[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

184 / APRILE 2023 (CCXV)


arte

Im Westen nichts Neues
Recensione (e QUALCHE UTILE conFRONTO)

di Leila Tavi

 

Il recente film Im Westen nichts Neues (Niente di nuovo sul fronte occidentale) è ispirato all’omonimo romanzo di Erich Maria Remarque, scritto tra il 1928 e il 1930, e basato sulla personale esperienza dell’autore sul campo di battaglia. Il romanzo può essere considerato come un vero e proprio manifesto contro la guerra che ha venduto oltre ventimila copie ed è stato tradotto in cinquanta lingue. Il protagonista della storia è Paul Bäumer, un ragazzo del 99, ovvero del 1899, che si arruola alla fine del conflitto, credendo alla propaganda dell’Impero tedesco, che rappresenta la guerra in patria come un sano e ludico sport. Catapultato però in una trincea nei pressi delle Fiandre, ben presto Paul si rende conto della verità sulla guerra. Insieme a un gruppo di amici che si è arruolato con lui il giovane protagonista è in lotta continua, con attacchi, contrattacchi, con il fuoco incessante dell'artiglieria, con gli effetti psicologici causati dalla morte dei compagni e con la carenza di cibo. Nella dura sopravvivenza della quotidianità della guerra bisogna uccidere, perché l’alternativa è essere uccisi dal nemico. Non si conduce più una vita da uomini, ma da animali, come i topi con cui i soldati convivono nei bui e umidi corridoi di trincea. 

 

Quando Paul uccide un nemico francese queste sono le sue parole tradotte dalla pubblicazione originale edita da Propyläen nel 1929:

 

Compagno, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte e lo stesso patire… Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello.

                                                                   

Alla fine degli anni Venti del secolo scorso sono molti gli scrittori che parlano della Grande Guerra: per esempio Arnold Zweig, Ludwig Renn, Ernst Jünger ed Ernest Hemingway. Per quanto riguarda l’Italia, oltre a Giuseppe Ungaretti con la sua poesia dalla trincea, vogliamo ricordare Clemente Rebora e Scipio Slataper, che raccontano la loro esperienza sul Carso. Ci sono poi Carlo Emilio Gadda ed Emilio Lussu con la dissacrazione del mito eroico della guerra. Per Lussu Caporetto è una rivolta passiva di un esercito stanco di inutili massacri. 

 

La Prima Guerra Mondiale non ha rappresentato soltanto un punto di svolta nella storia dell'umanità, ma anche un evento crudele, che ha segnato le coscienze di intellettuali e di persone comuni che hanno vissuto questo traumatico e doloroso evento.

 

Al romanzo di Remarque sono ispirati tre film: uno del 1930, uno del 1979 e l’ultimo del 2022 di Edward Berger, un regista austro-svizzero, la cui opera è l’oggetto della nostra analisi.

 

Possiamo dire che quella più vicina al romanzo delle tre trasposizioni cinematografiche è la primissima versione All Quiet On The Western Front del 1930, per la regia di Lewis Milestone, nella versione italiana il titolo è All’Ovest niente di nuovo. Il film fu premiato all’epoca con due Oscar. Si tratta della versione più vicina al romanzo di Remarque perché cerca di rappresentare sul grande schermo in modo fedele la narrazione e l’esperienza della guerra vissute attraverso lo sguardo dell’autore. Il 4 dicembre 1930 All’Ovest niente di nuovo fu proiettato per la prima volta nella Mozartsaal del Neues Schauspielhaus di Berlino. Non fu presentata al pubblico, però, la versione originale. I nomi di cast e crew di origine ebraica furono eliminati dai titoli di testa e furono censurate alcune parti del film, che da 139 fu portato a soli 85 minuti. Prima della presa di potere a lanciare una massiccia campagna contro il film fu Joseph Goebbels, capo allora della propaganda del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP), il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Goebells organizzò sommosse di massa e atti di pura violenza davanti e dentro i cinema. I nazionalsocialisti fecero esplodere bombe fumogene o maleodoranti nei cinema poco dopo l'inizio del film. A volte liberavano anche dei topi per spaventare gli spettatori allo scopo di farli scappare dalla sala durante la proiezione. Il boicottaggio del film da parte dei nazionalsocialisti ebbe successo: solo una settimana dopo la prima proiezione il film di Milestone contro la guerra fu vietato. Quale fu la motivazione? Minava la reputazione della Germania a livello internazionale e denigrava la Reichswehr tedesca.

