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N. 99 - Marzo 2016 (CXXX)

ARNALDO DA BRESCIA TRA RIFORMA RELIGIOSA E AGITAZIONE POLITICA
RITRATTO DI UN PREDICATORE – PARTE I

di Gabriele Passabì

 

La figura di Arnaldo da Brescia (1090-1155) ha sempre affascinato gli studiosi per l’impatto marcatamente politico della sua predicazione. Nel corso del XVIII del XIX secolo, storici, politici e riformatori religiosi costruirono ciò che lo storico inglese Greenaway ha definito “la leggenda di Arnaldo” (Greenaway, 1931, p. viii). Essi, infatti, si trovarono a costruire ed idealizzare la figura del riformatore italiano in relazione alle loro esigenze di legittimazione politica o religiosa: da una parte, Arnaldo venne interpretato come un pioniere della democrazia pronto a combattere il giogo dell’assolutismo (Schmitz-Esser 2007, pp.165-66), o un ideologo ante litteram del Risorgimento (Schmitz-Esser 2007, pp. 296-97), dall’altra egli venne visto come un precursore della Riforma Protestante (Schmitz-Esser 2007, 96-7). Il risultato di appropriazioni moderne della figura di Arnaldo determinarono un oscuramento delle radici puramente religiose e spirituali della sua predicazioni a favore di quelle politiche.

 

A causa di tale carico ideologico, anche gli storici contemporanei sono stati in larga parte influenzati dalla figura dell’agitatore anticlericale piuttosto che da quella del riformatore spirituale nell’approcciarsi allo studio di Arnaldo. Infatti, lo storico americano Moore ha avanzato la tesi secondo la quale Arnaldo sarebbe stato l’unico eretico del XII secolo a rendere esplicita l’implicita minaccia politica del fenomeno ereticale, ponendosi come un’alternativa politica nel panorama della fenomenologia del dissenso del XII secolo (Moore, 2005, p. 115). Tuttavia, se da un lato risulta impreciso definire Arnaldo un eretico, dato che non venne mai accusato formalmente di eresia (Fichtenau, 1998, p. 64), dall’altra tale ipotesi sembra trovare fondamento solo all’interno di un’interpretazione esclusivamente politica dell’attivismo di Arnaldo da Brescia.

 

Ciononostante, la tesi di Moore trova in parte giustificazione nelle fonti stesse che sembrano evidenziare quasi esclusivamente il carattere politico della predicazione di Arnaldo. Tra le poche fonti disponibili, le Gesta Frederici Impreratoris di Ottone di Frisinga, la Historia Pontificalis di Giovanni di Salisbury e alcune lettere di Bernardo di Chiaravalle presentano il resoconto più completo. Il ritratto di Arnaldo che emerge da queste fonti è quello di un agitatore politico il cui principale interesse era quello di fomentare gli strati più umili della popolazione contro il privilegio, la corruzione e la ricchezza del clero contemporaneo arrivando persino a metterne in discussione il ruolo sacrale (Moore 2005, p. 116). Tuttavia, queste fonti tendono a privilegiare la descrizione del ruolo politico di Arnaldo non solo per il suo impatto straordinario, ma anche (e soprattutto) perché tale aspetto corroborava i propositi politici dei rispettivi autori in relazione ai loro specifici interessi (Frugoni 1989). L’obiettivo di questo saggio è dunque una sfida: analizzare la predicazione di Arnaldo per come è stata dipinta e descritta nelle fonti e provare a comprendere se il coinvolgimento politico di Arnaldo sia stato il risultato delle implicazioni politiche dovute al suo background oppure se esso sia stato piuttosto la conseguenza più o meno diretta degli ideali ascetici del modello di vita apostolica che egli mirava a realizzare nella società cristiana.

 

La società europea del XII secolo stava vivendo sulla sua pelle le contraddizioni tra una pervasiva crescita economica, e la conseguente diffusione della ricchezza, e la pretesa di povertà evangelica diffusa inizialmente dalla riforma spirituale di Gregorio VII ed ora ampiamente diffusa anche tra i laici (Kienzle 2008, p. 41-2). La netta separazione formale tra politica e religione che nella cultura moderna risulta acquisita ed assimilata, non si riscontra minimamente nel panorama culturale e sociale del XII secolo che, al contrario, si fondava su una reciproca permeabilità sistemica delle due sfere.

