" (da metri 3.40 x 2.20 fino a metri 4
x 3.50), con due pilastri centrali di legno o di
pietra che sorreggono una copertura probabilmente
lignea protetta da un tumulo esterno in scheggioni di
tufo e terra.
Nella fossa, alla destra del defunto
situato sul fondo o su una banchina laterale, si hanno
ricchi corredi comprendenti fino ad un centinaio di
vasi, con numerosi oggetti di bronzo laminato,
decorato a sbalzo con ornamenti geometrici, fra cui
spiccano gli scudi, i flabelli e i vassoi incensieri
che caratterizzano anche i corredi principeschi delle
tombe di Palestrina e di Castel di Decima nel Lazio,
di Cuma in Campania e dell'Etruria.
Altri elementi distintivi sono, oltre
il carro, oggetti in avorio finemente lavorato, le
armi in bronzo e ferro per l'uomo e la ricca stola
trapuntata in ambra con monili in argento e oro per la
donna.
Numerosi sono anche i vasi di bronzo
fra cui oinochoai, patere baccellate, tripodi, bacili
e ciste; completano i corredi varie decine di vasi
d'impasto (aryballoi, kotylai, skyphoi, askoi e
oinochoai) e piatti in argilla figulina dipinta. Di
particolare rilievo è la presenza degli unguentari di
argilla dipinta e del bucchero nelle forme e nei tipi
fra i più antichi e raffinati, uguali a quelli
attestati a Cerveteri, che confermano la simultanea
diffusione di tale ceramica in ambiente laziale fin
dal secondo quarto del VII secolo a.C.
Fra i vasi di impasto spiccano tipi
esclusivi come gli eleganti askòi a ciambella
verticale e i grandi sostegni sovradipinti sormontati
da enormi tazze con alta ansa verticale e con ampia
insellatura, o da crateri di tipico gusto
orientalizzante, ornati da protomi di grifo.
Tali recipienti erano usati nei
banchetti per miscelare ed attingervi il vino; questa
bevanda, la cui produzione nel Latium vetus è
fatta risalire dalle fonti al secondo Re di Roma, Numa
Pompilio, era in uso, in effetti, fra i gruppi
aristocratici Latini fin dalla fine dell'VIII secolo
a.C.
Nella stessa epoca compaiono nelle
tombe più ricche anfore vinarie di importazione, da
ambiente fenicio occidentale. La provenienza esotica
del vino accresceva la sua preziosità e come tale
veniva, infatti, deposto all'interno di queste tombe
principesche, insieme agli oggetti di prestigio
denotanti il rango dei defunti.
La costruzione di tombe a camera o "pseudo-camera"
nell’orientalizzante medio denota, infatti, un
accumulo di ricchezza da parte di alcuni gruppi
familiari, la cui autorità si basava fondamentalmente
sul possesso della terra da cui essi traevano le
indispensabili risorse e le premesse dei loro ruoli di
prestigio.
La loro volontà di distinguersi, anche
nella morte, con un tenore di vita sfarzoso, è
rispecchiato nelle sepolture a cui sono riservate zone
particolari nell’ambito della necropoli, con la
creazione, intorno alla tomba del probabile
capostipite del gruppo, di un'ampia area circolare di
rispetto riservata ai membri della famiglia.
L’ostentazione del lusso nella sfera
pubblica, oltre che dalla celebrazione di quei
banchetti che i servizi per miscelare liquidi, fanno
ritenere frequentati da numerose persone, era
assicurata dalle armi da parata, da vesti riccamente
adorne e dall’impiego di carri a due ruote che, da uso
bellico, passano a mezzi di trasporto denotanti il
rango.
Tutte le tombe più ricche, a camera o "pseudo-camera",
sono incluse in circoli monumentali e circondate da
sepolture, in numero variabile, con fosse di
dimensioni ridotte e corredi di consistenza inferiore;
la presenza di queste tombe si può facilmente
attribuire ad individui di gruppo sociale più basso, e
il carattere più modesto dei corredi non può che
confermare il rapporto di clientela o di dipendenza
nei confronti delle prime.
Questa è una testimonianza che ci
fornisce una prova concreta di quel processo di
stratificazione sociale che nel Lazio è in corso di
consolidamento, in corrispondenza del passaggio da una
fase preurbana ad una fase urbana vera e propria che
si realizza per Roma nel periodo dell’orientalizzante
recente (640/630-580 a.C.).
Il mutamento del rito funebre, che
mette fine alla deposizione di oggetti nelle tombe di
VI secolo a.C., ci impedisce di seguire ulteriormente
la storia della comunità della Laurentina in questo
secolo attraverso i corredi tombali.
