N. 31 - Dicembre 2007
RICORDANDO IL G8 DI GENOVA
Ombre
sul caso Giuliani
di Leila
Tavi
Il
20 luglio 2001 la città di Genova fu blindata dalle
forze dell'ordine per far svolgere senza intralci la
riunione degli otto paesi più industrializzati nel
mondo. Nella città vennero erette barricate per
impedire ai manifestanti di avere qualsiasi contatto
con i capi di stato giunti nella città ligure per il
vertice internazionale. Il 28 giugno 2001 l’allora
Ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, incontro alla
Farnesina una delegazione del Genova Social Forum per
“contrattare” in vista del vertice del mese
successivo.
Queste furono le parole di Ruggiero: “Il mio
obiettivo è soltanto quello di facilitare l'inizio di
un concreto dialogo. Siamo pronti ad ascoltare e a
prendere in considerazione le Vostre idee come ad
esempio quella di scegliere la via del dialogo con il
Parlamento italiano. Con il Presidente della
Repubblica Ciampi e con il Presidente del Consiglio
Berlusconi abbiamo pensato di invitare nove
personalità che hanno una indiscussa autorità morale
nel dibattito sui grandi problemi del mondo. Essi
sono: Nelson MANDELA, la Signora Sadako OGATA, la
Signora Coretta KING, Abdul Sater EDHI, il Cardinale
Luciano MENDES, Amartya SEN, la Signora Mary ROBINSON,
la Signora Rigoberta MENCHÙ, il Presidente Martti
AHTISSARI. Abbiamo pensato che un incontro con queste
personalità darebbe maggiore visibilità alle Vostre
tesi e potrebbe aprire la via, ad esempio, ad un
Vostro documento, condiviso da queste nove personalità
da trasmettere agli otto Capi di Stato o di Governo.
Speriamo che anche questa iniziativa possa facilitare
un dialogo costruttivo...”.
Il
dialogo costruttivo non ci fu mai; la strategia fu
quella di non permettere ai giovani manifestanti di
raggiungere il luogo della riunione, il Palazzo
Ducale, presidiato dalle forze dell’ordine e, allo
stesso tempo, di “imbottigliare” i cortei per farli
confluire in punti strategici, come piazza Alimonia,
dove vennero pilotati migliaia di
manifestanti.
Genova 2001 e Gleneagles 2005, due G8 che verranno
ricordati nella storia per due tragedie: la morte di
Carlo Giuliani il 20 luglio a Genova e gli attacchi
all’underground del 7 luglio a Londra. Oggi
vogliamo tentare di ricostruire quello che è accaduto
a Genova quattro anni fa.
Carlo era in piazza con il corteo partito dallo stadio
Carlini. Intorno alle 17.00 i manifestanti erano
stipati nelle viuzze del quartiere Foce, intorno a via
Caffa. Improvvisamente la tensione esplose negli
scontri. Un defender della polizia rimase
bloccato in via Caffa e alcuni dei manifestanti
tentarono l’assalto; tra loro anche Carlo Giuliani,
ventitre anni, romano ma residente a Genova, figlio di
un noto sindacalista. L’immagine del ragazzo con un
passamontagna nero e con un estintore sollevato a
mezz’aria nell’intento di scagliarlo contro il
defender dell’Arma dei Carabinieri ha fatto il
giro del mondo. Nel veicolo due uomini: il carabiniere
di leva Mario Placanica e, alla giuda dell’auto, il
carabiniere in ferma biennale Filippo Cavataio.
Tra le urla e colpi dei fall che sparavano
lacrimogeni Placanica venne fatto salire sul
defender perché, a causa dei molti lacrimogeni
sparati e nonostante la maschera antigas, (secondo le
dichiarazioni rilasciate dal giovane carabiniere)
aveva “gli occhi e il viso in fiamme”. Una volta
salito sull’auto Placanica si sentì male “vomitando”.
Il carabiniere ausiliario ha dichiarato ancora durante
l’interrogatorio che un altro collega di cui non si
ricordava il nome era salito in macchina con lui.
