N. 31 - Dicembre 2007
L'ASSEDIO DI LENINGRADO
Storiografia russa e tedesca a confronto
di Leila
Tavi
In
Germania quest'estate è stato pubblicato il libro
Das belagerte Leningrad (Leningrado assediata) di
Jörg Ganzenmüller che confuta le tesi finora sostenute
dalla storiografia russa sull'assedio di Leningrado.
Ganzenmüller sostiene la tesi che il silenzio dei Tedeschi
del dopoguerra nei confronti degli orrori commessi in
nome del nazionalsocialismo da una parte e la
propaganda sovietica del dopoguerra dall’altra hanno
distorto i fatti realmente accaduti.
La città venne isolata dal resto del mondo per tre lunghi
anni; le truppe tedesche avanzarono dal sud, mentre
gli alleati finlandesi arrivarono dal nord. A est e a
ovest il lago Ladoga e il golfo di Finlandia formavano
degli ostacoli naturali.
Dei tre gruppi d’armate che costituivano l’avanzata tedesca
quello settentrionale, con 31 divisioni comandate dal
maresciallo von Leeb, partí dai Paesi baltici alla
volta di Leningrado. A metà luglio il Gruppo Nord
raggiunse il fiume Luga, a meno di 100 km. dalla
città. Con i combattimenti dell’agosto 1941 Leningrado
fu assediata dai Tedeschi, che dopo la conquista da
parte della 18. Armata della Wehrmacht di
Schlüsselburg l’8 settembre del 1941 riuscirono a
isolare la città dal resto del paese, mentre dal nord
le truppe finlandesi, alla guida del maresciallo
Mannerheim, arrivarono alle porte di Leninigrado. Il
primo di settembre caddero le prime bombe tedesche,
due giorni dopo fu incendiata con un assalto aereo la
maggior parte dei magazzini dove erano conservate le
scorte alimentari.
L’8 settembre la Wehrmacht era a soli 25 km. dalla
città, sulle colline del Duderhof, rinomate in passato
per le offensive della Guardia dello Zar, ma Hilter a
sorpresa ordinò di passare all’offensiva solo con
attacchi aerei, senza entrare nella città, nell’ambito
dell’operazione denominata “Tifone”. Hitler intendeva
risparmiare la fanteria per la conquista di Mosca e
dell’Ucrania, convinto che Leningrado sarebbe perita
sotto i morsi della fame. La decisione del Führer
provocò malcontento tra le fila degli uomini del
generale Hans Reihnardt e nel diario di Goebbels si
trova unappunto che fas riferimento alle truppe ferme
alle porte di Leningrado, nella cittadina
Krasnogvardejsk, in attesa di occupare la città al
grido: “Wir wollen weiter vor!” (Vogliamo
andare avanti!). Ma Hitler non cedette alla richieste
dei suoi uomini, determinato a piegare la città
lasciandola morire in una lunga agonia.
L’assedio di Leningrado ha rappresentato per tutti gli
Europei uno dei più crudeli capitoli della storia
della seconda guerra mondiale. Durante l’assedio
tedesco Leningrado contava 3.200.000 abitanti, la
seconda città dell’Unione sovietica per numero di
abitanti, oltre a 100.000 profughi fuggiti di fronte
all’avanzata dell’esercito tedesco. Un milione di
persone morì per fame, stenti e attacchi nemici
durante l’assedio che durò 900 giorni dall’8 settembre
1941 al 27 gennaio 1947.
Nell’aprile 1941 il Ministro dell’agricoltura del Terzo
Reich dichiarava che, nell’eventualità di un attacco a
Leningrado, sarebbe stato impossibile ricevere dal
resto dell’Unione rifornimenti e provviste sufficienti
per il fabbisogno degli abitanti della città. Tre mesi
dopo, il 12 luglio 1941 il Ministro della propaganda
Joseph Goebbels scrisse nel suo diario: “Non è
possibile dire cosa succederà a questa gente
[gli abitanti di Leningrado ndr] a breve.
Sto anticipando quella che sarà una catastrofe di
dimensioni di cui non è possibile prevedere gli
esiti.”
La tesi di Ganzenmüller sostiene che Hitler e i suoi
generali non erano intenzionati fin dall’inizio a
occupare Leninigrado, ma a distruggerla, a lasciar
perire i suoi abitanti tra stenti e fame, come anche
il generale Franz Halder, annotò l’8 luglio del 1941.
Per la storiografia sovietica la resistenza di Leningrado
rappresenta un grande gesto eroico nella storia della
Russia. Ganzenmüller cerca nel suo libro, basandosi
solo sulle fonti storiche e
senza niente togliere alla gente che ha combattuto ed è
morta in quell’orribile assedio, di scoprire oltre il
mito che la propaganda sovietica ha costruito intorno
all’evento, quello che effettivamente è accaduto.