La presenza tuttavia di alcune tombe
prive di corredo, all'interno di circoli con tombe più
ricche, ma con struttura tale da escludere
l'appartenenza ad individui di umile condizione
sociale, fa pensare ad una sopravvivenza di vita nel
VI secolo a.C.
Nella necropoli della Laurentina si può
cogliere, anche visibilmente, nella tipologia e
distribuzione delle singole sepolture, quel processo
di progressiva differenziazione di alcuni gruppi
aristocratici che, nell’ambito delle comunità laziali,
trova la sua piena affermazione nella prima metà del
VII secolo a.C., manifestandosi a livello ideologico
non solo attraverso riti e corredi funebri, veri e
propri accumuli di beni di prestigio, ma anche ed in
particolare nel tipo di sepolture monumentali a tumulo
circondate da canali che evidenziano grandi circoli
scavati nel banco di tufo.
Lo scavo della necropoli fornisce,
pertanto, nuovi importanti elementi chiarificatori sia
nel definire meglio i possibili caratteri distintivi
delle varie comunità laziali, sia ampliando la nostra
conoscenza sulla ricchezza e complessità della
produzione nel Lazio in epoca orientalizzante.
I numerosi oggetti, rinvenuti durante
gli scavi della necropoli, sono attualmente in corso
di restauro, presso il Museo Nazionale Romano alle
Terme di Diocleziano, in attesa di trovare un adeguato
luogo di esposizione a cui ben si adatterebbe,
nell'ambito di una sistemazione a parco archeologico
dell'intero comprensorio, il caratteristico Casale, di
origine seicentesca, situato ai piedi della collina
dell'abitato protostorico.
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Fig. 3 - Laurentina Acqua
Acetosa. Veduta dall'alto della tomba n.° 70
(da A. Bedini 2000, pag. 357,
fig. e) |
Fig. 4 - Laurentina Acqua
Acetosa. Holmos, dalla tomba n.° 70
(da A. Bedini 2000, pag. 358,
fig. i)
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Fig. 5 - Laurentina Acqua
Acetosa. Tomba n.° 133
(da A. Bedini 1985) |
Fig. 6 - Laurentina Acqua
Acetosa. Holmos dalla tomba n.° 133
(da A. Bedini 1985)
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Fig. 7 - Laurentina Acqua Acetosa.
Corredi dalle tombe n.° 65 e 133
(da A. Bedini 1985)
Tombe di gruppi familiari residenti
fuori dall'abitato protostorico
L'organizzazione delle sepolture per
gruppi familiari trova una conferma nell'area
dell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa per la
presenza, fuori dalla zona della necropoli, di gruppi
di tombe che probabilmente si riferiscono a nuclei
familiari residenti all’esterno della collina
fortificata dell’abitato protostorico. La presenza di
questi nuclei di sepolture sembra fornire una prova
concreta del legame fra ceti emergenti e la proprietà
della terra.
Si tratta in questo caso di gruppi
familiari che continuano a vivere nella campagna, a
cui sono legati dalla proprietà e/o dal possesso, e
che non hanno ancora aderito a quel processo di
aggregazione in cui prende forma l’ostentazione di
lusso che conosciamo invece bene dai dati offerti
dalla necropoli dell’abitato.
In cinque zone indagate è stata
rinvenuta una serie di tombe databili a partire dalla
fase III del Periodo Laziale (inizi dell'VIII secolo
a.C.) fino all'inizio del VI secolo a.C.
La composizione dei corredi, pur
tenendo conto della frammentarietà di alcuni, non
mostra particolari squilibri ed è di un tipo medio. La
presenza di queste sepolture può essere messa in
relazione a strutture abitative riferibili ad
ampliamenti dell’abitato, forse in seconda fase, fuori
dalla collina fortificata.
L’area e gli edifici abitativi di Epoca
Arcaica
L’area interessata dagli edifici
arcaici è un'ampia fascia di forma rettangolare
situata al margine del pianoro antistante la collina
fortificata dell’abitato protostorico. Durante la
costruzione delle strutture tutta l’area dovette
essere portata a livello del banco di tufo, sia per
ricavare i piani delle abitazioni e per le fondazioni
dei muri, sia per poter regolare il deflusso
superficiale delle acque; con tali operazioni alcune
delle tombe più antiche della necropoli (prima metà
dell’VIII secolo a. C.) sono state manomesse od anche
riutilizzate.
Le aree degli edifici sono state
denominate V°, VI° e VII . L’area V°, verso ovest, e
l’area VII° e VI°, verso est, formano due gruppi di
strutture divise da un avvallamento nel banco di tufo;
questa depressione, in origine un canale naturale per
il deflusso delle acque ad andamento sud ovest nord
est, fu riempita in seguito da successive massicciate
di tufi in modo da assumere, forse già a partire dal
VII secolo a.C., un aspetto definitivo di strada
divisoria fra i due gruppi di edifici.
