.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]

RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Antica

.

N. 9 - Febbraio 2006

LAURENTINA - ACQUA ACETOSA

L'abitato e la necropoli - Parte I*

di Leonardo Schifi

 

 

*su gentile concessione dell’autore

L'abitato protostorico

 

L’insediamento protostorico individuato all’ottavo chilometro a sud di Roma, lungo la moderna Via Laurentina in località Acqua Acetosa, di fronte la città militare della Cecchignola, è stato oggetto di un'accurata campagna di indagini sistematiche, a cura della Soprintendenza archeologica di Roma, dal settembre del 1976 ad oggi.

 

La scoperta dell'insediamento è avvenuta in seguito ad un’attenta ricognizione territoriale, in occasione della creazione del nuovo quartiere abitato previsto dal Piano di Zona 38 Laurentino.

 

Stupisce che il sito sia stato quasi ignorato dalla letteratura archeologica, salvo alcune indagini condotte nel 1839 dalla Duchessa di Sermoneta, sia per l'abbondanza di frammenti ceramici presenti in superficie, sia per la caratteristica forma del pianoro dell'abitato.

 

La presenza di una sorgente di acqua minerale e la posizione strategica della collina, dominante la valle del fosso dell’Acqua Acetosa, a poca distanza dal Tevere, devono aver certo favorito la scelta del luogo per un centro abitato, a partire dall’VIII secolo a.C., epoca in cui si formano nel Lazio nuovi insediamenti ed in cui anche altri, di origine più antica, fra cui la stessa Roma, vengono ad assumere un carattere più unitario, chiusi da imponenti opere difensive, tipiche dell’area laziale; tali strutture erano articolate essenzialmente nella successione di un terrapieno fortificato e di un fossato artificiale antistante.

 

L'abitato protostorico, seppur di modeste dimensioni, dovette avere una certa importanza, determinata dalla sua posizione ai confini del territorio della Roma regia e dalla vicinanza del Tevere, importante via commerciale e di comunicazione, con l'area delle città di Veio e di Falerii.

 

Dai dati raccolti, in attesa dello scavo sistematico dell’insediamento, si può ipotizzare una decadenza del sito verso la fine del VII secolo a.C.; molto probabilmente una ripresa di vita si ha durante il IV e III secolo a.C., quando, per motivi di difesa, Roma dovette erigere tutta una serie di cittadelle fortificate, in posizione strategica, spesso coincidenti con i siti dei villaggi protostorici come nei casi di Ficana (Acilia) e Politorium (Tenuta di Castel di Decima).

 

Anche se per ora resta problematica l’identificazione dell'abitato protostorico con uno dei nomi dei centri latini "scomparsi senza lasciare tracce" come riporta Plinio (Naturalis Historia III, 68-70), la sua ubicazione a sud di Roma, non lontano dagli insediamenti di Ficana e Politorium, ben si adatta al tradizionale accostamento dei tre centri, Ficana, Politorium e Tellenae, ricordati da Livio (Annales 1, 33, 1, 4) e distrutti da Anco Marcio (640-616 a.C.) per realizzare l’espansione di Roma verso il mare.

 

Le testimonianze di vita, attestate per i secoli successivi, non sembrano togliere credibilità alle fonti storiche che parlano della distruzione di questi centri da parte di Roma: la conquista romana segna, infatti, la loro fine politica con lo smantellamento delle fortificazioni, tuttavia la vita dovette continuare, anche se solo a livello di insediamenti molto verosimilmente di carattere agricolo-pastorale, ed era certo questo uno degli scopi della conquista romana.

  

Fig. 1 - Ricostruzione della struttura di una capanna dell'abitato protostorico

(da AA.VV. 2000, pag. 317)

 

Topografia Generale

 

L’area dell’abitato protostorico occupava il pianoro di una collina tufacea di forma allungata, leggermente semicircolare, con orientamento est ovest.

Alle due estremità del pianoro erano situati gli unici accessi possibili in posizione strategica e facilmente difendibili: l'accesso est è ancora chiaramente identificabile tramite due tagliate artificiali nel banco di tufo, creanti uno stretto passaggio obbligato.

