Im Westen nichts Neues
Recensione (e QUALCHE UTILE conFRONTO)
di
Leila
Tavi
Il
recente film Im Westen nichts
Neues (Niente di nuovo sul
fronte occidentale) è ispirato
all’omonimo romanzo di Erich Maria
Remarque, scritto tra il 1928 e il
1930, e basato sulla personale
esperienza dell’autore sul campo di
battaglia. Il romanzo può essere
considerato come un vero e proprio
manifesto contro la guerra che ha
venduto oltre ventimila copie ed è
stato tradotto in cinquanta lingue.
Il protagonista della storia è Paul
Bäumer, un ragazzo del 99, ovvero
del 1899, che si arruola alla fine
del conflitto, credendo alla
propaganda dell’Impero tedesco, che
rappresenta la guerra in patria come
un sano e ludico sport. Catapultato
però in una trincea nei pressi delle
Fiandre, ben presto Paul si rende
conto della verità sulla guerra.
Insieme a un gruppo di amici che si
è arruolato con lui il giovane
protagonista è in lotta continua,
con attacchi, contrattacchi, con il
fuoco incessante dell'artiglieria,
con gli effetti psicologici causati
dalla morte dei compagni e
con la carenza di cibo. Nella dura
sopravvivenza della quotidianità
della guerra bisogna uccidere,
perché l’alternativa è essere uccisi
dal nemico. Non si conduce più una
vita da uomini, ma da animali, come
i topi con cui i soldati convivono
nei bui e umidi corridoi di
trincea.
Quando Paul uccide un nemico
francese queste sono le sue parole
tradotte dalla pubblicazione
originale edita da Propyläen nel
1929:
Compagno, io non ti volevo uccidere.
Se tu saltassi un’altra volta qua
dentro, io non ti ucciderei, purché
anche tu fossi ragionevole. Ma prima
tu eri per me solo un’idea, una
formula di concetti nel mio
cervello, che determinava quella
risoluzione. Io ho pugnalato codesta
formula. Soltanto ora vedo che sei
un uomo come me. Allora pensai alle
tue bombe a mano, alla tua
baionetta, alle tue armi; ora vedo
la tua donna, il tuo volto, e quanto
ci somigliamo. Perdonami, compagno!
Noi vediamo queste cose sempre
troppo tardi. Perché non ci hanno
mai detto che voi siete poveri cani
al par di noi, che le vostre mamme
sono in angoscia per voi, come per
noi le nostre, e che abbiamo lo
stesso terrore, e la stessa morte e
lo stesso patire… Perdonami,
compagno, come potevi tu essere mio
nemico? Se gettiamo via queste armi
e queste uniformi, potresti essere
mio fratello.
Alla fine degli anni Venti del
secolo scorso sono molti gli
scrittori che parlano della Grande
Guerra: per esempio Arnold Zweig,
Ludwig Renn, Ernst Jünger ed Ernest
Hemingway. Per quanto riguarda
l’Italia, oltre a Giuseppe Ungaretti
con la sua poesia dalla trincea,
vogliamo ricordare Clemente Rebora e
Scipio Slataper, che raccontano la
loro esperienza sul Carso. Ci sono
poi Carlo Emilio Gadda ed Emilio
Lussu con la dissacrazione del mito
eroico della guerra. Per Lussu
Caporetto è una rivolta passiva di
un esercito stanco di inutili
massacri.
La Prima Guerra Mondiale non ha
rappresentato soltanto un punto di
svolta nella storia dell'umanità, ma
anche un evento crudele, che ha
segnato le coscienze di
intellettuali e di persone comuni
che hanno vissuto questo traumatico
e doloroso evento.
Al romanzo di Remarque sono ispirati
tre film: uno del 1930, uno del 1979
e l’ultimo del 2022 di Edward
Berger, un regista austro-svizzero,
la cui opera è l’oggetto della
nostra analisi.
Possiamo dire che quella più vicina
al romanzo delle tre trasposizioni
cinematografiche è la primissima
versione All Quiet On The Western
Front del 1930, per la regia di
Lewis Milestone, nella versione
italiana il titolo è All’Ovest
niente di nuovo. Il film fu
premiato all’epoca con due Oscar. Si
tratta della versione più vicina al
romanzo di Remarque perché cerca di
rappresentare sul grande schermo in
modo fedele la narrazione e
l’esperienza della guerra vissute
attraverso lo sguardo dell’autore.
Il 4 dicembre 1930 All’Ovest
niente di nuovo fu proiettato
per la prima volta nella Mozartsaal
del Neues Schauspielhaus di Berlino.
Non fu presentata al pubblico, però,
la versione originale. I nomi di
cast e crew di origine ebraica
furono eliminati dai titoli di testa
e furono censurate alcune parti del
film, che da 139 fu portato a soli
85 minuti. Prima della presa di
potere a lanciare una massiccia
campagna contro il film fu Joseph
Goebbels, capo allora della
propaganda del
Nationalsozialistische Deutsche
Arbeiterpartei (NSDAP), il
Partito Nazionalsocialista Tedesco
dei Lavoratori. Goebells organizzò
sommosse di massa e atti di pura
violenza davanti e dentro i cinema.
I nazionalsocialisti fecero
esplodere bombe fumogene o
maleodoranti nei cinema poco dopo
l'inizio del film. A volte
liberavano anche dei topi per
spaventare gli spettatori allo scopo
di farli scappare dalla sala durante
la proiezione. Il boicottaggio del
film da parte dei nazionalsocialisti
ebbe successo: solo una settimana
dopo la prima proiezione il film di
Milestone contro la guerra fu
vietato. Quale fu la motivazione?
