N. 4 - Aprile 2008
(XXXV)
Il I secolo in Palestina
Breve analisi del substrato
In cui si inserì la
predicazione cristiana
di
Lawrence M.F. Sudbury
La
Palestina del I secolo si presenta, dal punto di vista
socio-religioso, come un incredibile guazzabuglio di
gruppi, gruppuscoli e correnti religiose che si
intersecano, si fronteggiano, si uniscono e si
ridividono, spesso in relazione alle situazioni
politiche contingenti, in una commistione tra Stato e
religione tipica della mentalità ebraica.
Per tentare di fare un po' di ordine e di comprendere un
po' di più del quadro ideologico e religioso del
periodo, sarà dunque il caso di ripercorrere molto
brevemente la storia del popolo ebraico nel periodo
immediatamente precedente alla predicazione di Gesù.
I
Giudei erano stati sudditi persiani dal 538 a.C. fino al
330 a.C., quando Alessandro il Grande aveva conquistato
l'impero persiano. Alla sua morte l'impero si divise e i
Giudei restarono nell'ambito politico dei vari potentati
ellenistici, soprattutto di quello di Siria.
Da
questo momento in poi le vicende politiche diventano
molto complesse: la Giudea in genere ebbe propri re ma
questi venivano più o meno imposti dalle potenze vicine
per cui i Giudei si trovarono in una specie di
protettorato.
Durante alcuni periodi la situazione era pacifica ma,
più spesso, erompevano furiose rivolte: sempre comunque
era diffusa l'aspirazione a una vera e completa
indipendenza impossibile da ottenere nel quadro politico
dell'antichità.
In
questa situazione di disperante subordinazione, la
cultura ebraica si viene via via forgiando come una
cultura chiusa, in cui giocano un ruolo centrale il
riscatto nazionale e l'unità di fronte all'oppressore.
Come di fronte alle precedenti invasioni o deportazioni,
si sviluppano correnti messianiche che legano la
possibilità di riscatto nazionale alla venuta di un
salvatore attorno a cui tutto il popolo ebraico si deve
raccogliere in battaglia.
Queste dottrine escatologiche si strutturano in
formazioni combattenti che si scontrano con gli eserciti
invasori seguendo le indicazioni di un leader, di solito
capo religioso e profeta. Dunque, già molto prima
dell'arrivo dei romani, gli ebrei avevano prodotto sette
messianico-guerrigliere. Le condizioni di oppressione e
il fatto che questo movimento fosse legato alle fasce
più povere del popolo ebraico conferivano un carattere
democratico e rivoluzionario alle loro credenze
Contrapposto ad essa, si poteva un gruppo elittario che
si stava via via aprendo all'ellenismo ed all'ellenizzazione
dei costumi.
Quando nel 168 a.C. Antioco IV, in cambio di privilegi
concessi a questa élite ebraica ellenizzata, riuscì ad
impadronirsi del tesoro del Tempio di Gerusalemme, che
fece sconsacrare e adibire al culto pagano dopo averlo
dedicato a Zeus Olimpo, il sacerdote Mattatia uccise
l'apostata ebreo preposto al nuovo culto e si rifugiò
sui monti insieme ai suoi cinque figli e a numerosi
seguaci hassidim, dando l'avvio alla rivolta conosciuta
come dei “Maccabei”, guidata dalla famiglia degli
Asmonei, strutturata in una sorta di una setta
messianico-guerrigliera, il cui testo sacro (il libro
del profeta Daniele, scritto attorno al 165 a.C.)
profetizzava la venuta del Messia e incitava alla lotta
per la liberazione di Israele.
Alla morte di Mattatia (166 a.C.), suo figlio Giuda
guidò i ribelli alla vittoria contro l'esercito
seleucide, occupò Gerusalemme e riconsacrò il Tempio al
culto di Yahwè (164 a.C.); in memoria di questi eventi
fu istituita la festa di Hanukkah.