 

Il lato sud era naturalmente difeso da alte pareti a strapiombo, ai cui piedi scorreva il fosso dell’Acqua Acetosa. Il lato nord, in parte scosceso, in parte raccordato al pianoro antistante, fu fortificato agli inizi dell'VIII secolo a.C. realizzando un taglio artificiale lungo circa 200 metri. Contemporaneamente venne realizzato sul ciglio della collina, in modo da accentuarne il dislivello, un terrapieno, tuttora conservato, di 11 metri di altezza, costituito da scheggioni di tufo e terra.

 

Questa struttura, oltre a formare un'efficace barriera difensiva dell'abitato, permetteva il passaggio di un tracciato stradale che, dal fondo valle, ad ovest, risaliva verso est, costeggiava la collina dell'abitato, attraversava il pianoro della necropoli e si dirigeva infine verso nord est.

 

Tale percorso, identificabile fino all’attuale Via Laurentina, consisteva in un'ampia tagliata artificiale nel banco di tufo, larga fino a 6 metri e di profondità variabile; il fondo della tagliata, le cui scarpate erano rivestite da scaglioni di tufo, era occupato dalla sede stradale ampia circa 2 metri, costituita da un primo strato in scaglie di tufo e terra battuta ricoperto da un lastricato sempre in tufo.

 

Con molta probabilità, già a partire dal V secolo a.C., la sede stradale lastricata, in cui sono evidenti le profonde solcature dovute all’usura per il passaggio dei carri, incominciò ad essere interrata.

 

La superficie del pianoro occupata dall'insediamento protostorico è di poco superiore ai due ettari, ma indagini svolte nell'area pianeggiante ad est della collina, verso la moderna Via Laurentina, hanno provato l’esistenza di ampliamenti dell’abitato, forse in una seconda fase, fuori della collina fortificata.

 

Pur non essendo ancora stati eseguiti scavi sistematici dell'abitato, numerosi frammenti di ceramica, raccolti durante i sondaggi lungo il terrapieno di fortificazione, ne permettono la datazione agli inizi dell'VIII secolo a.C.

 

Durante l'esecuzione di alcuni saggi di scavo nel settore centrale del terrapieno, presso la sommità della collina, sono stati rinvenuti alcuni frammenti ceramici che hanno attestato una frequentazione del sito già a partire dall'età del Bronzo Finale (XII-X secolo a.C.). Il materiale recuperato sembra però trovarsi in giacitura secondaria, in una zona interessata da successivi lavori di sistemazione delle fortificazioni; costituendo una quantità piuttosto cospicua, questi frammenti, sono in perfetta analogia con il materiale che si riscontra nei vicini abitati di Ficana, in località La Perna (Castel di Decima) e al Torrino.

 

Resti, infine, di uno stanziamento probabilmente databile tra la fine dell'età Eneolitica e la prima età del Bronzo (III-II millennio a.C.), in gran parte distrutto dalle cave di pozzolana, sono stati individuati lungo la moderna Via Laurentina nei pressi dell'incrocio con Via Byron.

 

Fig. 2 - Ricostruzione di una parte dell'abitato protostorico

(da AA.VV. 2000, pag. 283, fig. a)

La necropoli

 

I dati più interessanti e più appariscenti sono stati ricavati dalla necropoli che, a differenza dell’abitato, è stata scavata quasi completamente ed ha consentito il recupero di oltre centosettanta sepolture.

 

L’importanza della scoperta è data dal fatto che essa rappresenta l’unica necropoli di cui si ha fino ad oggi uno scavo completo e sistematico, il cui studio potrà fornire nuovi ed importanti dati nella ricostruzione del quadro storico e culturale del Lazio antico.

 

L’esame dei corredi e l'organizzazione e struttura delle tombe ci permette di seguire lo sviluppo sociale all’interno della comunità che, seppur esigua, mostra lo stesso processo, verso una sempre maggiore articolazione e differenziazione dei gruppi familiari, attestato anche nelle altre necropoli laziali.

La necropoli dell'abitato si sviluppava, sul pianoro a nord della collina, per almeno 500 metri di lunghezza ed aveva una larghezza di 100 metri circa. Questo sviluppo è stato determinato dalla presenza di un percorso stradale che risaliva la valle del fosso dell'Acqua Acetosa, ad ovest, e si dirigeva, superata la collina dell’abitato, verso il pianoro della necropoli a nord est.