Al
momento dell’assalto dei manifestanti Placanica ha
riferito che gli assaltatori scagliarono pietre
ferendo lui e il suo compagno, la cui identità resta
misteriosamente celata: “[…] alla vista del sangue
e del mio amico ferito [strano che non ne ricordi
l’identità ndr] ho messo il colpo in canna alla
pistola […] con la mano avevo nel frattempo
inavvertitamente levato la sicura. Il lancio delle
pietre è continuato ed io ho sentito la mia mano
contrarsi e partire dalla mia pistola due colpi di
arma da fuoco; io ero in posizione accucciata con la
mano alzata ed armata. […] Alla mia vista nel momento
in cui puntavo la pistola non avevo persone […] io ero
accucciato e non ho fatto caso se avessi colpito
qualcuno […] ho sentito l’automezzo spostarsi
in avanti; l’ho sentito fermarsi per far salire
un’altra persona […]. Anche dopo che sono partiti i
due colpi il lancio delle pietre è continuato; nessuno
ha urlato, nessuno ha detto nulla in merito alla
possibilità che io avessi colpito qualcuno. Io ero
accucciato e non ho fatto caso se avessi colpito
qualcuno. […] Io perdevo sangue ed ero in preda al
panico anche perché sentivo che stavo per perdere i
sensi, ho iniziato a urlare; nel frattempo
sull’automezzo è salito un altro maresciallo; io ero
nel panico preoccupatissimo per me e per il mio amico,
lamentando la sfortuna faccio infatti presente che io
sono in servizio di leva. Ho tremato fino a quando non
sono arrivato in ospedale...”.
Ho
omesso le parti relative alla descrizione delle sue
ferite e la conclusione dell’interrogatorio che si può
trovare in versione integrale alla seguente url
http://www.sherwood.it/piazzalimonda/materiali/verbale.pdf.
Nell’interrogatorio Placanica fa riferimento anche
alla possibilità di lanci di molotov, ma stranamente
non gli vengono fatte domande, nessuna perizia sulle
sue presunte ferite, nessuno chiede perché nell’auto
al momento dell’assalto i due carabinieri di leva e
inesperti erano stai lasciati soli. Fatto ancora più
grave, nessuno chiede dell’estintore, Placanica
dichiara addirittura di non vedere nessuno, ma le foto
ritraggono Carlo Giuliani proprio di fronte alla
camionetta e poi, perché i tre sostituti procuratori
Anna Canepea, Francesco Pinto e Andrea Canciani non
indagano, al di là della morte di Giuliani, sugli
effetti dei gas lacrimogeni?
Perché nessun commento sul mal funzionamento delle
maschere antigas? Recentemente mi è capitato di
assistere nella Caserma dei Genieri della Cecchignola
a una dimostrazione d’utilizzo delle suddette
maschere. Il modello utilizzato sembrava essere quello
usato dai Tedeschi nella Seconda Guerra mondiale;
l’appuntato addetto alla dimostrazione ha avuto
difficoltà ad infilarla e dopo 30 secondi che la
indossava si è vista una consistente traspirazione
della pelle e il vetro appannarsi. Un altro militare
spettatore ha commentato che in caso di attacco con
gas nervino il ragazzo sarebbe già stato morto;
Placanica stesso ha dichiarato che la maschera non era
in grado di proteggerlo dal fumo e che sentiva viso e
occhi bruciargli. Poi perché non ha sparato ancora dei
lacrimogeni dall’auto, perché ha sparato? Ha perso la
testa?
E’
evidente che il giovane, per la posizione accucciata,
per lo stato di shock e per i danni temporanei subiti
alla vista per il fumo dei lacrimogeni, non era in
grado di rendersi conto di cosa veramente succedesse
intorno a lui. Dichiara che al momento degli spari non
vede nessuno davanti a lui, percepisce solo delle
presenze. Dichiara ancora che dopo gli spari non
succede nulla di particolare, nessuno grida; filmati
dimostrano invece che dopo gli spari la folla
indietreggia, qualcuno urla “assassini”.