 

Arnaldo fu profondamente influenzato da questo contesto culturale di riforma. Ciononostante, la sua predicazione si differenzia notevolmente da quella di altre figure di predicatori-girovaghi che caratterizzavano l’Europa dei primi decenni del XI secolo. Le principali caratteristiche che segnano la distanza di Arnaldo dalla figura del comune predicatore sono infatti la sua straordinaria erudizione, la sua partecipazione silenziosa, in disparte ma non assente ai più accesi dibattiti dottrinari e il già menzionato marcato coinvolgimento politico. Il suo disprezzo verso la classe clericale, considerata indegna, può essere infatti interpretato come una reazione all’osservazione dell’inconsistenza dell’elite ecclesiastica. Tuttavia, l’attivismo radicale, implicito nella sua predicazione, aveva una natura più contingente. Il coinvolgimento di Arnaldo nel tentativo rivoluzionario di stabilire un Comune a Roma accese la miccia dell’insita ideologia anticlericale che, anche se inizialmente solo in forma simbolica, era parte integrante e fondamentale della sua predicazione ascetica. Tale deriva anticlericale e violenta, enfatizzata dalle fonti a causa del loro uso di parte della figura di Arnaldo, dimostra da questo punto di vista l’unicità di Arnaldo nel panorama del dissenso religioso del XII secolo.

 

La società europea del XII secolo era stata profondamente segnata dalla Riforma Gregoriana. L’idea di una vita consonante con l’esempio evangelico e basata su castità, povertà e la rinuncia del mondano non era diffusa soltanto tra le comunità ecclesiastiche ma si era affermata con forza anche tra le comunità laiche (Moore 2005, p. 46). La crescita con tale intensità del fervore religioso fuori dal chiostro era stato anche il risultato della crescita economica che cominciò a manifestarsi a partire dalla metà del XI secolo. Le città conobbero una poderosa espansione e divennero importanti centri economici e commerciali determinando uno sviluppo degli scambi sia sulla breve che nella lunga distanza (Keele 2004, p. 62). Se da una parte l’espansione commerciale generò una crescita della ricchezza nelle comunità urbane, mettendo quindi a dura prova l’effettiva applicabilità di un ideale di vita coerentemente evangelico, dall’altro questo generò in reazione forme originali di “spiritualità” urbana. Infatti, la presenza di predicatori girovaghi che predicavano la povertà evangelica proprio nelle città divenne sempre più diffusa in Europa (Kienzle p. 40). Alcuni di loro erano tollerati dalla Chiesa, altri invece venivano perseguitati a causa delle loro dottrine eterodosse come Enrico il Monaco e Pietro di Bruis (Fichtenau, p. 58-59). Lo sviluppo di tale tensione verso una vita evangelica diffusa nelle comunità laiche prese anche la forma di un’aspra critica nei confronti della dubbia condotta dell’elite ecclesiastica che aveva il compito morale di incarnare proprio quei valori di povertà evangelica.

 

La predicazione di Arnaldo da Brescia ebbe luogo in questo contesto di crescita economica e revival spirituale. Tuttavia, egli non rispecchiava esattamente la figura dei predicatori a lui contemporanei proprio per le attività, prevalentemente politiche, nelle quali fu coinvolto (Fichtenau, p. 64). Questo si evince fin dal periodo iniziale della sua attività a Brescia che si era dimostrata essere terreno fertile per un movimento spirituale con forti tinte anticlericali. Il vescovo Manfredi, nominato da Innocenzo II nel 1132, aveva fallito nel tentativo di placare le ostilità dei suoi concittadini che qualche anno più tardi avevano iniziato un’aperta rivolta contro di lui (Moore, p. 117). Le fonti locali risalenti alla prima metà del XII secolo, nonostante non menzionino direttamente Arnaldo, descrivono chiaramente una situazione di violenza diffusa e di divisioni religiose tra riformatori ispirati dagli ideali patarini e il clero anti-riformista (Frugoni, p. 13). Questo clima di violenza e di agitazione spirituale probabilmente influenzò profondamente Arnaldo: da una parte la sua predicazione assorbì la tensione verso l’ideale apostolico, dall’altro essa ereditò, dall’esperienza patarina, la necessità spirituale di rinnovamento della Chiesa e di purificazione dei suoi membri dal peccato e dalla corruzione (Moore, p. 61). Per questa ragione, i contenuti spirituali della predicazione di Arnaldo rivelarono quasi immediatamente le loro implicazioni politiche. Queste infatti vennero definitivamente confermante quando Innocenzo II condannò Arnaldo e lo costrinse all’esilio a causa della sua aperta partecipazione ed incitamento delle tensioni anticlericali a Brescia (Giovanni di Salisbury, Historia Pontificalis, xxxi, p. 63. Da questo momento in poi riferita come HP).

