.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
|
N. 97 - Gennaio 2016
(CXXVIII)
BREVE STORIA DELLE BANDIERE DEGLI STATI CONFEDERATI AMERICANI
COME
NASCE
LA
BANDIERA
SUDISTA
di
Giuliano
Santangeli
Valenzani
Durante
la
sanguinosa
Guerra
Civile
americana
(1861-1865),
gli
Stati
secessionisti
del
Sud
(C.S.A,
Confederate
States
of
America)
adottarono
diverse
bandiere,
sia
per
quanto
riguarda
le
insegne
da
battaglia,
che
per
le
bandiere
nazionali.
Noi
oggi
conosciamo
soprattutto
la
famosa
battle
flag,
(Fig.
1)
composta
da
una
croce
di
sant’Andrea
blu
in
campo
rettangolare
rosso,
ma
contrariamente
a
quanto
normalmente
si
crede,
essa
non
fu
mai
l’emblema
nazionale
confederato.
Nei
loro
primi
mesi
di
vita,
i
C.S.A
usarono
maggiormente
le
bandiere
note
come
Palmetto
tree
(Fig.2)
e
Bonnie
blue
flag
(Fig.3),
mentre
la
loro
bandiera
nazionale,
la
cosiddetta
Stars
and
Bars
(Fig.
4)
non
riscontrò
successo,
essendo
considerata
troppo
simile
alla
bandiera
unionista.
Già
nel
dicembre
1860
nacque
una
prima
versione
della
battle
flag,
con
una
croce
latina
al
posto
della
croce
di
sant’Andrea,
che
le
sarà
preferita
in
seguito
per
non
discriminare
gli
ebrei
confederati.
Nel
novembre
del
1861
l’esercito
confederato
adottò
ufficialmente
la
battle
flag
come
sua
bandiera,
ma
nessuna
compagnia
fu
obbligata
ad
usarla,
cosa
che
fece
persistere
una
certa
incertezza
sui
campi
di
battaglia,
dove
sventolavano
ancora
tante
bandiere
diverse.
Anche
per
quanto
riguarda
la
battle
flag,
non
erano
ancora
canonizzate
le
forme,
i
colori
e le
misure
esatte,
dando
vita
ad
una
moltitudine
di
varianti.
Nel
maggio
del
1863
la
Stars
and
Bars
cessa
di
essere
la
bandiera
nazionale
confederata,
che
diventa
invece
la
Stainless
banner
(Fig.5),
un
grande
rettangolo
bianco
con
una
piccola
battle
flag
nel
cantone
in
alto
a
sinistra,
segno
evidente
della
popolarità
di
questo
simbolo,
prima
esclusivamente
militare.
Questa
seconda
bandiera
nazionale
fu
però
criticata
quasi
subito.
Bianca
com’era,
usata
sul
campo
di
battaglia
era
facilmente
confondibile
per
un
simbolo
di
ritirata,
tant’è
vero
che
molti
reggimenti
confederati
ritagliarono
via
la
parte
bianca,
tenendo
come
simbolo
solo
il
cantone
con
la
rebel
flag.
È
solo
nel
marzo
1865,
ormai
alla
fine
della
guerra,
che
la
bandiera
nazionale
confederata
cambia
nuovamente,
per
diventare
il
Blood
stained
banner
(Fig.6),
una
ripresa
del
precedente
Stainless
banner
con
l’aggiunta
di
una
banda
rossa
sul
lato
corto
di
destra.
Conclusasi
la
guerra,
a
discapito
del
fatto
di
non
essere
mai
stata
la
bandiera
nazionale,
la
battle
flag
si
impose
come
simbolo
di
memorializzazione,
sebbene
non
in
maniera
esclusiva.
Sul
motivo
di
questa
scelta,
è
esaustiva
la
spiegazione
di
John
Coski,
che
sottolinea
come
abbia
giocato
un
ruolo
fondamentale
l’essere
stata
la
bandiere
militare,
dotata
quindi
di
una
forte
carica
emotiva,
di
senso
di
appartenenza,
cui
i
veterani
si
sentivano
estremamente
legati.
Aveva
insomma
un
forte
collegamento
simbolico
con
il
soldato
comune,
vero
eroe
dell’immaginario
sudista.
A
questo
proposito
non
bisogna
dimenticare
la
fortissima
identificazione
tra
gli
Stati
Confederati
ed
il
loro
esercito.
I
C.S.A
esistettero
solo
pochi
brevi
anni,
e
sempre
in
stato
di
guerra.
La
loro
stessa
esistenza
si
basava
sull’armata
che
ne
difendeva
i
confini
e i
¾
della
popolazione
tra
i 17
e i
45
servì
l’esercito.
Non
stupisce
quindi
il
grande
attaccamento
alle
insegne
militari.
Inoltre,
erano
le
donne
delle
varie
comunità
che
cucivano
le
bandiere,
mogli,
sorelle
e
fidanzate,
per
cui
il
valore
simbolico
ed
emotivo
ne
veniva
accresciuto.
Era
la
bandiera
del
soldato
comune,
ricordava
il
valore
ed
il
coraggio,
ma
ricordava
anche
quello
delle
donne
rimaste
a
casa,
nonché
di
quelle
che
avevano
lavorato
in
fabbrica,
negli
ospedali
o
nelle
aziende
agricole
al
posto
dei
parenti
maschi
impegnati
al
fronte.
Il
veterano,
e
quindi
il
suo
universo
simbolico,
diventano
di
primaria
importanza.