Le
grandi capacità di condottiero implacabile contro i
nemici, non disgiunta da una grande capacità di ottenere
aiuti da Roma, che si era inserita nel conflitto
(teoricamente in funzione antisiriaca ma,
sostanzialmente, per approfittare della situazione)
valsero a Giuda il soprannome di Maccabeo (martello,
martellatore) che poi, appunto, passò all'intera
famiglia.
Giuda Maccabeo morì in battaglia nel 161 a.C., e gli
succedette il fratello Gionata che, servendosi di
alleanze con i nemici di Demetrio I, tenne a bada il
monarca seleucide prima di essere assassinato. L'ultimo
dei figli di Mattatia, Simone, sconfisse una spedizione
di Antioco VII ma morì nei disordini successivi.
Giovanni Ircano, figlio di Simone, ampliò notevolmente
il regno di Giudea portandolo alla sua massima potenza.
Gli succedettero i figli: brevemente Aristobulo I,
quindi Alessandro Ianneo, che parteggiò per gli
ellenizzanti nelle loro lotte contro i nazionalisti.
Alessandra Salomè, che era stata moglie di entrambi,
salì al trono nel 78 a.C. e favorì invece i
nazionalisti. Il figlio Giovanni Ircano II divenne re e
sommo sacerdote, ma fu contrastato dal fratello
Aristobulo II; ne scaturì una guerra civile che offrì a
Roma il pretesto per intervenire. Gerusalemme fu
conquistata quindi da Pompeo nel 63 a.C.
Fin qui la storia di un periodo complesso. Ma anche la
nascita dei maggiori gruppi religiosi della Giudea del
tempo di Gesù: Sadducei, Farisei, Esseni e Zeloti.
I
primi due gruppi, infatti, nascono nel periodo
cosiddetto “dei Maccabei” e corrispondono alla divisione
tra ellenizzanti e nazionalisti.
I
Sadducei formavano la corrente politico-religiosa
ellenizzante rappresentata eminentemente
dall'aristocrazia delle antiche famiglie, nell'ambito
delle quali venivano reclutati i sacerdoti dei ranghi
più alti, nonché, in particolare, il Sommo Sacerdote.
Tale corrente si richiamava, nel proprio nome,
all'antico e leggendario Sadoc (anche Sadoq o Zadoq),
sommo sacerdote al tempo di Salomone.
Sul piano dottrinale, si ritiene, in base alle scarse
informazioni pervenuteci, che essi considerassero
vincolante solamente la Legge scritta, ossia quanto
tramandato nei libri della Torah, non ritenendo
importante la Legge orale, ossia la tradizione
interpretativa della Torah, asseritamente trasmessa in
maniera verbale, di generazione in generazione. Inoltre
i Sadducei non credevano alla resurrezione dei morti,
ossia alla perpetuazione dell'individuo dopo la morte,
in corpo e spirito. Sembra, infatti, che essi
respingessero anche l'esistenza di un'anima immortale,
anche se è lecito dubitare che avessero, al riguardo,
una posizione di netta preclusione, sia perché ciò non
si concilierebbe con il contenuto della stessa Legge
scritta, sia perché l'evidenza archeologica delle
modalità di sepoltura seguite dai Sadducei attesta, in
ogni caso, una fede nella esistenza di un mondo
ultraterreno del quale il defunto, alla morte, entra a
far parte. Pare, infine, che non accettassero nemmeno la
dottrina degli angeli.
Il
rifiuto della tradizione orale, fu, probabilmente,
proprio il fattore che consentì ai Sadducei di aprirsi
alla cultura dell'ellenismo, pur conservando la fede nel
giudaismo, facendo di essi una élite intellettuale ed
imprenditoriale capace di esercitare notevole influsso
persino nell'ambito della politica imperiale. La loro
permeabilità agli influssi stranieri connessa alla
capacità di mantenere intatta la propria identità,
tipica dei ceti aristocratici di ogni tempo ed ogni
nazione, li portò, però, al tempo di Gesù, ad allearsi
con i dominatori romani, che nel periodo maccabeo
avevano osteggiato il prospettiva filo-siriana, così da
mantenere il ruolo di preminenza all'interno del Tempio.