Secondo il punto di vista di Ganzenmüller nell’autunno 1941
la carenza di provviste e combustibile per i soldati
tedeschi era già un problema, tanto da convincere
Hitler che un’eventuale capitolazione della città
avrebbe costituito solo un problema per le truppe
tedesche. Hitler non aveva intenzione di occupare una
città dove tre milioni di abitanti stavano già
soffrendo la fame, intendeva piuttosto aspettare che
la popolazione venisse sterminata da fame e freddo.
L’autore cita nel suo libro un discorso di Hitler del 29
settembre 1941 in cui il Führer annunciava la sua
soluzione: “Rifiuteremo qualsiasi richiesta di resa
da parte della città a causa della scarsità di cibo,
che è un problema che non può e non deve essere
risolto da noi. Non abbiamo nessun interesse a
occuparci di nessuno di loro in questa lotta per la
sopravvivenza”. L’8 ottobre del 1941 dichiarerà: “La
capitolazione di Leningrado, o più tardi di Mosca, non
dovrà essere accettata, anche se offerta dalla parte
opposta. Nessun soldato tedesco dovrà entrare in
quelle città”.
Da parte sua Stalin era comunque determinato a resistere a
ogni costo per difendere una città che aveva una
vitale importanza dal punto di vista
stretegico-militare per l’Unione sovietica, troppo per
potervi rinunciare facilmente. Nel primo anno di
assedio i tentativi di controattacco da parte dei
sovietici fallirono tutti miseramente. Georgij Zhukov
venne convocato a Mosca nel settembre del 1941 e dopo
un incontro con Stalin le speranze di mantenere
Leningrado sotto il controllo sovietico sembravano al
leader russo inesistenti.
Il timore dei Russi era che, con la caduta di Leningrado,
le truppe tedesche potessero riunirsi a quelle
finlandesi creando poi una minacci anche per Mosca.
Secondo Ganzenmüller i vertici sovietici avevano da
subito previsto che le truppe tedesche avrebbero
sfondato la resistenza di Leningrado in breve tempo,
per questo evacuarono, giorno e notte, senza tregua,
impianti industriali e fabbriche. Per i Sovietici era
sicuramente più importante mettere in salvo macchinari
e materiali primi che prestare soccorso alla gente di
Leningrado, ma con il peggiorare della situazione nel
gennaio del 1942 Mosca decisa di evacuare velocemente
il maggior numero di persone possibile.
Il Generalplan Ost dei nazionalsocialisti del 1942
prevedeva il genocidio di tutte le popolazioni a ovest
degli Urali e la “Germanisierung” dei territori
attraverso coloni di razza “ariana”. Nel piano si
prevedeva che la città di “Ingermanland”, come veniva
denominata nel Generalplan Ost la zona di
Leninigrado e dintorni, avrebbe dovuto essere già nel
1942 meta d’insediamento di 200.000 tedeschi. Ma le
cose nel corso dell’Operazione Barbarossa, il nome in
codice per l’invasione dell’Unione sovietica, andarono
in modo diverso.
Al contrario di quanto riportato dalla storiografia
sovietica, intrisa secondo l’autore di descrizioni
eroiche da propaganda, Ganzenmüller sostiene che le
operazioni per l’evacuazione furono caotiche e
disorganizzate e che si pensò solo a mettere in salvo
i lavoratori esperti con le loro famiglie per poterli
impiegare nelle fabbriche smantellate una volte
ricostituite in altre zone dell’Unione sovietica,
mentre feriti, malati e profughi vennero lasciati
nella città perché considerati inutili.
La storiografia sovietica è stata costretta, a parere
dell’autore tedesco, a guerra finita, a coprire gli
errori russi nella gestione dell’operazione: i primi
bambini ad essere evacuati, sostiene ancora
Ganzenmüller, vennero spediti nella direzione
sbagliata, verso le divisioni tedesche in avanzata.
L’autore stima che siano stati trasferiti tra 1,3
milioni ei 1,75 milioni di persone; gli abitanti
rimasti hanno vissuto uno dei periodi terribili delle
pagine della storia russa, come alcuni sopravvissuti
che ho avuto la possibilità di conoscere confermano:
fame, freddo, carenza di qualsiasi materia prima,
costretti a nutrirsi di colla e cuoio, carcasse di
animali. L’autore dichiara che la propaganda sovietica
impedì di rendere note le cifre del fenomeno, ma lo
storico tedesco stima che si siano verificati 1.500
casi di cannibalismo durante i 900 giorni di assedio.
La città era anche la sede del comando della Flotta del
Baltico, i poteri erano esercitati dal generale Popov
insieme al capo del Comitato del Partito Zdanov e dal
capo del Soviet cittadino Popkov, sottoposti a loro
volta al Comitato centrale di Mosca. Da fine luglio
era in vigore la legge marziale.