Come
ricorda
Eric
Leed,
dopo
la
fine
di
una
guerra,
è il
veterano
che
può
rivendicare
un
ruolo
centrale
nell’ideale
culturale
di
appartenenza.
Egli
diventa
il
miglior
rappresentante
della
nazione,
in
virtù
dell’essersi
sacrificato
per
la
salvezza
della
comunità.
Al
vertice
della
scala
culturalmente
rilevante
nel
dopo
guerra
si
collocano
però
i
soldati
caduti
in
battaglia,
che
diventano
ciò
che
Leed
chiama
“l’oggetto
d’amore”
della
collettività,
sottolineato
dalle
numerose
parate,
cerimonie,
associazioni
di
veterani,
etc.
Intorno
a
questi
caduti
si
forma
quel
complesso
sistema
di
“culto
della
sofferenza
e
del
sacrifico”,
di
cui
Leed
parla
a
proposito
della
prima
Guerra
Mondiale,
ma
che
ben
si
adatta
anche
alla
Guerra
Civile
americana.
Se,
come
abbiamo
detto
prima,
il
conflitto
è
considerabile
alla
stregua
di
un
rito
di
passaggio,
il
veterano
è
colui
che
viene
investito
del
potere
che
gli
deriva
dal
fatto
di
aver
attraversato
due
mondi
sociali
contrapposti
(pace
e
guerra)
e di
essere
riuscito
a
fare
ritorno.
Il
rito
di
passaggio
si
conclude
infatti
con
la
reintegrazione
del
soggetto
nella
società
civile,
dotato
però
di
un
nuovo
status
sociale
(in
questo
caso,
evidentemente,
l’onore
che
spetta
ai
veterani).
Diventando
quello
che
Leed
chiama
“l’oggetto
d’amore”
di
una
società
post
bellica,
però,
i
veterani
ed i
caduti
sostituiscono
l’oggetto
precedente,
attivo
nel
periodo
bellico,
identificato
nell’idea
astratta
della
Patria.
Questa
formulazione
sembra
collegarsi
al
nostro
tema,
dal
momento
che
la
bandiera
del
soldato
comune
adombra
completamente
la
bandiera
nazionale
nel
periodo
successivo
al
conflitto.
Subito
dopo
la
guerra
il
Sud
protestò
per
la
proibizione
di
sventolare
la
battle
flag,
motivando
che
essa
non
era
una
bandiera
nazionale,
ma
un
simbolo
apolitico
e
non
contrapposto
all’idea
di
una
Nazione
nuovamente
unita.
Tuttavia
ogni
insegna
militare
che
ricordasse
l’esercito
sudista
venne
vietata,
provocando
un
grande
risentimento
tra
la
popolazione.
Il
Sud
fece
resistenza
alla
politica
della
Reconstruction,
soprattutto
sulle
nuove
politiche
riguardanti
gli
ex
schiavi
neri,
ma
perfino
il
primo
Ku
Klux
Klan
non
usò
alcuna
bandiera
confederata
durante
le
sue
azioni
criminali.
Nel
primo
ordinamento
del
gruppo,
edito
nel
1867,
all’articolo
X si
danno
disposizioni
riguardo
alle
insegne
e
alle
bandiere
ammesse,
ma
non
si
parla
di
alcun
simbolo
confederato.
L’unica
bandiera
del
primo
KKK
era
di
forma
triangolare,
di
colore
giallo
con
il
bordo
rosso,
con
un
drago
nero
disegnato
nel
centro,
sotto
il
motto
“Quod
semper,
quod
ubique,
quod
ab
omnibus”.
Com’è
vero
anche
che
da
nessuna
parte,
nell’ordinamento
del
1867,
si
fa
mai
accenno
o
menzione
alla
Confederazione
o
alla
Guerra
Civile.
Solo
con
il
secondo
revival
del
KKK,
quello
degli
anni
’40,
si
inizierà
ad
avere
un’
associazione
sempre
maggiore
con
la
battle
flag.
È
comunque
solo
alla
fine
della
Reconstruction
che
la
bandiera
confederata
riappare,
nuovamente
tollerata
dal
Governo
federale,
come
oggetto
di
memorializzazione
e di
tradizione
culturale,
ponendo
fine
a
quel
periodo
in
cui
le
reliquie
confederate
erano
viste
come
veri
e
propri
articoli
di
contrabbando.
Riferimenti
bibliografici:
Coski,
John,
The
Confederate
Battle
Flag,
America’s
most
embattled
emblem.
The
Belknap
press
of
Harvard
University
Press,
Cambridge,
London
2005.
Leed,
Eric
J,
Terra
di
nessuno.
Esperienza
bellica
e
identità
personale
nella
prima
guerra
mondiale,
il
Mulino,
Bologna
1985.
Martinez,
J.
Micheal;
Richardson,
William
D. ;
McNinch-Su,
Ron,
Confederate
symbols
in
the
contemporary
south,
University
Press
of
Florida,
Gainesville,
FL,
2000.
Prescript
of
the
order
of
the
Ku
Klux
Klan,
1867,
Alabama
Dept.
of
Archives
and
History,
624
Washington
Ave.,
Montgomery,
AL
36130
Schedler,
George,
Racist
symbols
and
reparations,
Philosophical
Reflections
on
Vestiges
of
the
American
Civil
War,
Littlefield
publishers,
inc.
Lanham,
Maryland,
1998.
|
|
|
GBe
edita e pubblica:
.
-
Archeologia e Storia
.
-
Architettura
.
-
Edizioni d’Arte
.
- Libri
fotografici
.
- Poesia
.
-
Ristampe Anastatiche
.
-
Saggi inediti
.
.
InStoria.it
|