 

Le sepolture, allineate sui due lati di quest'asse viario, sono state individuate fino dove la Via Laurentina e le cave moderne non hanno eliminato la possibilità di ulteriori accertamenti.

 

L’apertura di queste cave, verso la fine dell'800 inizio '900, oltre a creare un’ampia lacuna nel tessuto della necropoli, ci impedisce di poterne fissare i limiti più lontani, mentre è quasi sicura l’estensione in larghezza.

 

Dallo scavo sistematico della parte di necropoli risparmiata dalla cave, si è comunque accertata la presenza di una chiara stratificazione orizzontale.

Le tombe sono scavate tutte nel banco di tufo a profondità variabile, sotto uno strato superficiale di humus con uno spessore di poche decine di centimetri.

Pur non rimanendo quasi mai resti ossei dei defunti si riesce a definire il sesso degli inumati dagli oggetti di corredo personale.

 

L’orientamento delle tombe e la disposizione degli oggetti all'interno della sepoltura mutano a seconda delle diverse epoche, confermando quanto avviene anche nelle altre necropoli laziali. Questa caratteristica è una testimonianza concreta dei mutamenti del rito funebre legati all’evoluzione sociale ed economica delle comunità.

 

Le sepolture più antiche, risalenti alla fase avanzata II B del Periodo Laziale (circa 830-770 a.C.), sono raggruppate su un pianoro antistante il fossato difensivo dell’abitato; tale disposizione è stata determinata dalla presenza del tracciato stradale che risaliva, da ovest, la valle del fosso dell’Acqua Acetosa e, dopo aver costeggiato il terrapieno di fortificazione del villaggio, si dirigeva a nord est verso il pianoro della necropoli.

 

Le tombe di questo periodo, complessivamente dodici, per lo più femminili, con una sola deposizione maschile, sono a fossa stretta di forma rettangolare allungata; in genere il corpo del defunto si trova deposto al centro della fossa, che ha un orientamento grosso modo est ovest, mentre il capo è sempre rivolto ad est.

 

Gli oggetti del corredo, in genere due tazze e un'anfora in ceramica d'impasto, sono collocati ai piedi dell'inumato, mentre sul corpo sono deposti quelli di ornamento personale.

 

Per quanto si può giudicare, visto l’esiguo numero di tombe a causa dello sconvolgimento operato dalle cave di fine secolo e dal successivo uso dell’area per abitazioni e lavori agricoli, non si hanno differenze vistose nel rito e nella composizione degli oggetti di corredo che sono quelli tipici delle altre necropoli laziali.

 

L’unica sepoltura della fase III del Periodo Laziale (770-730/720 a.C.) è una tomba femminile rinvenuta sul ciglio a nord est della cava di pozzolana.

La tomba è una fossa orientata a sud ovest nord est con il capo del defunto volto a sud ovest.

 

Il corredo, non particolarmente ricco, presenta una certa abbondanza di fibule ed oggetti di ornamento personale, fra cui spiccano piccole spirali in argento, e pochi vasi d’impasto deposti ai piedi del defunto.

 

In quest'area sono state rinvenute anche un gruppo di sepolture databili all’orientalizzante antico (ultimo quarto dell'VIII secolo a.C. - primo quarto del VII secolo a.C.) e riferibili alla fase IV A del Periodo Laziale (730/720 a.C.).

 

Sono state individuate ventiquattro sepolture: otto sono femminili e sette maschili; delle altre, o perché sconvolte o per mancanza di elementi utili, non si è potuto definire il sesso. Le tombe a fossa di questo periodo sono in genere più larghe e hanno un orientamento a sud ovest nord est, con il capo volto a sud ovest.

 

Alcune delle sepolture si differenziano dalle altre per dimensioni maggiori e per la presenza di una nicchia o loculo sulla parete alla destra del defunto, ove sono raccolti, su un livello più alto del piano di deposizione, i vasi del corredo quasi a voler perpetuare nella tomba il concetto di tesaurizzazione dei beni di consumo.

 

Comune è anche l'usanza di cospargere sul fondo della fossa i frammenti di uno o più vasi rotti intenzionalmente. Le tombe non presentano una disposizione tale da far pensare a gruppi o rapporti di dipendenza, tranne in un caso, dove purtroppo le sepolture sono sconvolte e prive di oggetti.

