N. 5 - Ottobre 2005
LA
TOMBA FRANÇOIS.
UNA GUIDA, VI
Il
grande affresco storico
di
Antonio Montesanti
LA LIBERAZIONE DI
CELIO VIBENNA (CAILE VIPINAS) AD OPERA DI MASTARNA (MACSTRNA)
ED IL TRIPLICE MASSACRO DEI GUERRIERI ETRUSCHI PESNA
AREMSNAS SVEAMAX, LARÌS POPOTHNAS VELZNAX E VENTHIKAU
.. .PISAXS PER MANO DEI VULCENTI LARTH ULTHES, RASCE E
AVIE VIPINAS
Il
dipinto di un mezzo scudo prosegue in linea teorica la
scena del sacrificio dei prigionieri troiani. Il lungo
pannello vede quattro scene, una disposta a cavallo
del lato breve a fianco alla porta della liberazione
di un personaggio, e altre tre, senza la suddivisione
in registri, di monomachie tra due personaggi.
Il
primo personaggio è distinto dal nome CAILE VIPINAS.
Come i prigionieri troiani ha le mani legate ma, con
un senso di soddisfazione leggibile nell’espressione
facciale, le protende in avanti per farsi tagliare i
legacci che le bloccano. Caile ha la barba di un
colore bruno che contrasta con il colore chiaro dei
capelli, al pari dell’ultimo prigioniero troiano
analizzato, la caratterizzazione del suo corpo
presenta delle innovazioni stilistico grafiche uguali,
se non maggiori, a quello del suo corrispettivo. Ciò è
percepibile nella splendida muscolatura, resa allo
stesso modo, ma quasi statuaria e più dettagliata,
mentre le pennellate di colore, sono tanto più fine da
dare un tocco di realismo che ben si sposa con
l’assenza della frontalità del busto, che invece,
tranne in un paio di casi sembra la costante del
pannello di fronte.
Segue MACSTRNA, sulla parete attigua, che taglia con
una delle due spade che porta sul petto, i lacci. Il
corpo è reso in maniera frettolosa e piuttosto
longilineo, viene applicata la tecnica del
chiaroscuro, ma in maniera approssimativa sulle spalle
e sul braccio destro. Mentre Mastarna libera Caile
Vipienas, dietro di lui si svolge la prima delle tre
monomachie in sequenza.
Il
primo combattimento vede un personaggio barbato (LARTH
ULTHES) con corto chitone bordato di rosso sulle
braccia e di nero sulle cosce che tiene per i capelli
un giovane (LARIS PAPATHNAS VELZNACH) nudo, imberbe,
coperto di un mantello anch’esso bordato di rosso, che
cerca di divincolarsi, mentre gli pianta la spada su
un fianco.
La
seconda uccisione è operata da un personaggio nudo (RASCE)
che s’avanza da destra a sinistra, con il solo fodero
della spada legato ad una spalla mentre sovrasta ed
infila nella gola dell’avversario il ferro; il suo
avversario (PESNA AREMSNAS SVEAMACH) tenta di
difendersi tenendogli il fianco e la mano con le sue.
È seduto su una roccia, nudo, con un elmo corinzio
sulla testa ed il mantello bianco bordato di porpora
su di lui ed è soppresso con un colpo secco alla
carotide. Il suo sguardo è rivolto nel vuoto, verso
l’alto. I protagonisti sono ambedue barbati.
Nella terza sequenza, appare per la prima volta, al
pari di Achille nel pannello di fronte, un personaggio
(VENTHIKAU …PLZACHS) in è assetto di combattimento,
privo di barba, con corazza anatomica, sotto la quale
vi è un corto chitone, schinieri, poggia la mano sul
lato convesso dello scudo, gettato per terra.
Chiaramente datosi alla fuga viene ripreso per i
capelli, e tenuto con un piede sul polpaccio, ed
infilato sotto l’ascella da un personaggio (AULE
VIPIENAS) che come il precedente aggressore è nudo,
barbato e tiene la guaina della spada nello stesso
posto mentre con il ginocchio fa inarcuare la schiena
al nemico.
Dalle ferite inflitte agli uomini che subiscono la
sorte mortale sgorga sangue in abbondanza.
Per
la prima volta in un contesto artistico etrusco, i
personaggi rappresentati sono storici ossia realmente
esistiti. Quella che è possibile osservare su questo
grande pannello è la saga di uno spaccato di storia
etrusco-romana ma dall’angolatura etrusca. La presenza
e l’importanza delle iscrizioni ci chiarisce molti
aspetti di una storia che a noi non ci è pervenuta
neanche attraverso l’annalistica romana, se non per un
caso, il discorso dell’imperatore Claudio (al potere
dal 41 al 54 d.C.) riportato da Tacito (Tac. Ann. XI,
23-25), in cui viene ricordato il nome originario di
Servio Tullio: Mastarna.