Per questo, ritenuta colpevole di collaborazionismo nei
confronti di Roma, la corrente fu letteralmente
sterminata, durante la rivolta giudaica del I secolo d.C.,
dagli insorti più esagitati e violenti, come ci narra lo
storico Giuseppe Flavio, in quella guerra giudaica che,
oltre ad essere una lotta di liberazione dalla
dominazione straniera, fu anche una vera, cruenta e
spietata guerra civile. Gli eventuali residui superstiti
dei Sadducei o furono assimilati dalla società
romano-ellenica nella quale si rifugiarono, oppure, in
misura molto minore si convertirono al cristianesimo.
La
fazione nazionalista opposta a quella sadducea ere
quella dei Farisei, che tanto venne attaccata da Gesù
nella sua predicazione ma che, in realtà era ben più
vicina alle sue posizioni che quella dei Sadducei.
Emersi sulla scena sociale alla fine del II secolo a.C.
sotto gli Asmonei, si collegano alla reazione non solo
culturale, ma anche religiosa, contro l'ellenismo, e
sono al loro inizio identificabili con gli Hassidim
(Pii). Ruppero con la casa asmonea sotto Giovanni Ircano
(134 – 104 a.C.) e fu verso quest’epoca che apparvero
costituiti in partito (àiresis), chiamati da Giuseppe
Flavio col nome di farisei, che deriva dalla parola
ebraica “perûšîm”, ossia i "separati".
Probabilmente il termine fu coniato dagli oppositori con
intento dispregiativo; tra loro si chiamavano invece
“chaverìm” ("congregati", "compagni"). Di fatto, però,
ben presto anch'essi cominciarono ad identificarsi con
tale aggettivo, riferendosi, però, al loro essere
“separati dagli altri” in ossequio al loro ideale di
purità: essi si distinguevano dalla gente comune, il
“popolo della terra”, che tralasciava l’osservanza
totale della legge. L’idea di “separazione” è anche
riconducibile alla divisione dal movimento Hassid
avvenuta fra il 160 ed il 150 a.C. (da cui presero forma
anche gli Esseni): in tale interpretazione, “perûšîm” va
interpretato in dissidenti, secessionisti.
Erano il partito della tradizione e dell'ortodossia
ebraica: l'ebraismo, secondo loro, non era contenuto
soltanto nei libri, ma anche nella tradizione orale,
anch'essa ricevuta sul Sinai da Mosè. Credevano nella
resurrezione dei morti, nel giudizio finale e nella
retribuzione, nell'esistenza degli angeli, nella
provvidenza, nella libertà del volere, nella
responsabilità individuale. Insistevano sull'osservanza
di ogni precetto e di ogni uso tradizionale in tutte le
circostanze della vita, che veniva in tal modo
consacrata e collegata al ricordo dell'Alleanza.
Intransigenti sulla sostanza della fede e della Legge
(ritenendo che la sua osservanza avesse una funzione
escatologica e anticipasse l’avvento della nuova era
della salvezza), evitavano i contatti con i peccatori e
gli ignoranti, che non potevano conoscere la Legge ed
essere uomini pii., ma si mostrano duttili sulle
applicazioni della Legge stessa. Le tendenze
progressiste dei Farisei si ritrovano sul piano
teologico; anzitutto sullo sviluppo dell'escatologia: "Per
essi ogni anima è imperitura, ma soltanto quella dei
buoni passa in un altro corpo, mentre quella dei malvagi
è punita con un castigo eterno" .
Nati come partito popolare, si trasformarono ben presto
in una nuova aristocrazia fondata sulla cultura, ossia
sulla conoscenza della Scrittura. Con essi si viene così
a creare nella società ebraica una classe di
intellettuali e di persone colte, in opposizione alla
vecchia aristocrazia arroccata sulle proprie posizioni
di potere.