 

Le tombe maschili contengono in genere pochi ornamenti personali consistenti in una o più fibule ad arco serpeggiante e rari ganci di cintura; sono caratterizzate dalla presenza delle armi e si possono dividere in due gruppi: quelle con spada e lancia, con corredi più ricchi sia per quantità sia per qualità, e quelle con sola lancia.

 

Nelle tombe maschili il corredo vascolare, in media una dozzina di vasi, non si differenzia da quello delle sepolture femminili che invece sono caratterizzate dalla presenza della fusarola e dalle più o meno numerose fibule in bronzo e con arco rivestito a dischi d'ambra.

 

Nelle tombe più ricche si nota la presenza di oggetti di particolare ricercatezza: coppie di fermatrecce a nastro d'argento con lavorazione a filigrana, bracciali, vaghi d’ambra e pasta vitrea ed eccezionalmente anche ornamenti in oro. In questo periodo il corredo vascolare delle sepolture è composto, oltre che dai tradizionali vasi di impasto tazza e anfora, anche da nuove forme d'impasto di fattura locale (piatti, calici, coppe, scodelle e olle) o di argilla depurata dipinta d'importazione o di imitazione (skyphoi, kotylai, ed oinochoai) attestanti l’introduzione dell’uso del banchetto funebre, mutuato dall'ambiente greco coloniale, come confermano la presenza del coltello e degli spiedi con resti di ossa d’animali ed i recipienti in bronzo, soprattutto bacili, tripodi e patere.

 

Il processo di differenziazione dei corredi raggiunge la sua massima esplicazione in un gruppo di sepolture poste su un pianoro ad ovest dell’attuale Via Laurentina.

 

Il centinaio di tombe rinvenute è databile all'orientalizzante medio e recente (secondo e terzo quarto del VII secolo a.C.) e riferibile alle fasi IV A e IV B del Periodo Laziale (640/630-580 a.C.). Le tombe sono disposte a formare ampi circoli o gruppi più ristretti e solo poche si trovano isolate.

 

Gli orientamenti delle sepolture sono i più disparati, anche se, per diverse sepolture resta quello sud ovest nord est con il capo volto a sud ovest. Questi circoli si formano a partire dagli ultimi anni dell’VIII secolo a.C. e, per necessità di spazio, sono realizzati sulla parte del pianoro più lontana dall’abitato, spezzando così apparentemente la stratigrafia orizzontale della necropoli.

 

Sono stati individuati cinque circoli principali, all’interno dei quali, in posizione centrale e/o periferica, le tombe dei membri più importanti del gruppo assumono proporzioni decisamente più vistose, con fosse di grandi dimensioni, definite a "pseudo-camera" (da metri 3.40 x 2.20 fino a metri 4 x 3.50), con due pilastri centrali di legno o di pietra che sorreggono una copertura probabilmente lignea protetta da un tumulo esterno in scheggioni di tufo e terra.

 

Nella fossa, alla destra del defunto situato sul fondo o su una banchina laterale, si hanno ricchi corredi comprendenti fino ad un centinaio di vasi, con numerosi oggetti di bronzo laminato, decorato a sbalzo con ornamenti geometrici, fra cui spiccano gli scudi, i flabelli e i vassoi incensieri che caratterizzano anche i corredi principeschi delle tombe di Palestrina e di Castel di Decima nel Lazio, di Cuma in Campania e dell'Etruria.

 

Altri elementi distintivi sono, oltre il carro, oggetti in avorio finemente lavorato, le armi in bronzo e ferro per l'uomo e la ricca stola trapuntata in ambra con monili in argento e oro per la donna.

 

Numerosi sono anche i vasi di bronzo fra cui oinochoai, patere baccellate, tripodi, bacili e ciste; completano i corredi varie decine di vasi d'impasto (aryballoi, kotylai, skyphoi, askoi e oinochoai) e piatti in argilla figulina dipinta. Di particolare rilievo è la presenza degli unguentari di argilla dipinta e del bucchero nelle forme e nei tipi fra i più antichi e raffinati, uguali a quelli attestati a Cerveteri, che confermano la simultanea diffusione di tale ceramica in ambiente laziale fin dal secondo quarto del VII secolo a.C.

