N. 4 - Settembre 2005
VIVERE
DIETRO AL FILO SPINATO
La condizione degli
stranieri detenuti nei Centri di permanenza temporanea
in Italia
di Leila
Tavi
E’ sgradevole per me,
cittadina italiana, venire a sapere ciò che avviene
nel Belpaese dalle televisioni dei nostri “vicini”
europei. Qualche giorno fa mi sono casualmente
imbattuta in un reportage del programma “Kulturzeit”
(canale austriaco 3 SAT) sui “Centri di permanenza
temporanea” (Cpt) per gli immigrati in Italia.
Con il D.lgs. 30 maggio
2005, n. 140 l’Italia ha recepito la Direttiva
2003/9/CE per la regolamentazione dell’accoglienza dei
richiedenti asilo negli Stati membri che, nel rispetto
dei diritti umani, dovrebbe garantire agli immigrati
alcuni diritti “minimi”, come la possibilità di
accedere a un regolare lavoro subordinato durante il
periodo di attesa dell’eventuale riconoscimento dello
status di rifugiato (art. 11, comma 1 del D.lgs. 30
maggio, n. 140). Nonostante sulla carta gli stranieri
siano tutelati dalla legge italiana le condizioni in
cui gli immigrati sono costretti a vivere dentro i
centri di accoglienza allestiti dal governo italiano
sono vergognose e disumane. In un articolo de “Il
Manifesto” del 22 luglio 2005 vengono rese note le
cifre per il mantenimento dei Cpt nel 2004: 49,7
milioni di euro così ripartiti: 40, 8 milioni per la
gestione dei centri; 3,3, per la manutenzione
ordinaria e straordinaria; 1,9 per le voci economiche.
Nel servizio di
“Kulturzeit” viene fuori la cruda realtà: i centri
somigliano più a dei carceri che a dei centri di
accoglienza per rifugiati che, non dobbiamo
dimenticare, hanno affrontato nella maggioranza dei
casi un viaggio in mare in condizioni difficilissime e
sono fuggiti da paesi con guerre civili in corso, dove
non vengono riconosciuti i diritti umani e la
popolazione soffre. Nel Ctp veneto di Gradisca, l’ex
caserma Polonio, di prossima apertura, ci sono
brandine e mensole di ferro, sbarre alle finestre e
due aree distinte, una per gli uomini e una per le
donne.
Le famiglie che
arriveranno a Gradisca verranno sicuramente divise,
anche perché la struttura non è “attrezzata” ad
accogliere bambini. Se alcuni quotidiani italiani
dedicano almeno poche righe all’argomento, nel
palinsesto delle maggiori emittenti nostrane, ormai il
quarto potere in Italia, si tace al riguardo. Nel
reportage che è andato in onda su 3 SAT è stato
intervistato Stefano Mencherini, giornalista
indipendente e autore del documentario Mare nostrum
realizzato nel 2003 e che, ad oggi, nessuna
emittente italiana ha voluto trasmettere. Mencherini
ha dichiarato durante l’intervista che i suoi film
sono giudicati “politically incorrect”, ovvero
orientati politicamente e non obiettivi per il modo in
cui si descrive la condizione dei rifugiati in Italia.
Quattordici centri
operativi nella penisola per 15.647 immigrati a fronte
di 59.965 espulsi: il 92% dei richiedenti asilo è
infatti respinto. Il commentatore austriaco nel
descrivere quello vicino a Crotone usa l’appellativo
di “Guantanamo italiano”; gli stranieri che vi
soggiornano lamentano le precarie condizioni
igenico-sanitarie e la carenza di cibo. Kwame Sarpong,
un rifugiato dal Ghana, mostra davanti alle telecamere
austriache la colazione che è stata distribuita: due
fette biscottate, una confezione monouso di marmellata
e un po’ di latte servito in un bicchiere di plastica.
Non ci sono menù differenziati per musulmani e
cristiani, tutti ricevono lo stesso: poco e di cattiva
qualità. Filmare all’interno dei Cpt è vietato, ma
Kwame scala l’alta recinzione del Cpt di Crotone per
poter parlare con i giornalisti, lo fa ogni volta che
li vede aggirarsi nei paraggi, non ha paura delle
ritorsioni delle guardie, mostra dei segni sul corpo,
dice di essere stato malmenato.