 

Il carattere di radicalismo politico si evince immediatamente dalle parole delle principali fonti contemporanee quando introducono la figura di Arnaldo. Nella Gesta Friderici Imperatoris, Ottone di Frisinga fornisce un ritratto chiaramente schierato del predicatore bresciano descrivendolo come un ingannatore che, pur mostrando un certo garbo religioso, non era in alcun modo fedele ad esso in quanto disprezzava gli onori offerti alla Chiesa (Ottone di Frisiga, Gesta Friderici Imperatori, I-xxviii p. 61. Da questo momento riferita semplicemente come GFI). Ottone infatti non lesina i suoi attacchi verso Arnaldo definendolo “un lupo in guisa d’agnello” poiché, nonostante conducesse uno stile di vita rigoroso, egli era un persecutore di monaci e vescovi ai quali negava il loro diritto di possedere proprietà e di ricevere regalia (GFI, II-xxviii, p. 143). Il potenziale elemento sedizioso della sua predicazione si concretizzava quindi proprio nel rifiuto della sacralità e, quindi, della legittimità politica e religiosa del clero corrotto.

 

Tuttavia, le parole di Ottone, vescovo strettamente legato alla corte imperiale del Barbarossa, devono essere interpretate con cautela. Il cronista tedesco concentra il suo resoconto dell’attività di Arnaldo sul periodo romano. La sua descrizione enfatizza molto di più il carattere di minaccia politica piuttosto che quello di stravolgimento religioso del suo insegnamento. Infatti, secondo quanto ci dice Ottone, Arnaldo divenne uno dei principali leader della ribellione romana, sostenendo con forza il loro tentativo di stabilire una repubblica (GFI, II-xxviii, p. 144). Inoltre Ottone, caricando ancora di più il ritratto estremista di Arnaldo, scrive che il predicatore italiano sosteneva delle visioni irragionevoli ed eretiche riguardo il sacramento dell’altare e il battesimo infantile (GFI, II-xxviii, p. 143). In realtà, pur avendo subito una condanna da parte degli alti prelati del Secondo Concilio Lateranense, Arnaldo non fu mai formalmente accusato di eresia. Per questo motivo, queste accuse, che inoltre non si riscontrano nelle altre fonti, furono riportante più probabilmente per enfatizzare ulteriormente la minaccia rappresentata da Arnaldo per lo establishment ecclesiale. Questi attacchi sono piuttosto il risultato della visione politica dell’autore che scrisse la sua opera su richiesta di Federico Barbarossa per celebrare le imprese e la pace da lui ottenuta a seguito della sua incoronazione ad imperatore (Frugoni, p. 20-21). In questo quadro Arnaldo viene considerato un disturbatore di tale pace, un fanatico predicatore di eterodossia e di ribellione politica che quindi non poteva scampare alla giusta punizione divina: essere catturato dall’imperatore e bruciare inevitabilmente sul rogo (GFI, II-xxviii, p. 144).

 

Giovanni di Salisbury nella sua Historia Pontificalis presenta invece una interpretazione leggermente diversa. Nell’introdurre la figura di Arnaldo, egli si concentra molto di più sui contenuti religiosi della sua predicazione che, non a caso, viene descritta in maniera più dettagliata. Giovanni riporta infatti che Arnaldo era un canonico regolare che si dedicava assiduamente a pratiche di mortificazione della carne quali il digiuno e l’astinenza e vestiva abiti grezzi (HP, XXXI, p. 63). Questi dettagli, legati all’estetica delle sue sembianze e al suo stile di vita rigorosamente disciplinato, confermano l’adesione di Arnaldo al revival spirituale che venne a costituire un elemento caratterizzante del XII secolo (Kienzle, p. 39). Allo stesso tempo, tuttavia, l’autore della Historia riferisce anche che Arnaldo era famoso per essere un facinoroso ed un avvocato dello scisma (HP, XXXI, p. 63-64). Secondo Salisbury, egli era spietato contro i vescovi accusando apertamente le loro depravazioni e la loro corrotta volontà di fondare la Chiesa di Dio “sul sangue e sul peccato” (HP, XXXI, p. 64). Con questa chiarificazione del pensiero di Arnaldo, Giovanni di Salisbury sembra suggerire che l’obiettivo della sua predicazione non fosse tanto il peccato per se ma il clero corrotto e peccatore che non aveva abbracciato la giusta condotta di vita evangelica (Frugoni, p. 111). Sembra infatti che Arnaldo fosse drammaticamente consapevole della distanza esistente tra le aspettative della vita religiosa e la pratica di essa: i costumi corrotti della Chiesa, che avrebbe dovuto rappresentare invece l’esempio di devozione spirituale, generò quella che ad Arnaldo appariva una contraddizione inconciliabile.



 

 

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