 

Fra i vasi di impasto spiccano tipi esclusivi come gli eleganti askòi a ciambella verticale e i grandi sostegni sovradipinti sormontati da enormi tazze con alta ansa verticale e con ampia insellatura, o da crateri di tipico gusto orientalizzante, ornati da protomi di grifo.

 

Tali recipienti erano usati nei banchetti per miscelare ed attingervi il vino; questa bevanda, la cui produzione nel Latium vetus è fatta risalire dalle fonti al secondo Re di Roma, Numa Pompilio, era in uso, in effetti, fra i gruppi aristocratici Latini fin dalla fine dell'VIII secolo a.C.

 

Nella stessa epoca compaiono nelle tombe più ricche anfore vinarie di importazione, da ambiente fenicio occidentale. La provenienza esotica del vino accresceva la sua preziosità e come tale veniva, infatti, deposto all'interno di queste tombe principesche, insieme agli oggetti di prestigio denotanti il rango dei defunti.

 

La costruzione di tombe a camera o "pseudo-camera" nell’orientalizzante medio denota, infatti, un accumulo di ricchezza da parte di alcuni gruppi familiari, la cui autorità si basava fondamentalmente sul possesso della terra da cui essi traevano le indispensabili risorse e le premesse dei loro ruoli di prestigio.

 

La loro volontà di distinguersi, anche nella morte, con un tenore di vita sfarzoso, è rispecchiato nelle sepolture a cui sono riservate zone particolari nell’ambito della necropoli, con la creazione, intorno alla tomba del probabile capostipite del gruppo, di un'ampia area circolare di rispetto riservata ai membri della famiglia.

 

L’ostentazione del lusso nella sfera pubblica, oltre che dalla celebrazione di quei banchetti che i servizi per miscelare liquidi, fanno ritenere frequentati da numerose persone, era assicurata dalle armi da parata, da vesti riccamente adorne e dall’impiego di carri a due ruote che, da uso bellico, passano a mezzi di trasporto denotanti il rango.

 

Tutte le tombe più ricche, a camera o "pseudo-camera", sono incluse in circoli monumentali e circondate da sepolture, in numero variabile, con fosse di dimensioni ridotte e corredi di consistenza inferiore; la presenza di queste tombe si può facilmente attribuire ad individui di gruppo sociale più basso, e il carattere più modesto dei corredi non può che confermare il rapporto di clientela o di dipendenza nei confronti delle prime.

 

Questa è una testimonianza che ci fornisce una prova concreta di quel processo di stratificazione sociale che nel Lazio è in corso di consolidamento, in corrispondenza del passaggio da una fase preurbana ad una fase urbana vera e propria che si realizza per Roma nel periodo dell’orientalizzante recente (640/630-580 a.C.).

 

Il mutamento del rito funebre, che mette fine alla deposizione di oggetti nelle tombe di VI secolo a.C., ci impedisce di seguire ulteriormente la storia della comunità della Laurentina in questo secolo attraverso i corredi tombali.

 

La presenza tuttavia di alcune tombe prive di corredo, all'interno di circoli con tombe più ricche, ma con struttura tale da escludere l'appartenenza ad individui di umile condizione sociale, fa pensare ad una sopravvivenza di vita nel VI secolo a.C.

 

Nella necropoli della Laurentina si può cogliere, anche visibilmente, nella tipologia e distribuzione delle singole sepolture, quel processo di progressiva differenziazione di alcuni gruppi aristocratici che, nell’ambito delle comunità laziali, trova la sua piena affermazione nella prima metà del VII secolo a.C., manifestandosi a livello ideologico non solo attraverso riti e corredi funebri, veri e propri accumuli di beni di prestigio, ma anche ed in particolare nel tipo di sepolture monumentali a tumulo circondate da canali che evidenziano grandi circoli scavati nel banco di tufo.

 

Lo scavo della necropoli fornisce, pertanto, nuovi importanti elementi chiarificatori sia nel definire meglio i possibili caratteri distintivi delle varie comunità laziali, sia ampliando la nostra conoscenza sulla ricchezza e complessità della produzione nel Lazio in epoca orientalizzante.

