N. 1 - Giugno 2005
COMMEMORAZIONE VECCHIO STILE, SCENARIO NUOVO
A Mosca
per i sessant'anni dalla vittoria sul nazi-fascismo
di Leila
Tavi
Dopo i funerali di Karol Wojtyla, la celebrazione dei
60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale è
stata l’evento che ha richiamato a Mosca il 9 maggio
i rappresentanti di più di 50 stati.
Tra questi il
presidente cinese Hu Jintao, il premier giapponese
Junichiro Koizumi, il cancelliere tedesco Gerard
Schröder (a testimonianza della storica
riconciliazione tra Germania e Russia), e per la prima
volta il presidente degli Stati Uniti, John W. Bush,
al quale è stato riservato il posto d’onore.
Dalla Krasnaja ploščad’ il presidente
Vladimir Putin ha pronunciato un discorso breve e
solenne, alla vecchia maniera sovietica come la parata
che lo ha seguito, che si è concluso con
l’esortazione: “Mai più guerra, né fredda né calda”.
Le tribune, che durante la guerra fredda ospitavano
per l’occasione solitamente i membri del politburo,
questa volta hanno accolto capi di stato e
diplomatici; sulla piazza è stato sistemato un maxi
schermo con una scritta a intermittenza “60 let”,
60 anni.
Il clima è sembrato spazzar via il periodo Chruščëv-Eisenhower del bluff dei missili: nessuna
manifestazione di potenza, i militari hanno sfilato in
uniforme d’epoca sventolando le bandiere rosse con
falce e martello.
Poi è stata la volta dei veterani
con le medaglie appuntate al petto e dallo sguardo
perplesso, l’ultimo baluardo sovietico. Sono rimasti
ormai in pochi, a loro la “grande madre” Russia oggi
non offre che una misera pensione, qualche
decorazione e qualche effige di Stalin,
come quelle che si trovano nei mercatini delle pulci
delle nostre capitali.
Il
premier italiano, Silvio Berlusconi, ha applaudito
alla vista dei veterani come davanti ai carrozzoni del
circo che sfilano per le vie della città, e più tardi
ha commentato in un’intervista: “I veterani non erano
comunisti, ma patrioti russi”.
Tra gli ospiti
stranieri solo Gerard Schröder ha seguito il discorso
del presidente russo senza l’ausilio della traduzione,
gli altri, Bush compreso, erano tutti chini in
un’attenta lettura.
Nelle ultime file, tra i generali
e i funzionari russi, c’era Boris Yelsin, ma mancavano
Michail Gorbačëv, i rappresentanti delle tre
repubbliche baltiche, il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko e, giustificato da impegni del
nuovo governo, il premier britannico Tony Blair.
Tutti hanno acclamato quei veterani russi che durante
la guerra hanno resistito all’assedio di Leningrado,
attraversato il lago Ladoga ghiacciato e combattuto la
battaglia di Stalingrado.
Putin ha rivolto le sue
parole all’Europa per ricordare il sacrificio di
milioni di soldati sovietici servito a liberare
l’Europa Orientale fino alle porte di Vienna; un
monito da parte dell’ex funzionario del FSB per non
far dimenticare ai “vicini europei” cosa ha
rappresentato l’Unione Sovietica nel bene e nel male
dal 1945 alla fine del XX secolo, nel tentativo di
istaurare quello che alcuni chiamano (vedi Aleksandr
Dughin) l’asse Parigi-Berlino-Mosca per una pax
euroasiatica, un’alternativa alla pax
americana a senso unico.
Il
grande orso bianco è sceso ancora una volta a
compromessi con gli altri Europei, in una piazza dove
il mausoleo di Lenin con un perfetto camouflage
è stato oscurato alla vista delle telecamere.
E mentre
Mosca e Pietroburgo celebravano un evento tutto
europeo nel Khabarovskij krai, la zona
franca del confine sino-russo, il giorno volgeva al
termine. Sulla “riva occidentale” del fiume Amur, che
divide la Russia dalla Cina, gli operai e i lavapiatti
cinesi, i nuovi pendolari siberiani, aspettavano di
imbarcarsi come in un giorno qualsiasi sul battello
per la Cina.
La parata, i potenti aerei con la scia
bianca, azzurra e rossa, hanno forse riproposto una
Russia che, come in un passato ormai lontano, fa la
corte all’Europa trascurando i nuovi problemi delle
province dell’Estremo Oriente, che si tingono sempre più
di giallo... |