All’interno dei Cpt
mancano sapone per lavarsi, medicine e indumenti,
spesso laceri; alcuni degli ospiti sono addirittura
costretti a indossare scarpe di numeri inferiori; se
qualcuno ha i morsi della fame gli viene dato un
bicchiere d’acqua. Questo è il quadro che Kwame fa del
centro in cui è “ospite”. Eppure il governo ha
stanziato per il 2004 ben 49,7 milioni di euro
destinati ai centri, dove finiscono i soldi? Il Ctp di
Crotone è gestito dalla Onlus “Misericordia” con sede
in Isola Capo Rizzuto, dalla Croce Rossa e dall’
”Associazione dei Carabinieri in Pensione”. La Onlus
Misericordia dovrebbe poter spendere a fronte degli
stanziamenti 70 euro al giorno per persona; le
dichiarazioni degli immigrati contrastano con la
versione ufficiale. Gli impiegati di Misericordia non
concedono interviste ai giornalisti, forse per paura
di perdere il posto, per quella brutta abitudine del
Sud chiamata omertà.
Nel documentario Mare
nostrum viene messa a nudo l’incostituzionalità
della legge sull’immigrazione, la legge 30 luglio
2002, n. 189, meglio conosciuta come Bossi-Fini. Dopo
avere esaminato le crude immagini del film che
documentano i maltrattamenti agli stranieri nel Cpt di
San Foca, Lecce, gestito dalla Fondazione “Regina
pacis” della Curia arcivescovile cittadina, la
Magistratura salentina ha deciso di aprire un
processo, anche grazie all’esposto di alcuni leccesi e
alle denunce di alcuni migranti.
La legge 189 del 2002 ha
inasprito la legge 40 del 1998, anche detta
Turco-Napolitano, che per la prima volta in Italia nel
1998, ha sancito che qualsiasi straniero colpevole di
reati amministrativi possa essere privato della
libertà in attesa del espulsione; la Bossi-Fini ha
raddoppiato il tempo di permanenza nei Ctp da 30 a 60
giorni. Nel 1998 i primi centri, aperti in Sicilia,
sono stati collocati in strutture non adeguate
all’accoglienza: a Lampedusa sono stati utilizzati
vecchi hangar dell’aeroporto, a Pantelleria un
ospedale dimesso, ad Agrigento dei capannoni metallici
dove sono stati collocate più di 800 persone per circa
3 mq a testa, a Trapani 90 posti letto di un ospizio
sono stati adibiti a centro profughi; a Catania
un’area all’interno dell’aeroporto di Fontanarossa; a
Termini Imerese (Palermo) alcuni prefabbricati già
esistenti; l’unica struttura pensata e costruita
appositamente per i rifugiati è il Ctp di Roma Ponte
Galeria da 150 posti e in funzione dal 1999.
Ma i Ctp italiani per la
“raccolta e lo smistamento” degli stranieri presto
saranno in funzione anche in Libia: uno è già in
costruzione a Gharyan, nei pressi di Tripoli, l’altro
è stato previsto a Sebha. L’unica forma di pubblicità
data all’operazione è stata la “Relazione sul
rendiconto generale dello Stato del 2004”, nella parte
relativa alle attività del Ministero dell’Interno,
redatta dalla Corte dei Conti. Di quanti e quali
finanziamenti siano stati stanziati il Governo non fa
parola. Secondo la parlamentare verde Tana De Zuleta
seimila persone sono già state deportate dall’Italia
verso paesi come il Sudan, l’Etiopia e la Siria, dove
la pena di morte è ancora in vigore.
Dal rapporto degli
esperti incaricati dalla Commissione europea di
indagare a riguardo, che risale ai mesi di novembre e
dicembre 2004, emerge che gli accordi bilaterali tra
l’Italia e la Libia sono palesemente in contrasto con
la normativa europea in materia. Il rapporto è costato
al nostro paese una risoluzione, votata dal Parlamento
europeo a seguito della denuncia della Corte europea
dei diritti dell’uomo, che ammonisce l’Italia per le
espulsioni verso la Libia, contrarie a tutte le
convenzioni sui diritti dell’uomo. Il Ministero
dell’Interno italiano controbatte che i Cpt libici
sono stati progettati per evitare di dover respingere
i profughi una volta giunti sul territorio italiano,
sarebbe addirittura prevista un’unica task-force
tra l’Italia, la Libia e Malta per il pattugliamento
delle coste nordafricane.