Nina Umova, ancora vivente, scrisse a 23 anni nel suo
diario il 14 dicembre del 1941: “Nel mio palazzo
due famiglie sono malate e stanno morendo di fame.
[…] Mi accorgo giorno per giorno che i loro visi e
le loro mani si gonfiano e i movimenti sono
rallentati. Io stessa dimagrisco a vista d’occhio. Il
mio corpo è molto debole e non ho le mestruazioni dal
mese di agosto.”
Il 10 novembre 1941 i Tedeschi occuparono la stazione di
Tvchin interrompendo qualsiasi collegamento via ferro
tra la città e il resto del paese; i convogli con le
derrate alimentari erano costretti a fermarsi a
Zaborje, a oltre 300 km. da Leningrado.
Nell’inverno a cavallo tra il 1941 e il 1942 non c’era
elettricità e la produzione era nulla, la gente era
stremata dal freddo e dalla fame; per la storiografia
sovietica del dopoguerra invece gli operai di
Leningrado non smisero mai di produrre per il paese.
In realtà come ricorda Nina Umova nel suo diario era
faticoso anche muovere le gambe per camminare. Al
Museo di Berlino Karlshorst si trovano in esposizione
tre foto di Nina Petrova di Leningrado: quella del
maggio 1941 la ritrae come una giovane donna in carne,
quella del maggio 1942 come un’anziana signora rugosa,
quella dell’ottobre del 1942 pelle e ossa,
dall’aspetto di un’ultranovantenne. In un diario di un
operaio della fabbrica “Izhora” è scritto: “21.1.1942.
Stiamo qui seduti in attesa di morire. 21.1.1942.
Idem. 1.2.1942. Sto facendo dei lavori pesantissimi
nonostante faccio fatica a camminare con un bastone”.
Una volta trasferiti tutti gli uomini ancora in grado
di lavorare al fronte nelle fabbriche lavoravano solo
donne e adolescenti.
La razione giornaliera per abitante era di 125 grammi di
pane, niente altro. Il nutrizionista Wilhelm
Ziegelmeyer, in servizio presso la Wehrmacht,
consigliò ai generali tedeschi di non mettere a
rischio la vita dei loro soldati: la fame avrebbe
sterminato la popolazione in poco tempo. Nell’ottobre
1941 morirono di fame 10.000 persone a Leningrado; nel
gennaio del 1942 ne morirono 10.000 al giorno.
Documenti ritrovati negli archivi del NKVD
(Commissariato del popolo per gli affari
interni), Ministero sovietico che nel 1934 assorbì
le competenze della polizia politica, confermano la
versione dei testimoni.
Il dossier n. SO-2583 riporta che
Evdokïa Vodianikova fu accusata di aver ucciso
sua figlia di 1 anno per sfamare suo figlio maggiore
di 3 anni. La donna fu condannata e fucilata dalla
polizia russa il 4 gennaio del 1942.
Il sistema di distribuzione di razioni di cibo era rimasto
durante la guerra in tutto il territorio sovietico lo
stesso degli anni ’30 e prevedeva una rigida gerarchia
tra le classi: gli operai ricevevano la razione
maggiore, poi venivano i colletti bianchi. Gli operai
delle fabbriche più importanti ricevevano di più
rispetto a quelli delle fabbriche minori; tutti gli
operai avevano tessere per ritirare razioni di cibo in
negozi speciali dove gli altri non potevano accedere.
Dilagava il mercato nero e aumentarono i furti nei
magazzini e nei negozi: durante l’inverno del 1941 818
persone furono arrestate per furto, 586 di loro erano
soldati; alcuni impiegati e operai furono colti in
flagrante a rubare nei magazzini dove lavoravano.
Nella fabbrica “Stalin” erano ufficialmente registrati
729 operai, in realtà 124 di questi erano morti, altri
107 erano stati evacuati, 70 impiegati al fronte e 21
agli arresti.
Nella primavera del 1942 con l’operazione “Nordlicht” i
Tedeschi sferrarono un altro massiccio attacco, il
maresciallo Enrich von Manstein fu incaricato di
portare a termine l’operazione. A sorpresa però le
truppe sovietiche organizzarono un contrattacco
vincente il 27 agosto del 1942 a sud del lago Ladoga.
Il 10 dicembre del 1942 le truppe del maresciallo Meretzkov
sferrarono un nuovo contrattacco riconquistando
Tivchin; iniziarono i lavori per collegare Leningrado
a Novaja Ladoga attraverso una pista ghiacciata per
ripristinare il collegamento con Tivchin. A questo
punto i Tedeschi si resero conto che la situazione si
era capovolta e che da una facile vittoria si
trovavano a dover fronteggiare gli attacchi dei Russi.