 

I numerosi oggetti, rinvenuti durante gli scavi della necropoli, sono attualmente in corso di restauro, presso il Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano, in attesa di trovare un adeguato luogo di esposizione a cui ben si adatterebbe, nell'ambito di una sistemazione a parco archeologico dell'intero comprensorio, il caratteristico Casale, di origine seicentesca, situato ai piedi della collina dell'abitato protostorico.

 

Fig. 3 - Laurentina Acqua Acetosa. Veduta dall'alto della tomba n.° 70

(da A. Bedini 2000, pag. 357, fig. e)

 

Fig. 4 - Laurentina Acqua Acetosa. Holmos, dalla tomba n.° 70

(da A. Bedini 2000, pag. 358, fig. i)

 

Fig. 5 - Laurentina Acqua Acetosa. Tomba n.° 133

(da A. Bedini 1985)

 

Fig. 6 - Laurentina Acqua Acetosa. Holmos dalla tomba n.° 133

(da A. Bedini 1985)

 

 

Fig. 7 - Laurentina Acqua Acetosa. Corredi dalle tombe n.° 65 e 133

(da A. Bedini 1985)

 

Tombe di gruppi familiari residenti fuori dall'abitato protostorico

 

L'organizzazione delle sepolture per gruppi familiari trova una conferma nell'area dell'abitato della Laurentina Acqua Acetosa per la presenza, fuori dalla zona della necropoli, di gruppi di tombe che probabilmente si riferiscono a nuclei familiari residenti all’esterno della collina fortificata dell’abitato protostorico. La presenza di questi nuclei di sepolture sembra fornire una prova concreta del legame fra ceti emergenti e la proprietà della terra.

 

Si tratta in questo caso di gruppi familiari che continuano a vivere nella campagna, a cui sono legati dalla proprietà e/o dal possesso, e che non hanno ancora aderito a quel processo di aggregazione in cui prende forma l’ostentazione di lusso che conosciamo invece bene dai dati offerti dalla necropoli dell’abitato.

In cinque zone indagate è stata rinvenuta una serie di tombe databili a partire dalla fase III del Periodo Laziale (inizi dell'VIII secolo a.C.) fino all'inizio del VI secolo a.C.

 

La composizione dei corredi, pur tenendo conto della frammentarietà di alcuni, non mostra particolari squilibri ed è di un tipo medio. La presenza di queste sepolture può essere messa in relazione a strutture abitative riferibili ad ampliamenti dell’abitato, forse in seconda fase, fuori dalla collina fortificata.

 

L’area e gli edifici abitativi di Epoca Arcaica

 

L’area interessata dagli edifici arcaici è un'ampia fascia di forma rettangolare situata al margine del pianoro antistante la collina fortificata dell’abitato protostorico. Durante la costruzione delle strutture tutta l’area dovette essere portata a livello del banco di tufo, sia per ricavare i piani delle abitazioni e per le fondazioni dei muri, sia per poter regolare il deflusso superficiale delle acque; con tali operazioni alcune delle tombe più antiche della necropoli (prima metà dell’VIII secolo a. C.) sono state manomesse od anche riutilizzate.

 

Le aree degli edifici sono state denominate V°, VI° e VII . L’area V°, verso ovest, e l’area VII° e VI°, verso est, formano due gruppi di strutture divise da un avvallamento nel banco di tufo; questa depressione, in origine un canale naturale per il deflusso delle acque ad andamento sud ovest nord est, fu riempita in seguito da successive massicciate di tufi in modo da assumere, forse già a partire dal VII secolo a.C., un aspetto definitivo di strada divisoria fra i due gruppi di edifici.

 

Lo studio dei materiali rinvenuti ha fornito una datazione delle strutture, tra la seconda metà del VI secolo a.C. e un successivo abbandono nella prima metà del V secolo a.C.

 

La loro relativa breve durata, confermata oltre che dalla mancanza di ceramica più tarda, anche dall’apertura di tombe di individui adulti, sia a fossa con loculo laterale sia a camera, databili alla prima metà del V secolo a.C., è in singolare accordo con la documentazione di altri siti laziali coinvolti nella stessa epoca da un periodo di momentanea decadenza.

 

A sud di quest’area sono state individuate alcune tracce di altre strutture arcaiche ancora da esplorare, allineate anch’esse lungo un probabile tracciato stradale scavato nel tufo.