Lo studio dei materiali rinvenuti ha
fornito una datazione delle strutture, tra la seconda
metà del VI secolo a.C. e un successivo abbandono
nella prima metà del V secolo a.C.
La loro relativa breve durata,
confermata oltre che dalla mancanza di ceramica più
tarda, anche dall’apertura di tombe di individui
adulti, sia a fossa con loculo laterale sia a camera,
databili alla prima metà del V secolo a.C., è in
singolare accordo con la documentazione di altri siti
laziali coinvolti nella stessa epoca da un periodo di
momentanea decadenza.
A sud di quest’area sono state
individuate alcune tracce di altre strutture arcaiche
ancora da esplorare, allineate anch’esse lungo un
probabile tracciato stradale scavato nel tufo.
Gli edifici arcaici nell'Area V°
I tre edifici scavati in quest’area
sono stati denominati, partendo da ovest verso est: V°
1, V° 2 e V° 3. Tali strutture si allineano, a sud, su
di un fronte unico, con una divergenza per il terzo
edificio più verso est; questo fattore, insieme ad
altri elementi, fa pensare a periodi successivi di
costruzione, anche se non molto distanti nel tempo.
L’area antistante gli edifici
presentava un interro artificiale con battuto
durissimo, successivamente scavato dai solchi di una
strada che hanno inciso anche il banco di tufo
sottostante. Questo tracciato viario, con andamento
ovest nord ovest est sud est, costeggiava, in alto, il
fossato difensivo entro cui passava invece il
tracciato che, salendo dalla valle del fosso
dell’Acqua Acetosa, attraversava la necropoli per
dirigersi verso nord est.
I tre edifici avevano un tetto con
copertura di tegole e coppi d'impasto, mentre dei muri
perimetrali restano solo le fondazioni realizzate in
tufo.
I pavimenti degli ambienti erano
costituiti in genere da battuti di terra e tufo
sbriciolato.
Non vi sono elementi per stabilire il
tipo di alzato, quali ad esempio fori di pali nel
banco di tufo o nei tratti di fondazione conservati,
che testimonino con sicurezza l’impiego dell’elevato a
telaio.
Edificio Arcaico 1 nell'Area V°
E’ il primo dei tre edifici a partire
da ovest e si discosta dal secondo per la presenza di
uno stretto corridoio. L'edificio presenta una pianta
più definita: quattro ambienti sul fronte sud e due
ambienti più interni ai lati, con al centro una
probabile area aperta inglobante due pozzi e una
cisterna; tale struttura copriva un’area grosso modo
di forma rettangolare.
A nord est doveva esserci un’area di
pertinenza, forse un orto o recinto per il bestiame,
perimetrata in parte da un canale per la raccolta
delle acque che scendeva fino alla strada su cui si
affacciava la casa, costeggiandone il lato sud ovest.
Sul fronte sud, come del resto
accertato anche per gli altri due edifici, si apriva
la porta di ingresso, mancano, invece, elementi sicuri
per individuare le porte di comunicazione interne fra
i vari ambienti, tranne che per quella subito a destra
dell’ingresso.
Il vano di ingresso, il terzo da ovest,
è caratterizzato da un foro centrale, di forma grosso
modo troncoconica, e da una canaletta costruita con
due rozzi muretti laterali coperti da lastre di tufo
irregolari.
L’ambiente a sinistra del vano
d’ingresso presentava una massicciata pavimentale
realizzata con piccole scaglie di tufo pressate con
terra e frammenti di ceramica; resti di una canaletta,
coperta da pezzi di tegole, sono stati trovati lungo
la parete ovest dell'ambiente. La stanza a destra
dell'ingresso, invece, aveva due fosse rettangolari
parallele ed attigue che identificano due forni di
cottura.
Molte sono le incertezze di
interpretazione già a livello di planimetria e
problematica resta l’identificazione d’uso dei vari
ambienti; si può, invece, escludere la continuità
d’uso all’epoca dell'edificio della fornace rinvenuta
all’interno dell’ambiente a destra del vestibolo.
Due fornaci simili ricorrono nei due
edifici ad est e a sud della strada che li costeggia:
si potrebbe pensare che tali fornaci occupassero
l’area prima della costruzione degli edifici,
costituendo una sorta di quartiere industriale poi
ristrutturato. Come si vede l’interpretazione
dell’edificio è molto problematica; quel che è sicuro
è che esso costituisce un'unità chiusa, con elementi
caratteristici per l’uso domestico, come il forno, i
pozzi e la cisterna: tale destinazione degli ambienti
è confermata, oltre che dalla ceramica rinvenuta,
anche dalla presenza di tombe infantili con resti di
inumati entro pentole.