Anche Filippo Cavatoio, carabiniere in ferma biennale,
non si ricorda il nome dell’altro uomo salito in
macchina con Placanica, anche lui dichiara di aver
avuto problemi dati dal lancio di lacrimogeni e di
essersi trovato nel panico più totale e per la prima
volta in una situazione del genere. Cavatoio è passato
con l’auto sopra al corpo di Giuliani molto
probabilmente non ancora morto: “Ho fatto
retromarcia e non ho sentito nessuna resistenza: anzi
ho sentito un sobbalzo dalla ruota sulla sinistra, ho
pensato a un cumulo di immondizia, visto che era stato
rovesciato un cassonetto, ed ho pensato solo ad
allontanarmi da quello sfracello.”
Come è possibile che non sentono le grida all’esterno?
Come ripartire in quella situazione? Cavatoio dichiara
ancora che dopo i fatti si è fatto sostituire dal suo
ignoto collega alla guida. Non è strano? I due hanno
perso la testa, non hanno saputo gestire la
situazione. Come si può archiviare il caso assolvendo
i due per legittima difesa? E poi perché non si è
approfondito in sede di processo sulle responsabilità
dei due ufficiali a bordo dell’auto la cui identità è
rimasta nascosta?
Un’altra tesi vede coinvolto il vicequestore aggiunto
della Procura di Roma, Adriano Lauro, che testimoni
affermano di aver sentito accusare “assassino in
divisa” un altro ignoto carabiniere fuggito dietro
alla Chiesa di Nostra Signora della Miseria, verso via
Odessa, vicino al luogo dell’incidente; sul presunto
carabiniere non si è mai indagato, né si ha una
versione ufficiale dei fatti. Il vicequestore non è
stato interrogato durante il processo.
Neanche i comandanti di Cavatoio e Placanica, dal
Tenente Colonnello Giovanni Truglio, coordinatore dei
reparti speciali dell'Arma, i "C.C.I.R.", al Capitano
Claudio Cappello, responsabile della compagnia C.C.I.R
"Echo", al Tenente Nicola Mirante, suo diretto
sottoposto sembra abbiano sentito gli spari. Tutti si
trovavano nei pressi del luogo del delitto, ma nessuno
ha notato niente. Che bella l’omertà degli Italiani!
Il capitano Cappello è l’unico a essere stato
interrogato durante il processo.
Il
vicequestore è stato invece interrogato dalla
Commissione d’inchiesta del Parlamento il 5 settembre
2001 insieme al vicequestore aggiunto della Procura di
Napoli, Maurizio Fiorillo. Strana coincidenza che il
tenente colonnello Truglio e il capitano Cappello si
trovavano nel 1997 in Somalia con il contingente Ibis
implicato nelle torture ai civili (vedi anche
uccisioni
Ilaria Alpi e Miran Hrovatin).
Nel memoriale del maresciallo Francesco Aloi del
Tuscanica sono nominate le armi subsoniche per i fatti
in Somalia; ricordiamo le dichiarazioni di Cavatoio e
Placanica? Nessuno sente spari. Lo stesso perito per
il caso Ilaria Alpi, Carlo Torre, viene chiamato per
il caso Giuliani. Lo stesso che si è occupato del caso
Marta Russo.
Un
copione che si ripete. Però le ogive delle due
cartucce dei colpi sparati da Placanica non sono mai
state ritrovate (per un approfondimento
http://www.piazzacarlogiuliani.org/pillolarossa/plasticbullet/).
Nell’articolo di Repubblica di quel giorno venne
riportato che immediatamente subito dopo l’uccisione
si formò un cordone di carabinieri intorno al corpo di
Carlo che impedì a manifestanti e a giornalisti di
avvicinarsi al ragazzo morto.
La
verità raccontata dalla Procura di Genova è
imbarazzante e ancora una volta non ci fa onore. Il 5
maggio 2003 la gip Elena Dalosio decide per
l’archiviazione: legittima difesa. Pare che alcuni dei
carabinieri coinvolti siano stati ritenuti così bravi
da essere mandati in missione in Iraq.
E
poi ancora la questione dei colpi alla testa del
ragazzo e del passamontagna intatto, troppe
contraddizioni, troppi dubbi anche per noi non addetti
ai lavori per poter archiviare a cuor leggero il caso
come una legittima difesa.
Riferimenti bibliografici:
http://www.piazzacarlogiuliani.org
http://www.repubblica.it/online/politica/gottotto/morto/morto.htm
http://www.sherwood.it/piazzalimonda/materiali/verbale.pdf |