I
Farisei erano sostenuti dalla stragrande maggioranza del
popolo, che ne ammirava anche la scrupolosa osservanza
della Legge ed i costumi. Per questa ragione nel
Sinedrio essi godevano di grande autorità.
Ferventi antiromani, pur avendo ottenuto grande
popolarità anche grazie all'appoggio imperiale nella
guerra contro la Siria del periodo maccabeo, nel I
secolo d.C. essi appaiono come gli unici rappresentanti
della maggioranza degli Ebrei, identificandosi con
l'ebraismo stesso. Sopravvissero infatti alla guerra
giudaica ed alla distruzione del Tempio rappresentando
l'elemento di continuità con il giudaismo posteriore:
distrutta infatti Gerusalemme, i Farisei emersero dalla
catastrofe che aveva travolto la loro nazione quale
unica corrente spirituale vitale, capace di coagularne
attorno a sé i resti che non vennero assimilati dalla
società romano-ellenica o che non si convertirono al
cristianesimo. Non a caso dai Farisei trae origine
l'ebraismo rabbinico moderno.
Si
è detto che, all'inizio del I secolo, i Farisei erano
radicalmente anti-romani. La loro posizione era, però,
eminentemente di stampo politico e non includeva
coinvolgimenti in azioni dirette.
Ciò portò alcuni estremisti nazionalisti, guidati da
Giuda il Galileo (probabilmente un erede al trono di
famiglia asmonea), a staccarsi dal partito farisaico per
dar vita ad un nuovo gruppo, quello degli Zeloti, il cui
scopo era combattere la presenza romana e abbattere la
corrotta dinastia fantoccio erodiana insediata da Roma.
Degli Zeloti ci parla lungamente Giuseppe Flavio:
“Questa
scuola concorda con tutte le opinioni dei farisei
eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo
amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è
loro guida e padrone. Ad essi poco importa affrontare
forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si
scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di
chiamare un uomo "padrone". Ma la maggioranza del popolo
ha visto la tenacia della loro risoluzione in tali
circostanze che posso procedere oltre la narrazione.
Perché non ho timore che qualsiasi cosa riferisca a loro
riguardo sia considerata incredibile. Il pericolo, anzi,
sta piuttosto nel fatto che la mia esposizione possa
minimizzare l'indifferenza con la quale accettano la
lacerante sofferenza delle pene.”
Ovviamente, l'opinione dello storico ebreo romanizzato è
assolutamente negativa:
“tale,
infatti, era il nome [Zeloti] che quelli si erano dati,
quasi fossero zelatori di opere buone e non invece al
massimo grado delle più turpi.”
e
“[…]
i ciarlatani e i briganti, riunitisi insieme, istigavano
molti a ribellarsi e li incitavano alla libertà,
minacciando di morte chi si sottometteva al dominio dei
Romani e promettendo che avrebbero fatto fuori con la
violenza chi volontariamente si piegava alla schiavitù.”
In
realtà, gli Zeloti erano sostanzialmente partigiani
accaniti e fanatici dell'indipendenza politica del regno
ebraico, nonché difensori dell'ortodossia e
dell'integralismo ebraici, cosa che, come logica
conseguenza del rigido monoteismo, li portava a non
riconoscere la signoria dell'imperatore romano né le
imposte a lui dovute. Il loro progetto era, inoltre,
ammantato da una fortissima attesa messianica: un grande
re doveva venire e liberare la Palestina dal dominio
imperiale, in vista della ricostituzione del Regno
d'Israele, su cui solo Dio poteva regnare.
Con questi presupposti ideologici, gli Zeloti svolsero
un ruolo importante nella grande rivolta del 66-70.
Sebbene la maggior parte di essi perì durante la presa
di Gerusalemme da parte di Tito Flavio Vespasiano, la
caduta della città santa non segnò la sconfitta
definitiva dello zelotismo; gli ultimi Zeloti infatti, a
capo dei quali vi era un certo Eleazaro, si rifugiarono,
in un estremo tentativo di resistenza, nella fortezza di
Masada, a sud del deserto di Giuda, vicino al Mar Morto.