I numerosi frammenti ceramici
rinvenuti, rappresentati soprattutto da vasi di uso
comune d’impasto, di ceramica di argilla depurata e di
bucchero, costituiscono un complesso omogeneo databile
genericamente tra la seconda metà del VI secolo e gli
inizi del V secolo a.C. Determinante infine, per
stabilire la cessazione d’uso dell’edificio, è la
cronologia dei riempimenti contemporanei di due pozzi,
fissabile al più tardi nella prima metà del V secolo
a.C.
Tombe a camera
Nel Lazio la tomba a camera è un tipo
di sepoltura particolarmente in uso, in ambiente
romano, fin dal periodo dell’orientalizzante recente
(640/630-580 a.C.) e concordemente associata alle
classi dominanti.
A queste sepolture si contrappongono,
per quest'epoca, altri tipi di tombe come quelle a
cassone, a cappuccina e a semplice fossa o con loculo
laterale chiuso da tegole. Alcuni tipi di queste
sepolture sono stati rinvenuti nell'area di Casale
Massima per lo più sovrapposte alle tombe di VIII-VII
secolo a.C.; la mancanza del corredo rende difficile
la loro datazione che genericamente può essere fatta
risalire al VI-V secolo a.C.
L'uso di tombe a camera da parte di
membri di famiglie gentilizie risale probabilmente al
tardo periodo arcaico e cessa improvvisamente intorno
alla metà del III secolo a.C.
Di preferenza questi gruppi di
sepolture si rinvengono in prossimità di assi viari o
ai loro incroci, sfruttando spesso anche le pareti di
tufo messe a nudo da canali di erosione delle acque di
superficie che dovevano caratterizzare questo
territorio.
Le tombe a camera che iniziano dalla
fine del VII secolo a.C., per divenire più comuni nel
corso del VI-V secolo a.C., anche se di piccole
dimensioni, fattura rozza, con uno o due loculi
laterali e con la chiusura costituita da scaglie o
blocchi di tufo, ospitano spesso le deposizioni di
parecchi individui denotando un uso prolungato nel
tempo.
Le caratteristiche tecniche e formali,
corridoio d'accesso a scivolo, porte scorniciate di
forma rettangolare e il piano di deposizione ricavato
in una sorta di nicchia o loculo laterale, sembrano
costituire una costante di tutte le tombe ipogee, per
lo più di piccole dimensioni ed ad unica deposizione,
nel comprensorio della Laurentina, tanto da far
pensare ad una tradizione locale.
I corredi recuperati all'interno delle
tombe sono riferibili alle ultime deposizioni
rinvenute, non disturbate nei loculi o sul riempimento
di terra, nello stretto corridoio centrale delle
camere. Sul fondo di tale corridoio, e a volte nella
parte esterna della zona d'accesso, si rinvengono i
resti scheletrici delle deposizioni precedenti: questi
resti sono sempre molto frammentari a causa della
facile distruzione dei tessuti ossei ad opera sia del
dilavamento delle acque, che inondavano periodicamente
le tombe, sia della natura particolarmente acida del
terreno.
Tali fattori rendono pertanto difficile
una esatta valutazione di quanti individui potessero
essere stati realmente ospitati nelle singole tombe e
di conseguenza della durata del loro periodo di uso.
Partendo dal dato cronologico certo
delle ultime deposizioni, i cui corredi non possono
scendere oltre la metà del III secolo a.C., si può
ipotizzare con sicurezza un uso a partire dal IV
secolo a.C., ma non si può escludere una
frequentazione più antica di tali sepolcri.
Elementi di datazione diretta ed
indiretta ci forniscono, per le tombe di Casale
Massima, per quelle dell’Area VII° e della Via
dell’Acqua Acetosa Ostiense, un orizzonte cronologico
tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.
Se la scomparsa dei resti scheletrici è
giustificata dalle condizioni e dalla natura del
terreno, oltre che dalle ovvie azioni traumatiche
delle periodiche aperture delle camere, la mancanza di
oggetti di corredo databili al VI-V secolo a.C. è come
noto imputabile ad una precisa scelta culturale legata
a rigide leggi che mettono fine alla deposizione di
oggetti all'interno delle tombe. L'avvento della città
favorisce infatti una destinazione civica e religiosa
di quei beni che prima venivano sacrificati nella
tomba come parte inalienabile del morto.
I rinvenimenti nella tenuta del Torrino
ci assicurano la presenza di un'identica tipologia
tombale fino dagli anni finali del VII secolo a.C. con
l'attestata continuità di uso per il periodo
successivo fino al IV-III secolo a.C.
Se non di uso continuato fino da epoca
orientalizzante di una stessa tomba, si può parlare di
significativa continuità di sepoltura nello stessa
area anche per la zona della Laurentina. |