 

La versione del 1979 per la televisione di Delbert Martin Mann Jr, ha, ovviamente, sofferto del confronto con il capolavoro di Milestone, eppure, nonostante il freddo consenso di pubblico e di critica, il film ha ottenuto un Golden Globe come Best Motion Picture Made for TV e un Emmy Award come Outstanding Film Editing for a Limited Series or Special. Anche questa seconda versione cinematografica resta fedele al romanzo di Remarque attraverso la narrazione con vivida accuratezza di singole storie dal fronte perse nella brutalità della guerra. 

 

Nell'ultima versione cinematografica di Netflix è la cruda violenza a prevale. Lo spettatore è catapultato nella trincea e ne vive le esperienze da molto vicino. Questa è la vera forza del film: la rappresentazione della guerra in modo diretto, senza filtri. 

 

Sullo schermo vediamo una giovane generazione distrutta dalla guerra, allo stesso tempo osserviamo come la vita e la sopravvivenza continuino nonostante la guerra. Né lo scoppio del conflitto mondiale né la sua fine sono inclusi nella narrazione. I protagonisti della storia non riflettono mai sul perché la guerra sia scoppiata, se non i rari momenti. La questione principale che il film lascia esaminare allo spettatore è come la cruda realtà della guerra possa stroncare il destino di giovani ragazzi pieni di aspettative per il futuro. Questa tematica fa riflettere anche noi contemporanei, con lontano gli echi di troppe guerre che ci rimbombano nelle orecchie. 

 

I compagni di scuola e di vita rappresentati nel film hanno un portavoce e un protagonista, Paul Bäumer. Questa figura ha due funzioni: è un ragazzo del 99, appartiene quindi alla generazione distrutta dalla guerra che deve lottare per il proprio destino. Come protagonista della storia Paul ha, inoltre, il diritto-dovere di trovare forme e tecniche di vita e di sopravvivenza per se stesso e per i compagni, che via via cadono in battaglia. In scena è quasi sempre in movimento, poche volte lo vediamo in un atteggiamento riflessivo. Avviene quando è a colloquio con il suo Kamerad più esperto, Stanislaus „Kat“ Katczinsky, che lo prende sotto la sua ala protettiva e gli insegna come non cadere in battaglia, come vivere di espedienti per non soccombere a un destino di cadavere sul campo.

 

Il tema della distruzione interiore è quello che emerge nei brevi momenti di stasi, di tregua dalla battaglia. Si svolge principalmente sotto forma di riflessioni, ricordi e lamenti di coloro che sono stati colpiti e sottolinea la completa negatività del modus vivendi creato dalla guerra. Sono i processi di sopravvivenza che portano movimento e cambiamento nella trama e, di conseguenza, nell’azione del film. Sono processi che servono a preservare la vita. 

 

I due temi proposti sono in contraddizione tra loro e spesso corrono paralleli, come si vede chiaramente, ad esempio, nelle scene più teatrali. Queste due diverse velocità, questo contrasto tra dinamicità della battaglia e staticità della riflessione conferisce al film nel suo complesso un'ambiguità che lo rende unico nel suo genere.

 

Nonostante il regista lavori su dei cliché che contribuiscono alla spettacolarizzazione delle scene, la ricostruzione delle battaglie è molto accurata e, per questo, rende molto bene la brutalità della guerra.

 

Uno dei punti deboli per quanto riguarda la ricostruzione storica è, invece, la scena finale del generale che ordina il contrattacco a due ore della resa. Ricordiamo che l’11 novembre 1918, in un vagone di un treno nel bosco francese di Compiègne, fu firmato l’armistizio che decretò la resa incondizionata dell’Impero tedesco e mise fine a oltre quattro anni di guerra che lasciavano in eredità all’umanità milioni di morti. 

 

Il generale cattivo del film, che vuole sacrificare i suoi giovani soldati stremati, diventa una caricatura funzionale all’empatia che un film di guerra cerca di creare nello spettatore, ma che poco ha che vedere con la realtà dei fatti. Soprattutto per quanto riguarda la scena delle esecuzioni di disertori che si vede nel film. Da ricerche di archivio è noto che durante la Prima Guerra Mondiale sono stati fucilati soltanto quarantotto soldati tedeschi, mentre questo fu un fenomeno tipico della Seconda Guerra Mondiale, con ben 20.000 esecuzioni capitali di disertori tedeschi. Un altro particolare che differisce dalla realtà storica è poi la rappresentazione che è fatta dei battaglioni francesi, in modo anacronistico, formati da soldati del Nord-Africa che nel film appaiono comandati soltanto da connazionali. In realtà, anche le divisioni formate da algerini, marocchini o senegalesi avevano un capitano francese. L’elemento razziale portato sullo schermo vuole farci riflettere su un contrasto sociale contemporaneo, ma che non ha fondamento storico.

 

Nel complesso il film riesce a trasmettere il messaggio della brutalità e dell’inutilità della guerra, mai come ora attuale.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]