 

Gli edifici arcaici nell'Area V°

 

I tre edifici scavati in quest’area sono stati denominati, partendo da ovest verso est: V° 1, V° 2 e V° 3. Tali strutture si allineano, a sud, su di un fronte unico, con una divergenza per il terzo edificio più verso est; questo fattore, insieme ad altri elementi, fa pensare a periodi successivi di costruzione, anche se non molto distanti nel tempo.

 

L’area antistante gli edifici presentava un interro artificiale con battuto durissimo, successivamente scavato dai solchi di una strada che hanno inciso anche il banco di tufo sottostante. Questo tracciato viario, con andamento ovest nord ovest est sud est, costeggiava, in alto, il fossato difensivo entro cui passava invece il tracciato che, salendo dalla valle del fosso dell’Acqua Acetosa, attraversava la necropoli per dirigersi verso nord est.

 

I tre edifici avevano un tetto con copertura di tegole e coppi d'impasto, mentre dei muri perimetrali restano solo le fondazioni realizzate in tufo.

I pavimenti degli ambienti erano costituiti in genere da battuti di terra e tufo sbriciolato.

 

Non vi sono elementi per stabilire il tipo di alzato, quali ad esempio fori di pali nel banco di tufo o nei tratti di fondazione conservati, che testimonino con sicurezza l’impiego dell’elevato a telaio.

 

Edificio Arcaico 1 nell'Area V°

 

E’ il primo dei tre edifici a partire da ovest e si discosta dal secondo per la presenza di uno stretto corridoio. L'edificio presenta una pianta più definita: quattro ambienti sul fronte sud e due ambienti più interni ai lati, con al centro una probabile area aperta inglobante due pozzi e una cisterna; tale struttura copriva un’area grosso modo di forma rettangolare.

 

A nord est doveva esserci un’area di pertinenza, forse un orto o recinto per il bestiame, perimetrata in parte da un canale per la raccolta delle acque che scendeva fino alla strada su cui si affacciava la casa, costeggiandone il lato sud ovest.

 

Sul fronte sud, come del resto accertato anche per gli altri due edifici, si apriva la porta di ingresso, mancano, invece, elementi sicuri per individuare le porte di comunicazione interne fra i vari ambienti, tranne che per quella subito a destra dell’ingresso.

 

Il vano di ingresso, il terzo da ovest, è caratterizzato da un foro centrale, di forma grosso modo troncoconica, e da una canaletta costruita con due rozzi muretti laterali coperti da lastre di tufo irregolari.

 

L’ambiente a sinistra del vano d’ingresso presentava una massicciata pavimentale realizzata con piccole scaglie di tufo pressate con terra e frammenti di ceramica; resti di una canaletta, coperta da pezzi di tegole, sono stati trovati lungo la parete ovest dell'ambiente. La stanza a destra dell'ingresso, invece, aveva due fosse rettangolari parallele ed attigue che identificano due forni di cottura.

 

Molte sono le incertezze di interpretazione già a livello di planimetria e problematica resta l’identificazione d’uso dei vari ambienti; si può, invece, escludere la continuità d’uso all’epoca dell'edificio della fornace rinvenuta all’interno dell’ambiente a destra del vestibolo.

 

Due fornaci simili ricorrono nei due edifici ad est e a sud della strada che li costeggia: si potrebbe pensare che tali fornaci occupassero l’area prima della costruzione degli edifici, costituendo una sorta di quartiere industriale poi ristrutturato. Come si vede l’interpretazione dell’edificio è molto problematica; quel che è sicuro è che esso costituisce un'unità chiusa, con elementi caratteristici per l’uso domestico, come il forno, i pozzi e la cisterna: tale destinazione degli ambienti è confermata, oltre che dalla ceramica rinvenuta, anche dalla presenza di tombe infantili con resti di inumati entro pentole.

 

I numerosi frammenti ceramici rinvenuti, rappresentati soprattutto da vasi di uso comune d’impasto, di ceramica di argilla depurata e di bucchero, costituiscono un complesso omogeneo databile genericamente tra la seconda metà del VI secolo e gli inizi del V secolo a.C. Determinante infine, per stabilire la cessazione d’uso dell’edificio, è la cronologia dei riempimenti contemporanei di due pozzi, fissabile al più tardi nella prima metà del V secolo a.C.