Minava la reputazione della Germania
a livello internazionale e denigrava
la Reichswehr tedesca.
La versione del 1979 per la
televisione di Delbert Martin Mann
Jr, ha, ovviamente, sofferto del
confronto con il capolavoro di
Milestone, eppure, nonostante il
freddo consenso di pubblico e di
critica, il film ha ottenuto un
Golden Globe come Best Motion
Picture Made for TV e un Emmy Award
come Outstanding Film Editing for a
Limited Series or Special. Anche
questa seconda versione
cinematografica resta fedele al
romanzo di Remarque attraverso la
narrazione con vivida accuratezza di
singole storie dal fronte perse
nella brutalità della guerra.
Nell'ultima versione cinematografica
di Netflix è la cruda violenza a
prevale. Lo spettatore è catapultato
nella trincea e ne vive le
esperienze da molto vicino. Questa è
la vera forza del film: la
rappresentazione della guerra in
modo diretto, senza filtri.
Sullo schermo vediamo una giovane
generazione distrutta dalla guerra,
allo stesso tempo osserviamo come la
vita e la sopravvivenza continuino
nonostante la guerra. Né lo scoppio
del conflitto mondiale né la sua
fine sono inclusi nella narrazione.
I protagonisti della storia non
riflettono mai sul perché la guerra
sia scoppiata, se non i rari
momenti. La questione principale che
il film lascia esaminare allo
spettatore è come la cruda realtà
della guerra possa stroncare il
destino di giovani ragazzi pieni di
aspettative per il futuro. Questa
tematica fa riflettere anche noi
contemporanei, con lontano gli echi
di troppe guerre che ci rimbombano
nelle orecchie.
I compagni di scuola e di vita
rappresentati nel film hanno un
portavoce e un protagonista, Paul
Bäumer. Questa figura ha due
funzioni: è un ragazzo del 99,
appartiene quindi alla generazione
distrutta dalla guerra che deve
lottare per il proprio destino. Come
protagonista della storia Paul ha,
inoltre, il diritto-dovere di
trovare forme e tecniche di vita e
di sopravvivenza per se stesso e per
i compagni, che via via cadono in
battaglia. In scena è quasi sempre
in movimento, poche volte lo vediamo
in un atteggiamento riflessivo.
Avviene quando è a colloquio con il
suo Kamerad più esperto, Stanislaus
„Kat“ Katczinsky, che lo prende
sotto la sua ala protettiva e gli
insegna come non cadere in
battaglia, come vivere di espedienti
per non soccombere a un destino di
cadavere sul campo.
Il tema della distruzione interiore
è quello che emerge nei brevi
momenti di stasi, di tregua dalla
battaglia. Si svolge principalmente
sotto forma di riflessioni, ricordi
e lamenti di coloro che sono stati
colpiti e sottolinea la completa
negatività del modus vivendi creato
dalla guerra. Sono i processi di
sopravvivenza che portano movimento
e cambiamento nella trama e, di
conseguenza, nell’azione del film.
Sono processi che servono a
preservare la vita.
I due temi proposti sono in
contraddizione tra loro e spesso
corrono paralleli, come si vede
chiaramente, ad esempio, nelle scene
più teatrali. Queste due diverse
velocità, questo contrasto tra
dinamicità della battaglia e
staticità della riflessione
conferisce al film nel suo complesso
un'ambiguità che lo rende unico nel
suo genere.
Nonostante il regista lavori su dei
cliché che contribuiscono alla
spettacolarizzazione delle scene, la
ricostruzione delle battaglie è
molto accurata e, per questo, rende
molto bene la brutalità della
guerra.
Uno dei punti deboli per quanto
riguarda la ricostruzione storica è,
invece, la scena finale del generale
che ordina il contrattacco a due ore
della resa. Ricordiamo che l’11
novembre 1918, in un vagone di un
treno nel bosco francese di
Compiègne, fu firmato l’armistizio
che decretò la resa incondizionata
dell’Impero tedesco e mise fine a
oltre quattro anni di guerra che
lasciavano in eredità all’umanità
milioni di morti.
Il generale cattivo del film, che
vuole sacrificare i suoi giovani
soldati stremati, diventa una
caricatura funzionale all’empatia
che un film di guerra cerca di
creare nello spettatore, ma che poco
ha che vedere con la realtà dei
fatti. Soprattutto per quanto
riguarda la scena delle esecuzioni
di disertori che si vede nel film.
Da ricerche di archivio è noto che
durante la Prima Guerra Mondiale
sono stati fucilati soltanto
quarantotto soldati tedeschi, mentre
questo fu un fenomeno tipico della
Seconda Guerra Mondiale, con ben
20.000 esecuzioni capitali di
disertori tedeschi. Un altro
particolare che differisce dalla
realtà storica è poi la
rappresentazione che è fatta dei
battaglioni francesi, in modo
anacronistico, formati da soldati
del Nord-Africa che nel film
appaiono comandati soltanto da
connazionali. In realtà, anche le
divisioni formate da algerini,
marocchini o senegalesi avevano un
capitano francese. L’elemento
razziale portato sullo schermo vuole
farci riflettere su un contrasto
sociale contemporaneo, ma che non ha
fondamento storico.
Nel complesso il film riesce a
trasmettere il messaggio della
brutalità e dell’inutilità della
guerra, mai come ora attuale.