Secondo il quotidiano
“Il Manifesto” l’intervento della Corte europea è
stato richiesto nel mese di aprile di questo anno con
un ricorso presentato per conto di 79 immigrati
espulsi dall’Italia. Nello scorso marzo più di 1.000
immigrati sbarcati a Lampedusa sono stati espulsi e
deportati in Libia senza neanche fare i dovuti
controlli sull’identità e sul paese di provenienza. In
attesa dell’apertura dei due campi di Gharyan e Sebha
i profughi respinti e dirottati in Libia vengono
detenuti nel campo di Al Gatrun, un luogo sperduto nel
deserto, e poi trasportati con mezzi di fortuna al
confine con la Nigeria.
Fonti non ufficiali
parlano di 170 morti durante queste operazioni di
espulsione collettive, un bilancio pesante per un
paese, il nostro, che si dichiara democratico. Solo
nei primi sei mesi del 2005 il numero dei espulsi
dirottati in Libia è salito a oltre 4.000,
precisamente 4.137 così ripartiti: 1.955 egiziani,
1.920 romeni, 219 nigeriani e 43 cinesi. La ormai
prossima sentenza della Corte europea non sembra
preoccupare il Governo italiano; l’8 agosto la Corte
di cassazione ha accolto il ricorso della Prefettura
di Milano contro una sentenza del Tribunale di Milano
del 2004 che vietava le cosiddette “espulsioni
collettive”.
L’interpretazione della
Corte di cassazione vede le espulsioni non come un
provvedimento indiscriminato erga omnes, ma
come una attenta valutazione da parte delle autorità
preposte che non può prescindere dalle singole
posizioni dei migranti che, secondo la Corte, trovati
in territorio italiano privi del permesso di
soggiorno, hanno violato la legge italiana. La
decisione della Corte è stata favorevolmente accolta
dalla Lega. L’11 luglio scorso si è tenuto a Bari il
“Forum delle Regioni contro i Cpt”, organizzato dal
Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, che ha
dichiarato: “I Ctp sono carceri contro la civiltà”.
Ospiti del forum 14 presidenti di regione, il sindaco
di Bari Michele Emiliano, Filippo Miraglia dell’Arci,
Lorenzo Trucco dell’Asgi (Associazioni studi giuridici
sull’immigrazione), Gianfranco Schiavone dell’Ics
(Consiglio italiano solidarietà) e i rappresentanti
della Rete No-Cpt di Bari.
Se una parte dei 49,7
milioni di euro, a cui si aggiungono i 26,3 milioni
stanziati per le spese di copertura dell’impiego di
800 uomini tra poliziotti, carabinieri e finanzieri,
fosse investita dall’Italia per il finanziamento
di progetti di sviluppo nelle aree di crisi
nordafricane si creerebbero nuovi posti di lavoro per
le popolazioni che avrebbero una concreta alternativa
ai “viaggi dell’angoscia”, come quello della ragazza
nigeriana del film Mare nostrum, violentata da
tre italiani che denuncia, a cui il decreto di
espulsione è arrivato sul letto d’ospedale.
Riferimenti
bibliografici:
Gianfranco Bettin, “Una Guantanamo italiana”, in Il
Piccolo di Trieste, 25 maggio 2005
Cinzia Gubbini, “La Cassazione: sì alle espulsioni di
gruppo”, in Il Manifesto, 9 agosto 2005
Cinzia Gubbini, “Nel 2005 oltre quattromila rimpatri
con i charter”, in Il Manifesto, 11 agosto 2005
Andrea Scognamiglio, “Immigrati: espulsioni illegali,
la Corte europea indaga sul Governo italiano”, in
L’ Unità, 12 aprile 2005
Iaia
Vantaggio, “Immigrati, due Cpt italiani in Libia”, in
Il Manifesto, 21 luglio 2005
Iaia
Vantaggio, “Cpt, 100 milioni di euro per violare i
diritti”, in Il Manifesto, 22 luglio 2005
Progetto Melting Pot Europa per la promozione dei
diritti di cittadinanza, URL
http://www.meltingpot.org
Endstation
Abschiedbelager,
una produzione 3 SAT, Austria, 2005
Mare
nostrum,
regia
di Stefano Mencherini, Italia, 2003
Legge 40 del 1998
Legge 30 luglio 2002, n. 189
Direttiva 2003/9/CE
Decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140
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