Il
discorso, riportato anche su tavole bronzee, rinvenute
nel 1528, nella città originaria dell’imperatore,
Lugdunum (Lyone), paragona la storia del sesto re
di Roma, alla situazione dei senatori della Gallia del
I sec. d.C. quando questi vengono osteggiati
nell’ingresso nella curia della capitale, perché non
civites romanii: “…regnò su Roma Servio Tullio, che i
nostri storici ritengono essere figlio di una schiava
(Ocresia) e che gli Etruschi annoverano quale fedele
amico (sodalis) di Celio Vibenna e suo compagno nel
destino (comes). Dopo varie vicende (varia fortuna)
abbandonò l’Etruria con il resto dell’esercito di
Caelio Vibenna e occupò quel colle, che si chiama
appunto Celio in ricordo del nome del suo capo.
Successiva mente egli modificò il suo nome, come già
accennato. In etrusco si chiamava Mastarna. A
vantaggio di tutti conquistò la sovranità”.
Secondo Massimo Pallottino il nome Macstrna sarebbe
formato dalla radice indoeuropea Magister e il
suffisso di appartenenza –na, per questo la sua
traduzione sarebbe “Di proprietà del Magister” ossia
di Cailie Vipienas cioè schiavo, servo. Nome che
avrebbe conservato al momento in cui divenne re con
l’appellativo di Servius Tullius. Probabilmente
l’insediamento del re Servio è legato ad un’altra
notizia di Festo che narra che i Romani in un momento
di crisi interna avrebbero chiamato in loro aiuto i
fratelli Vibenna e che Celio, probabilmente caduto in
combattimento, venne onorato con l’assegnazione del
monte omonimo. Il suo servo-compagno Tullius/Mastarna
prese allora il potere a Roma.
Chiaramente il grande pannello, riproduce eventi
anteriori ai fatti di Roma in cui Vulci fu impegnata
in una missione contro una federazione di città con
l’obbiettivo di liberare il comandante Cailie Vipienas,
catturato in qualche scontro precedente. L’intera
scena narra di una battaglia cruenta tra tre possibili
comandanti vulcenti contro altrettanti combattenti di
altre tre città etrusche, mentre loro combattono e
chiaramente vincono, Mastarna libera Celio Vibenna.
L’ipotesi, assai veritiera è data dai terzi nomi di
ogni combattente sconfitto.
I
nomi Velzsnach, Sveamach e …Plzachs
sarebbero da intendersi come poleonimici, ossia nomi
di città, Velzsn, Sveam, Plz, con
il suffisso di provenienza –ach (-C).
Si tratterebbe di Volsinii, Sovana e
Plz (Castrum Politianum?) che corrispondono
alle attuali città di Orvieto, Sovana e Montepulciano
(?), anche se l’attribuzione di quest’ultima è molto
dubbia. I combattenti Vulcenti, così ritenuti a causa
della mancanza di un poleonimico, sono vincenti su una
coalizione composta da tre città con l’obbiettivo,
raggiunto, di liberare uno dei suoi generali, Celio
Vibenna, appunto, alla cui spedizione avrebbe
partecipato un personaggio che da Festo sappiamo
essere il fratello Aulo Vibenna.
L’impresa raffigurata, che vide verosimilmente gli
antenati di coloro che riposavano nella Tomba
protagonisti, fu motivo di gloria e onore per la
famiglia Saties. Nella loro tomba, grazie a
loro troviamo oggi l’unica raffigurazione di un re di
Roma.
LA SOPRAFFAZIONE DI CNAEVE TRACHUNIES
RUMACH AD OPERA DI MARCE CAMITLNAS
Di
fronte all’ingresso, sulla destra del lato
orizzontale, in posizione opposta al pannello di
Eteocle e Polinice, e secondo alcuni in relazione con
esso, si trova una scena che vede un uomo (MARCE
CAMITLNAS) che s’avanza con la destra a passo
incrociato mentre sguaina una spada che tiene legata
sulla spalla; con la sinistra tiene per i capelli un
personaggio (CNEVE TARCHUNIES RUMACH) che giace seduto
ai suoi piedi. Questo avvolto in una tunica bianca
effettua una torsione verso l’aggressore, cercando di
bloccargli l’azione dello sguainare.
Paragonato al pannello corrispondente, del gruppo ‘tebano’,
di fronte l’ingresso a sinistra, è in realtà molto
simile, ma la differenza è che questo non termina con
un’uccisione, bensì con un resa: un gesto piuttosto di
pietà.
Mancando il cognomen o il poleonimico di
Marce Camitlnas, si è ritenuto che al pari degli
altri combattenti sullo stesso lato, provenga da Vulci,
mentre lo sconfitto sia Gnaeus Tarquinius da
Roma, probabile membro della famiglia dei Tarquini di
Roma. Probabilmente l’episodio, non citato dagli
annali romani, riporta alle lotte intestine che videro
scontri accertati dalle fonti e confermati dalle
ricostruzioni storiche, come quella di Mastarna –
Servio Tullio, e che terminarono nel 509 a.C., con la
cacciata di del settimo ed ultimo re, Tarquinio il
Superbo e l’instaurazione della Res Publica.