Quando si videro perduti, tutti i 960 Zeloti presenti a
difesa della roccaforte si diedero la morte.
Studi recenti hanno stabilito che, nel periodo della
dominazione romana, molti gruppi zeloti erano entrati in
contatto e, talora, in stretto rapporto, con il quarto
grande gruppo ideologico dell'ebraismo del I secolo, gli
Esseni.
Tale rapporto era, d'altra parte, già noto dal II
secolo, grazie a Ippolito Romano che, probabilmente
confondendo un po' i termini della questione, scrive:
“...Sono
divisi (gli Esseni) fin dall'antichità e non seguono le
pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in
quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino
all'estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta
(non ebraica) asserendo che non è lecito portare,
guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro
osa perciò entrare in una città per tema di attraversare
una porta sormontata da statue, essendo sacrilego
passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno
discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è
incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano
di morte se non si lascia circoncidere; qualora non
acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è
appunto da questo che hanno preso il nome di zeloti, e
da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di
dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che
a Dio solo, anche se fossero minacciati di
maltrattamenti e di morte.”
Ma
chi erano, dunque, i membri di questo gruppo religioso,
questi Esseni che rappresentano la corrente forse più
misteriosa ed affascinante dell'ebraismo antico?
Grazie ai ritrovamenti di Qumran, dal 1947 in poi, ora
sappiamo molto di più su di loro.
Già nell'antichità avevano scritto su di essi, come in
parte già visto, Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio,
che sostiene di esserne stato discepolo, e Plinio il
Vecchio.
Sulla loro origine e sul significato del nome non c’è
accordo tra gli studiosi ma l'ipotesi più probabile è
che derivi da una corruzione dell'originario termine “Hassid”.
Molto probabilmente ebbero inizio dalla metà circa del
II secolo a.C. in epoca maccabea, proprio come
derivazione dal movimento Hassidim, ma di essi non si fa
mai menzione prima degli Asmonei.
Di
vita appartata e solitaria, si erano organizzati, fuori
dal contesto sociale, in comunità isolate di tipo
monastico e cenobitico; protetti da Erode il Grande, al
tempo di Gesù erano oltre 4000 e vivevano dispersi in
tutto il paese.
Abolita ogni proprietà personale, praticavano la
comunanza dei beni, si accontentavano del necessario e,
di quanto producevano o possedevano in comune, facevano
baratto. Dediti ai lavori di agricoltura, di
allevamento, di apicultura e di artigianato, alternavano
ore di attività con momenti di preghiera. Probabilmente,
almeno in una prima fase, contrari alla violenza e
attenti al rispetto degli animali, che non
sacrificavano, rifiutavano di essere arruolati e di
fabbricare armi, professando l'uguaglianza di tutti gli
uomini e dichiarandosi “artigiani di pace”.
Consacrati al servizio di Dio, per lo più nel celibato,
gli Esseni coltivavano la pietà e la coerenza etica,
come prescriveva la Torah che leggevano di continuo,
specialmente di sabato, giornata che trascorrevano
nell'osservanza più rigorosa. In questo giorno si
svolgeva la lettura solenne, commentata da uno dei più
colti fra loro, secondo l'esegesi allegorica.
Normalmente iniziavano la giornata con la preghiera
davanti al sole, lavoravano in silenzio fino alle undici
quando insieme, cinti di un panno di lino, facevano
abluzioni di acqua fredda; solo dopo questo bagno
entravano nel refettorio loro riservato per il pasto
frugale, consumato soltanto dopo una previa preghiera di
benedizione da parte di un sacerdote. Terminato il
pasto, elevavano una preghiera di ringraziamento, si
toglievano la veste bianca comune e riprendevano il
lavoro in silenzio fino a sera, quando insieme si
riunivano per un altro pasto comunitario.
L'ammissione alla comunità avveniva tramite l'adozione
di figli altrui o l'accesso di nuovi giovani adepti.