 

Tombe a camera

 

Nel Lazio la tomba a camera è un tipo di sepoltura particolarmente in uso, in ambiente romano, fin dal periodo dell’orientalizzante recente (640/630-580 a.C.) e concordemente associata alle classi dominanti.

 

A queste sepolture si contrappongono, per quest'epoca, altri tipi di tombe come quelle a cassone, a cappuccina e a semplice fossa o con loculo laterale chiuso da tegole. Alcuni tipi di queste sepolture sono stati rinvenuti nell'area di Casale Massima per lo più sovrapposte alle tombe di VIII-VII secolo a.C.; la mancanza del corredo rende difficile la loro datazione che genericamente può essere fatta risalire al VI-V secolo a.C.

 

L'uso di tombe a camera da parte di membri di famiglie gentilizie risale probabilmente al tardo periodo arcaico e cessa improvvisamente intorno alla metà del III secolo a.C.

 

Di preferenza questi gruppi di sepolture si rinvengono in prossimità di assi viari o ai loro incroci, sfruttando spesso anche le pareti di tufo messe a nudo da canali di erosione delle acque di superficie che dovevano caratterizzare questo territorio.

 

Le tombe a camera che iniziano dalla fine del VII secolo a.C., per divenire più comuni nel corso del VI-V secolo a.C., anche se di piccole dimensioni, fattura rozza, con uno o due loculi laterali e con la chiusura costituita da scaglie o blocchi di tufo, ospitano spesso le deposizioni di parecchi individui denotando un uso prolungato nel tempo.

 

Le caratteristiche tecniche e formali, corridoio d'accesso a scivolo, porte scorniciate di forma rettangolare e il piano di deposizione ricavato in una sorta di nicchia o loculo laterale, sembrano costituire una costante di tutte le tombe ipogee, per lo più di piccole dimensioni ed ad unica deposizione, nel comprensorio della Laurentina, tanto da far pensare ad una tradizione locale.

I corredi recuperati all'interno delle tombe sono riferibili alle ultime deposizioni rinvenute, non disturbate nei loculi o sul riempimento di terra, nello stretto corridoio centrale delle camere. Sul fondo di tale corridoio, e a volte nella parte esterna della zona d'accesso, si rinvengono i resti scheletrici delle deposizioni precedenti: questi resti sono sempre molto frammentari a causa della facile distruzione dei tessuti ossei ad opera sia del dilavamento delle acque, che inondavano periodicamente le tombe, sia della natura particolarmente acida del terreno.

 

Tali fattori rendono pertanto difficile una esatta valutazione di quanti individui potessero essere stati realmente ospitati nelle singole tombe e di conseguenza della durata del loro periodo di uso.

 

Partendo dal dato cronologico certo delle ultime deposizioni, i cui corredi non possono scendere oltre la metà del III secolo a.C., si può ipotizzare con sicurezza un uso a partire dal IV secolo a.C., ma non si può escludere una frequentazione più antica di tali sepolcri.

 

Elementi di datazione diretta ed indiretta ci forniscono, per le tombe di Casale Massima, per quelle dell’Area VII° e della Via dell’Acqua Acetosa Ostiense, un orizzonte cronologico tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C.

 

Se la scomparsa dei resti scheletrici è giustificata dalle condizioni e dalla natura del terreno, oltre che dalle ovvie azioni traumatiche delle periodiche aperture delle camere, la mancanza di oggetti di corredo databili al VI-V secolo a.C. è come noto imputabile ad una precisa scelta culturale legata a rigide leggi che mettono fine alla deposizione di oggetti all'interno delle tombe. L'avvento della città favorisce infatti una destinazione civica e religiosa di quei beni che prima venivano sacrificati nella tomba come parte inalienabile del morto.

 

I rinvenimenti nella tenuta del Torrino ci assicurano la presenza di un'identica tipologia tombale fino dagli anni finali del VII secolo a.C. con l'attestata continuità di uso per il periodo successivo fino al IV-III secolo a.C.

 

Se non di uso continuato fino da epoca orientalizzante di una stessa tomba, si può parlare di significativa continuità di sepoltura nello stessa area anche per la zona della Laurentina.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.