L’ipotetica contrapposizione tra i due pannelli, il
‘Romano’ e il ‘Tebano’, riconduce all’idea che si
tratti, in questo caso, di uno scontro per il potere e
la supremazia su Roma, come lo era stato per Tebe da
perte degli Edipei.
Allo
stesso modo, una guerra tra Tarquinia e Vulci, doveva
rappresentare lo scontro tra fratelli per il possesso
di Roma, in un periodo in cui veniva dipinta la tomba
e in cui la città capitolina stava prendendo
decisamente il sopravvento su tutte le realtà
etrusche.
VEL SATIES E LA SUA FAMIGLIA SULLA
PARETE DESTRA DELLO SPAZIO LARGO
Sul
lato breve dell’ambiente orizzontale, specularmene ai
pannelli di Nestore e Fenice vi erano in origine tre
pannelli due laterali ed uno sulla porta. Di questi
solo uno si è conservato in maniera integrale. Nella
parte sinistra si vede l’unico pannello conservato
interamente: è quello del probabile proprietario della
Tomba, Vel Saties.
Ammantato in uno spettacolare mantello di porpora,
bordato da spirali banche a tralci, sul quale si
vedono le figure di tre guerrieri nudi, armati di
spade e di scudi che danzano, Vel Saties ha uno
sguardo serio, fisso, rivolto verso l’alto. Dalla
doppia ed elegante piegatura sul petto fuoriesce
appena una mano, nei capelli neri è inserita una
corona d’alloro in argento e porta dei calzari neri
bassi a sandalo, con legature molto eleganti.
In
basso davanti ai suoi piedi si trova un bambino
accovacciato (Arnza) che sembra avere delle
fattezze riferibili ad “un nano o uno schiavo
storpio”. Porta una tunica bianca con una bordatura
rossa, la sua testa è reclinata all’indietro e con lo
sguardo verso l’alto osserva una rondine poggiata
sull’indice della mano sinistra. Con la mano destra,
al petto, tiene il laccio a cui è legato il volatile.
Il
filo ‘lento’ da la possibilità all’uccello di levarsi
in volo senza poter scappare.
È
alquanto chiaro che Vel Saties stia per
assistere al volo per poterne trarre gli auspicia,
branca di cui si occupavano gli augures
fondamentale nella religione e nella vita etrusca.
Il
paragone più significativo è quello che vede immagini
simili rappresentate sulle stelai attiche del
IV sec. a.C. in cui, allo stesso modo si vedono i
padri a fianco dei figli più piccoli che giocano con
le rondini tenute da un cordino.
La
porta, murata dopo una prima serie di deposizioni, fu
in seguito sbrecciata per poter accedere nuovamente
alla camera. Su questa tamponatura era dipinta una
figura forse femminile, che alcuni hanno identificato
con la madre di Arnza, di questa rimangono i
piedi forse ad un livello più basso di quelli di
Vel Saties, ed una piccola parte di tunica
porpora. Su questo drappo s’intravede un piede
maschile nudo, che si ricollega agli stessi disegni
presenti sul mantello di Vel Saties.
Non
sappiamo cosa vi fosse raffigurato nel pannello a
destra della porta. Dai lavori eseguiti nel 1930
furono trovati nuovi frammenti di intonaco (ora al
Museo Archeologico di Firenze), che mostrano un
personaggio ed un altro Arnza con un melograno
secondo lo schema del pannello di sinistra. Per questo
si è pensato che si tratti di un antenato di Vel
Saties con il figlio, anch’egli di nome Arnza.
La
cosa che è necessario sottolineare è l’assoluta
precisione nell’identificare il corrispettivo di
Vel Saties in Nestore che si trova specularmene
sulla parete breve opposta di fronte. Un elemento che
aiuta nel riconoscimento e nell’identificazione dei
due personaggi è per es. la decorazione della tunica,
ossia i girali bianchi che seguono la bordatura.
L’accostamento figurativo e compositivo definito tra
le coppie Fenice/palma e Nestore /palma da un lato e
VelSaties/Arnza e Anonimo/Arnza dall’altro vuole
riconoscere nella saggezza dei due eroi dell’epos
troiano le virtù dei principi vulcenti.
La
ricostruzione del trittico della parete di fondo era
così composta dunque due coppie di personaggi, a
sinistra Vel Saties e Arnza, a destra lo
stesso Arnza. e un personaggio anonimo, che
inquadrano la figura solitaria, dipinta nello specchio
della porta, di un altro membro della gens, un
antenato - forse il padre del fondatore - sepolto
nella cella V, la sola già sigillata al momento della
realizzazione della decorazione dipinta, come è stato
dimostrato. L’esame accurato dell’intonaco ha infatti
confermato che la decorazione "a fresco" sulle pareti
e sulla tamponatura della porta alla cella V è
avvenuta in uno stesso momento; cioè, chi ha concepito
la decorazione della tomba con il grandioso ciclo
pittorico ha tenuto conto del fatto che la cella V era
già occupata da sepolture e corredi più antichi. |