Tale ammissione era peraltro selettiva e solo dopo tre
anni di iniziazione, costituita da varie prove, si
entrava a far parte del gruppo con un pasto comune e un
giuramento solenne davanti alla comunità: con questo
atto i neofiti assumevano l'impegno di essere totalmente
leali e di non rivelare nulla ai profani, neppure se
torturati a morte. Gli iniziati dovevano tacere
soprattutto sulle dottrine esoteriche dei libri antichi
e sui nomi degli angeli, oggetto di profonde
speculazioni mistico-teologiche.
La
struttura del gruppo esseno era gerarchica e comprendeva
i gradi di postulante, di novizio e di iniziato.
Sotto il profilo dottrinale gli Esseni sostenevano
l'immortalità dell'anima e professavano un'escatologia
di retribuzione per buoni e malvagi. Ammettevano pure la
resurrezione, il giudizio finale e la fine del mondo.
La
teologia degli Esseni subì sicuramente influssi esterni
all'ebraismo: la sottolineatura del dualismo bene-male,
l'atteggiamento di venerazione di fronte al sole, la
dottrina sugli angeli, la presenza di bagni rituali si
collegano a tradizioni iraniche o parsi, così come il
celibato, il cenobitismo, la riprovazione dei sacrifici
cruenti e dell'olio rinvierebbero, secondo alcuni, a
tradizioni buddhiste (anche se il collegamento appare un
po' forzato, non esistendo documenti di connessioni tra
Medio ed Estremo Oriente nel periodo in esame), mentre
il silenzio comunitario, gli anni di noviziato, le vesti
bianche, le prescrizioni della dieta, l'esoterismo della
dottrina garantita dal giuramento e l'escatologia
rimandano immediatamente a contatti con la tradizione
pitagorica.
Di
grande interesse è il fatto che le loro speranze
messianiche fossero riposte in un non meglio specificato
"Re dei Giudei", che li avrebbe liberati con le armi dal
giogo pagano per edificare il Regno terreno di Yahweh, e
in un “Sommo sacerdote Aronne” che, probabilmente, nel
loro modo di vedere, doveva corrispondere al Messia.
Con ogni probabilità, proprio questo elemento li
avvicinò molto agli Zeloti. Sicuramente, stando alle
risultanze di Qumran, la cui comunità andò incontro ad
una fine violenta nel 68 d.C. ad opera dei romani,
parteciparono attivamente alle sommosse negli anni della
guerra che si concluse con il crollo di Gerusalemme ed
il conseguente annientamento di numerosi nuclei esseni.
E' certo che alcuni scampati si unirono agli Zeloti di
Masada e ne condivisero la sorte, come prova il
ritrovamento, duranti gli scavi del 1963 a Masada, di un
frammento di pergamena dei Canti della santificazione
del sabato, già noto dai ritrovamenti della grotta
4 del cenobio del Mar Morto.
Sadducei, Farisei, Zeloti, Esseni: queste dunque le
maggiori fazioni della Palestina del I secolo, in
perenne contrasto tra loro, ma anche impegnate in un
gioco di alleanze tale da rendere il quadro di
riferimento sempre fluido e magmatico.
Su
questo terreno fertile si pianterà il seme della
predicazione cristiana, inizialmente non alterando
sostanzialmente le coordinate di riferimento, ma
incuneandosi profondamente nel substrato preesistente,
un substrato di cui ogni analisi cristologica e
filologica non può e non deve evitare di tener conto.
Riferimenti bibliografici:
La
Sacra Bibbia,
Roma, Edizione CEI 1999
R.H. Eisenman, The Dead
Sea Scrolls Uncovered: The 1ST compl Translation intrptn
50 Key Documents Withheld for Over 35 Year, New
York, Penguin Books, 1993
Filone Alessandrino,
Quod omnis probus liber sit
Giuseppe Flavio,
Antichità Giudaiche
Giuseppe Flavio,
Guerra giudaica
Ippolito Romano,
Refutatio
A. Levison, Compendium of Biblical hystory,
Esther Press, Londra 1998
Plinio
il Vecchio,
Naturalis Historia