Si dice che Hitler avesse fatto stampare per i suoi
ufficiali degli inviti per festeggiare nell’hotel
“Astoria” la capitolazione della città e che gli
inviti non furono mai consegnati a causa del
precipitare degli eventi.
Ma la via di uscita per rifornire la città fu messa in
atto solo dal gennaio 1943, quando le armate
sovietiche dei fronti di Leningrado e del Volchov
(42à, 55à, Gruppo d’assalto della Neva, 8à, 2à
d’assalto, 54à e 67à) riuscirono a infrangere le linee
tedesche e ad aprire un piccolo corridoio a sud del
lago Ladoga, attraverso il quale un esiguo flusso di
rifornimenti raggiunse la città assediata, solo 100
tonnellate di derrate al giorno a fronte di un
fabbisogno dieci volte maggiore. Il lago verrà
soprannominato “la strada della vita”; tutti gli
uomini ancora in grado di lavorare vennero impiegati
nell’operazione.
I Fronti sovietici di Leningrado e del Volchov
consolidarono il corridoio aperto a sud del Lago
Ladoga. L’esigua striscia, che non fu possibile
ampliare fino all’inizio del 1943, veniva però
costantemente perlustrata dalle artiglierie tedesche
incessantemente tanto da essere soprannominata
“corridoio della morte”.
Alla fine del gennaio 1943 i Russi temevano una riconquista
di Tivchin da parte delle truppe tedesche;
un’ordinanza obbligò quasi tutti gli uomini a un
addestramento minimo di 110 ore e al successivo
arruolamento nell’esercito. Il collegamento
ferroviario permise un flusso, anche se esiguo,
continuo di rifornimenti; si cominciò a ricostruire
gli edifici demoliti all’interno della città, ma i
bombardamenti tedeschi continuarono incessanti per
tutto il 1943.
Hitler decise di stringere la morsa dell’assedio, ma il
gelo e i dissidi interni nella burocrazia delle
milizie tedesche non permisero all’esercito tedesco di
portare a termine l’orribile operazione.
Il Besatzungsregime tedesco era frammentato in
diverse unità amministrative prive di un vero e
proprio coordinamento. All’interno della gerarchia dei
fedeli di Hilter vigevano regole speciali per il
settore economico, sotto il comando dell’incaricato
per i piani quadriennali, Hermann Göring e altre per
le divisioni agli ordini del comandante delle SS e
della Polizia, Heinrich Himmler. Spesso le direttive
dei due comparti erano in contrasto, anche a causa
della mancanza di responsabilità circoscritte e di
innumerevoli “competenze speciali”, che portarono i
vertici del nazionalsocialismo a sollevare spesso
questioni di conflitti di attribuzione paralizzando
dall’interno la terribile macchina da guerra tedesca.
L’Armata Rossa, sfruttando l’impasse delle truppe tedesche,
riuscì finalmente a crearsi un varco nei pressi di
Schlüsselburg nel gennaio del 1943; da quel momento si
sbloccò la situazione di emergenza per
l’approvvigionamento di Leningrado e la in breve tempo
la città si risollevò e raggiunse i livelli delle
altre grandi città russe per cibo e
approvvigionamenti.
I raid aerei dei Tedeschi non cessarono però e nell’ultima
fase dell’assedio venne ridotta in macerie Peterhof,
la residenza estiva voluta da Pietro il Grande. Per un
anno intero la situazione fu stabile con attacchi
tedeschi e contrattacchi russi, poi al sesto grande
tentativo russo di sfondare la linea nemica i
Tedeschi, il 27 gennaio del 1944 capitolarono.
In Germania per molti anni dopo la fine della guerra si è
taciuto riguardo al tentativo di genocidio della
popolazione russa da parte dei nazionalsocialisti, di
conseguenza l’assedio di Leningrado divenne secondario
rispetto a battaglie come quella di Stalingrado.
Il milione di morti durante l’assedio corrispondono al
doppio di quelli che i bombardamenti degli Alleati
hanno fatto in tutta la Germania.
Dal
punto di vista degli storici russi dal dopoguerra in
poi Leningrado rappresenta una specie di memoria
collettiva che ha trasformato l’assedio in un vero e
proprio mito nazionalpopolare; anche ai giorni nostri
in occasione dei festeggiamenti per la liberazione
viene suonata la 7. Sinfonia di Dimitrij Shostakovitch
e sfilano per le strade di Mosca e Pietroburgo parate
militari, ma dietro all’effige di Zdanov e degli altri
la storiografia russa cerca ancora oggi di nascondere,
mascherati dalla legenda dell’eroica resistenza di
Leningrado, gli errori e gli orrori del regime durante
la guerra.
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