N. 6 - Novembre 2005
LA TOMBA FRANÇOIS. UNA GUIDA, VII
La storia, l'archeologia e il mito
di
Antonio Montesanti
L’area compresa tra i corsi dei fiumi Arno e Tevere è
da sempre considerata una delle regioni più ricche del
mondo, sotto ogni profilo. Da tremila anni quella
regione chiamata Tuscia ovvero Toscana, domina con
poche altre a livello culturale ed economico il bacino
del mediterraneo.
Le
chiavi di questo successo e che attualmente rimangono
invariate sono i passaggi che la definiscono a Nord,
con i passi dell’Appennino Tosco-Emiliano e il guado
del Tevere. Per questo motivo, gli Etruschi si
garantirono questi due punti che gli concessero
ricchezza per quasi un millennio, fino a quando altre
popolazioni, comprendendone l’importanza, ne
sfruttarono i vantaggi con l’occupazione: i Galli a
Nord e Roma a Sud. Fino a quando il controllo su
quest’ultima fu garantito grazie agli interventi
monarchici, il potere etrusco fu garantito, ma quando
un’entità autonoma riprese il potere iniziando una
dura politica d’espansione verso Nord, la fine della
cultura etrusca fu segnata.
Al
tempo dei Saties, nel IV sec. a.C., quando si
concessero il capolavoro nel quale avrebbero riposato
in eterno, non era ancora chiaro che Roma avrebbe
dominato l’Italia. Certamente, il sentore che il
potere della città capitolina stesse aumentando a
dismisura, era chiaro dalle scene di questa tomba in
cui s’intravede il ricordo della rivalità tra Roma e
le dodici città etrusche, in un periodo
storico-mitico, quando ancora l’ago della bilancia non
pendeva in maniera così tanto inclinata da volgere
favorevolmente alla Città Eterna.
Le
ragioni di una tale situazione erano già evidenti
all’epoca, quando la potente dodecapoli non fu in
grado di costituirsi in una grande alleanza,
sottolineando i limiti della libertà politica di tipo
federale. Dopo la distruzione di Veio (396/90 a.C.),
l’annichilimento, con due trattati di pace, delle
poleis di Tarquinia e Caere (345 a.C.), le
prossime a cadere sarebbero state Vulci (Trionfo del
console Tiberius Corunianus su Vulci nel 280
a.C.) e Volsinii a cui toccò una sorte ancora
peggiore.
Per
questo il grande ciclo della Tomba parla di quello che
sta per accadere di quello che orma è
inequivocabilmente scritto nella storia. Per questo
grandi cartoni di cicli mitici venivano utilizzati
spesso per comunicare un determinato momento storico.
Nella Tomba François vengono ragionevolmente
contrapposti utilizzati per questo pannello quello
sulla corrispondente parete destra.
In
ogni caso sembra chiaro la distinzione della tomba in
due campi, se si eccettua il pannello di Sisifo ed
Anfiarao, tra una pars mortalis ed una
epico/eroica; tra una storica ed una mitica.
Solo
la visione totale, complessiva e unitaria dell’intero
ciclo ci da la possibilità di comprendere il
messaggio, in realtà non ancora totalmente definito o
definibile.
Ad
una serie di fatti storici se ne contrappongono altri
mitici che come nella migliore tradizione greca,
completamente accolta da quella etrusca, deve dare,
consegnare, un messaggio, una tradizione, un monito.
La vendetta violenta è al tempo stesso, lo sfogo della
rabbia e la richiesta per far placare le anime oppure
la giustificazione ad un torto subito, come nella
lotta fratricida: Achille sacrifica i giovani
prigionieri troiani per purificare l’ombra di
Patroclo, placandone così lo spirito, mentre Eteocle e
Polinice non esitano ad ‘infilarsi’ vicendevolmente
col ferro andando a opporre idealmente i concetti di
amore fraterno ed odio reciproco per il potere.
Questa metà è ragionevolmente similare a quella che si
trova nel settore destro in cui le scene di
combattimento dei vulcenti contro i generali delle
città confederate sembrano essere funzionali alla
liberazione di Aulo Vibenna da parte di Mastarna o il
pannello di Marce Camitlnas e Gneo Tarquinio il
Romano.
Certamente è la vendetta la chiave di ogni
raffigurazione, ma come questa debba essere
interpretata, non è ancora chiaro: se questa sia
corretta, e quindi elemento di una giustizia divina ed
umana oppure come elemento disgregatore di una
fazione.
L’unico elemento che tutto coinvolge e che tutto
domina è il destino e la possibilità di conoscerlo in
anticipo, di guidarlo di poterlo possedere. È per
questo che vengono rappresentate le immagini dei
grandi vati, Cassandra e Anfiarao, ma che tristemente
già conoscono gli eventi. Eventi che si riflettono
nell’aruspicina del giovane Vel che è pronto ad
osservare il tristo destino di una nazione destinata
al dissolvimento totale.
Quello che vediamo è l’atto estremo che fece un grande
personaggio di una città ormai sull’orlo del baratro:
cercò di battere i Romani, e probabilmente ci riuscì
come osserviamo nella corona argentea d’alloro che gli
cinge il capo o nelle danze di guerrieri che
inneggiano alla vittoria sulla sua vestis
triumphalis e cercò di richiamare all’unione i
dodici tusci populi, ricordando che in loro
scorreva lo stesso sangue e fino alla fine cercò
responsi fatali, come si vede nell’espressione
concentrata verso il cielo, nei voli degli uccelli o
nei segni della terra o del cielo per scorgere il
futuro di un popolo.
Ma a
lui era chiaro: non basta essere dei buoni reggenti,
dei saggi governanti, dei grandi guerrieri o degli
eroi invincibili se ormai, da tempo il destino era
segnato. La fine della Nazione Etrusca.
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